A distanza di quasi
40 anni sono ancora senza risposta alcuni interrogativi:
Indice
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La
strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 non è, come molti
vorrebbero ancora farci credere, un episodio oscuro nella storia
del nostro paese. E’ una pagina chiara. Forse non si riuscirà
ancora a ricostruire in sede giudiziaria l’esatta dinamica, ma
quel che non è più manipolabile è la trama. Si fece la strage per
fermare, da parte di una classe politica criminale, la messa in
discussione del proprio ruolo. Le bande neonaziste di Ordine
Nuovo, strumento esecutivo della “strategia della tensione”,
servirono a questo scopo. Due comunque le domande che oggi ci
poniamo a distanza di tanti anni circa la preparazione e lo
svolgimento del 12 dicembre. Due interrogativi per nulla indagati
e per molti versi ancora inediti che getterebbero luce nuova sullo
svolgimento dei fatti. Cosa accadde veramente quel giorno a
Milano?
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QUATTRO E NON DUE LE BOMBE? |
Sulle pagine del quotidiano L’Unità, il 18 dicembre del 1969, a
pochissimi giorni dai tragici fatti e dalla morte di Giuseppe
Pinelli, precipitato dal quarto piano della Questura, comparve in
edizione nazionale il resoconto di una conferenza stampa degli
anarchici del circolo Ponte della Ghisolfa con la clamorosa
denuncia del ritrovamento di altri due ordigni inesplosi, taciuti
dalla polizia, nella sera stessa del 12 dicembre, uno in una
caserma militare ed un altro in un grande magazzino. La Questura
smentì immediatamente, ma sembrerebbe che di almeno per uno di
questi due ritrovamenti esisterebbe addirittura un verbale dei
vigili urbani, ora agli atti del nuovo procedimento per Piazza
Fontana, con l’ora esatta del rinvenimento: le 23. Una ben strana
notizia, rimasta senza seguito e successive attente verifiche.
Alcuni dubbi rimangono, soprattutto se si considera l’affanno con
cui il perito balistico del Tribunale di Milano, l’ingegnere
Teonesto Cerri, verso le 21,25, a pochissime ore dalla strage, su
richiesta del Procuratore Generale della Repubblica De Peppo fece
saltare la valigetta metallica con la bomba inesplosa ritrovata
alla 17,30 alla Banca Commerciale Italiana di Piazza della Scala.
La sua iniziale intenzione sembrerebbe in realtà fosse anche
quella di distruggere insieme alla cassetta la borsa. Solo
l’insistenza di un maresciallo artificiere impedì un atto tanto
insensato. Una decisione che, come noto comunque distrusse
irrimediabilmente le possibilità di risalire con facilità agli
autori ed ai mandanti della strage, esaminando l’esplosivo, la
provenienza ed il congegno di innesco.
Legittime a questo punto alcune domande. Cosa si volle tenere
nascosto quel giorno e chi lo fece? Quante furono effettivamente
le bombe innescate? Quali proporzioni avrebbe dovuto assumere la
strage di Milano? Di che le eventuali responsabilità
dell’occultamento degli ordigni ritrovati? Domande che
meriterebbero una risposta, pur a distanza di tanti anni. Domande
non inutili per sapere chi e perché decise di manipolare la
verità. Si spiegherebbe finalmente in questo modo forse anche il
motivo dell’acquisto di quattro borse a Padova. Tutte, a questo
punto, predisposte per gli attentati di Milano. A Roma per le
altre tre bombe si sarebbe dovuto evidentemente provvedere
diversamente.
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UNA STRAGE ATTESA DA ORE |
Anche un'altra concatenazioni di fatti, antecedente la strage, non
è mai stata sufficientemente indagata. Nel memoriale di Aldo Moro
redatto nei cinquantacinque giorni della sua prigionia ad opera
delle Brigate Rosse, tra il 16 marzo ed il 9 maggio 1978,
rinvenuto nell’ottobre del 1990 in Via Monte Nevoso a Milano,
leggiamo testualmente: “Ma i fatti di Piazza Fontana furono certo
di gran lunga più importanti. Io ne fui informato, attonito, a
Parigi dove ero insieme con i miei collaboratori in occasione di
una seduta importante dell’assemblea del Consiglio d’Europa che
per ragioni di turno dovevo presiedere…Proprio sul finire della
seduta mattutina ci venne tra le mani il terribile comunicato
d’agenzia, il quale ci dette la sensazione che qualcosa di
inaudita gravità stesse maturando nel nostro paese. Le telefonate,
intrecciatesi fra Parigi e Roma, nelle ore successive non
potettero darci nessun chiarimento…Io cercai di sapere qualche
cosa, rivolgendomi subito al Presidente Picella, allora segretario
Generale della Presidenza della Repubblica, uomo molto posato,
centro di molte informazioni (ovviamente ad altissimo livello) ma
non con canali propri. I suoi erano i canali dello Stato. Alla mia
domanda sulla qualifica politica dei fatti, la risposta fu che si
trattava di gente appartenente al mondo anarchico.”
Un ricordo singolare. Come è noto, la strage di Piazza Fontana
avvenne solo alcune ore più tardi, alle 16.37. L’ANSA diramò la
notizia alle 17.05 e solo nel dispaccio delle 18.30 parlò di una
bomba. Si potrà certamente pensare ad un cattivo ricordo anche per
le difficili condizioni di prigionia in cui versava Moro. Ma a
ricordare male non fu il solo. Anche Carlo Cecchi, già
parlamentare del PCI nella sua “Storia della P2” incorse in un
identico infortunio: “…In Italia l’inizio del secondo tripudio
(quello delle armi e del terrorismo) è contrassegnato da una data
e da un’ora: il 12 dicembre 1969, intorno alle 11 del mattino. E’
la strage di Piazza Fontana.” Forse a monte di tutto ciò una
spiegazione molto semplice: già 5 o 6 prima in ambienti politici e
militari si era diffusa la notizia dell’imminenza di un fatto di
eccezionale gravità. L’allarme era già diffuso.
Da qui l’anticipazione in alcuni protagonisti politici dell’epoca
del ricordo della strage. Andrebbe, sotto questo profilo, ancora
una volta ricordato l’interrogatorio reso il 7 settembre 2000 dal
senatore a vita Paolo Emilio Taviani, più volte ministro e figura
tra le più prestigiose della DC. Interrogatorio rilasciato
nell’ambito delle nuove indagini sulla strage di Piazza Fontana.
Uno dei documenti in assoluto più illuminanti proprio sulle ore
antecedenti i fatti. “La sera del 12 dicembre1969” – disse – “il
dottor Fusco defunto negli anni ’80, stava per partire da
Fiumicino per Milano, era un agente di tutto rispetto del
SID…Doveva partire per Milano recando l’ordine di impedire
attentati terroristici. A Fiumicino seppe dalla radio che una
bomba era tragicamente scoppiata e rientrò a Roma. Da Padova a
Milano si mosse, per depistare le colpe verso la sinistra, un
ufficiale del SID, il Ten. Col. Del Gaudio.” Una ricostruzione
ribadita dalla stessa figlia del Dottor Fusco, Anna, solo pochi
mesi dopo, il 13 marzo 2001. “Posso dirvi” – “ribadì, riferendosi
al padre – “che il non aver impedito la strage di Piazza Fontana
fu il cruccio della sua vita”. In questa ultima deposizione la
signora Fusco aggiunse anche un particolare su cui mai si è forse
riflettuto sufficientemente. “Mio padre” – sostenne – “era un
‘rautiano di ferro’ e ho sempre avuto l’impressione che abbia
appreso l’episodio del 12 dicembre non dai servizi ma dalle sue
conoscenze di destra”. La verità, anche in questa versione,
continua a portare all’intreccio fra neofascisti ed apparati
statali.
SAVERIO FERRARI
Milano, 10 dicembre 2004
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tratto da:
http://www.osservatoriodemocratico.org/page.asp?ID=2746&Class_ID=1001
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