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Il caso Giuseppe da Copertino
<<Le cronache riferiscono che
il 4 ottobre 1630, verso le otto del mattino, nella chiesa del
monastero delle Clarisse in Copertino (Lecce) accadde un
prodigio destinato a rimanere unico nella storia. Un frate,
Giuseppe da Copertino, in seguito elevato dalla Chiesa all'onore
degli altari, colto da estasi mistica, si sollevava da terra e
passando sopra le teste dei fedeli andava a posarsi sul bordo
del pulpito, ad un'altezza di circa tre metri dal pavimento. In
altre parole aveva volato. Di tali aerei "ratti" (che
comportarono anche l'intervento dell'Inquisizione) nel corso
della sua vita gliene furono attribuiti quasi duecento.
Naturalmente la Chiesa lo proclamò Santo per ben altre ragioni.
Dai documenti risulta comunque che i clamorosi prodigi che
accompagnavano le sue estasi sconvolsero nell'Italia del '600
intere folle di fedeli di tutte le estrazioni sociali, con forti
ripercussioni anche in Europa. Un "caso" unico nella storia,
dunque, non soltanto della Chiesa. Nei secoli seguenti tuttavia,
e fino a pochi decenni fa, la popolarità del Santo subì un
progressivo declino. Al di fuori dei luoghi strettamente legati
al suo culto, quasi se ne perse la memoria. Quale ne fu il vero
motivo? Proprio in occasione del quarto centenario della nascita
del Santo, caratterizzato da un considerevole rifiorire del suo
culto, per la prima volta uno scrittore "laico", attraverso uno
studio approfondito dei documenti, cerca di far luce sull'intera
vicenda.>>
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Sommario:
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Indagine sulla vita e i prodigi del santo
che volava
Si
deve all'ottima penna di Goffredo Sebasti - romanziere, saggista e
specialista in letteratura francese - il bel libro pubblicato dalla
Sugarco (Euro 14.50), Il caso Giuseppe da Copertino (indagine sulla
vita e i prodigi del santo che volava). Uscito nel 2003, questo
saggio si occupa del 'frate volante' di origini pugliesi, al secolo
Giuseppe Maria Desa, che per ben 14 anni, dal 1639 al 1653, risiedette
nel Sacro Convento della Basilica di S. Francesco in Assisi, qui
compiendo (come narrano le cronache di presunti testimoni oculari, ad
es. padre Roberto Nuti, superiore in Assisi vivente il frate, che
scrisse una Vita nel 1678: cfr. Assisi, Biblioteca Comunale,
manoscritto 126; oppure i Diari dell'abate Arcangelo Rosmi,
Archivio Segreto Vaticano, Fondo Riti 2039) buona parte dei suoi
prodigiosi 'voli', acquistandosi una fama di santità ed una notorietà
che furono ben presto di risonanza europea. Oltre il dono delle
estasi, delle levitazioni, dei miracoli, delle guarigioni, della
preveggenza e del discernimento degli spiriti, padre Giuseppe ebbe il
dono della scienza, del consiglio, e quello di emanare un profumo
particolare e duraturo (Elena Bergadano, Giuseppe da Copertino,
ed. San Paolo, 1994, pag. 105). Il frate fu visto volare (Sebasti,
pag. 88) in diverse posizioni, persino "alla rovescia", ma anche
rimanere immobile, sospeso nel vuoto come nel celebre episodio
occorsogli nella Basilica Superiore d'Assisi gremita di gente (ai "
voli " del frate l'Autore dedica una speciale rassegna).
Sebasti dichiara, nella premessa, di essersi avvicinato a questa
singolare figura francescana dell'età della controriforma, attraverso
un libricino devozionale, capitatogli in mano per caso: <<Da quelle
paginette era emersa una figura di un misticismo sfolgorante, la
storia di un santo tormentato all'inverosimile, sostenuto da una fede
e da un amore per il suo Dio tali da generare, nonostante tutte le
sofferenze, innumerevoli momenti di quella suprema felicità che prende
il nome di estasi>>. Ma la figura di fra' Giuseppe era andata
sbiadendo nei secoli, e fuori da un certo ambito di fede poco più se
ne sapeva, se non che avesse volato. Il recupero storico di fra'
Giuseppe coincise con le celebrazioni del 1963, in occasione del III
centenario della morte. Nel 2003 si è celebrata la ricorrenza della
nascita. Negli anni '50 avevano dedicato attenzione alla singolare
vicenda del frate volante Alfio Giaccaglia con Il santo dei voli
(Edizioni Paoline, 1956) e nientemeno che Claire Boothe Luce (I
Santi che amiamo, Mondadori, 1956), giovane e bella ambasciatrice
americana di origini italiane. Dopo la canonizzazione, avvenuta
tardivamente a metà del '700, di fra' Giuseppe si era perduta ogni
traccia di culto, se non ad Osimo, dove gli fu dedicata una chiesa. La
riscoperta del 'santo dei voli' sembra perciò dovuta, ne viene il
sospetto, all'età moderna impastata di tecnologia. I miracoli sono
tali in quanto violano le leggi di natura, ma diventano, in
prospettiva, più comprensibili in quelle età dove il clima culturale
può meglio accostarsi al loro mistero. Si tratterebbe dunque di un
effetto di ritorno. E non c'è dubbio, che l'ultimo secolo sia stato
appunto quello del volo. Quindi la vicenda di fra' Giuseppe, avvolta
nel mistero dei suoi reali risvolti (alla cui analisi si dirige con
intelligenza il saggio di Sebasti), è tornata d'attualità, tuttavia in
una piega rivolta alla passato, così come la risonanza, che si diffuse
in vita, potrebbe, al contrario, essere interpretata come una reazione
miracolistica proprio nell'epoca della rivoluzione scientifica.
Accanto al lavoro di Sebasti si potrebbero citare il piccolo libro
devozionale, ma ben scritto, di Elena Bergadamo, dedicato ai padri
minori conventuali di Osimo, e il più recente lavoro di Ennio De
Concini (Il frate volante, San Paolo, I ed. 1998, II ed. 2001),
che data la professione dell'autore, si presenta piuttosto come un
soggetto cinematografico, interamente dialogato e di ottima lettura,
quindi un racconto, e non un saggio storiografico analitico,
documentato ed articolato come quello di Sebasti, che possiede tutti i
tratti d'una ricostruzione scientifica. |
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Il
saggio di Sebasti consiste in un testo agile, esauriente, ben
scritto e ben distribuito nelle sue 125 sapide pagine, corredato
da pregevoli riproduzioni, da una cronologia riassuntiva ed
un'ottima bibliografia a tutto servizio del lettore che voglia
accostarsi al singolarissimo "caso" di un santo francescano del
seicento, che (si badi bene) 'volava' e non 'levitava', come
appunto Sebasti tiene a sottolineare (pag. 6). Si può subito
rilevare una forte somiglianza tra Giuseppe da Copertino e padre
Pio da Pietralcina, altro francescano del sud Italia molto più
vicino a noi, prima beatificato e poi ugualmente fatto santo, la
cui figura suscitò opinioni diverse, tanto è vero che, in termini
non positivi, Mario Guarino ne pubblicò nel 1999 una "controstoria"
dal titolo Beato Impostore - Controstoria di Padre Pio (ed.
Kaos). In una noticina (pag. 15), Sebasti sottolinea che tale
analogia non si limiterebbe ai soli caratteri somatici, assai
somiglianti, per ricomprendere lo stesso carattere "ruvido", la
stessa estrazione sociale, le stesse esperienze di vita e le
medesime tribolazioni. Il che suggerisce una sorta di vita
parallela, con la singolare differenza che Giuseppe "volava" (si
sollevava da terra di qualche metro fluttuando nell'aria), e lo
avrebbe fatto molte volte, più di duecento, anche in presenza
d'una folla, e non solo di pochi privilegiati spettatori. Fatto è
che Giuseppe fu beatificato soltanto il 24 febbraio 1753, sotto il
pontificato di Benedetto XIV (Prospero Lambertini: "Maximus in
folio, minimus in solio", ma l'ironico e caustico Pasquino, al
quale si deve questa sintetica definizione, mostrò tuttavia
d'apprezzarlo), quasi un secolo dopo la morte, avvenuta il 18
settembre 1663, poco prima della mezzanotte, per essere poi
solennemente canonizzato in S. Pietro, il 16 luglio del 1767, da
Clemente XIII (Carlo Rezzonico: <<un papa devoto ma bigotto,
istruito ma non colto, in linea con la tradizione da come si era
invano battuto per la canonizzazione del Bellarmino, e che non
aveva mai preso posizione sullo scottante problema dei Gesuiti>> -
G. Rendina, Storia dei papi).
Secondo la testimonianza dei due medici presenti al trapasso, Giuseppe
da Copertino sarebbe spirato (dopo penosa malattia che lo tenne in
acuta sofferenza) in un sorriso: <<Nella semi-oscurità, il suo volto
rimase per diverso tempo vivacemente illuminato come da un fascio di
raggi solari, che si andarono spegnendo lentamente>> (pag. 77). Lo
spegnersi di questa sorta d'energia somiglierebbe assai alla stessa
spiegazione (pag. 88) che fra' Giuseppe forniva dei suoi voli, senza
potersene dare una vera ragione: <<...l'anima vede certi raggi della
grande Maestà di Gesù Cristo quali cagionano, poiché per sì gran lume
l'uomo si muove così di ratto all'indietro. Ma poi che quei raggi si
ritirano e così cagionano, quasi così facendo l'invito all'anima che
di nuovo ella con il suo corpo voli e sia rapita verso il suo amato
Signore>>. Le tante misteriose virtù del santo da Copertino, secondo
il Rosmi si compendiavano in questo: <<Così seppi con abbondanza di
spiritual confidenza, che egli vede non con gli occhi corporali ma con
gli occhi della mente, vede insomma l'anima sua come in un cristallo
bellissimo de varij colori la Divinità di Gesù Cristo...>>. Sebasti
ripercorre gli elementi fondamentali della sorprendente storia del
frate e ce li presenta in un accurato impianto critico, che consente,
in ogni caso, una prospettiva di giudizio, sia che si voglia credere
ai tanti episodi miracolosi, sia che si preferisca restare scettici,
come appare naturale di fronte a casi come questi. |
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Sull'autenticità dei "voli" di S. Giuseppe da Copertino (che si
susseguirono in condizioni estatiche nell'arco di circa un
trentennio dal 1630 al 1657), getterebbe un'aura di sospetto il
notevole ritardo con cui vennero conclusi i processi di
canonizzazione. Un ritardo che avrebbe dunque invalidato tutte le
testimonianze rese a distanza di decenni dai fatti, se non
addirittura permesso manipolazioni o alterazioni. Ma Sebasti, dopo
averlo sollevato, respinge quest'argomento, appellandosi ai
'documenti' e alle tante 'testimonianze' di quando Giuseppe era in
vita ed operava questi prodigi, che gli occorrevano senza alcuna
preordinata intenzione ed in condizioni tutto sommato oggettive.
Ed infatti le indagini per la beatificazione sarebbero iniziate
già nell'ottobre del 1663, un mese dopo la morte. Nel 1668 si
sarebbe chiuso positivamente il processo sulla 'fama di santità' e
nel 1700 vennero portati a termine ed approvati i 'processi
apostolici'. 'Avvocato del diavolo', come si suol dire, fu il
cardinale Lambertini, sotto il cui pontificato Giuseppe fu appunto
"beatificato" a metà del secolo successivo alla morte.
Il
saggio di Sebasti è assai gradevole: si lascia leggere molto bene,
scorre agile e leggero nel suo percorso a tappe, e per quanto di
ottima scrittura letteraria, conserva tutti i tratti scientifici d'un
'dossier' storiografico. Non è tuttavia uno studio mirato alla
capillare ricostruzione biografica, bensì un lavoro d'indagine
sull'effettività dei voli, ed è questo infatti l'argomento che sta più
a cuore all'Autore, che per quanto laico e razionalista, si manifesta
tuttavia convinto della verità tradizionale dei voli miracolosi, sulla
base della qualità e quantità delle testimonianze, peraltro molto ben
raccolte ed analizzate. Siamo arrivati al giugno del 1636, alla c.d.
"truffa" di Giovinazzo. Compare sulla scena un personaggio ambiguo,
che giocherà un ruolo importante in due diversi momenti della vita di
Giuseppe: padre Antonio da Santo Mauro, nominato da poco ministro
provinciale dei Minori Conventuali. Il giudizio di Sebasti su questo
frate è negativo. Padre Antonio avrebbe in realtà 'usato' fra'
Giuseppe, portandolo con sé in giro per più di un anno. Nel Duomo di
Giovinazzo (in costanza della festività del Corpus Domini ricolmo di
folla) Giuseppe viene 'esibito' come un fenomeno da baraccone: durante
la celebrazione della messa i fedeli sono tutti in attesa del promesso
miracolo, ma non avviene nulla; il padre guardiano Diego da Cindario,
gli si avvicina più volte e gli mormora l'obbedienza. All'improvviso
Giuseppe lancia un urlo e viene colto da convulsioni. Ma nulla accade.
Invece, nel monastero delle monache di clausura, dove viene subito
condotto, le cose cambiano. Lo vedono alzare il capo, illuminarsi in
volto, e poi, dopo aver lanciato il solito grido ed essersi
irrigidito, lo vedono "saltare" in un colpo solo, e sempre
ginocchioni, i tre gradini che lo separano dall'altare, e lì rimanere
immobile per lungo tempo, tra lo sgomento delle monache (pag. 38). Il
fatto arriva alle orecchie dell'Inquisizione, che apre un procedimento
(21 ottobre 1638). Gli interrogatori iniziano a novembre. Giuseppe è
inizialmente in carcere. Ma durante il lungo processo non si
verificano "moti" di sorta. Giuseppe non corre eccessivi rischi di
figurare come indemoniato. La cosa potrebbe finire lì, con una
reprimenda e con l'allontanamento precauzionale. Se non che, prima di
chiudere l'istruttoria, venne ordinato a Giuseppe (pag. 46) di
celebrare una messa a porte chiuse, probabilmente per allontanare ogni
sospetto diabolico. E' in questa occasione, che dopo aver celebrato,
fra' Giuseppe cade nuovamente in estasi: lanciato un urlo, comincia a
sollevarsi da terra! L'incartamento processuale viene rimesso al Sant'Uffizio,
e Giuseppe parte per Roma, per ritrovarsi, alla fine, relegato nel
Sacro Convento di Assisi. Sebasti ci fa sapere (pag. 48) che del caso
si occupò il direttamente il papa in persona, anche se Urbano VIII
(Maffeo Barberini, nato a Firenze nel 1568 da una ricca famiglia di
commercianti) si limitò apparentemente soltanto a presenziare alla
cerimonia d'assoluzione. Il 18 febbraio 1639 viene stabilito che fra'
Giuseppe non può essere tacciato di "ostentazione di santità", come
viceversa di "abuso della credulità popolare". Viene inviato ad
Assisi, in una sorta di segregazione precauzionale e dietro admonitio.
Qui trascorrerà ben quattordici anni fondamentali della sua vita,
prima di ritirarsi ad Osimo (in effetti in modo ancora una volta
coatto), dove morirà. Questa l'ingiunzione (pag. 51): <<La Sacra
Congregazione ordina che il padre Giuseppe venga inviato nel convento
di Assisi, e ivi trascorra la sua vita lontano e isolato dal resto del
mondo>>. Ma Assisi e il sacro Convento annesso alla Grande Basilica
non erano certo un luogo fuori dal mondo, l'eremitaggio destinato ad
un reprobo mandato assolto. Questa straordinaria singolarità colpisce
non poco e sembra piuttosto segnalare un'effettiva incertezza circa il
vero aspetto del confino. Allontanando in questo modo lo stranissimo
Giuseppe, in realtà lo si immise letteralmente nell'occhio del
ciclone, nel turbine d'una risonanza, che infatti divenne, di lì a
poco, clamorosa. In questi rapidi passaggi, che non debbono togliere
il piacere di leggere il bel saggio di Sebasti, preferisco ignorare le
successive ed abbastanza oscure relegazioni di Pietrarubbia e di
Fossombrone prima del ritiro definitivo ad Osimo, mentre segnalo che
nell'appendice bibliografica del saggio sono puntualmente citati tutti
gli incartamenti segreti del Vaticano inerenti al processo
inquisitorio.
Va notato che tale complesso 'iter procedurale' consiste ancor oggi in
un "procedimento speciale", capillarmente regolato dalle norme di
diritto canonico e sempre di competenza della Santa Sede tramite la S.
Congregazione dei Riti anche per viam non cultus, che nel caso della
beatificazione, e una volta superata la fase d'avvio, continua con
l'apertura del 'processo apostolico', e termina, quindi, con 'l'esame
dei miracoli', fermo restando che nell'eventuale dubbio an tuto
procedi possit ad beatificationem Servi Dei, è il Romano Pontefice
che riserba a sé il decreto di beatificazione. Accertati
posteriormente altri miracoli e riassunta la causa sempre presso la S.
Congregazione dei Riti, si può giungere all'altro dubbio de tuto,
circa il procedimento di canonizzazione. Se anche tale 'dubbio' è
risolto in senso affermativo, il Pontefice stabilisce in concistoro il
giorno della canonizzazione, la quale ha poi solennemente luogo nella
Basilica Vaticana. Il procedimento straordinario o eccezionale per
viam cultus, riguardava invece i servi di Dio che erano già
oggetto di pubblico culto nel 1634, anno fissato da Urbano VIII nella
Costituzione Coelestis Hierusalem del 5 luglio di quell'anno.
In questo caso il processo ha soltanto lo scopo di confermare o non
confermare tale antico culto e la sua ininterrotta durata, oltre che
di vagliare la fama di santità, le virtù o il martirio, nonché gli
eventuali scritti. La sintetica ricostruzione di Sebasti del
lunghissimo iter di canonizzazione di S. Giuseppe da Copertino lascia
un po' a desiderare per qualche dettaglio, sebbene (pag. 107) venga
riportata dal Breve Beatificationis l'interessante ed assai
elogiativo giudizio del Lambertini, ormai papa Benedetto XIV: <<Da
questa intima unione con Dio, il suo cuore fu così travolto dal fuoco
della Divina carità e così profondamente arso da incredibile amore di
interiore dolcezza, che spesso prorompeva in estasi e levitazioni; per
intenso desiderio del suo Dio, mentre ancora era trattenuto sulla
terra, fu considerato cittadino del Cielo…>>. Si può dire che ogni
epoca ha i suoi santi. Padre Pio operava strani fenomeni ed è un santo
della fede di massa, che impetra guarigioni. Papa Giovanni Paolo II ha
beatificato una folla eterogenea di Servi di Dio, tra questi anche
Francesco Faà di Bruno (1825-1888), astronomo fisico e matematico nato
ad Alessandria, progettista della chiesa di santa Zita a Torino, con
l'agilissimo campanile alto 75 metri, sormontato da un elegantissimo
angelo in bronzo dorato. Ma un nuovo Giuseppe da Copertino sarebbe
oggi impensabile, ed è questa una enigmatica sfaccettatura, che sembra
balzare evidente agli occhi. I santi moderni compiono altri eventuali
miracoli, legati al nuovo clima d'epoca e soprattutto alle aspettative
religiose di massa. |
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Giuseppe
fu canonizzato procedendo - ci fa sapere Sebasti - "coi piedi di
piombo" e in tempi molto lunghi. La prima spinta provenne dal
cardinal Brancati, che fu grande amico del santo e addirittura
destinò tutte le sue sostanze ad un fondo per finanziarne la 'causa'.
Ma la beatificazione prima, e la santificazione dopo, non
avvennero a diretta causa dei 'miracoli volanti' e delle 'estasi
mistiche', bensì per le virtù stesse del frate, cioè in sostanza
la sua eroicità cristiana e religiosa (pag. 7). Il papa accenna,
en passant, alle ragioni dei casi di "levitazione" (non quindi ai
"voli"), che sarebbero consistiti nella tensione verso Dio, quasi
nello sforzo sovrumano di innalzarsi letteralmente al cielo. Ma è
noto che fra' Giuseppe aveva una particolare venerazione per la
Madonna, e questo 'dato certo' introduce nelle estasi un elemento
particolare, che non sembra collimare del tutto con la motivazione
del Breve. Accanto al legittimo dubbio sull'impossibilità di
eliminare 'col pensiero' la forza di gravità, altri dubbi possono
riguardare la personalità del frate, che pure fu d'accorato
sentimento cristiano e francescano (egli chiamava Malatasca il
demonio, ma può darsi che fosse questa la lontana memoria di un
violento trauma infantile, come meglio si vedrà). E' possibile che
l'energia estatica di fra' Giuseppe derivasse dalla sublimazione
d'un grave stato di sofferenza e da una grande carenza affettiva,
che dunque si scatenasse dal profondo, in modo magmatico e
mistico, e da qui, da questo sentire ultimo, potrebbe essere che
gli provenissero fede e miracolosa santità. Quella di Giuseppe è
una storia tutta particolare, che proveremo a ripercorrere in
sintesi, rinviando alla godibilissima lettura del saggio i
necessari dettagli.
Durante il noviziato presso i Minori di Martina Franca (1620) Giuseppe
fu bollato dai sui superiori con giudizi estremamente negativi: di non
essere assolutamente atto alla religione, di essere persona stolida e
trascurata, e fu anche considerato un ignorante, e come se non
bastasse, un "idioto". Nel 1621 fu espulso per inettitudine. Ciò non
ostante divenne sacerdote dopo tre anni di intensa preparazione
(1625-1628), superando "miracolosamente" tutti gli esami. Ed ecco un
pensiero di Giuseppe, riportato da Sebasti nel frontespizio: <<Dio mi
fa conoscere la mia nihilità, e la grandezza della Maestà Sua, ed
ammiro questo fatto, donde si cava materia d'amore acceso verso il
Creatore e l'uomo si compiace del suo niente per compiacersi
dell'immensità di Dio>>. Una riflessione degna di S. Francesco, quanto
meno data nello spirito d'umiltà del grande Santo. Fra' Giuseppe fu
considerato un teologo dell'anima, e a lui si fece talvolta ricorso
per illuminanti consigli.
Il
brevissimo 'profilo' di Giuseppe da Copertino (quale si può scorrere
velocemente in un dizionario enciclopedico) potrebbe essere questo:
<<Mistico francescano (Copertino, Lecce, 1603 - Osimo 1663). Entrato
nel 1625 tra i francescani conventuali, per la sua virtù e la
particolare devozione alla Madonna venne ammesso senza esami al
sacerdozio (1628), anche se era poco adatto agli studi. Percorse il
Regno di Napoli predicando con grande semplicità e fervore; esercitò
una profonda influenza sociale e anche politica presso i nobili e i
prìncipi del suo tempo, ed ebbe larga fama di santità e di miracoli.
Famosi furono i suoi "voli" (durante l'estasi si sollevava da terra),
avvenuti anche di fronte al papa Urbano VIII (1623-1644: Maffeo
Barberini, nato a Firenze da una ricca famiglia di commercianti ed
esaltato dal Chiabrera in occasione dell'Anno Santo del 1625 - n.d.r.)
e ai prìncipi: ma essi gli procurarono anche numerose accuse presso i
tribunali ecclesiastici di Napoli e di Roma, che lo sottoposero ad
esami e lo condannarono a lunghe relegazioni a Pietrarubbia
(Macerata), Assisi e Fossombrone. Poté infine ritirarsi nel 1657 ad
Osimo (qui avvenne l'ultimo "volo" poco prima del Natale di quell'anno
- n.d.r.), dove morì e dove fu sepolto nella basilica a lui dedicata>>
(fonte precisata dal Dizionario UTET: AA.VV., "Biblioteca
Sanctorum", Roma, 1965). Questo il profilo essenzialissimo del santo
da Copertino. Soprattutto noto per i suoi prodigi, avrebbe
letteralmente spiccato (secondo il Rosmi) più di cinquanta voli nel
solo periodo dal 1645 al 1647, e i cui "voli" principali, riportati in
apposita evidenza da Sebasti (cap. 18, pagg. 91 ss.), sarebbero i
seguenti: il primo volo, non si sa bene, se nel monastero delle
clarisse di Copertino o nella chiesa di Grottella, che sarebbe
avvenuto (Rosmi) nel secondo anno di sacerdozio, il 4 ottobre 1630,
nella ricorrenza della festa di S. Francesco; altri voli, nel 1636,
sempre a Grottella, e poi a Copertino, nel 1637; il 27 novembre 1638 a
Napoli, davanti ai giudici dell'Inquisizione; poi il gruppo di voli
nella Basilica di Assisi, tra i quali quello del 1639, quelli del
sabato santo 1646, del 7 giugno 1646 (davanti all'Ammiraglio di
Castiglia), dell'agosto 1646 (festa del Perdono), del settembre del
1646, del novembre 1646, del 24 dicembre del 1646, del 21 aprile 1647;
ed infine il volo di Osimo, poco prima della ricorrenza di Natale,
nell'anno 1657.
Serbasi
sottolinea che non si trattava di semplice levitazione (da 'levitas'),
ma di voli veri e propri, con notevole distacco da terra, in certi
casi fin quasi all'altezza di tre metri (fluttuando nell'aria), spesse
volte davanti ad una statua lignea della Madonna, che si trovava
appunto nella Basilica di S. Francesco ad Assisi. A tal fine viene
riportata in appendice anche una tabella delle misure in uso nel
Seicento.
Secondo il dizionarietto parapsicologico annesso alla Guida
all'occultismo di Julien Tondriau (Garzanti, 1976: Tondriau è
stato direttore dei musei d'Arte e di Storia belgi per il dipartimento
dell'Estremo Oriente), la levitazione è la facoltà per cui una persona
è in grado di mantenersi sospesa nell'aria (orizzontalmente) senza
alcun appoggio. Diverso concetto è quello della telecinesi (al quale
l'accennata 'voce' rinvia), che secondo Myers consisterebbe nella
forza materiale (sic) che interviene nel fenomeno telepatico. In
generale, si tratterebbe della facoltà di sollevare o di muovere
oggetti a distanza, senza contatto diretto né indiretto. Con la 'teleplastica',
René Sudre la colloca nel campo che egli chiama della meta o
para-psicofisica, pensando a una forza dovuta al 'fluido' psichico.
Sebasti vuole dirci soltanto (quali ne siano le ragioni) che fra'
Giuseppe 'volava' nel senso che letteralmente si sollevava da terra e
si muoveva in senso orizzontale, in un caso (come narra il Nuti)
avendo sollevato con lui altra persona.
Dato
e non concesso che fra' Giuseppe si sollevasse da terra in virtù d'un
autentico prodigio estatico, almeno in un caso sappiamo con esattezza
di quanto si fosse potuto sollevare davanti all'affresco di Cimabue
posto nella Basilica inferiore di Assisi, transetto di destra, che
rappresenta la Madonna in trono con Gesù in braccio ed accanto S.
Francesco. Ha ragione Sebasti (almeno in astratto) a parlare di
autentici voli e non di levitazione, nel senso che più e più volte gli
sarebbe occorso di staccarsi da terra e spostarsi dalla verticale.
Un'insolita dimostrazione, considerata da alcuni parapsicologi come
un'autentica prova di levitazione, è quella che prende nome di
'levitazione a otto dita'. Il sensitivo chiede l'aiuto di quattro
persone: una prende posto su una sedia, le altre tre lo aiuteranno a
sollevarla. Altri autori parlano anche di cinque persone. Segue una
serie ben definita di movimenti, a un dato ritmo prestabilito secondo
un certo schema, e in definitiva, quando lo sperimentatore dice di
"sollevare", le quattro persone riescono facilmente a sollevare in
aria la persona seduta. Ovviamente c'è contatto fisico e la
spiegazione del fenomeno consisterebbe, appunto, nella migliore
coordinazione dello sforzo sostenuto. Il caso dell'autolevitazione è
ovviamente del tutto diverso. A parte il trucco della corda indiana,
già in antico erano conosciuti fenomeni simili. Il Prof. Georg Luck,
illustre studioso di storia e di letteratura greco-romana, autore del
pregevolissimo saggio Il magico nella cultura antica (Mursia,
1994), accenna (pag. 26) a Gesù di Nazareth, a Simon Mago e ad
Apollonio di Tiana. Nella Vita di Apollonio di Tiana scritta da
Filostrato si riferisce di fenomeni di levitazione ai quali avrebbe
assistito Apollonio stesso. Gesù, come ben si sa, ascese al cielo. Gli
Atti degli Apostoli, Eusebio di Cesarea e il martire Giustino
(ad es. nel Dialogo con l'ebreo Trifone, cap. 120) riportano
notizie sulla sfida volante che sarebbe avvenuta a Roma, sotto Nerone,
tra S. Pietro e Simon Mago. Un'eccellente ricostruzione di questo
leggendario evento è stata fatta dal dottissimo Carlo Pascal
(1866-1926) nel suo Nerone (ediz. Ecig, 1994, pag. 121 ss.). Ci
sarebbe poi la leggenda della Casa Santa di Loreto. Narra la
tradizione che il 10 maggio 1291, essendo stata in quell'anno invasa
la Palestina dai Maomettani, la casa della Sacra Famiglia a Nazaret
venne miracolosamente trasportata da mani angeliche sopra il colle di
Tersatto, presso Fiume. Il 10 dicembre 1294 la Casa sparì da Tersatto
e comparì al di qua dell'Adriatico nelle vicinanze di Recanati, in
mezzo ad un bosco di lauri, donde il nome di Lauretum, Loreto. Sorse
così la Basilica. Il primo santuario risale infatti a quell'anno 1294,
ma l'attuale chiesa venne iniziata nel 1468. Sembra che tra gli
illustri visitatori di Loreto debbano essere annoverati anche Galileo
Galilei e Cartesio. |
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Fra'
Giuseppe Maria nasce il 17 giugno 1603, lo stesso anno in cui Federico
Cesi fondava l'Accademia dei Lincei. Era figlio di Felice Desa, un
artigiano che godeva di stima e di buone amicizie, e di Franceschina
Panaca, sposata a 14 anni, di modesta estrazione, ma imparentata ad
esponenti di spicco della curia locale. Copertino, a pochi chilometri
da Lecce, era un paesotto del Regno di Napoli, già ricompreso nella
contea dei Brienne e poi dei d'Enghien, la cui popolazione viveva
nell'indigenza come in qualsiasi villaggio dell'Italia di quei tempi.
E' questo il secolo d'oro della Spagna, legata alla Chiesa da un forte
radicamento di comuni interessi politici. Nel Viceregno Borbone si
coglievano, afferma Indro Montanelli, gli effetti devastatori del
neo-feudalesimo spagnolesco e riformista. Il che ci sembra coerente
cornice per uno spaccato d'ambiente. In quest'epoca la peste uccise
più di mezzo milione di persone ed è in quegli stessi anni della vita
di fra' Giuseppe che Manzoni ambienta la vicenda lombarda dei Promessi
sposi. Il padre di Giuseppe, Felice Dessa, venne nominato curatore del
castello di Copertino, appartenente al duca di Acerenza, Galeazzo
Pinelli. Ma Felice fu travolto dall'avallo di cambiali per una somma
enorme per quei tempi (1000 ducati), e costretto a fuggire per
sottrarsi alla carcerazione, lasciando pressoché vedova la moglie, con
tre figli da badare. Appena compiuti 7 anni, Giuseppe si ammala
gravemente e per circa quattro anni è costretto ad una completa
inerzia da un bubbone purulento alla natica, di notevoli dimensioni
(un'ulcera cancerosa della grandezza di un melone), che lo immobilizza
a letto, causandogli probabilmente quel ritardo di cui avrebbe
sofferto. Sembra, poi, che sia guarito miracolosamente da questa
stranissima ed inspiegabile malattia, quando un vecchio cerusico,
vista l'inutilità delle cure, gli cosparse la ferita con un po' d'olio
tratto da una lampada votiva alla Vergine. I biografi lo descrivono
ben piantato e più alto della media. Volto pesante e marcato.
Somigliante a Padre Pio. Lentezza di riflessi e congenita difficoltà
d'apprendimento lo caratterizzano. "Fanciullo un poco risentito" lo
descrive un testimone (pag. 15). Fatto è che Giuseppe ebbe sempre
un'immensa venerazione per la Vergine Maria, proclamandone a viva voce
l'immacolata concezione (il dogma venne ufficialmente sancito da Pio
XII in età moderna). Entrato in convento, diciassettenne (1620), viene
spogliato e letteralmente buttato fuori dai Cappuccini di Martina
Franca per la sua inettitudine. Riesce tuttavia a farsi accogliere
(grazie soprattutto all'intercessione materna) al convento della
Madonna della Grottella, dove trascorre quasi un anno, nascosto nel
sottotetto della chiesa e protetto da un frate impietosito. Si ammala
di dissenteria. Sono poi i frati stessi (uno zio materno e uno zio
paterno che ricoprivano certi incarichi) ad agevolarlo per un
recupero. Inizia, in questo modo, un rinnovato percorso, che lo
condurrà infine all'ordinazione (per i dettagli, pag. 22 ss.). Al
termine del 1629, cominciano a manifestarsi i primi segnali estatici
che consistono in una sorta di caduta in 'trance'. Ed ecco che viene
la mattina del 4 ottobre 1630, festa di S. Francesco. Nel corso della
processione, fra' Giuseppe, dopo aver indugiato su un dipinto
raffigurante il Santo, lancia un grido e cade in estasi. Irrigidito
nelle membra come una statua, si solleva lentamente da terra e tra un
delirio di grida, di singhiozzi e d'invocazioni avrebbe "volato" al di
sopra delle teste, andandosi a posare sul bordo del pulpito
rimanendovi a lungo immobile (Sebasti, pag. 29, manca di riferire come
ne sia disceso). Da qui la serie di "voli", che tuttavia non furono
causa espressa della tardiva canonizzazione un secolo dopo. Col primo
manifestarsi di queste sorprendenti capacità fra' Giuseppe venne
quindi facilmente 'esibito' con scusa devozionale e condotto in giro
nelle predicazioni per le terre del regno di Napoli. Fino alla c.d.
truffa o "fattaccio di Giovinazzo" (cap. 7, pag. 35 ss.), che segnò
l'inevitabilità d'un procedimento inquisitorio. E siamo arrivati al
1636, quando Giuseppe aveva già 33 anni. |
|
Il
Prof. Bartocci, curatore di Episteme, deve averci messo un
pizzico di malizia accanto alla consueta generosità,
nell'affidarmi la recensione del libro di Sebasti. Egli sa che
sono nato ed abito in Assisi, e che avrei preso a cuore il 'caso',
vuoi per spirito di parte e sia pure per curiosità d'indagine (in
verità alquanto difficile, sebbene agevolata assai dall'ottimo ed
assai ben documentato testo in commento). A questo punto il peso
si raddoppia sulle mie povere spalle. Mi disse, giorni addietro,
nel suo studio presso il Dipartimento di Matematica
dell'Università di Perugia: <<prendi tempo, nessuna fretta, fa con
comodo>>. Ed invece mi sono sentito bruciare dalla curiosità,
perché (a parte il bel libro, che occorre leggere per il piacere
stesso che fornisce l'attenta ricerca) il 'caso' merita davvero, e
sembra per altro non esaurito, poiché l'Autore, dopo aver
presentato la sua ottima ricostruzione della vicenda, solleva in
chiusura questioni a dir poco interessanti. L'impressione che
ricavo è che in ogni caso Sebasti, con un ottimo dosaggio di
materia, abbia voluto in qualche modo affrontare soprattutto la
questione dei "voli", presentandola con effettiva oggettività
documentale. Non ha scritto una biografia e neppure ha inteso
sviscerare ad es. tutti i risvolti della canonizzazione, in verità
piuttosto tarda e denotata da qualche ambiguità. La copertina
chiarisce che <<di tali aerei 'ratti' nel corso della sua vita
gliene furono attribuiti quasi duecento. Naturalmente la Chiesa lo
proclamò Santo per ben altre ragioni. Dai documenti risulta
comunque che i clamorosi prodigi che accompagnavano le sue estasi
sconvolsero nell'Italia del '600 intere folle di fedeli di tutte
le estrazioni sociali, con forti ripercussioni anche in Europa. Un
'caso' unico nella storia, dunque, non soltanto della Chiesa. Nei
secoli seguenti tuttavia, e fino a pochi decenni fa, la popolarità
del Santo subì un progressivo declino. Al di fuori dei luoghi
strettamente legati al suo culto, quasi se ne perse la memoria>>.
Occorre perciò domandarsi <<quale ne fu il vero motivo>>. Sebasti,
che è uno scrittore 'laico' (come si definisce egli stesso, pag.
6), con questo saggio ha cercato di fornire una chiara risposta
alla sola domanda se il santo volasse davvero, opinando in
definitiva per la quasi certezza dell'autenticità di questi 'voli'
nel senso sopra precisato. Egli tuttavia conclude il suo lavoro
con queste interessanti espressioni, gravide di prospettiva
critica potenziale: <<Al di là delle considerazioni strettamente
'tecniche' esposte in questo lavoro, alle quali non voglio dare
significati diversi dallo scopo che mi sono prefisso di una
indagine storica complessiva sull'argomento, permane quel grande
'mistero' che sottende da sempre la storia della santità nelle sue
più svariate manifestazioni. Il mistero di un disegno i cui
lineamenti si riesce talvolta ad intuire, più che a decifrare
completamente>>. E subito di seguito: <<Forse non è nemmeno da
trascurare una strana coincidenza temporale: la canonizzazione di
Giuseppe da Copertino avvenne nel luglio del 1767, in pieno secolo
dei lumi. La Chiesa consacrava così, alla vigilia di uno dei più
grandi rivolgimenti della storia, la vita di un uomo che arse
d'amore per il suo Dio fino all'inverosimile, sommerso da un
subisso di grazie e di inspiegabili prodigi strettamente legati
alla sua fede e alla sua santità>>. <<Queste arcane, 'oltraggiose'
manifestazioni mistiche, in stridente contrapposizione alla nuova
logica che scaturirà dall'epocale evento della Rivoluzione
francese, non saranno forse una pesante sfida a quella 'Ragione'
che verrà divinizzata di lì a poco?>>. L'interrogativo di Sebasti,
assai ben collocato al termine della sua ricerca, sembra collimare
con la ragione di fondo della 'recensione' affidatami da
Episteme, con ampia libertà di convincimento. Potrebbe darsi,
infatti, che la Chiesa abbia per così dire colonizzato gli
'avvenimenti' (misteriosi sì, ma forse non così eccezionali e del
tutto al di là dell'umana misura), proprio come reazione al
razionalismo, che con la rivoluzione scientifica del Secolo d'oro
e poi dell'Età dei lumi, stava ampiamente penetrando negli strati
sociali. Bisogna poi vedere che ne pensa oggi il Cicap di queste
versioni 'fideistiche' pur sempre collocate nell'ambito del
fenomeno religioso, e controllare eventuali elementi di sano
scetticismo, che pur criticamente presenti nell'Autore recensito,
vengono per così dire fatti digerire all'interno d'una pur attenta
e pertinente indagine documentaria, con la propensione tuttavia ad
ammettere una realtà 'miracolosa', come tale razionalmente
inspiegabile e fine a se stessa.
La
vita di Giuseppe da Copertino si svolse in quell'arco stesso di tempo
che vide l'affacciarsi della rivoluzione scientifica, con Galilei,
Keplero e Cartesio, per citare i più grandi. La canonizzazione del
santo seguì poi nel secolo dell'Illuminismo e dell'Enciclopedismo
scientifico. Durante la vita di fra' Giuseppe e il primo manifestarsi
delle singolarissime estasi alle quali i "voli" si accompagnavano,
Galileo aveva subìto il primo interrogatorio dell'Inquisizione il 12
aprile 1633. Il 22 giugno aveva pronunciato l'abiura. Invece Cartesio
si mantenne assolutamente cauto e nascosto. Morì in Svezia nel 1650 (e
forse fu avvelenato; vedi ad es. Eike Pies, Il delitto Cartesio,
Sellerio, 1999). Keplero (morto nel 1630) era, fortunatamente per lui,
protestante e viveva in altri climi. La Chiesa cattolica aveva
scatenato la controriforma con il Concilio di Trento (la prima
sessione è del 1545), sant'Ignazio di Loyola aveva fondato la
Compagnia di Gesù nel 1534, Paolo III l'aveva approvata nel 1540, e
nel 1542 Roma aveva ripristinato l'Inquisizione sul modello spagnolo.
Da quasi un secolo la Chiesa si era apprestata alla strenua difesa
della 'fede', in contrasto con quella che sarebbe poi stata la linea
critica dell'età dei lumi. Il caso del santo da Copertino sembra
perciò cadere perfettamente in regola, proprio al momento giusto. Si
tratta di vedere quanto in regola. Gli scettici (benvenuti tutti i
possibili dubbi) hanno qui i loro ottimi argomenti di diffidenza anche
sul piano storico (per quanto attenta e capillare appaia, a buon
ragione, la ricostruzione di Sebasti della pur non chiara vicenda del
santo che volava), in aggiunta naturalmente ai dubbi scientifici circa
l'impossibilità fisica di voli simili. Non aveva forse detto Leonardo
da Vinci che la natura non infrange mai le proprie leggi? Ma Ruggero
Bacone, il Doctor Mirabilis, aveva pure affermato che, benché
non tutto sia permesso, tutto è possibile. Si trarrebbe, allora, di
scegliere tra queste due diverse 'epistemologie' del 'miracolo'. L'una
che lo nega con atteggiamento moderno, l'altra, più possibilista, che
ne contempla un'esplicabilità ulteriore ma remota, ai confini di una
'ragione' che può maturare solamente con il tempo.
Ci
sorprende però il fatto che l'agguerrito storico assisiate Antonio
Cristofani, un razionalista della fine dell'800, non citi neppure di
passaggio, nelle sue Storie di Assisi (A. Forni Editore,
ristampa 1980), il santo di Copertino, che pure attirò ad Assisi folle
di fedeli ed illustri personaggi europei d'ogni sorta, e che fu pure
ritratto da Cesare Sermei, un buon pittore originario di Orvieto.
Questi, successivamente stabilitosi ad Assisi, ivi visse e lavorò,
lasciando opere anche nella Basilica. Nella cittadina umbra, nel XVII
secolo, e proprio al tempo di fra' Giuseppe, erano fra i più attivi
due pittori, il Sermei (un tipico rappresentante del manierismo
romano) e l'assisiate Girolamo Martelli, ambedue discepoli del Nebbia.
L'incontro coi due artisti era facilitato dalla loro presenza nella
Basilica e nel Sacro Convento. Ed infatti, nel 1645, essi ricevettero
l'incarico di dipingere nella cappella privata del santo un'effigie
dell'Immacolata Concezione. Fa sapere il Nuti (autore della Vita
sopra ricordata), che interpellato al riguardo, il santo cadde in
estasi, e rigido come una statua o corpo senz'alito di vita, rimase in
levitazione per più di mezz'ora. Quindi, il Sermei, avrebbe pure
eseguito un ritratto di fra' Giuseppe, che di fatti fu ritrovato nel
1963, a Osimo, durante l'apprestamento degli studi e delle
celebrazioni per l'anniversario della morte. Il silenzio del
Cristofani su fra' Giuseppe ha necessariamente il suo peso. Sebasti ci
fa sapere che in effetti la presenza ad Assisi del frate volante finì
per attirare folle strabocchevoli, creando addirittura un circuito
commerciale di reliquie, ad es. la vendita di cappucci o berretti
toccati dalla mano del frate (pag. 65) e quant'altro si può immaginare
in tali circostanze. Per incontrare fra' Giuseppe si mosse addirittura
Giovanni Federico di Sassonia duca di Brunswick, il principe tedesco
che amava visitare le corti europee. Trovandosi a Roma nel 1651, volle
raggiungere, nel febbraio di quell'anno, Assisi, accompagnato dal
marchese Reolcan, dignitario di corte e luterano convinto, per
assistere alla messa officiata dal frate leccese, il quale, al momento
della consacrazione, tenendo tra le dita l'Ostia santa, si sarebbe
sollevato da terra (Sebasti, pag. 66). Federico di Brunswick rimase
così scosso dal miracolo, così impressionato dall'avvenimento, che,
rinnegata la fede luterana, si convertì al cattolicesimo. Il fatto è
ripercorso anche da Giuseppe Alaimo (Alla frontiera del possibile,
Longanesi, 1976, pag. 103-104), ma quest'autore fornisce un'altra
datazione, l'anno 1645 anziché il 1651. Riteniamo attendibile la
ricostruzione di Sebasti, per quanto l'episodio del volo avvenuto
davanti all'Ammiraglio di Castiglia (da Sebasti collocato al 7 giugno
1646: cfr. pag. 97), secondo la versione fornita da padre Zaccaria
(bibliotecario del Sacro convento negli anni '70, che segue la Vita
del Nuti) sarebbe, invece, avvenuto nel 1645. Tra le visite di rango
Sebasti (pag. 56) ricorda anche quella del principe Giovanni Casimiro
Waza, fratello del re Wladislao di Polonia. Costui era venuto in
Italia con l'intenzione di entrare nella Compagnia di Gesù, ma fra'
Giuseppe (come racconta il Cardinal Brancati) lo ricevette con toni
bruschi e dichiarò che la tonaca non gli si addiceva. Ciò nonostante,
il principe divenne cardinale ma dovette abbandonare la carica
ecclesiastica quando assunse il titolo di re di Polonia. Morì in
esilio a Parigi e con lui la dinastia si estinse. Tra il Waza e fra'
Giuseppe intercorse una fitta corrispondenza. Assisi fu davvero la
grande ribalta del santo dei voli. |
|
A questo punto vorremmo introdurre una
nostra ipotesi, che potrebbe sorreggersi se e soltanto siano esatte la
datazione e le oscure circostanze alle quali in via presuntiva ci
riferiamo. Secondo il Cristofani (op. cit., pag. 417) Cristina di
Svezia sarebbe stata presente ad Assisi un certo anno, collocabile
all'epoca del suo primo arrivo in Italia, quando fra' Giuseppe poteva
ancora trovarsi nel sacro Convento, dopo il confino di Fossombrone e
prima del ritiro ad Osimo. Cristina di Svezia (Stoccolma 1626 - Roma
1689) aveva abdicato nel 1654 (Cartesio era morto nel 1650), a favore
di Carlo X Gustavo. Dopo l'abdicazione, venne a Roma e qui si circondò
di cardinali antispagnoli, e tentò invano di divenire regina di
Napoli. Tornò in Svezia nel 1660. Rientrata a Roma una seconda volta,
abbandonò la politica e vi morì nel 1689, dopo aver avviato un circolo
d'artisti e letterati dal quale nascerà poi l'Accademia dell'Arcadia.
Durante il suo primo soggiorno romano Cristina di Svezia si sarebbe
recata in visita ad Assisi, il dato è certo, diretta alla Basilica di
San Francesco (ed infatti soggiornò, per la rapida visita, in un
grande palazzo, Palazzo Vallemani, poco lontano dalla Basilica). Nel
1653 fra' Giuseppe viene mandato al convento dei cappuccini di
Pietrarubbia per ordine del Sant'Uffizio. Ciò a cagione del fatto (Sebasti,
pag. 68-69) che a Roma lo si accusò di macchinazioni (si mormorava che
nella sua piccola cella avvenissero 'piccoli conclavi' con la
partecipazione di alte cariche ecclesiastiche) contro il pontefice
Innocenzo X, per favorire la successione al soglio di Pietro di un
alto prelato esiliato dal papa a Todi. Ad Assisi volevano recarsi in
visita nobildonne "straniere", poco gradite dal papa regnante: la
duchessa di Parma Margherita dei Medici, dell'odiata casa Farnese,
Maria dei duchi di Mantova, Eleonora di Boemia ecc. L'infanta di
Savoia, Francesca Maria Apollonia, devota del frate, fu tra le prime
persone a fiutare odor di congiura. Fatto è che nel 1653 fra' Giuseppe
fu condotto d'autorità prima a Pietrarubbia e poi a Fossombrone. Il 7
gennaio 1655 muore Innocenzo X. Il 6 luglio 1657, per disposizione di
Alessandro VII, fra' Giuseppe è restituito al suo Ordine. Il 10 luglio
giunge ad Osimo, sua ultima dimora. Non ci sarebbe stato modo di
ritrovare il frate di nuovo ad Assisi, in questi anni che vanno dal
1653 al 1657. Ma l'intricata vicenda 'politica' (chiaramente politica)
potrebbe essere stata leggermente diversa. Nell'intervallo tra la
morte di Innocenzo X (1655) e l'ordine di restituzione di Alessandro
VII (1657), potrebbe essere accaduto che il frate avesse fatto breve
ritorno in Assisi, e questo potrebbe spiegare lo strano viaggio di
Cristina di Svezia, incuriosita pure lei dalla fama miracolosa di fra'
Giuseppe. La nostra traccia è del tutto ipotetica, basandosi sulla
fama del frate, che aveva attraversato i confini d'Italia e correva
per tutta l'Europa. Poi si sa, le donne sono curiose, e Cristina di
Svezia quanto a questo non aveva da invidiare nessuna. Si potrebbe
quindi ritenere che la fama di fra' Giuseppe fosse ormai divenuta così
grande e che su di essa si muovessero percorsi devozionali e trame
politiche, tali da giustificare i più vari intrecci. Dietro al
portento dei miracoli si può sempre ritrovare il serpentino gioco di
meschini interessi umani. |
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Giuseppe
aveva iniziato a 'volare' ad Assisi già il 30 aprile 1639. In
quell'occasione si sollevò da terra davanti alla Madonna di
Cimabue (posta nel transetto di destra della Basilica Inferiore,
ad una altezza, il viso, a circa tre metri dal pavimento). I voli
si ripeterono, con particolare insistenza, per tutto l'anno 1646.
Lo sappiamo con 'certezza' dal diario del Rosmi, un testimone
oculare, spesse volte citato da Sebasti.
In
un affresco del ciclo iconografico giottesco della Basilica Superiore
di Assisi (il dodicesimo dei 28 riquadri complessivi, situato sulla
grande parete di sinistra rispetto all'ingresso) S. Francesco viene
rappresentato rapito in estasi mentre si solleva in una sorta di nube
infuocata. San Bonaventura è il solo a ricordare questa scena, e lo fa
molto brevemente: <<Là, mentre pregava di notte, fu visto con le
braccia tese in forma di croce, sollevato da terra con tutto il corpo
e circondato da una nuvola luminosa; e quella meravigliosa luce
intorno al suo corpo testimoniava meravigliosamente la luce
risplendente nel suo spirito>>. Qui Giotto non si è uniformato alla
descrizione di San Bonaventura, che aveva collocato la scena nella
solitudine di una foresta. Trasporta invece l'azione davanti alla
porta di una città: a sinistra, quattro fati attoniti guardano il
santo, che, a destra, fluttua al di sopra del suolo in una nuvola.
Francesco ha le braccia tese e gli occhi levati verso il Cristo, che
dall'alto della sfera celeste si piega verso di lui per benedirlo (H.
Thode). Per i voli di Giuseppe non poteva dunque esserci miglior luogo
della sacra Basilica del Santo!
Padre Giuseppe Zaccaria è stato per tanti anni bibliotecario
francescano ad Assisi. Nel 1972 egli raccolse in un volumetto (Ricerche
di Archivio. Assisi. Pagine sparse, Casa Editrice Francescana,
Assisi, 1972) le "pagine sparse" delle sue "ricerche d'archivio" ed i
"ritagli" dei suoi articoli pubblicati in giornali nazionali negli
anni cinquanta-sessanta. Egli si occupò più volte anche del caso del
santo da Copertino (op. cit., pag. 47): <<Anche all'estero la fama
della santità e dei prodigi di questo illustre figlio di S. Francesco
si era diffusa ovunque sino ad attirare in Assisi insigni personaggi,
prelati e gente di umile condizione. Nel 1645 (questa la data indicata
da padre Zaccaria sulla testimonianza della Vita manoscritta di padre
Nuti) fra tanti di proposito passò da Assisi il Grande Ammiraglio di
Castiglia con la moglie, alcuni familiari ed il seguito. Costui si
recava a Roma in qualità di ambasciatore presso il Pontefice Innocenzo
X. Al P. Custode fece presente lo scopo del suo viaggio e chiese ed
ottenne di poter parlare con fra' Giuseppe. Il colloquio si svolse in
segreto nella sua cella, tuttora esistente accanto alla cappella.
L'Ammiraglio, congedatosi dal Santo, si recò in chiesa ove l'attendeva
ansiosamente la consorte con tutto il seguito, ai quali subito disse:
ho veduto e parlato con un altro San Francesco. La moglie desiderosa
anch'essa di vederlo e parlargli chiese al P. Custode di concederle un
tanto favore. La cosa non era tanto semplice perché fra' Giuseppe
aveva ripugnanza di parlare con donne. Si poté rimediare col precetto
dell'obbedienza impostogli dal P. Custode facendolo venire in
chiesa>>. Prosegue lo Zaccaria, riportando che, secondo il racconto di
P. Nuti: <<il Servo di Dio sorridendo disse al P. Custode: Io farò
l'obbedienza, ma non so se gli potrò parlare: Infatti, uscito dalla
sua cella ed entrando in chiesa dalla porta prossima all'aula
capitolare, si trovò di fronte all'altare della Madonna ove posava la
statua della Concezione. Aveva posto appena lo sguardo sulla statua
che con un grido si lanciò in volo, sollevandosi sopra le teste
dell'Ammiraglio e del seguito, andando ad abbracciarsi ai piedi della
statua. Restò diversi minuti in quella posizione e poi con un altro
grido, ripassando nuovamente in volo sulle teste degli astanti e fatta
una riverenza alla madonna col capo chino e il cappuccio calato sugli
occhi si allontanò per la porta da dove era entrato>>… Il racconto
dell'avvenimento ha quasi la cadenza di un fioretto, e ne ripercorre
il ritmo. Seguono poi gli svenimenti delle donne presenti e il
soccorso loro portato in questo frangente. In un altro passo (op. cit.,
pag. 164), padre Zaccaria ripercorre il 'volo' del 1642, festa
dell'Immacolata Concezione: <<Era da poco terminato il canto dei
Vespri, quando entrò nella cappella il Padre Custode (Raffaele Palma,
poi fatto vescovo di Oria). Nel vedere in un angolo il Padre Giuseppe,
confidenzialmente gli chiese: Che fai qua paesano? Il santo, fuori di
sé, di scatto si avvicinò con la faccia a quella del Padre Custode e
con l'indice della mano, indicando la statua dell'Immacolata gli
gridò: Padre Custode, dì bella Maria, bella Maria! Il Santo, dopo
essere stato alcuni istanti con gli occhi spalancati e fissi sulla
statua, scosso da interno impeto e con un fremito nella voce, esclamò
più forte: Padre Custode, dì bella Maria, bella Maria! Il Padre
Custode intimorito e tremante ripeté con voce foca la triplice
esclamazione. Ma il Santo non riscontrando nella voce del Padre
Custode l'eco del suo intimo gaudio, con voce più vibrante lo si udì
replicare: Dì più forte, Padre Custode, bella Maria, bella Maria! Poi
ad un tratto avvicinatosi di più al Padre Custode, il santo lo
abbracciò, avvinghiatolo nei fianchi e ripetendo con più enfasi: Bella
Maria, bella Maria, fu visto sollevarsi da terra, trasportandosi in
alto il Padre Custode, sino a raggiungere l'altezza ove trovatasi la
statua dell'Immacolata. Quando ambedue misero il piede a terra, il
padre Custode preso da sgomento raggiunse in fretta l'uscita>>…
Ho
riportato questi passi (a parte la leggera discordanza di date tra
Sebasti e padre Zaccaria) per sottolineare la freschezza stessa del
racconto e le implicazioni, anche di tipo psicologico, che vi si
accompagnerebbero. Fra' Giuseppe era devotissimo a Maria, e questa
annotazione, ben presente a Sebasti, appare piuttosto significativa.
Se ne potrebbero ricavare, nell'unità fondamentale della vita di fra'
Giuseppe costellata da varie vicissitudini, le ragioni di un dramma
personale che condusse ad una grandissima sensibilità ed eccitabilità
mistica, che poteva appunto sboccare, in modo impreventivabile e in
particolari condizioni di tensione emotiva, in situazioni
completamente fuori dall'ordinario, come la condizione estatica con
tutto ciò che ad essa può accompagnarsi. |
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Il Prof. Bartocci troverebbe interessante, così mi fa sapere,
anche la versione di un cattolico che non creda ai 'voli' di S.
Giuseppe da Copertino. A questo riguardo devo confessare di non
essere documentato. Ma è certo che la santificazione non avvenne
testualmente in virtù di questi episodi, del resto così poco
credibili sotto l'aspetto ordinario e non soltanto sul piano
scientifico. Resta dunque il sospetto, più che legittimo, d'una
sorta di risposta della Chiesa al 'razionalismo' che stava
corrodendo la fede e la credibilità popolare nei miracoli. Lo
proverebbe anche il caso del prodigioso ricrescere d'un arto
avvenuto in Spagna, a Calanda, un villaggio di Aragona, il 29
marzo 1640, per intercessione di Nostra Signora di Pilar. Ad un
giovane contadino fu restituita di colpo la gamba destra, amputata
più di due anni prima e addirittura sepolta nel cimitero
dell'ospedale. L'evento, di schiacciante evidenza, mise a rumore
l'Europa. Poi calò un sospetto silenzio, rotto da un saggio di
Vittorio Messori (Il Miracolo, Rizzoli, 1998), che appunto
rovistò negli archivi recandosi più volte nei luoghi stessi per
ricostruire tutta la vicenda. La ricerca effettuata da Messori
proverebbe l'assoluta certezza e credibilità dell'episodio, che
diversamente da questo, ben s'inserirebbe in possibile 'disegno'
ecclesiastico di reazione all'incipiente razionalismo scientifico
anche in terra di Spagna. L'assoluta singolarità dei suddetti
miracoli e la loro pressoché perfetta ed appropriata contestualità,
possono infatti legittimamente indurre a 'sospettare' una
possibile manovra di politica religiosa, abilmente condotta dalla
Chiesa a tutela del proprio potere.
In
rete si possono trovare interessanti osservazioni sulla "grandiosa
epopea dei frati volanti", ad es. (http://www.cicap.org/lombardia/cicaplombardianews/02_01_1999/02.htm)
un articolo di Clelia Maria Manna a proposito dei fenomeni legati alla
vita dei mistici, ripartiti in due gruppi: fatti realmente possibili
(digiuni prolungati, stigmatizzazioni), e fenomeni ai quali nessuno in
realtà ha mai assistito o che comunque non si sono mai verificati in
condizioni di controllo (levitazioni, bilocazioni). Sebasti, oltre che
fare riferimento agli atti segreti del Vaticano indicati in
bibliografia come 'documenti fondamentali' (pag. 122), fa capo al
monumentale lavoro di G. Prisciani, San Giuseppe da Copertino -
Alla luce dei nuovi documenti, pp. 1066, Pax et Bonum, Osimo,
1963. In particolare viene citato il lavoro di Anna Maria Turi, La
levitazione, fenomeno mistico e parapsicologico, Edizioni
Mediterranee, Roma, 1977. Giornalista e scrittrice, laureata in
filosofia e in psicologia, la Turi è autrice di numerosi articoli
(sull'argomento teneva una rubrica su Il Tempo). La Turi ha
esaminato il fenomeno del punto di vista filosofico, psicologico,
antropologico e parapsicologico ed ha affermato che la levitazione,
pur comprovata, non ha a tutt'oggi alcuna spiegazione. Tra i
protagonisti dei cosiddetti "voli", la Turi distingue ed esamina varie
categorie: a) i santi, come san Francesco, santa Caterina, santa
Teresa d'Avila, san Francesco di Paola (dei cui voli fu testimone il
re di Spagna Ferdinando II), san Giuseppe da Copertino (alle cui
frequenti levitazioni assistettero centinaia di persone); b) gli
indemoniati, come due fratellini che vissero in Germania nel secolo
scorso e si alzavano in volo sotto gli occhi di tutto il paese o gli
sciamani, come quello stregone africano la cui levitazione fu ripresa
dal regista Rolf Olsen (l'uomo sarebbe rimasto sollevato a due metri
da terra per circa 40 secondi); c) i medicine-men, come i Lung-gom-pa
tibetani, messaggeri volanti in trance; d) i medium come il celebre
D.D. Home, il reverendo Moses ed Eusapia Palladino, che 'levitavano'
sotto gli occhi di decine di persone.
I
rapimenti estatici seguiti da sollevazioni del corpo dalla terra, la
levitazione appunto, si sono susseguiti nei secoli e la tradizione ce
ne ha tramandato le notizie e riferito i nomi: da Enoch a Elia, da
Simon Mago ad Apollonio di Tiana. Dei principali episodi cattolici si
occupa invece in un capitoletto ("Volare senza ali") Giuseppe Alaimo
(op. cit., pag. 96 ss.). Ce ne serviamo per una rapida rassegna. Il
primo di questi episodi riguarda Santa Teresa d'Avila. La santa entrò
un certo giorno in estasi, quando don Alvaro de Mendoza somministrò la
comunione alle monache. L'estasi fu così totale che Teresa neppure si
accorse di sollevarsi da terra ad altezza tale che al sacerdote fu
impossibile raggiungerla con l'ostia consacrata. Una seconda
levitazione le occorse in presenza di suor Beatrice Alvarez che ne
fece testimonianza. Quest'avvenimento è più celebre del primo perché
Teresa trascinò con sé, a una certa altezza, il suo confessore san
Giovanni della Croce, proprio come accadde a fra' Giuseppe. Anche
sant'Alfonso Maria de' Liguori (1696-1787) ebbe episodi di
levitazione. Natale 1745: egli si innalzò nella cattedrale di Foggia
mentre pronunciava un sermone, e duemila persone presenti
all'avvenimento gridarono al 'miracolo'. Un secondo episodio avvenne
nel 1756 ad Amalfi. Ci furono poi almeno due altre levitazioni che
ebbero conferma scritta. Sant'Alfonso, già avvocato illustre, era un
agguerrito teologo, che aveva combattuto il rigorismo giansenista.
Allucinazioni, truffe, distorsioni, che altro? Un dato sembra però
certo: a 'volare' non fu soltanto fra' Giuseppe da Copertino. E qui si
accende un allarme, una spia rossa. Può la ragione accogliere tali 'fatti'?
E se non può la ragione, perché dovrebbe la fede? Il libro di Sebasti
solleva la questione per il caso probabilmente più clamoroso, quello
del santo da Copertino, ma ve ne furono altri, sia prima che dopo, e
una risposta 'razionale' non si trova affatto, a meno di ammettere che
la mente (alterata da particolari stati emotivi) possa
inspiegabilmente compiere, essa stessa, una violazione o una
sospensione delle c.d. leggi fisiche, tali in quanto, per definizione,
'osservabili generali' in condizioni di controllo sperimentale,
destinate cioè a ripetersi senza eccezione di sorta (al proposito si
veda R. Feynman, La legge fisica, Bollati Boringhieri, 1971).
La fisica quantistica è una scienza fondamentale. Ma nessuno sa perché
funzioni proprio così. Tuttavia non crediamo affatto possibile che la
mente umana (l'insondabile potenzialità dell'inconscio) possa in
qualche modo provocare un collasso di funzione d'onda, fino a
sospendere le leggi dello spazio-tempo. Davanti a fenomeni
sconcertanti la ragione suggerisce subito di trovare il trucco. E se
lo si cerca davvero, alla fine lo si è sempre trovato. Nel caso ad
esempio di S. Giuseppe da Copertino si dovrebbe trattare di un trucco
davvero gigantesco, abilmente e perfettamente organizzato. Possibile?
Non vogliamo fare un torto al bel saggio di Sebasti se preferiamo
partire dal dubbio, per nulla convinti della possibilità in sé del
miracolo. |
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Scienza e miracolo procedono (nel tempo) per strade diverse.
L'impossibilità logica sembra tuttavia di genere diverso da quella
c.d. materiale. La prima si conserverebbe in eterno, la seconda ha
carattere provvisorio, dipendente, cioè, dal grado stesso della
consapevolezza o cognizione scientifica. Ma non voglio mettermi in
una strada così difficile, anche perché il libro di Sebasti già si
spiega bene da solo. Se mai, può venir comodo qualche piccolo
richiamo di contorno. Ciò in quanto un tessuto minimo di
riferimenti può aiutare il lettore a formarsi un'opinione in
qualche modo appoggiata ad elementi discorsivi di suffragio, posto
in ogni caso che i 'voli' dei santi, come del resto tutti i vari 'miracoli',
restano pur sempre un autentico mistero glorioso.
Massimo
Polidoro (insieme a Piero Angela, a Silvio Garattini e a Margherita
Hack uno dei fondatori del Comitato Italiano per il Controllo delle
Affermazioni sul Paranormale - in sigla Cicap) ha di recente
pubblicato un saggio, Gli enigmi della storia (Piemme, 2003),
dedicato a una indagine storica e scientifica sui vari misteri,
compreso quello della levitazione (pagg. 226 ss.). Si tratta di un
contributo imprescindibile, che va perciò analizzato. E lo faremo al
solito modo, in rapida sintesi, senza rinunciare a piccoli passaggi.
L'alchimista Giovan Battista Van Helmont (Ortus Medicinae,
Leyda, 1767) sosteneva che fosse <<latente nell'uomo una forza magica,
assopita dal peccato. Questa forza può venire risvegliata dalla grazia
di Dio oppure dall'arte della Kabbala>>. E' evidente il doppio ambito,
quello angelico e quello demoniaco. Nulla di nuovo. I teologi
cattolici non hanno mai messo in dubbio l'autenticità dei fenomeni di
levitazione, anche quando questa riguardasse soggetti che non avevano
a che fare con la santità. Verso il 1930 il teologo francese Olivier
Leroy formulò quattro conclusioni: 1) il corpo umano può sfuggire
talune volte alle leggi di gravità; 2) solo l'agiografia cattolica è
credibile perché possiede sulla levitazione una tradizione continua e
controllata; 3) chi cerca di spiegare i fatti ricorrendo ad illusioni
o allucinazioni dimostrerebbe una completa superficialità; 4) le
levitazioni degli indemoniati e dei medium sono una parodia o una
farsa del carisma dei santi. Naturalmente le conclusioni di Leroy non
spiegano niente, e neppure la scienza ha dato una spiegazione. Siamo
al punto di prima. Il miracolo esiste oppure è una truffa (come il
trucco della corda indiana). Si dice che siano circa duecento i santi
che avrebbero levitato nel corso dei secoli. L'ultima levitazione di
cui si ha notizia sarebbe stata quella di Marie-Françoise des
Cinq-Plaies, morta nel 1791. Curioso il fatto che da oltre duecento
anni non ci siano più segnalazioni di levitazioni di santi. A
proposito di S. Giuseppe da Copertino (cfr. M. Polidoro, op. cit.,pag.
229) non solo lo scrittore cattolico Alban Butler (Il primo
dizionario dei santi, Piemme, 2001) sottolinea l'ingigantimento
leggendario dei fatti, ma padre Robert D. Smiht (Comparative
Miracles, B. Herder Book Co., St. Luis, Mo., pag. 38) afferma che
il Santo da Copertino non volava affatto, egli era soltanto un atleta
e più che sospensioni i suoi erano soltanto degli sbalzi. I testimoni,
suggestionati da tale abilità, avrebbero del tutto ingigantita la
vicenda, tramutando i fenomeni in voli (la versione è razionale, tanto
più che la spinta fisica potrebbe essere stata moltiplicata dalle
condizioni di caduta in trance, vale a dire da moti involontari dovuti
a situazioni estreme). Ciò non toglie pregio al saggio di Sebasti, che
si lascia leggere con grande attenzione.
Ma
visto che ci siamo, vorremmo anche divagare un po'. Ricordo di aver
letto da ragazzino sul La Domenica del Corriere, che a quell'epoca
era il settimanale delle suggestioni e delle curiosità italiane, che
una volta Vittorio Beonio-Brocchieri, famoso giornalista de Il
Corriere della Sera ed appassionato studioso di spiritismo, dopo
una seduta spiritica si ritrovò appeso alla grondaia del tetto di
quella stanza. Più o meno vero (ma non è da credersi), tutto ciò
ricorda Daniel Douglas Home, famoso e conteso medium inglese, che
secondo la testimonianza scritta di lord Lindsay alla Dialectical
Society of London, dopo essere caduto in trance, uscì da una
finestra per rientrare da un'altra! Il fisico Sir William Crookes era
un appassionato ed assai credulone 'medianista', e Sir Arthur Conan
Doyle, lo scrittore che inventò Sherlock Holmes e che al proposito non
era del tutto scettico, sostenne (The History of Spiritualism,
Londra, 1926) che <<O si ammette che i fatti sono tali e quali quelli
riportati, o la possibilità di accertare i fatti per mezzo della
testimonianza umana deve essere abbandonata>>. Oggi si sa che i casi
di Douglas Home, di Eusapia Paladino o i voli del romano Demofilo
Fidani (1914-1994) erano degli abili trucchi. Ma potrebbe essere che
le levitazioni dei santi non lo siano affatto.
Si
racconta che padre Graziano avrebbe reciso una mano dal cadavere di
Santa Teresa d'Avila. Questa mano emanava un soavissimo profumo, che
avrebbe addirittura fatto recuperare l'olfatto ad una novizia (ma
quest'ultima come fece a perderlo?). C'è poi un'altra 'leggenda'. Si
racconta (in quel clima d'epoca in cui il mondo inglese era in
subbuglio per le grandi imprese archeologiche in Egitto) di un
sarcofago che conteneva le spoglie di una principessa. Per una serie
di circostanze che per brevità omettiamo, si arrivò a tagliare una
mano alla mummia. Giunta a Londra, ci si accorse che da questo
frammento di cadavere promanava uno strano calore. La mano tagliata
finì in proprietà di Sir Conan Doyle, che la espose al museo delle
scienze occulte di Westminster, dove si trova ancora oggi. Con ciò ci
siamo divertiti a divagare appena sul bagnasciuga dell'immenso mare
dell'occulto, che sembra pullulare di enigmatiche 'realtà'
truffaldine. |
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Leo Talamonti, ex ufficiale dell'aeronautica poi giornalista, scrisse
tra l'altro un libro assai interessante, Universo Proibito (Sugar
Editore, 1966, più volte ristampato in altre edizioni), che ebbe un
grande successo. In questo saggio prese in esame tutti i fenomeni che
costellano la 'parapsicologia', compiendo (al di là delle conclusioni)
un prezioso lavoro di ricerca. Sulla "levitazione" (come "abolizione
momentanea del peso") Talamonti ripercorre i supposti poteri dei Lama
tibetani, esaltati nel romanzo Il terzo occhio di Lobsang Rampa
(uno pseudonimo). Ma è interessante l'annotazione sulle sistematiche
modificazioni elettrocardiografiche che si registrerebbero durante le
applicazioni di tecnica yoga. Gli stati alterati potrebbero essere la
causa di particolari manifestazioni che si collocano al di fuori della
normalità. Ciò non significa che sia questa la ragione di ogni
manifestazione 'miracolosa'. Hans Bender, già direttore dell'Istituto
di parapsicologia dell'Università di Friburgo, si è occupato di
fenomeni 'esp', ripercorsi nel saggio Sesto senso pubblicato in
Italia dalla Feltrinelli nel 1974. Non di meno il fatto che la scienza
si sia occupata (anche a scopi militari) di parapsicologia non avalla
l'occultismo, che (ove non trovi una spiegazione scientifica avanzata)
è truffa o resta (per i credenti) mistero. Tuttavia queste pagine
rimarrebbero quasi senza sale se non citassimo l'elegante ed ironico
Beonio-Brocchieri, che con penna straordinaria in Camminare sul
fuoco (un eccellente libro pubblicato nel 1973 dalla Longanesi),
ci prende per mano e ci conduce nell'ade dei misteri per riportarci
poi sani e salvi alla sana ragione. Se "camminare sul fuoco" era a
quei tempi una "fantasia" solleticante nella sua ordinaria
impossibilità (pena arrostimento dei piedi), ci accorgemmo in seguito
che si poteva farlo anche davanti alle telecamere, come appunto fece
davanti a milioni di spettatori il giornalista televisivo Mino Damato. |
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Ma
si può volare come fra' Giuseppe da Copertino, si può prevedere il
futuro ecc.? Miguel de Onamuno, grande poeta spagnolo, viveva a
Salamanca ed era il Rettore dell'illustre ateneo. La notte del 31
dicembre 1906 lo colse un presagio, e scrisse questi versi: Y
oigo a la sangre / cuyo leve susurro llena el silencio. / Diriase
que cae el hilo liquido / de la clepsidra al fundo (E del mio
sangue ascolto questo lieve pulsare: esso colma il silenzio. E par
che il gocciolio della clessidra cada nel fondo). Il presagio si
avverò con benigna dilazione di anni, ma con paurosa simmetria. La
notte del 31 dicembre 1936 Unamuno morì. Bisognerebbe leggere
Brocchieri, per comprendere tutto il fascino arcano di questi
risvolti e tutta l'ironia che poi vi immette. Il padre di
Beonio-Brocchieri era ugualmente convinto di sapere con esattezza
quando sarebbe morto. Ragionava così: <<Sono nato nel 1872, morirò
nel 1953, perché sono rimasto 27 anni scapolo, 27 anni ammogliato;
e quindi resterò 27 anni vedovo. 27 per 3 = 81>>. Morì serenissimo
alla scadenza precisa: età 81 anni, nel 1953. Aggiunge Brocchieri:
<<Del resto anch'io so con precisione l'anno in cui morirò. Io
morirò all'età di 74 anni, nel 1976, e lo so perché essendo io
nato nel 1902, ho avuto nel 1939 all'età di 37 anni il preciso e
sempre riconfermato avvertimento che quello era il mezzo del
cammin della mia vita, essendo nata in quell'anno mia figlia che
rinnova il nome di mia madre. Quindi 37 + 37 = 74. Controprova:
sommando per singole cifre le due date materne 19.8.1879; 19.
11.1927 si ha 74>>. [N.d.R.: In realtà, poi, Brocchieri è morto
nel 1979! Si ringrazia per tale informazione il Dott. Bruno
Pezzini, autore di un pezzo su questo personaggio che compare
nella pagina web: http://www.lodionline.it/personaggi/scheda-beonio.asp.]
Di questa premonizione Brocchieri parlò con Riccardo Bacchelli,
ospite alla festa annuale dell'Associazione Laureati Ateneo
Ticinese. Nell'Aula Magna dell'Università Bacchelli ricevette la
targa d'oro modellata da Francesco Messina con l'insegna della
"Matricola d'onore". E quando gli fu offerto il gran banchetto
rituale nel cortile sforzesco, Bacchelli, sedendosi sulla poltrona
curiale, cominciò a raccontare il caso di sua nonna, alla quale in
tempi di gioventù una zingara aveva predetto con scadenze precise
(anno, giorno, e ora) una grande quantità di avvenimenti che nel
corso del tempo si erano avverati puntualmente. Ma la zingara
aveva predetto anche l'anno, il giorno e l'ora della morte. A
questo punto Bacchelli, grande conversatore conviviale, comincia a
preparare una larga tensione d'ascolto con un lungo silenzio (nel
mentre vuotava lentamente un boccale di "vino della Versa"). Poi
si guardò attorno e riprese il discorso con una curva sintattica
degna di Pietro Bembo e larga come un'autostrada. <<Oh, dunque!>>
disse. <<La nonna era certa e preparata all'infallibile
scadenza...>>. Poi Bacchelli iniziò a divagare, a raccontare tutti
i preparativi e i vari congedi. <<Insomma!>> gridò uno studente
già brillo che aveva la chitarra a tracolla e una fiasca in mano,
<<questa nonna, allo scattare dell'ora, è morta o non è morta?>>.
<<Non è morta>>, riprese Bacchelli (matricola d'onore),
riprendendo il boccale e vuotandolo fino in fondo... A questo
punto mentre Bacchelli ancora parlava della nonna senza
concludere, fecero irruzione i goliardi, e cominciò tutt'altra
avventura (era stato rapito il "gran pavese", se ne chiedeva il
prezzo del riscatto ecc. ecc.). Il giorno dopo al telefono
Brocchieri chiede come sia andata a finire la storia della nonna.
<<E' finita che superato il giorno e varcata l'ora, quella cara
donna diventò convintissima che non sarebbe morta mai più. E
incominciò a fare compere e progetti per scadenze di venti,
trenta, quarant'anni. Infatti è campata ancora...>>. <<Quanto?>>,
domandò Brocchieri, <<quanti anni è campata ancora?>>. Ma,
benedetto telefono!, la conversazione si interruppe...
Volava davvero S. Giuseppe da Copertino? Di certo sappiamo che non
ebbe incidenti, che non cadde, che non si ruppe le ossa. E però quello
di Sebasti è un bel saggio, ben scritto e ben documentato, un'ottima
lettura che ci restituisce una immagine umana di fra' Giuseppe che
intenerisce e commuove, che esercita il fascino delle cose buone che
tutto sommato finiscono bene, nella miglior grazia di Dio. Quanto deve
bastare per timor di fede ed umana simpatia in questa misteriosa
faccenda che è la Vita.
(Arcangelo Papi donatellacina@libero.it )
tratto da:
http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/ep8/ep8-papi.htm |
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Un commento della Prof.ssa Clelia
Maria Canna
[Nella pagina web:
http://www.cicap.org/lombardia/cicaplombardianews/02_01_1999/02.htm
si trova un articolo
della Prof.ssa Clelia Maria Canna ("Misticismo e informazione, ovvero:
La grandiosa epopea dei frati volanti") sul caso S. Giuseppe da
Copertino, citato nel libro di Sebasti (pp. 114-116), e nella
recensione del Dott. A. Papi. Bisogna riconoscere che alle principali
conclusioni di tale scritto, ritenuto dall'autore dell'opera qui in
esame <<piuttosto irridente>>, vengono comunque contrapposte puntuali
osservazioni, che si chiudono con la seguente affermazione (che appare
peraltro condivisibile): <<Esilarante infine l'ipotesi, definita
convincente, di J. Cornwell, secondo la quale i fenomeni dei voli
sarebbero nient'altro che "prodezze acrobatiche" dovute a ingestione
di intrugli di erbe medicinali...>>. Insieme a un parere della
redazione di Episteme, ci è sembrato al solito di far cosa
utile presentando ai lettori una replica della stessa Prof.ssa C.M.
Canna, che vivamente si ringrazia per aver accettato il nostro invito
a intervenire nel dibattito. N.d.R..]
* * * * *
Nel 1999 la rivista
CicapLombardiaNews, il bollettino informativo della sezione
lombarda del CICAP nazionale, pubblicava un mio articolo dal titolo
"Misticismo e informazione ovvero la grandiosa epopea dei frati
volanti", il cui scopo era quello di criticare un certo tipo di
letteratura e di giornalismo che propone al grande pubblico storie di
miracoli e di fatti straordinari in modo acritico e semplicistico,
nella speranza che la diffusa credulità popolare dirotti consistenti
introiti economici verso i suoi autori ed editori.
Il mio non voleva
certo essere un articolo per esperti né, tanto meno, un inventario
completo della documentazione esistente sul tema del misticismo, ma,
semmai, uno stimolo a guardare al di là, anche soltanto di poco, del
solito panorama di ordinario straordinario proposto dall'informazione
di cui si è detto e a provare a valutare eventualità alternative alle
spiegazioni che chiamano in causa il soprannaturale. L'intento era
solo quello di suggerire al lettore interessato ai fenomeni, veri o
pretesi che fossero, legati al misticismo, di provare a considerarli
da una prospettiva più critica rispetto a quella comunemente suggerita
dai media.
Ricordiamoci che, in
ogni caso, considerare ipotesi non significa dover dare comunque una
spiegazione ad un fenomeno e che l'integrità della ragione non viene
messa in crisi davanti all'inspiegato; la razionalità non presuppone
la presunzione di capire tutto e preferisce lasciare oscuro ciò che
ancora non si riesce ad illuminare.
Nella seconda metà
dell'articolo, per fare un esempio di quanto sostenevo, mi soffermavo
a considerare brevemente un testo di recente uscita: Il frate
volante di Ennio de Concini (San Paolo, 1998). Si tratta di una
biografia romanzata di San Giuseppe da Copertino, quasi di una
riproposta di quella letteratura agiografica dei secoli passati che
mescolava senza chiari confini storia, tradizione e invenzione (pia
frode) nella quale, evidentemente miracoli e fenomeni straordinari in
genere venivano presentati come ovvii e innegabili.
Quel che io volevo
evidenziare a tale proposito era che i famosi voli di Giuseppe
da Copertino si possono anche prestare a interpretazioni alternative a
quella dell'origine divina, tra le quali ne prendevo in considerazione
una, suggerita da John Cornwell in Paranormale dossier aperto (Ed.
San Paolo, Milano, 1994). Non ho mai creduto né preteso che quelle
poche parole spese sul caso Giuseppe da Copertino rappresentassero
un'indagine storica approfondita sul personaggio e neppure di spiegare
la natura dei suoi presunti voli.
Come nel mio scritto
precedente, ribadisco che è piuttosto facile attribuire al passato
eventi straordinari, magici, demoniaci o comunque di origine
soprannaturale: essi, proprio perché appartenenti ad un passato
lontano perdono il requisito della ripetibilità e diventano comodi per
spacciare certezze fondate su basi intrinsecamente insicure. Per
questo motivo preferisco che si resti nel dominio delle ipotesi, del
forse, del potrebbe essere stato e non in quello delle
verità. Non ritengo quindi possibile giungere a una spiegazione
esauriente e definitiva su un fenomeno come quello dei presunti voli
di Giuseppe da Copertino, perché appartiene ad un passato troppo
lontano che, come tale, non potrà mai essere conosciuto in modo
sufficiente per giungere a sostenere che ci siano state violazioni
delle leggi della fisica.
Non dimentichiamoci
che affermazioni straordinarie necessitano di prove straordinarie,
prove che non possono essere rappresentate da semplici scritti di
secoli fa.
Il mio articolo aveva
già, a dire il vero, suscitato qualche protesta da parte di taluni
devoti di San Giuseppe da Copertino, quando nel 2003 viene aspramente
criticato da Goffredo Sebasti nel suo Il caso Giuseppe da Copertino,
edito da Sugarco. Si tratta di un lavoro, a mio avviso, curato e ben
documentato sulla vita miracolosa del nostro frate Giuseppe che
risulta indubbiamente interessante. Non condivido però la conclusione
a cui Sebasti perviene.
Non dubito del fatto
che esistano documenti, riferiti anche a testimoni oculari, che
sostengono la veridicità dei voli del santo e che tali voli
avvenissero sempre durante le sue estasi mistiche, ma di qui ad
affermare che si trattasse inequivocabilmente di manifestazioni di
origine divina (del Dio dei Cristiani, naturalmente), il passo è, a
mio avviso, troppo lungo.
Del lavoro di Sebasti
mi ha colpito soprattutto una particolarità e cioè che egli dimostra
di avere preso in considerazione molte delle obiezioni suscitate dalla
tesi miracolista da lui sostenuta, come per esempio la possibilità di
una patologia psichiatrica che avrebbe afflitto il nostro santo, ma le
scarta in modo veloce e poco convincente a favore della spiegazione da
lui evidentemente preferita. Del resto, Sebasti dimostra in più punti
di non avere dubbio alcuno sull'autenticità di fenomeni come la
bilocazione, la preveggenza, l'emanazione di intenso profumo, nonché
la possessione demoniaca e similari, quindi, nessuno stupore se a
questi fenomeni si aggiungesse anche il volo estatico.
Io mi astraggo da
qualsiasi giudizio personale su questo tipo di convinzioni: Sebasti
dimostra di essere un uomo di fede e, siccome la fede è un qualcosa
che lega e che intesse la vita dei credenti in modo così intenso e
profondo da costituire la risposta alle proprie domande e angosce
esistenziali, io, umanamente, comprendo il tentativo di dimostrarne il
fondamento tramite fatti oggettivi.
Ora, visto che nel
libro di Sebasti mi viene contestata l'ipotesi di spiegazione dei voli
di frate Giuseppe che accreditavo nell'articolo del 1999, proverò,
anche grazie a questo stesso testo, ad esporre qualche altra
riflessione sull'argomento, senza pretesa di scientificità: ritenetela
soltanto la mia opinione.
Premetto, comunque,
che come già avevo suggerito nell'articolo del 1999, ritengo che chi
si occupi di fenomeni legati al misticismo non possa esimersi dal
prendere in seria considerazione i testi dello psicologo Armando de
Vincentiis Psicologia dei mistici cristaini e Estasi che
offrono una chiave di lettura sull'argomento in questione che io
considero altamente condivisibile.
Ma veniamo al nostro
frate Giuseppe.
Provo un'immensa
pietà umana per questo personaggio o, per lo meno, per quello che di
lui si ritiene di sapere: ammettendo che la sua biografia sia quella
che io ho letto, tra l'altro, anche nel libro di Sebasti, non posso
fare a meno di pensare a un'acuta e difficilmente sopportabile
sofferenza psichica e spesso anche fisica. Il nostro santo fu un
ragazzino diverso, non certo brillante, evitato e deriso dai coetanei,
che viveva, con buone probabilità, un profondo disagio dovuto ad uno
stato di disadattamento.
A questa già non
rosea situazione si aggiunsero i quattro anni che il giovanissimo
Giuseppe, gravemente ammalato, trascorse a letto, nella solitudine e
nella sofferenza. Non mi stupisce molto sapere che proprio in questo
difficilissimo, se non insopportabile, periodo della sua vita si
verificarono le sue prime estasi, o forse soltanto i primi sintomi di
una mente che voleva "staccare" da una realtà intollerabile e
rifugiarsi in un mondo migliore.
Negli anni successivi
della sua difficile vita, molte e pesanti frustrazioni continuarono a
martoriare quel pover'uomo dall'equilibrio mentale già altamente
compromesso.
Sembra quasi sicuro
che quando Giuseppe da Copertino andava in estasi succedeva qualcosa
di strano, di non comune, di inatteso, o addirittura di spaventoso,
che colpiva ma anche terrorizzava i presenti.
Trovo arduo però
cercare di ipotizzare con esattezza cosa veramente accadesse in quei
momenti. Molti testimoni affermarono di vedere il frate volare, ma
siamo sicuri di avere le testimonianze di tutte le opinioni che in
quell'epoca circolavano riguardo ai fatti strani che accadevano
durante le estasi di Frate Giuseppe? Quanti occhi senza nome furono
testimoni dei fatti, quanti sguardi senza parole, che mai ebbero la
possibilità di far conoscere la loro opinione sull'accaduto,
assistettero alle convulse crisi di quel frate infelice?
I documenti
dell'epoca soffrono inevitabilmente della parzialità che può essere
ascritta al criterio di raccolta delle testimonianze o, forse, anche
all'eventuale distruzione di qualche scritto, magari diventato
scomodo, che noi non leggeremo mai.
Inoltre, Sebasti
stesso cita in più punti del suo lavoro la possibilità che la folla
terrorizzata dai fenomeni, certamente inconsueti, a cui assisteva
durante le estasi del frate santo, andasse incontro ad una sorta di
delirio collettivo. Qualcuno sveniva, probabilmente molti gridavano e
l'atmosfera si faceva trascinante e idonea a far perdere la lucidità
mentale a chi ne fosse predisposto. E non dimentichiamo, inoltre, che
la mentalità del tempo conduceva facilmente a credere in fatti di
origine soprannaturale e nelle pie leggende che li narravano.
Da ultimo, volevo
anche azzardare una piccola ipotesi sul perché l'Inquisizione non
condannò il nostro frate per esibizione di santità. Al di là del
discorso già affrontato sulla validità dei documenti e delle
testimonianze del passato, mi viene da chiedermi cosa sarebbe successo
se il tribunale della Santa Inquisizione avesse condannato un
personaggio carismatico, trascinatore di folle ed indubbiamente amato
dalle moltitudini... Forse, l'isolamento di frate Giuseppe fu proprio
la decisione migliore che si potesse prendere in quel frangente…
Certamente qualcuno
penserà che quanto sto affermando in questa sede è assurdo o forse
anche offensivo. Mi si potrà obiettare che io parlo da non credente,
da persona che vuole negare a priori la possibilità che esista davvero
un Dio in grado di intervenire nel vivere umano e di stravolgere le
leggi della fisica.
A chi pensasse in
questi termini rispondo che io non nego nulla a priori, ritengo
soltanto che prima di credere in un fatto straordinario devo
essere sicura che questo fatto sia davvero avvenuto.
Non è poi certo mia
intenzione offendere qualcuno o sminuire valori che altre persone
ritengono importanti.
Anzi, trovo
stimolante che le persone animate da sentimenti e da idee diverse
dalle mie le esprimano con passione: sono convinta che solo dal
confronto con un pensiero diverso possano nascere quelle riflessioni,
che solitamente non portano a scoprire alcuna verità assoluta, ma che
certamente ci aiutano ad allargare la nostra pur sempre limitata
visuale di esseri umani.
- - - - -
Clelia Maria Canna
si è laureata il Lingue e Letterature Straniere Moderne presso
l'Università degli studi di Milano nel 1993, con una tesi intitolata
"Il Dizionario critico delle reliquie e delle immagini miracolose di
Collin de Plancy". Socia del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo
delle Affermazioni sul Paranormale) dal 1995, ha scritto alcuni
articoli sul tema delle reliquie e del paranormale religioso per la
rivista Scienza e Paranormale e
per alcune riviste regionali del Comitato. Ha inoltre presentato la
tesi di laurea presso il Congresso Nazionale del CICAP del 1999.
Successivamente ha tenuto alcune conferenze, sugli stessi argomenti,
presso il Circolo Culturale "Giordano Bruno" di Milano. Dopo la
laurea, ha sempre lavorato presso una piccola azienda lombarda,
esportatrice di Made in Italy.
(clelia.canna@liberopensiero.com)
tratto da:
http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/ep8/ep8-canna.htm |
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Un commento dalla redazione di Episteme
Thomas Paine
ebbe a osservare che:
<<A cruel
God makes a cruel man>>;
si potrebbe completarne il pensiero affermando
che un Dio assurdo rende gli uomini assurdi.
tratto
da:
http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/ep8/ep8-sebast.htm |
La vicenda di Giuseppe Desa da Copertino può
definirsi invero sconcertante, e bisogna riconoscere che il testo di
G. Sebasti ne offre una ricostruzione soddisfacentemente accurata
(almeno per chi non voglia, o non possa, approfondire al di là di un
certo punto). Il lato sorprendente di essa, per un razionalista,
è naturalmente la sua storicità, in quanto gli eventi si sono
svolti in tempi piuttosto recenti, e non ci si può pertanto
appigliare, per respingerne senza fatica l'aspetto fantastico, alla
mancanza di "documentazione", o al carattere frammentario - e
inaffidabile, date le sue presumibili finalità - dell'informazione che
ci proviene da periodi più antichi, dalle età dei "miti"1.
Non dimentichiamoci infatti che siamo nello stesso secolo di Galileo e
di Cartesio, peraltro curiosamente apparentati con il "santo volante"
da pellegrinaggi a Loreto2, località contigua all'ultimo
luogo di reclusione (questo è il termine che bisogna usare per rendere
conto della realtà dei fatti, come chiaramente fa il Sebasti quando
parla di rapimento, sequestro) del povero "idioto".
Detto diversamente, l'autore pone in maniera corretta al razionalista
una sorta di sfida intellettuale, mettendolo di fronte al dilemma se
manifestarsi affètto, davanti al resoconto di "fatti" che escono dalla
sua esperienza ordinaria, da quel pathological disbelief di cui
si parla in questo stesso numero della rivista3, oppure se
accettare, foss'anche solo presuntivamente, i detti fatti, con il
rischio di passare alla fine per uno sciocco credulone. Non a caso
Sebasti afferma che: <<Non ho argomenti da opporre a chi neghi a
priori l'autenticità dei fenomeni aerei attribuiti al nostro
frate>> (p. 117).
Abbiamo usato due volte il termine "razionalista", il che non è fuor
di luogo per una rivista che si ispira esplicitamente a Cartesio, e
ciò introduce all'unico appunto che ci sentiamo di poter muovere al
Dott. A. Papi, uno dei preziosi collaboratori di Episteme. Vale
a dire, l'aver definito "razionalista" l'autore del testo recensito,
mentre palesemente questi non appare tale: laico sì, razionalista no!
Bastino per convalidare siffatto giudizio affermazioni quali le
seguenti, espresse con ogni serietà (corsivi aggiunti): <<Ritengo ad
ogni modo indispensabile precisare che le motivazioni che mi hanno
spinto ad affrontare questa indagine rientrano tutte in una ricerca
storica intesa a far luce, per quanto possibile, sui famosi prodigi
aerei che tanto hanno gravato sulla memoria di questo eletto del
Signore>>, p. 6; <<C'è dell'altro, difficilmente rintracciabile
nelle cronache. C'è quello che diversifica l'unto del Signore>>,
p. 23; <<L'anabasi del corpo, oltre che dello spirito, è sicuramente
avvenuta, ed è di origine divina in quanto legata all'estasi>>,
p. 117; etc..
Ecco, le dichiarazioni precedenti testimoniano la presenza di quella
comune forma di irrazionalità (è il termine giusto, che non
vuol essere offensivo, ma soltanto alludere a una differenziazione
metodologica) che indulge nel voler a tutti i costi credere
nell'esistenza di un lato misterioso, occulto, e in certa misura
"consolante", della realtà. Un atteggiamento che non è fondato di
solito su esperienza personale - che allora sarebbe pure accettabile,
ancorché difficilmente trasmissibile da persona a persona - ma solo su
sentito dire, su un atto generico di "fede". Ci piace a tale proposito
citare estesamente quanto ebbe a dire Thomas Paine sia sul rispetto di
ogni opinione, sia sul valore di "rivelazioni" di seconda o terza mano4.
<<You will do me the justice to remember, that I have always
strenuously supported the Right of every Man to his own opinion,
however different that opinion might be to mine. He who denies to
another this right, makes a slave of himself to his present opinion,
because he precludes himself the right of changing it. [...] I do not
mean by this declaration to condemn those who believe otherwise; they
have the same right to their belief as I have to mine. But it is
necessary to the happiness of man, that he be mentally faithful to
himself. Infidelity does not consist in believing, or in disbelieving;
it consists in professing to believe what he does not believe>>.
<<Each of those churches show certain books, which they call
revelation, or the word of God. The Jews say, that their word of God
was given by God to Moses, face to face; the Christians say, that
their word of God came by divine inspiration: and the Turks say, that
their word of God (the Koran) was brought by an angel from Heaven.
Each of those churches accuse the other of unbelief; and for my own
part, I disbelieve them all. As it is necessary to affix right ideas
to words, I will, before I proceed further into the subject, offer
some other observations on the word revelation. Revelation, when
applied to religion, means something communicated immediately from God
to man. No one will deny or dispute the power of the Almighty to make
such a communication, if he pleases. But admitting, for the sake of a
case, that something has been revealed to a certain person, and not
revealed to any other person, it is revelation to that person only.
When he tells it to a second person, a second to a third, a third to a
fourth, and so on, it ceases to be a revelation to all those persons.
It is revelation to the first person only, and hearsay to every other,
and consequently they are not obliged to believe it. It is a
contradiction in terms and ideas, to call anything a revelation that
comes to us at second-hand, either verbally or in writing. Revelation
is necessarily limited to the first communication -- after this, it is
only an account of something which that person says was a revelation
made to him; and though he may find himself obliged to believe it, it
cannot be incumbent on me to believe it in the same manner; for it was
not a revelation made to me, and I have only his word for it that it
was made to him. When Moses told the children of Israel that he
received the two tables of the commandments from the hands of God,
they were not obliged to believe him, because they had no other
authority for it than his telling them so; and I have no other
authority for it than some historian telling me so>>.
A
parte tutto il resto, ciò che più colpisce in interpretazioni
"irrazionalistiche" quali quella che ispira indubbiamente l'opera in
parola, non è tanto il fatto che i fenomeni "miracolosi" si
manifestino con un'eclatante rottura con l'esperienza ordinaria,
quanto la proposta di ricollegare tali pretese rotture con la
"volontà" di un "essere superiore". Di fronte a queste concezioni
teologiche - assai diffuse in area cattolica - il "filosofo" non può
fare a meno di domandarsi come si possa concepire un "Dio"
caratterizzato da un comportamento così imperscrutabile e bizzarro,
quasi un imprevedibile, ma temibile (perché potente, e quindi
pericoloso), giocherellone, che elargisce castighi e benedizioni in
modo alquanto maldestro, e spesso "ingiustificabile" (sottinteso: per
la razionalità umana, l'unico strumento d'altronde di cui ci si possa
giovare senza abiurare la propria dignità di persona5).
E
non si creda che la discussione investa un lato marginale dei rapporti
tra religiosità e razionalità. Ancorché i numerosi spregiudicati
artefici di ogni compromesso, per quanto assurdo, amino sostenere il
contrario, preferiamo senz'altro la linea di pensiero logicamente
coerente espressa in: http://sanlorenzo.dataport.it/apologetica/miracolo.htm,
"I nemici del miracolo". Il miracolo viene descritto quale elemento
essenziale, segno, della presenza di Dio nel mondo, e, ripetiamo, ne
emerge una ben discutibile immagine della divinità6.
Sull'argomento ci sembra abbia detto già tutto il citato Paine7,
e che non ci sia nulla da aggiungere, in perpetuo, alle sue
parole (i corsivi sono nostri):
<<In every point of view in which those things called miracles can be
placed and considered, the reality of them is improbable and their
existence unnecessary. They would not, as before observed, answer
any useful purpose, even if they were true; for it is more difficult
to obtain belief to a miracle, than to a principle evidently moral
without any miracle. Moral principle speaks universally for itself.
Miracle could be but a thing of the moment, and seen but by a few;
after this it requires a transfer of faith from God to man to
believe a miracle upon man's report>>.
Per
tornare alla "sfida" di cui si diceva in esordio, Sebasti sottolinea,
in sede di conclusione, che:
<<Negare tutto ciò significherebbe inoltre supporre un mostruoso
complotto, una truffa organizzata, significherebbe tacciare di falso
collettivo generazioni di testimoni oculari, religiosi e laici, e
liquidare come falsa una ponderosa documentazione originale, tra
l'altro ben conservata, completa, relativamente recente e a
disposizione di tutti. Significherebbe considerare come contraffatta
anche la ricchissima raccolta epistolare, costituita da lettere
originali pervenute da molte corti d'Italia e d'Europa, conservata ad
Osimo e in diversi altri archivi, a disposizione di chiunque volesse
consultarla>> (p. 117).
Riteniamo opportuno partire da tale considerazione, affrontando
anzitutto il problema filosofico generale della verità, al
quale, in un'atmosfera concettuale che vede predominante lo
scetticismo-nichilismo novecentesco, ci pare doveroso dedicare
qualche riflessione apposita, anche per fugare il dubbio che possa
essere l'adesione a questa deriva del pensiero moderno l'ispiratrice
prima delle nostre critiche.
Coloro che ironizzano sul concetto stesso di "verità" si riferiscono
usualmente ad essa con il singolare, e con una sottintesa iniziale
maiuscola, laddove invece dovrebbe parlarsi di verità al
plurale, e con la lettera "v" assolutamente minuscola.
Tante piccole verità, dunque, al cui accertamento è preposta la
conoscenza intellettiva, mossa da atti di volontà che hanno origine
nella curiosità umana (<<Tutti gli uomini tendono per natura al
sapere>>, con queste parole iniziano gli scritti metafisici di
Aristotele). Sul loro complesso, faticosamente edificato, si fonda poi
la Weltanschauung (variabile nel tempo) di ogni essere umano,
quando essa è "onesta" (più a buon mercato la scelta dei "conformisti"
di prendere in prestito qualcuna di quelle già confezionate, in
vendita all'ingrosso in qualunque periodo storico, espressione dello
"spirito del tempo" della società alla quale si appartiene). Esse si
possono ripartire in tre classi fondamentali.
1 -
Le verità di natura che potremmo dire logica8, che
in senso kantiano comprendono i giudizi sintetici a priori, su
cui si edifica per esempio la matematica, e i giudizi analitici
che regolano i processi di deduzione logica, tanto in matematica come
altrove9.
2 -
Le verità di natura sperimentale, ovvero, ancora in senso
kantiano, i giudizi sintetici a posteriori, che vengono desunti
dall'osservazione della "realtà materiale"10. Esse
consistono sostanzialmente nella descrizione di processi naturali che
si ripetono identici nelle medesime condizioni, e nella formulazione
di "leggi" generali che sono determinate attraverso un procedimento d'induzione,
dei cui limiti epistemologici bisogna sempre essere consapevoli.
3 -
Le verità di natura storica, che attengono anch'esse al campo
dei giudizi a posteriori, con la differenza che si tratta di fenomeni
unici, non (almeno esattamente) ripetibili11, oggetto
esclusivamente di racconti, testimonianze, destinati alla "memoria".
E'
chiaro che nella presente circostanza dobbiamo esaminare eventuali
verità della terza categoria, che offrono gravi difficoltà di
accertamento all'investigatore12, e impervi ostacoli di
trasmissione interpersonale (intervenendo qui, inoltre, gli ordinari
inevitabili fraintendimenti linguistici: le language est source de
malentendus, come rammenta Saint-Exupéry in Le Petit Prince),
ma non per questo possono essere espunte dall'ambito di ciò a cui è
lecito attribuire le specificazioni "vero" o "falso". Se è arduo
tracciare una netta linea di demarcazione tra "fatti" e "discorsi sui
fatti", i primi restano in ogni caso gli elementi essenziali della
trama costitutiva della storia, e con essi bisogna fare i conti -
obbligo che vale pure per i mistificatori, gli esperti in
disinformazione. Tutti i "creatori di storie" agiscono di solito
innestando elementi fantastici su quelli reali, e favorendo resoconti
ad arte parziali, che consentano le desiderate interpretazioni di
comodo. Rimangono però, intorno a un evento realmente verificatosi, e
significativo al punto da provocare conseguenze, una serie di
concomitanti evidenze, indizi (vedi la nota 12), ed è lecito allora
anche "accontentarsi" di poter solo intravedere la verità.
Bernard Fay (nella Prefazione a La Franc-Maçonnerie
et la révolution intellectuelle du XVIIIe siècle, Ed. de Cluny,
Parigi, 1935), scrive che è possibile soddisfare <<la passion de
comprendre>> dal momento che <<les hommes n'ont pas détruit tout ce
qu'ils croyaient détruire ni caché tout ce qu'ils voulaient
dissimuler; ce désordre permet a l'historien d'entrevoir parfois la
vérité>>. Così, in questo senso, quando sia naturale presumere
un deliberato intervento correttore dell'uomo sulla semplice verità
fattuale, il lavoro dello storico può assomigliare a quello del
decifratore: il suo compito è di separare il grano dal loglio, di
scavare nelle zone d'ombra, sospette al pari delle zone di luce
eccessiva, pervenendo semmai a individuare un ventaglio di ragionevoli
alternative, e a descriverne la maggiore o minore probabilità. Un
apprezzabilissimo esempio dell'applicazione di tale metodo ci sembra
offerto da Flavio Barbiero, nel suo ottimo La Bibbia senza segreti,
per il quale rimandiamo senz'altro alla presentazione che ne fu fatta
in Episteme N. 2.
Di
fronte alle verità del terzo tipo si riscontra un ampio spettro di
atteggiamenti. E' frequente oggi imbattersi, specialmente in ambito
accademico, in "scettici" part time, che si mostrano dubbiosi
dello stesso concetto di verità storica13, ma non di quelle
(e quindi dei connessi "giudizi di valore") che costituiscono il
fondamento incriticabile (se non a prezzo di sgradevoli contestazioni)
della società a cui appartengono. Ci piace concludere il presente
intermezzo accennando al parere più accettabile, e "umano", espresso
da Marguerite Yourcenar ("Taccuini di appunti" per le Memorie di
Adriano, 1971): <<Tutto ci sfugge. Tutti. Anche noi stessi. La
vita di mio padre la conosco meno di quella di Adriano. La mia stessa
esistenza, se dovessi raccontarla per iscritto, la ricostruirei
dall'esterno, a fatica, come se fosse quella d'un altro. [...] Il che
non significa affatto, come si dice troppo spesso, che la verità
storica sia sempre e totalmente inafferrabile; accade della verità
storica né più né meno come di tutte le altre: ci si sbaglia, più o
meno>>.
Fatta tale indispensabile premessa, torniamo al punto fondamentale
dell'analisi di Sebasti, che viene rafforzato nella recensione del
Dott. Papi da una citazione di Sir Arthur Conan Doyle14, il
creatore del celebre personaggio di Sherlock Holmes: <<O si ammette
che i fatti sono tali e quali quelli riportati, o la possibilità di
accertare i fatti per mezzo della testimonianza umana deve essere
abbandonata>>. Occorre in effetti affrontare senza mezzi termini la
questione della "verità" dei voli (e conseguentemente del relativo
"contorno", incluse le presenze "diaboliche" che perseguitarono il
santo, e ricordano tanto, nella loro fenomenologia, un'analoga storia
moderna, pure ambientata in Puglia: ci riferiamo ovviamente alle gesta
del venerato Padre Pio, opportunamente menzionato nella recensione del
Dott. Papi), e formulare talune ipotesi.
La
prima alternativa con cui ci sembra legittimo rispondere
all'interrogativo di Sebasti, è del tutto radicale: non è
affatto assurdo pensare a un trucco esplicito, ancorché da determinare
nei dettagli, simile al numero della corda indiana ricordato dal Dott.
Papi. Un trucco messo in atto le prime volte dietro suggerimento,
forse, di quell'oscuro personaggio che è il padre Antonio da Santo
Mauro, provinciale dei Minori Conventuali (p. 35)15. Una
magnifica trovata, realizzata probabilmente solo poche volte, e
facilitata dalla lontananza del santo dalla folla dei credenti. Al
resto avrebbe potuto contribuire, al di là delle primitive intenzioni
(limitate a un ristretto ambito locale), il noto meccanismo di
produzione e sviluppo delle "leggende metropolitane", oltre ai modi di
fare propri del frate - da immaginare più nel ruolo di vittima, data
la sua debole personalità, che di protagonista. Un espediente di cui
naturalmente non ogni componente delle gerarchie ecclesiastiche era al
corrente, né sarebbe stato consapevolmente accettato, in una
molteplicità di reazioni e di complicità (le une e le altre facilmente
prevedibili da parte di chi era al corrente, o indovinava, la realtà
dei fatti) che spiegano passabilmente certi comportamenti
all'apparenza incoerenti (ma appunto di diversi soggetti, ancorché ad
essi si faccia riferimento con l'unico termine: "Chiesa"). Non va
dimenticato infatti che nella vicenda del "santo volante" non tutto è
propriamente innocente. Tralasciando la presumibile esistenza
in generale di differenti strategie all'interno della Chiesa del
tempo, volte a contrastare le tendenze materialistiche, antireligiose,
dell'età dei lumi - esigenze che avrebbero potuto in qualche caso far
balenare la possibilità di un uso ideologico dei fenomeni
miracolosi che si accompagnavano alla vita del santo - è accertato
anche, almeno in un caso, un uso politico di essi. Vediamo in
che modo riporta gli eventi il Sebasti.
<<Giovanni Federico di Sassonia [...] era particolarmente corteggiato
dalla Santa Sede in vista di una possibile conversione che avrebbe
dato notevole lustro al partito cattolico della Bassa Sassonia. Non
per nulla il cardinale Facchinetti scrive al nostro frate
annunciandogli che il duca, in occasione dell'Anno Santo 1650, sarebbe
andato a Roma e che per parte sua avrebbe fatto di tutto per condurlo
ad Assisi. Il porporato si raccomanda affinché Giuseppe si adoperi per
la sua conversione e conclude testualmente: "Il Principe che dev'essere
la sua pecorella è già a Roma...">> (duca o principe, per i nostri
scopi è lo stesso).
Come
andò a finire questa storia è presto detto.
<<Durante la seconda messa, il duca assiste a uno spettacolo
sconvolgente: alla consacrazione Giuseppe, tenendo alta l'ostia tra le
mani, si solleva da terra. Il "duro" Giovanni Federico di Sassonia
cade in ginocchio sciogliendosi in lacrime: rimarrà devotissimo al
nostro frate per tutta la durata della sua vita e del suo regno>>.
Peccato però che non tutto il seguito del duca fosse toccato dal
"miracolo", ed evidentemente sospettasse la presenza di qualche
intrigo.
<<Va
ricordato tra l'altro che il suo [del duca] accompagnatore,
l'intransigente consigliere marchese Reolcan, aveva deciso di uccidere
di sua mano quel "maledetto frate". Ma gli andò male: Giuseppe "sentì"
il pericolo e ne parlò al principe, che punì severamente il suo
suddito>> (come non ci è dato sapere; pp. 66 e segg.).
L'utilizzazione ideologica dei <<fenomeni aerei>> (e di conseguenza la
presumibile medesima origine) è stata verosimilmente respinta in
quanto imbarazzante per la maggioranza delle coscienze degli stessi
componenti della gerarchia ecclesiale romana del XVII secolo, e ciò
sembra capace di rendere adeguatamente conto dell'oblio altrimenti
inspiegabile a cui è stato condannato questo santo "moderno". Il
<<sospetto silenzio>> al quale accenna il Dott. Papi, che il Sebasti
descrive con le seguenti parole:
<<mi
incuriosì il fatto che, al di fuori dei confratelli del suo Ordine, e
lontano dai luoghi strettamente legati al suo culto, essa fosse così
poco nota>> (p. 5); <<Condannato due volte, prima all'allontanamento
dall'"umano consorzio", poi all'oblio, la figura di questo grande
santo sembrava inevitabilmente legata a una progressiva emarginazione.
Ma ora, all'alba del nuovo millennio, l'oscuramento si sta rivelando
una semplice eclissi>>, (p. 117).
Una
storia presumibilmente troppo anacronistica per la stessa parte
cattolica maggiormente informata dei fatti, e culturalmente più
aggiornata, la quale avrebbe deciso che sarebbe stato quindi
preferibile sorvolare, è proprio il caso di dire.
<<Un
mostruoso complotto, una truffa organizzata>>, ammonisce Sebasti, ma
bisogna riconoscere che infinito è purtroppo il numero degli stolti16,
e corrispondentemente elevato il numero di coloro che in ogni tempo di
tale "stoltezza" (talora uno stato di beatitudine non pensante, un
rifugio deliberatamente prescelto dalle angustie del mondo) hanno
inteso approfittare. Si minimizzano a volte gli effetti di certe
invenzioni, contrabbandate come aventi fini comunque benevoli,
trascurando il fatto che potrebbero avere invece conseguenze da
biasimare decisamente, seppure non sempre esse siano immediatamente
visibili17.
Del
resto, la creazione di leggende a beneficio della credenza popolare è
un fenomeno ancora oggi sotto i nostri occhi18, bastino per
tutte le storie di Padre Pio19, o di Monsignor Milingo20.
Vogliamo accennare a un altro caso interessante su cui vale la pena di
rendere testimonianza personale a distanza di molti anni. Intorno al
1980 (non ci è possibile purtroppo essere più precisi), girava in
taluni ambienti mistico-esoterici la voce che un fenomeno solare
prodigioso come quello che si dice avvenuto a Fatima, in occasione
delle famose apparizioni mariane del 191721, si sarebbe
ripetuto presso il Santuario della Madonna delle Tre Fontane, a Roma.
Mi recai allora sul posto, di buon mattino, assieme a un caro amico
dalla fervida fede22. Mano mano convennero in loco diverse
persone, infine una piccola folla. Tra una conversazione e l'altra
passarono le ore, e non mancavano previsioni sul momento in cui
l'atteso fenomeno si sarebbe verificato: chi diceva a mezzogiorno, chi
proponeva un'ipotesi differente. Insomma, per farla breve, rimanemmo
lì fino al tramonto, quando i convenuti più resistenti cominciarono
gradualmente a fare ritorno a casa. Nulla avvenne, e non solo non ne
ebbi percezione io, ma neppure l'amico, né qualcuno sostenne di vedere
qualcosa che ad altri non era dato scorgere. Orbene, messa agli atti
questa ulteriore delusione nel campo del "prodigioso", mi accadde di
leggere su un quotidiano, o l'indomani, o poco dopo (di nuovo,
purtroppo non rammento bene i particolari), che il giorno tal dei
tali, alle Tre Fontane, si era ripetuto il prodigio di Fatima: il sole
aveva ruotato, etc.! Una "piccola" bugia, confinata in una breve nota
marginale, forse a vergognarsi di se stessa sin dal suo nascere (per
far piacere a chi?!), ma capace comunque di circolare e confondere, al
punto da far ritenere alla persona con la quale mi ero trovato a
vivere l'evento, che forse qualcosa era davvero avvenuto, e che per
qualche motivo non ce ne eravamo resi conto; in una parola, fu indotto
a dubitare della sua stessa diretta esperienza ed intelligenza, una
delle cose peggiori che possano capitare a un essere umano.
Non
è pertanto sorprendente che di simili indubitabili favole siano
costellati anche i racconti della vita del santo da Copertino23.
Storie di cui la mentalità moderna sorride, ma non dovrebbe (quante
persone sono state ingannate attraverso di esse?), e il Sebasti sembra
viceversa deliziarsi (<<Sentite alcuni di questi incantevoli
fioretti>>, p. 32), a riprova del carattere niente affatto
razionalistico dell'opera in discussione. Citarne una (che coinvolge
addirittura la resurrezione dalla morte, ancorché in tono "minore":
inventare di più sarebbe stato forse troppo ardito24)
basterà per tutte, come esempio del livello di assurdità nel quale ci
troviamo qui immersi.
<<Un
giorno scoppia un temporale spaventoso, un diluvio dalle proporzioni
mai viste [...] Con grande disperazione dei pastori un intero gregge
di pecore è travolto dalla furia degli elementi e le povere bestie
vengono ritrovate giacenti a terra, stecchite. Le grida dei pecorai
arrivano all'orecchio del santo che si precipita sul posto, e dopo
averli consolati, si inginocchia per alcuni istanti raccogliendosi in
preghiera. Terminata la quale, ordina alla pecorella che gli sta più
vicino di alzarsi, e quella subito si alza. Poi fra [sic] Giuseppe si
rivolge alle altre, e ad una ad una comanda loro la stessa cosa,
finché tutte le bestiole non sono tornate a pascolare
tranquillamente>> (p. 33)25.
Ammettiamo senza esitazione che nulla nasce da nulla: l'invenzione dei
voli non può avere la medesima origine di quella dei fioretti, che si
aggiungono verosimilmente a qualche altro fenomeno sorprendente e non
interamente fantastico (semmai, manipolato). Ripetiamo che, in ogni
caso, rimane difficile portare avanti un'analisi razionale tra tante
mistificazioni. Infatti, alla naturale confusione dei pasticcioni,
degli imprecisi (un numero percentualmente ragguardevole, come lo
scrivente può testimoniare dopo 40 anni di esami in una materia
riservata a pochi appassionati quale la matematica), si aggiunge
spesso la menzogna costruita ad arte. Talora, si diceva prima, a fin
di bene, talora ispirata invece da smania di protagonismo, o da
soggezione verso l'autorità26. Bugie a buono o a caro
mercato, sulle quali si instaura poi il noto "effetto valanga".
Eppure, la menzogna è nettamente la faccia opposta della verità, dove
c'è l'una (per lo meno nelle intenzioni) non ci può essere l'altra, e
contro di essa tuona chiaramente lo stesso testo di riferimento, il
Vangelo, di molte delle persone di cui ci stiamo, direttamente o
indirettamente occupando:
<<Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare
ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete
compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da
principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in
lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre
della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità>>
(Giovanni, 8, 43-45).
Non
si fa una casistica, non si stilano elenchi di eccezioni, non si
introducono diversi ordini di bugie, "veniali" e "mortali"; non si
dice che sono concesse menzogne "benefiche" (e sottolineiamo ciò anche
senza voler arrivare a proporre l'integralismo di Kant, o di
Croce, al riguardo).
La
seconda ipotesi che vogliamo tratteggiare - e ci sembra esaurisca il
campo delle spiegazioni razionali: tutto il resto è, per definizione,
irrazionale27 - è ispirata dall'opportunità di evitare il
nominato pathological disbelief. Se si ammette che qualcosa di
straordinario possa essere accaduta, bisognerebbe allora ricercarne le
cause "naturali", nel tentativo di descriverla e comprenderne
precisamente le modalità (quanto meno da parte dello stesso
protagonista, di cui deve essere però accertata l'assoluta onestà,
oltre che "intelligenza" - è un peccato che i "testimoni", che godono
di tanto credito presso Sebasti, non avessero manifestamente quella
che oggi si dice una "mentalità scientifica"), e cercare di ripetere,
nei limiti del possibile, il fenomeno. Tale assunto esclude - in
linea di principio - l'intervento capriccioso e indispensabile di
una "volontà superiore". Si può soltanto convenire che alcuni fenomeni
potrebbero essere prodotti da un'interazione uomo-materia, ancora
sconosciuta fino al momento attuale, e in effetti assai dubbia in
ordine alla sua stessa esistenza28. Infatti ciò che è nelle
capacità di un uomo, deve essere nelle capacità di un altro. Il
miracolo viene descritto, nel citato "I nemici del miracolo", come
<<fatto sensibile, che supera tutte le forze e le leggi della
natura>>, una definizione che è quindi, a un primo livello di
interpretazione, intrinsecamente relativa alla nostra
conoscenza di dette forze, e delle leggi della natura che le regolano.
Un miracolo sarebbe allora un evento del tipo che abbiamo detto
storico, inspiegabile in un dato periodo secondo le teorie accettate
sulla "natura" (dal punto di vista della fisica unifenomenica
cartesiana, potremmo specificare: materia ed energia, ossia materia in
movimento), e le sue conosciute (o ipotizzabili) manifestazioni. Si
può intendere naturalmente la definizione in un senso più esteso, per
non correre il rischio di dover introdurre l'intervento di una
"divinità" per rendere conto dei fulmini: ovvero, un miracolo sarebbe
un fenomeno la cui spiegazione superi potenzialmente tutte le leggi di
natura, sia quelle note quando il fatto si constata, o se ne parla,
sia quelle che si può immaginare saranno possibilmente note in futuro.
Un evento che trascenda cioè qualsiasi possibilità "concepibile" della
res extensa, e che pertanto per essere spiegato richieda una
voluntas (res cogitans) capace di intervenire nella materia
e sulla materia. Viste le cose da tale prospettiva, i miracoli
sarebbero allora sotto i nostri occhi quotidianamente: ogni deviazione
dall'ordine naturale provocata dall'azione dell'uomo, rispetto a ciò
che sarebbe viceversa accaduto senza che un'esplicita volontà
contraria lo avesse impedito. Ma è chiaro che conviene evitare
fraintendimenti linguistici, e continuare a riservare al termine
miracolo una qual certa "straordinarietà", e qui è ammessa
l'incredulità a priori, fino cioè a prova contraria. In altre
parole, l'unico atteggiamento razionale da assumere sembra essere
quello detto di San Tommaso, ovvero l'osservanza del
principio: crederò solo quando avrò visto e toccato personalmente
con mano, e quando avrò constatato, al di là di ogni ragionevole
dubbio, di non essere caduto vittima di un inganno, sia pure solo dei
miei sensi29.
Note
1 - Età che arrivano sino alle soglie
dell'era moderna. Per esempio Emilio Michelone (Il mito di
Cristoforo Colombo, Varani Ed., Milano, 1985), nel formulare
l'ipotesi che Cristoforo Colombo non sia mai esistito, sostiene che la
sua "invenzione" potrebbe essere frutto di <<un'assoluta minoranza di
scribacchini colti osservanti delle prescrizioni religiose prima che
del reale>> (p. 18). La situazione sembra oggi cambiata, almeno nella
tecnologicamente progredita civiltà occidentale: i fatti si possono
interpretare (fino a creare ossimori quali "soldati di pace"), ma non
sembra altrettanto facile costruirli ex nihilo. Però, proprio
mentre esprimiamo questa opinione, confessiamo di nutrire qualche
dubbio al riguardo, esattamente in virtù di quella sofisticata
tecnologia che può essere messa al servizio di pochi.
2 - Galileo risulta presente a Loreto nel
1618 e nel 1624 (cfr. per esempio:
http://www.conchigliaverde.it/html/loreto.htm), e nello stesso
anno 1624 pare sia passato nella cittadina marchigiana anche Cartesio,
per adempiere a un voto fatto alcuni anni prima (fonte: Adrien Baillet,
Vita di Monsieur Descartes, Adelphi, 1996). Ciò costituisce un
problema nel problema, sia in forza dell'incredibile coincidenza
cronologica (i due grandi esponenti del cosiddetto "secolo dei geni"
si sono incontrati?), sia perché appare inverosimile, almeno secondo
l'opinione dello scrivente, supporre siffatto zelo - esprimente una
forma speciale di religiosità - tanto nell'uno quanto nell'altro. Si
vedano al riguardo la nota N. 45 in "La scienza come strumento
ideologico - Il caso Galilei e la falsificazione della cosmologia
tolemaica", Episteme N. 4, e "Alle origini della modernità: il
programma di ricerca cartesiano..." (in
http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/st/ARTMOSCH.htm). Per ciò che
concerne in particolare un'eventuale "devozione mariana", possiamo
completare l'informazione fornita nella citata nota aggiungendo che
nei grossi 19 volumi dell'Edizione Nazionale delle Opere di
Galileo non si trova nominata mai, nemmeno per sbaglio, la
madonna, né come vergine, o Maria, o madre di Dio, etc.! C'è da
chiedersi quali saranno state allora le più autentiche motivazioni dei
due "pellegrinaggi", e per avere un'idea di una possibile pista sulla
quale sarebbe interessante indagare, rimandiamo alla pagina web:
http://www.dimoradeisaggi.it/accademie.htm, dove si sostiene che la
<<Madonna Santissima di Loreto>> veniva eletta in zona a protettrice
di "Accademici" devoti alla <<Vergine Nera>>, e alla <<prodigiosa
traslocazione della Santa Casa a Loreto>>. <<La vergine nera, deità
criptica del culto pagano, veniva venerata nelle parti più oscure e
nascoste del Tempio, in quanto simbolo della madre terra prima di
essere fecondata dal Sole>>. Questo quadrerebbe tra l'altro con la
curiosità - più che legittima - di Cartesio nei confronti delle
"società segrete", e delle loro pretese conoscenze riservate. E' noto
per esempio che egli andò alla ricerca dei Rosacroce (intorno al
1620), ma che ebbe poi a definire tali esperienze in modo da ispirare
il seguente commento al suo primo biografo (il nominato Baillet):
<<Egli [...] professava apertamente il suo disprezzo generale nei
confronti dei sapienti, poiché non ne aveva mai incontrato uno
veramente tale>>.
3 - In sede di presentazione del commento di
Roberto Germano, "Silvano Fuso, divulgatore a modo suo".
4 - Da Age of Reason
(1794-1796),
http://www.ushistory.org/paine/
.
5 - Ancora secondo Thomas
Paine (loc. cit.): <<The most formidable weapon against errors
of every kind is Reason. I have never used any other, and I trust I
never shall>>.
6 - Ciò che una "metafisica razionale"
dovrebbe comunque escludere è una rappresentazione di un Dio crudele,
di umore variabile, etc., che si diverte inspiegabilmente a
intervenire nel mondo facendo volare un povero "idioto" pugliese, o
dandogli una mano, come vedremo, a far risorgere pecore. Meno
ridicolo, quantunque ancora lontanissimo da un'immagine accettabile,
il Signore dispotico e barbarico dell'Antico Testamento,
un'invenzione dei "popoli del deserto" a perfetta somiglianza dei loro
capi tribali (il che fa venire in mente un'"inversione" della
citazione di Paine di cui in epigrafe: un uomo crudele inventa un Dio
crudele, e uno stupido inventa un Dio stupido - e la circostanza
appare essere all'origine di un processo di feedback niente
affatto virtuoso). Critichiamo qui una concezione di Dio
<<teologicamente mostruosa, deformata dal più primitivo
antropomorfismo>> (Aldo Spranzi, Anticritica dei Promessi Sposi,
EGEA, Milano, 1995, p. 827), anche se non consideriamo
l'antropomorfismo una pècca in sé, ma solo nella misura in cui
riferisce a "Dio" una natura simile a quella peggiore dell'uomo (la
sua "parte animale"). Ci sembra opportuno rammentare a tale riguardo
il libro di Bruno Franchi, Siamo Dio (http://space.tin.it/io/brufran),
presentato in Episteme N. 4 (sezione "Pubblicazioni e
informazioni ricevute"): <<Un inconsueto e interessante saggio
filosofico in forma di dialogo, ispirato alle concezioni di Wilhelm
Reich, la cui finalità ultima è di persuadere che: "Siamo qui per
ricordare di essere Dio">>.
7 - Ibidem.
8 - Qui naturalmente la specificazione
"logica" appare in un ambito più ampio di quello tradizionale, dove il
termine viene usato sostanzialmente, ancora in un contesto kantiano,
in relazione ai soli giudizi analitici.
9 - In Willem Kuyk, Il discreto e il
continuo, 1977 (ed. it. Boringhieri, 1982, Prefazione) si trova
riportato che: <<Il mio vecchio professore, il defunto E.W. Beth
[Autore di un enciclopedico The Foundations of Mathematics, NdR]
affermava spesso che se soltanto i giuristi e i politici e, più in
generale, gli studiosi delle artes humaniores si sforzassero di
pensare maggiormente in termini di logica matematica (e formale), il
mondo sarebbe un posto migliore per viverci>>.
10 - Ovvero, la res extensa, che si
trova al di "fuori" dello spirito dell'uomo, il quale appartiene per
contro al campo della res cogitans, almeno in prima
approssimazione. Per Kant la "realtà materiale" costituisce il
fenomeno, dal momento che in ogni caso essa è percepibile soltanto
attraverso la mediazione delle forme pure dell'intelletto, spazio e
tempo.
11 - In tale senso, anche la teoria del
big-bang, pur se elaborata da fisico-matematici, quindi da
"scienziati", appartiene alla terza categoria, e non alla seconda, né
tanto meno alla prima, e se si volesse si potrebbero qui distinguere
due sottocategorie, quella delle verità storiche che concernono gesta
umane (le vere e proprie "narrazioni"), e quelle che esulano invece da
tale ambito. Sembra per queste seconde intervenire un processo di
abduzione, ossia di deduzione a ritroso, ma un approfondimento
della questione ci porterebbe troppo lontano, al di là dei limiti del
presente commento.
12 - Il termine e' del tutto adeguato, in
quanto la ricerca storica ha spesso le caratteristiche di un'indagine
poliziesca, la quale pure tende ad accertare la verità su fatti
storici, ancorché "minori", riguardanti cioè un numero esiguo di
persone. Per ulteriori riflessioni sulla necessità del metodo
indiziario nella ricerca storiografica, si veda:
http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/st/indiz.htm .
13 - Rilevando così l'ovvio lato soggettivo
di ogni tentativo di storiografia, come messo bene in evidenza da
Hegel: <<E' giusto esigere che la storia, quale ne sia l'argomento,
racconti i fatti senza parzialità, senza pretendere di avvalorare
interessi o scopi particolari. Ma tale esigenza è un luogo comune che
approda a ben poco, giacché la storia di un argomento è
necessariamente collegata in modo strettissimo all'idea che ci
facciamo di esso. Questa fissa già in precedenza che cosa si considera
importante e conveniente per l'argomento prescelto, e siffatto
rapporto tra quanto è accaduto e lo scopo che ci proponiamo porta seco
la selezione dei particolari da raccontare, il modo d'interpretarli, i
punti di vista sotto i quali collegarli>> (Lezioni sulla Storia
della Filosofia). Ci piace in tale contesto citare anche le
interessanti riflessioni del Prof. P. Emmolo:
http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=2137 .
14 - Conan Doyle è da ricordare, nel
presente contesto, per la sua passione per il "paranormale", e per le
mistificazioni in cui si è trovato, involontariamente, invischiato.
15 - Sulla scorta, non va dimenticato, ce ne
rende edotti il Dott. Papi, di un prototipo del genere nello stesso
ordine francescano: <<In un affresco del ciclo iconografico giottesco
della Basilica Superiore di Assisi (il dodicesimo dei 28 riquadri
complessivi, situato sulla grande parete di sinistra rispetto
all'ingresso) S. Francesco viene rappresentato rapito in estasi mentre
si solleva in una sorta di nube infuocata>>. Trascuriamo qui una
differenza su cui invece insiste Sebasti, tra volo e levitazione, dal
momento che i fenomeni ci sembrano comunque assai simili, ed entrambi
incredibili al punto da dover essere accolti con particolare cautela,
se non vogliamo dire sospetto. La distinzione poi sarebbe non sempre
agevole, poiché almeno quanto accaduto davanti agli occhi di Giovanni
Federico di Sassonia (presto se ne parlerà), appare un caso di
semplice levitazione.
16 - Un "dato di fatto" comunque non
necessariamente immutabile, almeno per chi crede in un "progresso"
dello "spirito decaduto". La locuzione proviene da Erasmo da Rotterdam
(Elogio della Follia, Cap. 63 - La Sacra Scrittura esalta la
pazzia; vedi per esempio:
http://www.cronologia.it/storia/biografie/erasmo03.htm ), il quale
rimanda per essa, ma in modo non letterale, a Ecclesiaste, 1,15
(il passo in questione è infatti reso nelle traduzioni correnti, come:
<<Ciò che è storto non si può raddrizzare e quel che manca non si può
contare>>).
17 - Per citare ancora
Paine (ibidem): <<All national institutions of churches,
whether Jewish, Christian or Turkish, appear to me no other than human
inventions, set up to terrify and enslave mankind, and monopolize
power and profit>>.
Bisogna stare bene attenti a non offrire fondamento a tale genere di
critiche qualunque sia la nostra azione nella società (cioè, non
necessariamente in una delle chiese storicamente affermatesi nella
parte di mondo in cui viviamo).
18 - Quando si parla di fenomeni
"straordinari" si sottolinea usualmente che il loro numero è
diminuito, dato che nell'era della documentazione globale una
telecamera svela impietosamente i più reconditi trucchi, al punto che
negli stessi spettacoli di magia appare ormai opportuno gettarla sul
piano dell'ironico. Ciò non toglie che le fantasticherie con cui una
parte della popolazione si abbevera vengano create ancora oggi, con
meccanismi che, in casi "storici", dovrebbero essere oggetto di
corrispondente approfondita analisi, e di conseguente motivata
condanna.
19 - Gira tra l'altro voce che il cuore di
Padre Pio si senta ancora battere attraverso il marmo del sepolcro; è
sottinteso però che per poterlo ascoltare bisogna essere fervidi
credenti e non persone prevenute dalla fede debole (e chi ammetterà di
esserlo, in determinati contesti, come accade nella celebre fiaba dei
vestiti dell'imperatore?).
20 - Chi scrive queste righe ha assistito di
persona a uno dei raduni di infelici (tra i quali molti curiosi)
imploranti una grazia dal "toccato dal Signore", e nell'occasione ha
notato l'intervento di individui sospetti, che interpretavano
manifestamente un ruolo preordinato. Non è detto che lo stesso Milingo,
palesemente attorniato da "strani" tomi, ne fosse a conoscenza: forse
crede davvero ai suoi "poteri", quanto meno potrebbe essere certo
della sua "fede", non lo mettiamo in dubbio.
21 - Si veda per esempio in
http://xoomer.virgilio.it/elia1960/44.htm una critica da
parte "ortodossa"; una critica da parte "protestante" si trova invece
in:
http://evangelici.altervista.org/maria.html . In quest'ultimo sito
si parla esplicitamente, per quanto riguarda le apparizioni di
Medjugorje (1981), di <<frod[i], perpetrat[e] dai Francescani
locali>>, che sarebbero state rilevate dallo stesso vescovo incaricato
delle relative "indagini", Pavao Zanic di Mostar-Duvno.
22 - Mi piace, a futura memoria, citarne il
nome. Si trattava del compianto avvocato perugino Luigi Clementi, ben
noto animatore di incontri e dibattiti nel capoluogo umbro: una
personalità sincera ed avvincente, appassionata e colta, ancorché in
certa misura impetuosa e disordinata, soprattutto da un determinato
punto in poi della sua vita, in seguito ad un grave luttuoso evento.
23 - C'è da sottolineare, peraltro, che lo
stesso avviene per ogni "santo", ma non solo: menzioniamo ad esempio
gli analoghi miracolosi prodigi ascritti alle capacità del famoso
conte di Cagliostro (al secolo Giuseppe Balsamo, nato a Palermo,
1743-1795), che stupirono molte corti d'Europa nel XVIII secolo (e qui
ci troviamo ancora più decisamente in "epoca storica", rispetto al
caso del povero "idioto"). Per quanto concerne i nostri giorni, si
potrebbe forse ricordare il nome del torinese Gustavo Rol (1903-1994),
di cui si diceva che: <<Poteva leggere nel pensiero, materializzare
oggetti dal nulla, prevedere il futuro, etc.>>, insomma, bagattelle.
In termine di nota, ci sembra di fare cosa utile rammentando le opere
di Charles Binet-Sanglé citate nella recensione dell'e-book di
Gianni Grana, L'invenzione di Dio, in Episteme N. 6,
Parte I.
24 - Aggiungiamo che, in relazione al nostro
santo, si parla pure, con evidente compiacimento, di guarigioni di
ciechi, profezie, lettura del pensiero, etc., insomma, i soliti luoghi
comuni presenti nella descrizione di tutte le persone che vengono
dette capaci di compiere "miracoli":
http://www.smbsassari.com/personaggi/Giuseppe%20da%20Copertino.htm
.
25 - Il Fra' Cristoforo di manzoniana
memoria si sarebbe più semplicemente limitato a un severo monito del
tipo: "è la volontà di Dio", che deve quindi essere non solo
rispettata ma pure apprezzata, suggerendo implicitamente una possibile
punizione per qualche colpa commessa: e chi potrebbe obiettare di non
averne? Semmai, che non si capisce perché ad alcuni, spesso poveri
miserabili, vengano subito contestate, e ad altri no, oppure che, per
punire un colpevole, la folgore del giudice si abbatta allo stesso
tempo su persone certamente innocenti (ma forse, ripetiamo, secondo
talune concezioni innocente non è mai nessuno, sebbene sia stato
mondato dal peccato originale con il battesimo). Il famoso "non cade
foglia che Dio non voglia" riassume un'ulteriore concezione di Dio che
può dirsi addirittura blasfema. Aggiungiamo che il caso di Manzoni
potrebbe non essere così chiaro come appare, in conformità a quanto
riferito dal citato Aldo Spranzi (nota 6), nella sua corposa e
interessantissima Anticritica...: <<Tutto porta in una
direzione precisa: il dubbio sulla cattolicità del Manzoni e del suo
romanzo; il sospetto di una colossale e quasi imprendibile ipocrisia,
di un'impostura>> (p. 822).
26 - Un caso paradigmatico è quello del
Prof. Giuseppe Settele, di cui al punto 3-2-3 del "Breve profilo
storico della matematica" in
http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/mat/profilo3.doc . A parte le
interessate testimonianze dei protagonisti, cosa c'è da aspettarsi del
resto da storici che, invece di assumere il ruolo di investigatori, di
difensori della verità, di smascheramento dei bugiardi, fanno spesso
viceversa dell'ipocrisia e del servilismo una dote, o che sono
ispirati da una caritatevole misericordia (di origine non solo
cristiana), che viene ricondotta al seguente principio (raramente così
esplicito): <<La storia ha le sue sacre bende che non è lecito sempre
sollevare, ha i suoi claustri reconditi che non ogni piede deve
varcare>> (Davide Albertario, "Intorno ad Alessandro Manzoni...",
La Scuola Cattolica, giugno 1873; rist. in Otto/Novecento,
N. 1, 1984, p. 90).
27 - Del resto, lo stesso Paolo riconosce
l'"irrazionalità" della fede cristiana: <<noi predichiamo Cristo
crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani>> (I
Lettera ai Corinzi, 1,23).
Secondo il citato T. Paine (ibidem): <<It is
upon this plain narrative of facts, together with another case I am
going to mention, that the Christian Mythologists, calling themselves
the Christian Church, have erected their fable, which, for absurdity
and extravagance, is not exceeded by anything that is to be found in
the mythology of the ancients>>.
28 - Nel Cap. IX ("L'Arca"), del suo ancora
inedito Esodo - ovvero contrabbando di know-how dalle Piramidi a
Gerusalemme (vedi Episteme N. 6, Parte I), Lia Mangolini
scrive: <<La scienza ufficiale non dà infatti nessun credito ai
favolosi resoconti riportati da tavolette babilonesi e antiche fonti
arabe, oltre che dai papiri egizi, perché in quelle storie si parla
chiaro e tondo di fenomeni di levitazione, apparenti applicazioni
dell'antigravità - che qualunque scienziato darebbe un occhio per
riuscire a scoprire>>. Tali parole ripropongono il dilemma tra
incredulità patologica, che si fonda su una constatata straordinaria
capacità di elaborare chimere da parte degli esseri umani, ed
eccessiva fiducia in inverificabili resoconti.
29 - L'adesione, più o meno integrale, al
punto di vista qui delineato costituisce, ci pare, una delle accuse
rivolte a Galileo Galilei dal padre domenicano Tommaso Caccini, quando
riferì di una testimonianza di Ferdinando Ximenes, reggente di S.
Maria Novella. I <<galileisti>> tenevano per vera l'opinione: <<i
miracoli che si dicono esser fatti dai santi, non essere veri
miracoli>> (fonte: Ludovico Geymonat, Galileo Galilei, Einaudi,
Torino, 1969, p. 102). La circostanza sembra avvalorare l'ipotesi che
dietro all'avversione della parte controriformista della Chiesa alla
persona e all'influenza dell'illustre scienziato pisano (meno "cane
sciolto" di quello che una certa vulgata tende a far ritenere)
si potessero nascondere obiezioni teologiche sostanziali che andavano
ben al di là della controversia cosmologica sul copernicanesimo. Tale
possibilità è ampiamente illustrata nell'interessantissimo saggio di
Pietro Redondi, Galileo eretico (Einaudi, Torino, 1983);
riteniamo di far cosa utile ai lettori citando pressoché integralmente
la presentazione in IV di copertina, anche perché solleva un punto cui
Episteme ha dedicato spesso attenzione, e cioè che l'immagine
che si ricava dalla storiografia attuale su molti eventi fondamentali
della storia moderna appare irrimediabilmente lontana dalla loro reale
essenza. <<Con questo libro profondamente, polemicamente innovatore,
Pietro Redondi sgombra il campo sia dalla celebrazione laica di
Galileo, santificato (reliquie comprese) in età risorgimentale e
positivista, sia dagli odierni tentativi di riabilitazione compiuti
dall'autorità pontificia. Con una ricostruzione rigorosa l'autore
dimostra che Galileo è stato condannato dalla Chiesa per motivi
estranei a Copernico, all'esegesi biblica, agli abusi di potere e agli
scontri personali col papa. Un documento del 1624 - un documento mai
prima cercato - rivela la vera imputazione lanciata segretamente
contro Galileo dal Collegio romano dei gesuiti, la più autorevole
istituzione culturale della Controriforma. Galileo era stato accusato
di violare con le sue idee atomistiche il dogma tridentino dell'eucarestia.
La storia della scoperta, nell'archivio romano del Sant'Uffizio, di
questo documento decisivo s'intreccia a quella degli scontri (quello
di facciata e quello reale) tra Galileo e i suoi avversari. Con la
gioia di chi ricostruisce pezzo a pezzo una verità occultata per
secoli, l'autore ci conduce attraverso processi, feste, scuole,
biblioteche e gallerie; fa rivivere i riti e i sentimenti religiosi;
le passioni politiche e intellettuali; i libri e gli uomini. La
versione ufficiale si dissolve: e il processo a Galileo, simbolo del
conflitto tra scienza e fede, appare in una luce completamente nuova>>
(Einaudi, Torino, 1983; rist. 1988). Crediamo al solito di essere
utili ai lettori menzionando al termine di questa lunga nota: Bianchi
L., "Interventi divini, miracoli e ipotesi soprannaturali nel
Dialogo di Galileo", in Potentia Dei - L'onnipotenza divina nel
pensiero dei secoli XVI e XVII, a cura di G. Canziani, M.A.
Granada, Y. Ch. Zarka, Ed. Angeli, Milano, 2000. |
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Il caso Giuseppe da Copertino
indagine sulla vita e i prodigi del santo che volava
Goffredo Sebasti
- Sugarco,
2003
Goffredo Sebasti
è
nato ad Alessandria d'Egitto, dove ha compiuto gli studi liceali.
Laureatosi in lettere a Roma e specializzatosi in letteratura
francese, è autore di numerose sceneggiature e soggetti
cinematografici. Vive e lavora a Roma. Ha pubblicato il suo primo
romanzo, La Tiorba, nel 1984.
INDICE DEL LIBRO:
Premessa
Capitolo 1 - Un povero "idioto"
Capitolo 2 - L'adolescenza
Capitolo 3 - Stalliere del priore
Capitolo 4 - L'ordinazione
Capitolo 5 - I primi "segni"
Capitolo 6 - La "leggenda"
Capitolo 7 - Inizia il calvario: il "fattaccio" di Giovinazzo
Capitolo 8 - Un breve respiro
Capitolo 9 - L'Inquisizione
Capitolo 10 - In attesa della sentenza
Capitolo 11 - La condanna di un'assoluzione
Capitolo 12 - Vita al Sacro Convento
Capitolo 13 - All'apice della popolarità
Capitolo 14 - Segregazione definitiva dal mondo
Capitolo 15 - Epilogo |
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