In un libro e in vari quotidiani il pubblicista cattolico
Vittorio Messori, che non ha mai nascosto la propria
simpatia per il regime di Francisco Franco, si è sforzato di
minimizzare il massacro di Guernica, durante la guerra civile
spagnola, con dati a suo dire inoppugnabili. In realtà erano
oppugnabilissimi. Lo ha dimostrato, sul newsgroup
it.cultura.storia, con un intervento del 24 luglio 2002, un
certo Piero F.
Ci dispiace non poterne indicare il cognome per esteso, perché
così si firmava (lo faremo se si metterà in contatto con noi).
Il suo testo, che proponiamo quasi integralmente, merita di essere
conosciuto, perché smonta implacabilmente e con estremo rigore le
tesi di Messori, che di sicuro non fa una bella figura. Lodata sia
Internet, che consente che storici magari non accademici come
Piero F. possano esprimersi e, se necessario, facciano a pezzi un
opinionista influente e ospitato dalla grande stampa. |
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IL TESTO DI VITTORIO MESSORI
[in
kattoliko.it] |
[...] Una "verità" codificata una volta per sempre anche nella
Storia della guerra civile spagnola (stampata, in Italia, da
Einaudi) di Hugh Thomas. È significativo che questo storico, nella
edizione "rivista" della sua Storia, abbia poi ridotto a 200 il
numero dei morti: 1454 in meno da una ristampa all'altra. E senza
dare spiegazioni. (1)
La realtà è del tutto diversa, come hanno stabilito anche
commissioni internazionali di inchiesta (2).
Come andò davvero lo si sa da decenni (3),
ma la forza della propaganda sembra ancora invincibile. Guernica
costituiva un normale obiettivo militare, come ben sapeva anche il
governo rosso" che vi aveva installato pezzi contraerei e scavato
sette rifugi collettivi (4). In effetti,
la città era sede di due importanti fabbriche, d'armi leggere e di
bombe d'aviazione (5).
Inoltre era nodo stradale e ferroviario (6)
per i repubblicani che combattevano a una dozzina di chilometri
dalla città, che rigurgitava di soldati e di mezzi militari. Non
si dimentichi che l'importanza strategica di Guernica veniva anche
dalle fortificazioni che i baschi vi avevano costruito (la cintura
di ferro", come la chiamavano (7)) per
marcare l'indipendenza della loro regione nei confronti delle
altre etnie spagnole.
Non era affatto, dunque, il "bucolico, sacro villaggio dove
mercanti e villici portavano pacificamente le loro povere cose",
per dirla con Thomas. Alcuni bombardieri (di vecchio tipo
(8)) inviati dalla Germania e 18 aerei, tra
pesanti e leggeri, del Corpo di spedizione italiano, nel
pomeriggio di quel 26 aprile 1937 fecero alcuni passaggi per
distruggere il ponte di Renteria, sul fiume Oca e ostacolare così
i movimenti dei repubblicani (9).
La maggioranza dell'esplosivo italo-tedesco cadde sul nodo
stradale attorno al ponte e solo alcune bombe sulla città: su 39
crateri individuati dalla ricognizione aerea, solo 7 risultano
nell'abitato (10). I morti accertati -
anche da accurati controlli all' anagrafe - furono 93, cui è forse
da aggiungere qualcun altro tra soldati isolati
(11).
Quasi la metà di quei 93 morì per il crollo di un rifugio appena
costruito ma evidentemente inadeguato: Forse, gli appalti truccati
esistevano anche tra i baschi "rossi" (12).
In ogni caso, non si supera il centinaio, com'è provato da
ripetute indagini sull'anagrafe della città, che contava 5.000
abitanti in tutto (13): bilancio tragico
ma, purtroppo, di routine nella più sanguinosa guerra civile della
storia che, alla fine, contò quasi un milione di morti.
In ogni caso, si è abissalmente lontani dai 1654 caduti (e 889
feriti) che sono entrati nella leggenda sempre ripetuta. E si è
ben lontani anche dalle migliaia di cadaveri che furono il tragico
prezzo da pagare - in quella lotta spietata - per la conquista di
tanti altri obiettivi militari. É vero che documenti fotografici e
cinematografici mostrano la città semidiroccata. Ma questo perché
(come dimostrò una commissione internazionale (2);
e come fu appurato persino dal tribunale di Norimberga che giudicò
i generali nazisti (14)) prima di
ritirarsi i socialcomunisti e gli anarchici cosparsero di benzina
tutto ciò che poterono e vi diedero fuoco (15).
Non un solo cratere di bomba fu trovato tra le rovine bruciate del
centro storico (10). Fu provato, inoltre,
che i minatori anarchici delle Asturie, fuggendo, fecero saltare
con la dinamite, di cui disponevano in abbondanza, molti edifici
per creare ostacoli alle truppe franchiste (15).
Ma come nacque la leggenda giunta sino a noi, malgrado le
risultanze delle inchieste internazionali (2)
e il lavoro - inascoltato, per lo più - di qualche storico con il
rispetto della sua professione (16)?
All'inizio della manipolazione della verità c'è un corrispondente
di guerra inglese, George L. Steer, il quale, pur non essendo sul
posto quel giorno (17), spedì da Bilbao
(dopo essersi accordato con tre colleghi e connazionali per non
smentirsi a vicenda (18)) una cronaca
fantasiosa al suo giornale di Londra.
Da soldati baschi, Steer (che secondo molti apparteneva allo
spionaggio inglese (19)) aveva appreso
che il lunedì, a Guernica, si teneva un affollato mercato; e
poiché quel 26 aprile era, appunto, un lunedì, lavorò di fantasia
immaginando le inermi massaie e i vecchi contadini spappolati
dalle bombe tedesche (tra l'altro, visto che il mito esige
"cattivi" che lo siano davvero, da allora, parlando di Guernica,
si disse solo dei tedeschi, tacendo degli italiani che furono
invece presenti in forze sul ponte (20)
con tre moderni bombardieri S79 e con 15 caccia CR32). Per tornare
al corrispondente inglese e ai colleghi che gli tenevano bordone:
non sapevano che il mercato quel lunedì non si era svolto, poiché
il Delegato militare del governo basco lo aveva vietato
(21), temendo appunto azioni di guerra. In
ogni caso, non avrebbe potuto essere colpito, visto che il mercato
terminava sul mezzogiorno (22) e l'azione
italo-tedesca si svolse a partire dalle 16,15.
Della corrispondenza fantasiosa di Steer e dei colleghi si
impadronirono subito due propagande: quella anarco-comunista,
naturalmente; ma anche quella britannica, poiché il nuovo governo
di Chamberlain doveva convincere l'opinione pubblica della
necessità di affrontare grandi spese per il riarmo
(23), vista la barbarie tedesca e la potenza
delle sue armi (da qui, l'invenzione che Guernica fosse stata
colpita da modernissimi velivoli (8)). Il
lucroso falso di Picasso (24) completò la
leggenda che tutti, sino a qui, hanno preso per storia vera |
NOTE AL TESTO
(Nota #1) |
Non ho l'edizione 1977 della Spanish Civil War di H.Thomas,
ma sono certo che nell'introduzione alla nuova edizione c'è, come
d'uso, la motivazione che l'ha resa necessaria. La cifra di 1654
morti, citata da George L. Steer non nell'immediato resoconto, ma
in successivi reportages e in The Tree of Guernica (1938),
era stata diramata alle agenzie di stampa dal governo autonomo di
Euskadi, e probabilmente era riferita alle perdite del 26 aprile
su tutto il fronte.
Ma negli archivi di Stato si trova un dispaccio del premier basco
Aguirre al ministro della difesa della Repubblica Spagnola, nel
quale si parla di 200 vittime a Guernica per l'incursione aerea.
[Fonte: Ten.Col. Martinez Bande, "Vizcaya", Editorial S. Martin]
Hugh Thomas si recò in Spagna nel 1959 per raccogliere dati e
testimonianze sulla guerra civile spagnola, e fu osteggiato in
tutti i modi dal regime franchista. Sul bombardamento di Guernica
poté raccogliere notizie e testimonianze da esponenti religiosi
baschi [Fonte: link Catholic Critics] ma in mancanza di
documenti ufficiali fu costretto ad attenersi a quanto scriveva
Steer. Verso il 1970 furono finalmente aperti gli archivi sulla
guerra civile, e in Spagna iniziarono a circolare nuove e più
fedeli ricostruzioni dell'accaduto (tra le quali proprio quella
del colonnello Martinez Bande, capo del servizio storico militare
della Difesa). Thomas, che aveva pubblicato il suo libro nel 1961,
dopo la morte di Franco tornò in Spagna per revisionare il proprio
testo alla luce dei documenti d'archivio. Non fu solo il numero
delle vittime, l'oggetto di questa revisione, pubblicata nel 1977,
ma anche - per esempio - la distanza che separava Guernica dal
fronte quel 26 aprile 1937. [Fonte: link Emory, nelle note al
testo]
Insomma, è una normale revisione dovuta alla disponibilità di
nuovo materiale, come è d'obbligo per qualsiasi storico serio, e
l'ironia di Messori certifica una volta di più che egli non ha la
minima dimestichezza con le metodologie storiche |
(Nota #2) |
torna al
testo di Messori |
Messori nomina in più punti queste fantomatiche "commissioni
internazionali d'inchiesta", come se il potere evocativo delle
parole bastasse a rendere indiscutibili le affermazioni che si
vorrebbero far passare. Figlia della stessa tecnica, gira negli
ambienti di ufologia una frase celebre, "eminenti studiosi hanno
provato...", un tormentone dietro il quale si nascondono i
mitomani e i visionari. Messori dica quali commissioni indagarono,
quando lo fecero, e dove si riunirono. Non per semplice amore
della precisione, ma perché durante il regime franchista non era
consentito a nessuno (e meno che mai agli stranieri) ficcare il
naso negli orrori della guerra civile, come ben sa Hugh Thomas. |
(Nota #3) |
torna al
testo di Messori |
La "verità" ha avuto due facce, dal 1937 fino al 1970: la versione
franchista e quella del resto del mondo. Poiché Messori nega
validità alla seconda, è ovvio che per lui la verità è quella che
si raccontava in Spagna quand'era vivo Franco. Nel 1970 iniziarono
a cadere i paraventi intorno a Guernica, e dopo la morte del
Generalissimo gli spagnoli si affrettarono a denunciare che quella
"verità" era solo un cumulo di menzogne per nascondere le
responsabilità di Franco e dei suoi alleati.
«Tutti sapevamo di chi era la responsabilità del bombardamento,
quali e quanti, 43, erano gli aerei che la "spianarono": però
nessuno si azzardava ad aprire la bocca in pubblico. Era tabù.
Erano stati i "gudaris" baschi in ritirata, i minatori asturiani,
tanto abili con la dinamite, tutti tranne i tedeschi, tanto
carini, tanto rispettosi. La menzogna tardò anni ad essere
scoperta, almeno in forma ufficiale. Gli archivi si erano chiusi
ermeticamente: e Joseba Elosegui, comandante dei Gudaris che
rimase tre ore nella cinta urbana della città incendiata, scrisse:
- Il 19 giugno 1950, Franco, nel 13 anniversario dell'occupazione
di Bilbao e alla cena di gala offerta per la Delegazione di
Vizcaya, ripeté la sua accusa: "Guernica fu distrutta e incendiata
dai marxisti prima della loro fuga".- Poco a poco, la verità si
fece strada.»[Fonte: Link Gernika Vasca]
«I crimini dei fascisti. Il più ovvio di questi fu il
bombardamento nazista di Guernica. I fascisti spagnoli lo negarono
e fino agli anni '70 dichiararono che non c'era stato alcun
bombardamento, o se c'era stato, dovevano essere stati gli stessi
repubblicani a compierlo. Tuttavia l'evidenza storica, scoperta da
Preston e da Thomas nei loro autorevoli studi, è
incontrovertibile.»
[Fonte: Richard Pond, link Capitol Hill] |
(Nota #4) |
torna al
testo di Messori |
«Guernica era una cittadina di 5000/7000 abitanti che nell'aprile
del 1937 era situata vicino alla linea del fronte. La Legione
Condor germanica colpì Guernica per un'operazione puramente
tattica.»
L'unico documento "neutrale" che afferma l'importanza di Guernica
come obiettivo tattico, è uno studio pubblicato nel 1998 dalla
U.S. Air Force (Air University/Air War College presso la Base
Aerea Maxwell,.
Alabama), intitolato Inflated By Air Common Perceptions Of
Civilian Casualties From Bombing [link USAF]. Su
Guernica esprime opinioni per certi versi simili a quelle
franchiste, ma almeno sono dichiaratamente opinioni, come
annunciato in questo «Disclaimer: The views expressed in this
academic research paper are those of the author(s) and do not
reflect the official policy or position of the US government or
the Department of Defense.»
In realtà, leggendo tutto il lunghissimo documento, ciò che preme
ai militari americani è di salvare l'onore dell'aviazione come
entità "metafisica", respingendo tutte le accuse di barbarie e di
infamia che a essa vengono rivolte per i bombardamenti della II
guerra mondiale: anche a costo di assolvere la Legione Condor da
quelle stesse accuse, che come vedremo in un'altra nota, sono
comprovate da documenti inoppugnabili. In realtà Guernica era
completamente decentrata rispetto alla direzione dell'assalto
nazionalista al "Cinturon de Hierro".
Durango, bombardata qualche settimana prima, era in posizione
strategica, e ben difesa. Lì la Legione Condor non andò per il
sottile nello sganciare bombe, ma non colpì deliberatamente le
abitazioni. Infatti nessuno ha mai gridato all'eccidio per i 127
morti di Durango, la maggior parte dei quali civili: c'est la
guerre. Ma per Guernica fu una sorpresa assoluta. I preparativi
per la difesa si erano limitati a sacchetti di sabbia, trincee e
un solo rifugio collettivo. Ci si aspettava che fosse la fanteria
nazionalista a tentare di espugnare la città, con ogni probabilità
preparando l'assalto con un fuoco d'artiglieria. Ma la distruzione
dal cielo non l'aspettava nessuno.
«I guernicani si erano posti all'opera, più per iniziativa propria
che per esortazione del sindaco José de Labauria, un ufficiale di
marina in pensione, per costruire rifugi, accumulare sacchi di
sabbia e materiale di scarto alle porte della città, e rinforzare
porte e finestre.»
Ogni cantina d'abitazione diventava "rifugio", e allora erano ben
oltre i sette citati da Messori. Ma quanti erano i rifugi
collettivi, predisposti dalle autorità? La giovane Karmele,
testimone del bombardamento, racconta che fu sorpesa dalla prima
incursione mentre accudiva il suo orto, e il suo primo istinto fu
quello di dirigersi "al rifugio", non a "un rifugio":
«La idea fija de Karmele era dirigirse hacia el refugio, escapar
de aquella zanja al descubierto.
Cuando los aviones desaparecieron, aprovechó la ocasión para
correr hacia la cuesta del Cojo, en la que estaba situado el
refugio de Duran, en una casa solariega»
[Fonte di entrambe le citazioni: Link Gernika Vasca] |
(Nota #5) |
torna al
testo di Messori |
Se non basta asserire che Guernica aveva una sua importanza
tattica, si accenna allora alla sua importanza strategica:
possedeva due fabbriche di armi che dovevano essere distrutte. La
fabbrica d'armi Unceta y Cia fabbricava armi leggere: da caccia,
ma anche mortai, pistole mitragliatrici e revolver. Era famosa nel
mondo, ed era l'orgoglio dell'imprenditoria basca. Si trovava
all'estrema periferia di Guernica, a fianco dello scalo
ferroviario. Si era dotata di rifugio antiareo per la previdenza
di Don Rufino Unceta, che temeva un'azione dei nazionalisti contro
la sua fabbrica. In realtà, non fu nemmeno sfiorata dalle bombe.
Si ritiene che il generale Mola abbia raccomandato alla legione
Condor di risparmiarla, perché entro due o tre giorni avrebbe
continuato a produrre le sue eccellenti armi, ma per l'esercito
nazionalista. Una fabbrica distrutta non sarebbe servita a
nessuno.
[Fonte: Link Gernika Vasca - ma lo scrive anche Cesar Vidal
su "El Mundo" del 30-6-1999, vedi link El Mundo]
Purtroppo Mola morì poche settimane dopo questi eventi, e non è
possibile avere una conferma diretta circa le sue intenzioni. Però
il fatto che 721 edifici di Guernica andarono distrutti, mentre le
due fabbriche rimasero illese, rende altamente credibile una
deliberata intenzione di appropriarsene in perfetto stato di
funzionamento. Quanto all'altra fabbrica, le Officine di Guernica
(Talleres de Guernica), si sa con certezza che durante la
guerra civile produceva bombe per l'aviazione. Quello che non si
sa è quando questa produzione iniziò. Le Officine, fondate nel
1916, producevano attrezzi e macchinari per l'agricoltura, in
origine. Il sito di questa azienda, nel ricapitolarne la storia, è
molto evasivo.
La produzione di materiale bellico viene affrontata con la
circonlocuzione «has been able to allow for the constant
changes within the industry, adapting its manufacturing technology
and its range of products to the needs of the market».
Sembra improbabile che una fabbrica di bombe, che ovviamente
doveva accumulare alte quantità di esplosivo, fosse così vicina
all'abitato: era posta a fianco della "Unceta", e se fosse
esplosa, avrebbe spazzato via tutta la città. Non si può credere
che fosse questo l'intento strategico di Mola: ma nemmeno le
raccomandazioni ai piloti della Condor erano una garanzia
sufficiente per evitare un disastro immane, che avrebbe privato i
nazionalisti anche della produzione di armi della Unceta. E'
altamente probabile che la fabbrica di utensileria sia stata
convertita alla produzione di bombe dopo la conquista di
Guernica da parte dei nazionalisti, i quali ebbero la possibilità
di sfruttarne i prodotti per i due anni di guerra successivi
(oltre a venderli ai paesi belligeranti durante la II GM). A
sostegno di questa ipotesi, c'è un riferimento nel testo
guernicano:
«Guernica.
La ciudad ideal, (...) con UNA fábrica de armas...»
[Fonte: Link Gernika Vasca].
Rimane perciò in sospeso, e tutta da dimostrare, la questione se
le Talleres de Guernica fossero o meno una fabbrica di armi
nell'aprile 1937. |
(Nota #6)
|
torna al
testo di Messori |
Non esistono "nodi ferroviari" a Guernica. C'è solo una linea, di
importanza locale, che va da Durango al mare, fino a Bermeo. Per
fare un paragone con l'Italia, ha la stessa importanza della linea
Fossombrone-Fano. Quanto al nodo stradale, quello c'è, ma di
importanza risibile. La strada principale è sempre quella che
dall'interno va al mare, accanto al fiume e alla ferrovia. Del
resto il territorio è aspro, e la valle del fiume Oca è piuttosto
angusta. Appena fuori città (verso est) il ponte di Renteria
attraversa il fiume Oca (larghezza una ventina di metri) e la
strada, prima di proseguire verso Lequeitio, si dirama in altre
due direttrici, che raggiungono solo vicini villaggi e che
all'epoca non erano nemmeno asfaltate. Verso ovest, si può
raggiungere Bilbao cambiando direzione almeno tre volte, essendo
necessario aggirare i colli di quella costa montuosa. In realtà,
Guernica non è per nulla un nodo di comunicazione, e non è
raggiungibile facilmente nemmeno dal capoluogo.
[Fonte: qualsiasi carta geografica dettagliata, minimo 1 :
250.000]. |
(Nota #7) |
torna al
testo di Messori |
El Cinturon de Hierro era una linea fortificata che correva
ad almeno 25 km. di distanza da Guernica. Come già dimostrato, la
città non era in posizione strategica, né geograficamente né in
termini strettamente militari. La tragedia di Guernica fu un fatto
imprevisto e casuale: il 25 aprile una parte delle truppe di Mola
(la Primera Brigada de Navarra) sfondò il fronte in un punto poco
protetto, a metà strada tra Durango e Guernica, e avanzò fino alle
falde del monte Oiz, a una dozzina di km. da Guernica
[Fonte: Francesco Pedriali in "Rivista Storica", N.2, Marzo1994]
Steer non lo sapeva quando scrisse che il fronte distava 25 km, e
nemmeno Thomas al tempo della sua prima edizione. Secondo il
ricordo dei testimoni, l'unica unità militare che presidiava
Guernica era un battaglione di Gudaris (fanteria), il "18
de Loyola".
«Però la sua capacità difensiva era nulla. Né contraerea, né
artiglieria, leggera o pesante: una mitragliatrice, vecchi
fucili...» [Fonte: Link Gernika Vasca]
Tuttavia transitavano truppe in ritirata, le quali, dopo aver
abbandonato la difesa dei monti Inchortas, si stavano disponendo
alle spalle della "Cintura di Ferro". Perciò altre fonti [Martinez
Bande, in Vizcaya] citano fra le truppe presenti
momentaneamente attorno a Guernica, anche i battaglioni "Saseta",
"Liola", "Guernikako Arbola". Ma nessuno di questi era disposto in
difesa della città, erano accampati in attesa di schierarsi dove
l'Alto Comando Basco avrebbe loro indicato. |
(Nota #8) |
torna al
testo di Messori |
Gli aerei che parteciparono alla spedizione su Guernica sono stati
descritti in numerosi testi, tra i quali J. Salas Larrazabal,
Guernica, el bombardeo, Industria graficas Espana. Oltre alla
scorta di caccia (inoperosa, non ci fu alcuna opposizione da parte
dell'aviazione basca) c'erano i seguenti tipi di bombardieri:
1) Heinkel He-111. Bombardiere tattico bimotore, carico:
2500 kg. di bombe, velocità 415 km/h. Non solo era nuovissimo, ma
fu il bombardiere di punta della Germania nella battaglia
d'Inghilterra. [Fonte:Andrew Kershaw, War Aircraft 1939-45
(Aerei da guerra 1939-45), Ed.AID]
2) Dornier Do-17. Bombardiere bimotore dalla caratteristica
linea a matita. Debuttante anch'esso, non soddisfece i vertici
della Luftwaffe e fu poco usato nella II GM. Portava solo 1000 Kg.
di bombe e volava a 434 km/h .[Fonte:Andrew Kershaw, War
Aircraft 1939-45 (Aerei da guerra 1939-45), Ed.AID]
3) Junkers Ju-52. Progettato nel 1931, era il più classico
aereo degli anni 30, "il trimotore" per eccellenza. Per questo
modello si può parlare di relativa obsolescenza nel 1937, ma solo
in rapporto agli altri modelli della Luftwaffe. In campo
internazionale era ancora un mostro di efficienza, pur con i suoi
290 km/h. Fu l'aereo più impiegato nella guerra spagnola, con
13000 ore complessive di volo e 6000 tonnellate di bombe
sganciate. [Fonte: link Aircraft]
I testimoni oculari non riportano quasi mai la presenza dei
Dornier, scambiati per varianti dell'He-111, tristemente noto da
qualche mese nei cieli di Spagna. La maggior efficienza di questi
nuovi bimotori era rappresentata dalla velocità, impensabile per
dei bombardieri: essendo più veloci dei caccia spagnoli, era
praticamente impossibile intercettarli.
Del resto, l'aviazione germanica era la più moderna del mondo, e
per un motivo ben preciso: il trattato di Versailles vietava la
costituzione in Germania di un'aeronautica militare, e nei primi
anni '30 gli aerei venivano costruiti di nascosto, in fabbriche
estere. I piloti erano addestrati in Russia (!) e in Italia, e la
Lufthansa, l'aviazione civile, faceva loro da copertura. Nel 1934
Goering annunciò l'esistenza della Luftwaffe, che contava già 2000
apparecchi, e ben presto i nuovi modelli Junkers, Heinkel,
Focke-Wulf e Messerschmidt diedero alla Germania la più
formidabile flotta che avesse mai solcato i cieli.
Infatti la riluttanza a sostituire i vecchi gloriosi modelli, era
causa di grave ritardo tecnologico negli altri paesi, che
cominciarono a correre ai ripari proprio dopo aver visto la
Luftwaffe all'opera nella guerra civile spagnola. Troppo tardi per
tutti, tranne che per gli inglesi, che con lo Spitfire seppero
fare anche di meglio rispetto ai progetti tedeschi.
[Fonte: J.M.Moulton: Le forze in campo, in History of the 20th
Century, Mondadori] L'accenno di Messori a bombardieri "di
vecchio tipo" potrebbe sembrare una semplice carenza di conoscenze
in campo aeronautico, un'annotazione errata gettata lì con
superficialità. Invece più avanti diventa chiarissima la sua
intenzionalità, quando cita "l'invenzione che Guernica fosse stata
colpita da modernissimi velivoli". Stabilito senza ombra di dubbio
che si trattava di quanto di meglio potesse disporre l'aviazione
più avanzata del mondo, resta da capire lo scopo di questa
reiterata insistenza sulla vetustà degli aerei impiegati su
Guernica.
Forse Messori vuole veicolare, attraverso una pretesa obsolescenza
degli apparecchi, l'idea che questi non erano abbastanza
efficienti per provocare danni seri a una città? Fossero anche
stati triplani Fokker, erano comunque in grado di portare un buon
numero di spezzoni incendiari da 2 kg. ciascuno (ne furono gettati
almeno 2500 in pieno centro della città: ordigni di alluminio
ripieni di miscele esotermiche, con un marchio, RhS, e un anno di
fabbricazione, 1936). Il fatto è che la Legione Condor (che aveva
base a Burgos, a poche decine di km.) potè fare indisturbata il
suo raid andando e venendo più volte, e tornando ogni volta con un
nuovo carico. Poteva riempire di bombe qualsiasi bagnarola in
grado di volare, quale differenza potrebbe fare se anche gli aerei
fossero stati di vecchio tipo? Quale motivo può spingere Messori a
sottolineare un particolare così palesemente inutile, oltre che
falso? |
(Nota #9)
|
torna al
testo di Messori |
In realtà potevano esserci motivi tattici, sia pur di modesta
importanza, per giustificare una richiesta di missione alla
Legione Condor da parte del generale Mola. Si trattava appunto di
un'azione di puro ostruzionismo. Come già detto, il giorno
precedente la Primera Brigada de Navarra aveva sfondato il fronte
in corrispondenza del monte Oiz. Lo sfondamento in quel punto non
avrebbe portato alcun beneficio alla marcia su Bilbao (e infatti
non fu sfruttato da Mola, che fermò l'inutile avanzata della sua
Brigata). Però le truppe basche schierate lungo la costa del golfo
di Biscaglia temevano un'avanzata nazionalista verso il mare, il
che le avrebbe rinchiuse in una sacca, impedendo loro di ripiegare
su Bilbao per contribuire alla sua difesa. Due brigate di
Gudaris baschi si mossero dunque per rientrare dietro la linea
di sfondamento: provenivano dalle strade di Lequeitio, Arrazua e
Ayanquiz, che convergevano appena fuori Guernica per attraversare
il ponte sul fiume Oca.
[Fonte: Francesco Pedriali in "Rivista Storica", N.2,
Marzo1994. Inoltre vedasi mappa del fronte]
Essendo l'ultimo prima del mare, quel ponte di Renterìa
rappresentava un punto di passaggio obbligato, e l'unica azione
sensata, tatticamente, sarebbe stata quella di distruggere il
ponte, e non la città. Invece Guernica fu distrutta, e il ponte
rimase illeso, proprio come le fabbriche. Non c'è male, per degli
"importanti obbiettivi strategici". Sembrano giustificate, se pur
ovviamente interessate, le proteste dei guernicani [Fonte:
ancora Link Gernika Vasca]
«Nell'aprile del 1937, non si sa per quale calcolo tattico o
strategico, quel ponticello di Renterìa era diventato per il
generale Mola e per la Legione Condor, regalo di Hitler a Franco,
un obbiettivo primario. Dopo un'incursione aerea devastatrice, con
il lancio di circa 50.000 chili di bombe, il ponte restò intatto.
Attraverso esso il 29 aprile passarono le truppe di Franco per
occupare Guernica. Era, questo sì, un crocevia, una confluenza di
tre strade, l'ultimo ponte prima del mare. (...) Guernica si era
trasformata per il generale Mola, capo delle operazioni nel Nord,
in un falso nodo gordiano. (...) Però non una sola bomba cadde sul
ponte di Renterìa. Era una scusa, un falso scopo? Una brigata di
pontieri ne avrebbe improvvisato un altro in questione di ore. Non
era un obiettivo strategico, quantunque la città entrasse
nell'area delle operazioni in corso nella guerra del Nord.»
La prova dell'assoluta inutilità di martirizzare quella città è
data dalla flemma con la quale Mola si decise infine ad occupare
Guernica: tre giorni dopo il bombardamento mandò la II brigata
italo-spagnola "Frecce Nere" a prendere possesso di quanto
rimaneva della disgraziata città. Utilizzando proprio quel ponte
che sembrava così vitale distruggere... |
(Nota #10) |
torna al
testo di Messori |
Poiché l'aviazione repubblicana era in condizioni di inferiorità
tali da non potersi nemmeno avvicinare a Guernica, la ricognizione
aerea fu effettuata alcuni giorni dopo dalla Condor: prima era
impossibile, gli incendi producevano troppo fumo per poter
scattare fotografie. Nessuno, all'infuori dello Stato Maggiore di
Franco, vide quelle foto, e dunque il conteggio dei crateri è un
atto di fede nei confronti della versione che ne diede il regime.
Si potrebbe obbiettare che le condizioni non erano certo ottimali
per un conteggio accurato, che le fotografie dall'alto non sono in
grado di evidenziare la profondità verticale, che magari i crateri
erano stati riempiti dai guernicani nei giorni successivi... Ma
non è necessario contestare questa faccenda dei crateri. Le bombe
incendiarie non ne fanno. Né servono per distruggere ponti.
Le bombe dirompenti andarono tutte fuori bersaglio, e quante ne
caddero nell'abitato non avrebbero comunque fatto il danno che
invece fecero le "termiti" incendiarie. Il risultato
dell'operazione fu giudicato "formidabile" da Wolfram Von
Richthofen, capo di S.M. della Legione Condor, che si affrettò a
telegrafare a Goering e ricevette personali complimenti da Hitler.
Stupefacente per una "normale operazione bellica", no?
Come si sospettava, e come si seppe per certo dopo il 1945, quando
gli alleati poterono mettere le mani sugli archivi della Luftwaffe,
a Richthofen era stato affidato il compito di eseguire un test
sulle potenzalità strategiche di un bombardamento indiscriminato.
«Da telegrammi requisiti (dopo la guerra, NdR) fra Hitler e
Wolfram von Richthofen, il comandante tedesco di quell'operazione,
il bombardamento fu ritenuto un deterrente per demoralizzare i
difensori della vicina Bilbao.»
[Fonte: link Tamu]
Da oltre un decennio si parlava, negli ambienti militari, delle
teorie del generale italiano Douhet, che profetizzava guerre
future decise dalla SOLA aviazione, in virtù dell'effetto
psicologico demoralizzante della distruzione delle città
dall'alto. Benché condannata moralmente nelle convenzioni
internazionali del 1932/34, questa pratica era una tentazione per
tutte le aviazioni, e alcuni paesi (tra cui l'Italia) la
sperimentarono su piccola scala in repressioni coloniali. La
Germania non aveva più colonie, e la guerra di Spagna si presentò
come l'occasione giusta per verificarne gli effetti.
Questi furono apparentemente decisivi per avallare la teoria di
Douhet, ma erano destinati a essere ridimensionati, nella II
guerra mondiale, dagli accorgimenti difensivi messi in atto dalle
aviazioni da caccia. Proprio quelli che mancarono a Guernica.
« Guernica mise praticamente fine alle polemiche sui bombardamenti
strategici. La tragedia che devastò quella cittadina fece
dimenticare che la situazione spagnola era del tutto eccezionale.
Perfino il comandante dell'aviazione tedesca, esaltato dal
successo, dimenticò che le forze repubblicane avevano solo
un'aviazione antiquata e pochi cannoni, e praticamente non avevano
dispositivi d'allarme per proteggere le loro città, che del resto
si trovavano a pochi minuti di volo dagli aeroporti nemici. [...]
Nessuno fece notare che la Legione Condor e l'aviazione italiana
avevano aiutato Franco non attaccando la popolazione civile ma
soprattutto appoggiando le operazioni di terra.»
[Fonte: J.M.Roberts: Illusioni e realtà, in History of the 20th
Century, Mondadori] |
(Nota #11) |
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testo di Messori |
Messori sostiene che "da accurati controlli all'anagrafe" i morti
di Guernica furono 93. Cosa significa un controllo all'anagrafe?
Significa che il numero dei decessi, quel 26 aprile 1937, fu
registrato in 93 unità. Con nomi e cognomi, naturalmente. Ma
altrettanto naturalmente si tratta dei residenti di
Guernica. Quel giorno a Guernica c'erano almeno 3000 persone non
residenti. C'erano i soldati dei vari battaglioni già elencati (Messori
parla di "qualche vittima tra i soldati isolati": ma la città non
"rigurgitava di soldati e di mezzi militari"?)
C'erano poi gli sfollati di Guipuzcoa, un numero imprecisato ma
sufficiente a sconvolgere la quotidianità di Guernica.
«La popolazione, dai suoi 7000 abitanti, era cresciuta in modo
anormale con il flusso dei rifugiati, soprattutto guipuzziani che
fuggivano davanti all'avanzata del gen. Mola. Guipuzcoa era caduta
nelle sue mani, e i ribelli, gli italiani, e le truppe marocchine
avanzavano verso Bilbao. Guernica, per tutto ciò, ferveva di
attività in quei giorni. I forni dei panettieri funzionavano a
pieno ritmo, le taverne erano piene di parrocchiani, le mercerie
vendevanoperfino la tela per tende per confezionare vestiti. C'era
denaro contante, ma mancavano i generi di prima necessità.»
[Fonte: Link Gernika Vasca]
E infine c'erano gli abitanti del contado, convenuti per il
mercato. (Di questo mercato mi occuperò più avanti). Tutta gente
allo scoperto, cui le cantine dei residenti non potevano offrire
sufficiente rifugio. Poiché quelli fra costoro che morirono nel
bombardamento non erano iscritti all'anagrafe di Guernica, è del
tutto inutile fare "accurate indagini" negli uffici comunali. La
questione del numero delle vittime è irrisolta, è accettato ormai
da tutti che ci si debba affidare alle stime.
«The exact number killed is not known although 45 people died
in the hospitable» [Fonte: link Tamu]
«Gli storici non si mettevano d'accordo sul numero dei morti:
1600, 800, i 200 di Vicente Talon fino alla "dozzina" di Ricardo
de la Cierva. Si trastullavano con i morti per nascondere le
responsabilità della Storia.» [Fonte: Link Gernika Vasca]
Come già detto alla nota #1, il premier basco Aguirre comunicò a
Madrid una cifra estimativa di 200 vittime. Lo storico
contemporaneo Cesar Vidal parla di 250/300 [Fonte: "La
destruccion de Guernica" cap.9, vedi link Basque History]. Ma
lo studio della Air University sugli effetti dei bombardamenti
(già citato in nota #4) compie un'analisi approfondita sul
problema, nell''intento di smentire il numero di 1654
vittime riportato da Thomas nell'edizione 1961. Gli autori
sembrano non sapere che lo storico inglese ha rettificato questo
numero, che da anni non è più sostenuto da nessuno.
«Tuttavia la cifra ufficiale delle vittime di Guernica merita
un'esame più approfondito. Se le cifre ufficiali sono corrette,
allora il bombardamento di Guernica da parte della Legione Condor
risulterebbe aver causato approssimativamente 41 vittime per
tonnellata di bombe 1654 morti per circa 40 tonnellate di bombe).
Questa è una cifra incredibile se si compara Guernica con le più
devastanti incursioni aeree eseguite in europa nella II guerra
mondiale. Nel raid su Amburgo del luglio 1943, la RAF sganciò 4644
tonnellate di bombe per produrre circa 7,5 vittime per tonnellata
di bombe. (...) Comunque, anche una stima realistica basata sulla
massima efficacia dei bombardamenti (7-12 vittime per tonnellata
di bombe) produrrebbe una cifra di forse 300-400 vittime a
Guernica. Questo è certamente un evento abbastanza sanguinoso, ma
annunciare che una piccola città era stata bombardata con poche
centinaia di vittime, non aveva lo stesso effetto che annunciare
che una città aveva subìto un bombardamento con quasi 1700 morti.»
Nello "sfatare la leggenda" dei 1654 morti, i ragionieri della
morte dell'USAF finiscono per stimare una cifra anche superiore a
quella di Vidal. Il numero di 200 vittime è quindi da considerarsi
il "minimo" stimabile, data l'impossibilità di contarle con
esattezza, a tanti anni di distanza. |
(Nota #12) |
torna al
testo di Messori |
Come già visto nella Nota #4, nel racconto della testimone Karmele
c'era un solo rifugio pubblico. E non crollò affatto, altrimenti
non sarebbe ancora viva per raccontarlo. Se ci fossero stati altri
rifugi per almeno 40 persone (quasi la metà dei 93 morti
"all'anagrafe") i guernicani dovrebbero ricordarlo, ma nessuno fa
menzione né della sua esistenza né tantomeno del crollo che
avrebbe provocato tutte quelle vittime. Con ogni probabilità, si
tratta di una di quelle invenzioni franchiste con le quali
pensavano di giustificare il disastro di Guernica. Quanto agli
appalti truccati, Messori sembra convinto che il sindaco, o chi
per esso, avesse avuto la lungimiranza di bandire per tempo un
appalto per un rifugio antiaereo, in una zona che fino a qualche
giorno prima non si sarebbe mai aspettata di diventare zona di
guerra. Sempre alla Nota #4 c'è un preciso resoconto
dell'impreparazione delle autorità all'avvicinarsi improvviso del
fronte, con i cittadini impegnati in iniziative individuali per
resistere a un attacco di forze terrestri. Se quella di Messori è
una battuta, è di pessimo gusto, gratuitamente lugubre. |
(Nota #13) |
torna al
testo di Messori |
Il numero di abitanti di Guernica viene riportato da più fonti in
7000 unità. «La popolazione, dai suoi 7000 abitanti, era cresciuta
in modo anormale con il flusso dei rifugiati» (vedi Nota #11) "Guernica
was a small town of 5,000-7,000 people that in April,1937 was
located close to the front lines." (ancora Nota #11) Però
Cesar Vidal parla di 5000 abitanti [in link Basque History]
e la cosa non avrebbe tutta questa importanza se non fosse per le
polemiche sul numero delle vittime in rapporto alla popolazione
globale. Probabilmente il nucleo abitato, sul fondovalle, contava
5000 anime, e altre 2000 era sparse in frazioni, ivi compresa Luno,
sul fianco del monte. Infatti oggi il comune si chiama Guernica y
Luno, e la popolazione totale è di 8000 abitanti [Fonte:
Enciclopedia Geografica Mondiale, DeAgostini 1995]
La ridotta mortalità (se accettiamo un minimo di 200 vittime su un
massimo di 7000 abitanti) è al di sotto delle stime dell'USAF, ma
è dovuta all'uso prevalente delle bombe incendiarie, che
tendenzialmente non uccidono per onda d'urto, né fanno crollare le
case di schianto. La tragedia di Guernica non fu dovuta tanto agli
esplosivi da 50 kg, o ai mitragliamenti nelle strade, quanto
all'incendio (causato dalle bombe al fosforo) al quale c'era - per
fortuna - il tempo per sfuggire. Le "termiti" erano state già
adoperate in precedenza a Madrid, con scarsi risultati, [Fonte:
Herbert Southworth, "La destrucción de Guernica") ma Guernica
era il test ideale per questi nuovi ordigni: le case erano per la
maggior parte in legno ed erano ben ravvicinate, divise fra loro
da stretti vicoli medievali. [Fonte: Link Gernika Vasca]
|
(Nota #14) |
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testo di Messori |
Per una volta, Messori cita qualcosa di verificabile, e cioè il
processo di Norimberga. Con qualche malizia si potrebbe insinuare
che data la vastità di quel processo, qualunque cosa se ne dica
non potrà mai essere verificata. Quindi dire che a Norimberga si è
parlato di Guernica, cioè di fatti che precedettero la II guerra
modiale, può risultare poco credibile ma difficile da confutare. O
meglio, ERA difficile da confutare prima dell'avvento di
Internet...
Si dà il caso che tutti gli atti del processo siano consultabili
in rete, e precisamente sul sito
http://www.yale.edu/lawweb/avalon/imt/imt.htm. Di
più, quel sito dispone di un motore di ricerca, e cercando le
occorrenze di "Guernica", appare solo questo breve interrogatorio
di von Rundstedt, nell'udienza mattutina del 12 agosto 1946:
Comandante Calacoressi (PM): Può descrivere come "esecizi
difensivi" quelli che futrono effettuati con stukas e e altre armi
a Guernica in Spagna?
Von Rundstedt: Non sono in grado di dare alcuna
informazione su questo. uando fu deciso il riarmo nel 1935 o 1936,
credo, l'Aviazione introdusse anche gli stukas. Ma non lo so. Ad
ogni modo, ritenevo che a quel tempo ogni tipo di arma fosse
giustificata dalle esigenze di riarmo dell'Esercito.
Come sappiamo, gli Stuka non erano ancora entrati in servizio
all'epoca di Guernica. Pare che a Norimberga nè il PM né von
Rundstedt sapessero di cosa parlavano. Soprattutto il secondo, che
dà l'impressione di essere stato attendente alla mensa uffciali,
anziché Capo di Stato Maggiore... |
(Nota #15) |
torna al
testo di Messori |
Ancora una volta la locuzione "è provato che" mi riporta alla
mente le amene teorie degli ufologi. Chi ha provato, e quando?
Dove sono le risultanze delle indagini? Quali prove sono emerse?
La storiella dell'incendio di Guernica da parte dei Baschi, e
della sua ulteriore distruzione con la dinamite per uso minerario,
è stata forse la più ridicola delle invenzioni del regime
franchista. Lo sostiene perfino un testo che, come si è visto, per
molti versi nega l'eccidio premeditato da parte della Legione
Condor:
«A questo punto, non sarà mai possibile ottenere una cifra esatta
per le vittime di Guernica, poiché i Nazionalisti spagnoli
dichiararono che la città non era mai stata attaccata dal cielo e
che i Repubblicani avevano fatto saltare la città con la dinamite
per una manovra propagandistica. Questo livello di stupidità fu
ufficialmente mantenuto durante l'intero arco del quarantennale
regime di Francisco Franco e, presumibilmente, la polizia segreta
di Franco fece sparire ogni prova tangibile (certificati di morte,
registri di chiese ed ospedali, ecc.) del bombardamento eseguito
per ordine dei Nazionalisti.»
[Fonte: Inflated By Air..., link USAF]
Perché anche gli americani giudicano "a bit of foolishness" questa
versione? Per diversi motivi logici. Per il carattere simbolico
della cittadina, "santuario" dell'indipendenza basca, era
impensabile che potesse essere sacrificata per gettare il
discredito sui nazionalisti. Un po' come credere che i cattolici
fossero disposti a radere al suolo Santiago de Compostela per
darne la colpa ai comunisti... Inoltre, perché non aveva alcun
senso far saltare gli edifici nel centro della città. Si veda la
mappa di Guernica, che mostra la disposizione degli edifici
distrutti: se l'intenzione era, come sostiene Messori, di "creare
ostacoli alle truppe franchiste", i baschi in ritirata avrebbero
dovuto far saltare proprio quel ponte di Renterìa uscito intatto
dal bombardamento! Una volta attraversato il fiume Oca, le truppe
di Mola potevano tranquillamente girare attorno a Guernica senza
attraversare il centro (cosa che fecero tranquillamente le Frecce
Nere qualche giorno più tardi). Infine, se fosse vero che le
Talleres de Guernica già fabbricavano bombe, non sarebbe stato
igienico usare volontariamente la dinamite in sua prossimità? (c'è
un edificio distrutto proprio di fronte, a meno di 20 mt.) |
(Nota #16) |
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testo di Messori |
E' lecito sapere quali storici hanno il rispetto per la loro
professione, secondo Messori? Ricardo de la Cierva e quelli come
lui che inventarono la versione di comodo per le scuole spagnole,
e che ora, smentiti non solo da tutto il resto del mondo, ma anche
dai loro stessi connazionali, tacciono e non danno nessuna
"spiegazione" ? [Fonte: Link Gernika Vasca]
Quella spiegazione che Messori magari pretende da Hugh Thomas per
la sua edizione rivista e corretta. Ma Thomas non è uno storico
serio, se indaga a distanza di anni per verificare e correggere
eventuali imprecisioni. Ricardo de la Cierva sì che è un vero
storico, scrisse che il bombardamento provocò dodici morti e non
ritrattò mai nulla per rispetto della sua professione. |
(Nota #17) |
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testo di Messori |
George Steer non nega affatto di non essere stato presente durante
il bombardamento di Guernica. Ci mancherebbe che un corrispondente
di guerra debba per forza essere sul luogo della battaglia,
altrimenti i suoi reportages sono falsi... Evidentemente Messori
ignora tutto di quella professione, e poiché presumo che questo
pio cattolico abbia orrore della guerra, non posso fargliene una
colpa.
Ma è d'obbligo allora ristabilire la cronologia dei fatti. Steer e
i suoi colleghi della stampa internazionale stavano a Bilbao, a
riferire dei preparativi per resistere al prossimo e decisivo
attacco dei franchisti. A Guernica non c'erano giornalisti, a
riprova della proditorietà dell'attacco a quella città: se fosse
stata la fortezza ben munita che Messori descrive, passaggio
obbligato per la marcia su Bilbao, i corrispondenti sarebbero
stati lì in buon numero ad attendere l'urto nazionalista. L'ultima
ondata di aerei passò sulla città alle 19.45, e quando la notizia
del bombardamento giunse a Bilbao, era sera inoltrata. I
corrispondenti di guerra si misero in contatto freneticamente coi
loro giornali, per dare almeno la notizia nuda e cruda prima della
"chiusura".
Quindi si gettarono alla ricerca di qualsiasi mezzo disponibile
per raggiungere Guernica (che, come già detto, non è collegata a
Bilbao con una strada diretta) e, intralciati da interminabili
colonne di terrorizzati cittadini in fuga, giunsero a destinazione
solo a notte fonda. Lo racconta lo stesso Steer nella famosissima
corrispondenza pubblicata dal Times il 28 aprile: «Alle due di
questa notte, quando visitai la città, mi si presentò agli occhi
una scena raccapricciante: tutto era un mare di fiamme. Il
bagliore degli incendi poteva essere scorto sulle montagne alla
distanza di 10 migliai tra nuvole di fumo.(...) Molti dei
superstiti si misero in viaggio per Bilbao su antichi carri
agricoli baschi, dalie ruote piene, trainati da buoi. Carri
ricolmi fino all'inverosimile delle masserizie che i fuggiaschi
avevano potuto salvare da quell'immane disastro ostruirono le
strade per tutta la notte.»
[Fonte: link Emory]
Si dirà che Steer poteva inventarsi qualsiasi cosa, stando
comodamente in albergo a Bilbao... Ma l'arrivo della colonna di
giornalisti fu notato dalla testimone Karmele, che individuò lo
stesso Steer tra gli altri:
«D'improvviso, tutto era diventato oscuro, impenetrabile. Quando
arrivai a Luno, dove viveva una mia cugina, vedemmo Guernica, in
basso, trasformata in un fuoco d'artificio di San Giovanni. Era
già notte, però sembrava come di giorno. Quello splendore
rossastro si vide ben presto fino a Lequeitio o fino a Bermeo, i
paesi vicini sulla costa del mare. O dalla strada di Bilbao, per
la quale arrivavano i primi corrispondenti stranieri. Fra questi
c'era George Steer, del Times di Londra, un giornalista serio,
lucido e brillante.»
[Fonte: link Gernika Vasca] |
(Nota #18) |
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testo di Messori |
Abbiamo appurato che la presenza del reporter inglese a Guernica,
il giorno 27 aprile, è fuori di dubbio. Messori sostiene invece
che Steer non si mosse da Bilbao, e che si inventò i truculenti
particolari del bombardamento a scopi propagandastici.
Probabilmente basandosi sul fatto che la corrispondenza pubblicata
dal Times il 28 aprile era stata inviata per via telegrafica da
Bilbao, la sera del 27. Nulla di più. Eppure la spiegazione di ciò
è così semplice....
Come racconta George Steer nel suo libro The Tree of Guernica,
dopo aver raccolto le testimonianze dei guernicani ancora sotto
choc, egli scrisse di getto il suo famoso reportage e tornò nel
pomeriggio dello stesso 27 a Bilbao per spedirlo al Times, dato
che a Guernica non funzionavano né il telegrafo né i telefoni. I
suoi colleghi della stampa inglese (che risultano essere quattro e
non tre - fonte: Francesco Pedriali in "Rivista Storica", N.2,
Marzo1994) erano sì d'accordo ma su una cosa sola: che il
"pezzo" di Steer era di grandissima efficacia giornalistica, il
migliore di tutti.
Non fecero scene di gelosia quando i loro giornali preferirono la
cronaca di Steer alle loro: dal New York Times a L'Humanité,
i giornali di tutto il mondo si contesero infatti quel centinaio
di righe così scarne e drammatiche. [Fonte: link Emory]
Se dopo tanto clamore per quell'articolo, si fosse scoperto che si
trattava di un falso, i primi a indignarsi sarebbero stati gli
inglesi. Soprattutto quelli che venerano l'autorevolezza del
Times (il cui direttore, come vedremo, restò ore in ambasce
senza decidersi a pubblicarlo). Eppure non si trovano tracce di
polemiche per questo falso scoop, in tutta l'area anglosassone.
|
(Nota #19) |
torna al
testo di Messori |
Secondo molti, Steer era una spia inglese. Un'altra frase
esemplare, tratta dall'Enciclopedia della Maldicenza. Ma chi sono
questi "molti"? Da dove viene questa "soffiata"? Non c'è più
motivo, da decenni ormai, di tenere occultate le storie di
spionaggio nella II guerra mondiale.
Ogni ricerca effettuata in rete su George Steer dà lo stesso
esito. Visse da corrispondente di guerra, e morì in Birmania nel
1944 come corrispondente di guerra. Punto e basta.
Ma cosa significa allora questa parentesi, nel testo di Messori?
Un tentativo di discredito del giornalista, naturalmente, uno dei
tanti tentativi di cui si parla nel link Emory.
Steer, essendo al servizio dell'Intelligence Service, doveva
"disinformare" i suoi connazionali a tutto favore delle lobbies
guerrafondaie presenti nel governo... Secondo Messori, questo
renderebbe più credibile il fatto che Steer si sia inventato tutto
di sana pianta, convincendo DA SOLO tutto il mondo che il
bombardamento di Guernica era avvenuto proprio come lui l'aveva
descritto. Se Messori si fosse preso il disturbo di leggere i
libri di Hugh Thomas, o di Paul Preston, o anche di Martinez
Bande, saprebbe che la dinamica del bombardamento NON è riportata
come Steer l'ha descritta basandosi sui confusi racconti dei
testimoni ancora sotto choc. Gli storici hanno consultato i piani
di volo della Legione Condor, e perfino i diari personali dei
piloti. [Fonte: link Gernika Vasca]
I particolari del bombardamento risultano assai diversi dal
resoconto di Steer, e ciò non significa affatto che la "spia"
inglese si sia inventato tutto, naturalmente. Significa solo che
un pezzo giornalistico non può sostituire la ricerca storica,
nemmeno se desta grande impressione e diventa un "pezzo di storia"
esso stesso, come il J'accuse di Emile Zola. |
(Nota #20) |
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testo di Messori |
«Gli aerei italiani raggiunsero l'obbiettivo circa un'ora dopo il
decollo. Le loro istruzioni erano molto chiare. Erano di
"bombardare la strada e il ponte a est di Guernica, in modo da
impedire la ritirata al nemico". "Per ragioni politiche", non
erano di bombardare la città. Non sembra difficile intuire
l'esatta natura di quelle "ragioni politiche". Come abbiamo già
visto, gli Italiani stavano cercando da tempo di ottenere la firma
di un accorso di pace separato con i nazionalisti baschi.
Ovviamente, sarebbe stato illogico gettare al vento quei
precedenti contatti per via di un atto che, in termini militari,
era relativamente secondario. La distruzione di una città
dell'importanza simbolica di Guernica poteva provocare nei Baschi
nazionalisti una reazione tale da vanificare mesi di sforzi
diplomatici. Perciò, il bombardamento doveva essere limitato a
obbiettivi strettamente militari situati in quella che potrebbe
essere chiamata la periferia della città.»
[Fonte: Cesar Vidal in "La destruccion de Guernica", Trad. di
Peter Miller per il link Basque History]
Non è ben chiaro a cosa alluda Messori quando scrive che "si tace"
sulla presenza degli aerei italiani. Analizzando la frase, pare
voglia intendere che tutta la vicenda è stata mitizzata in questo
modo: "i cattivissimi tedeschi rasero al suolo Guernica per puro
sadismo", e l'omissione della partecipazione degli italiani
nell'azione "dimostrerebbe" l'inconsistenza del mito. Se è così,
Messori prende l'ennesimo granchio. Evidentemente vuol far credere
che tutti, storici e non storici, raccontano quei fatti senza
nemmeno sapere come si sono svolti, attingendo unicamente da Steer,
che infatti non riferì della presenza di aerei italiani. Invece
gli storici lo sanno, e lo scrivono pure nei loro libri:
basterebbe che li leggesse, invece di ripetere le "verità di
Stato" franchiste. Certo, la versione vulgata, tipo le 10
righe sull'argomento che si possono leggere in un'enciclopedia,
difficilmente ne farà cenno.
Ma se oggi si dice che "furono i tedeschi a distruggere Guernica",
non è per disinformazione sulle modalità del bombardamento. Si può
tranquillamente affermare ciò anche senza sapere che un gruppo di
aerei italiani accompagnava i bombardieri della Condor; il
particolare rivestirebbe qualche importanza solo se gli SM79
avessero sganciato qualche bomba sull'abitato. Messori stesso
scrive che "furono invece presenti in forze sul ponte", e a questo
punto mi chiedo con quale logica vorrebbe svelare "l'impostura"
protestando perché nessuno ha detto che gli italiani avevano
bombardato Guernica. Nessuno l'ha riferito in questi termini
semplicemente perché non è vero. L'azione degli Italiani è un
dettaglio insignificante, e comunque quella partecipazione non è
un segreto per nessuno: sono a disposizione da un pezzo gli
archivi della nostra Aviazione. [si veda Archivio Uffficio
Storico Aereonautica Militare Italiana] E benché la cosiddetta
vulgata del bombardamento Guernica non ne parli affatto,
tutti gli storici che se ne sono occupati citano il ruolo
marginale avuto dall'Aviazione Italiana, come pure lo citano gli
articoli che periodicamente lo ricordano. [Cfr. Francesco
Pedriali in "Rivista Storica", N.2, Marzo1994] |
(Nota #21) |
torna al
testo di Messori |
Poiché Messori non cita mai le fonti cui attinge, si può solo
"intuire" che abbia trovato su un testo franchista la storia del
"delegato militare" che vietava il mercato del lunedì. Come già
citato in Nota #15, perfino gli americani dell'Air University
ritengono che «Franco 's secret police expunged any solid
evidence», e non meraviglierebbe più che tanto il ritrovamento
in qualche archivio di una falsa ordinanza creata ad hoc, che
appunto vietava il mercato per il 26 aprile 1937.
Ma in realtà non ha nessuna importanza sapere se esista questa
ordinanza, e se sia vera oppure falsa. Non ha importanza perché in
tutti i casi fu disattesa, il mercato si tenne ugualmente
come tutti gli altri lunedì. Il particolare del mercato ben lo
ricordano i guernicani, e a meno che non si fossero messi tutti
d'accordo con George Steer, così lo descrivono: «Quel 26 aprile si
diedero appuntamento a Guernica i contadini che venivano dai loro
villaggi per vendere i prodotti dei loro campi e approvvigionarsi
di viveri, vestiario e manufatti.»
[Aquel 26 de abril se dieron cita en Guernica los aldeanos que
llegaban desde sus caseríos para vender los productos de sus
huertas y aprovisionarse de víveres, ropa, aperos de labranza]
[solita fonte: sito Gernika Vasca]
Possono essersi sbagliati i cittadini di Guernica, possono
ricordare male?
Può darsi. Però Cesar Vidal, che scrive negli anni 90 con ormai
tutti gli archivi a disposizione, sembra non sapere nemmeno lui
che il "delegato militare" di Messori aveva vietato il mercato: «The
people in Guernica, numerous, because it was market day...» [in
"La destruccion de Guernica", cap.9 - vedi link Basque History]
|
(Nota #22) |
torna al
testo di Messori |
Come preso da un dubbio, Messori (o meglio l'autore del libello a
cui Messori si ispira) aggiunge che "in ogni caso" il mercato
durava fino a mezzogiorno. Cioè anche nel caso che si scoprisse
che il mercato c'era stato davvero, e che quella del "delegato
militare" sia una bufala...
Quale importanza riveste la durata di un mercato? Si vuol far
credere che se i piloti della Condor avessero visto dall'alto gli
onesti contadini con le loro vacche alla cavezza, non avrebbero
sganciato le bombe? Mah! Comunque nemmeno qui l'impietosa realtà
risparmia la fabbrica di menzogne cui attinge Messori. C'è infatti
l'autorevole testimonianza di padre Alberto Onaindia di Valladolid,
definito «a man of "unchallengeable veracity,... who personally
witnessed the catastrophe.»
[Fonte: Claude G. Bowers, "My Mission to Spain", citato nel sito
Catholic Critics]
La testimonianza integrale di padre Onaindia suona così, tradotta
dallo spagnolo all'italiano: «Arrivai a Guernica il 26 Aprile alle
4,40 del pomeriggio. Ero appena sceso dalla vettura quando
cominciò il bombardamento. La gente era terrorizzata. I CONTADINI
FUGGIRONO DAL MERCATO abbandonando i loro animali. Il
bombardamento durò fino alle 7,45. Durante quel tempo non
passavano cinque minuti senza che il cielo non fosse oscurato
dagli aerei tedeschi. Il metodo di attacco fu sempre lo stesso.
Prima mitragliavano, dopo lanciavano le bombe esplosive e alla
fine quelle incendiarie. Nelle buche delle strade si ammucchiavano
insieme stesi al suolo uomini, donne, bambini. Si udivano grida di
dolore da tutte le parti e la gente terrorizzata si inginocchiava
levando le mani al cielo come se implorasse.»
[Fonte: link Arido. Disclaimer: per il resto del contenuto non
ritengo questo sito sufficientemente attendibile.] |
(Nota #23) |
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testo di Messori |
Per prima cosa, Chamberlain divenne primo ministro un mese dopo il
bombardamento di Guernica, per cui l'illazione che vorrebbe Steer
"agente segreto" al servizio del guerrafondaio Chamberlain è
semplicemente ridicola. In secondo luogo, il premier inglese è
passato alla storia come "quello dell'appeasement", capace di
perdere la faccia a Monaco pur di non impegnare il Regno Unito in
un braccio di ferro al quale era del tutto impreparato.
In realtà l'opinione pubblica inglese lo elesse proprio per
questo, era disposta ad accontentare la Germania in ogni sua
rivendicazione pur di non rifare la traumatica esperienza di vent'anni
prima. Prova ne sia che il direttore del Times fu sul punto
di rifiutare l'articolo di Steer, ben sapendo che avrebbe influito
sull'opinione pubblica e sui rapporti con la Germania: «Geoffrey
Dawson, il direttore del più prestigioso quotidiano nazionale
britannico, accettò con molta riluttanza di pubblicare il rapporto
sul bombardamento nel suo giornale: "Feci del mio meglio, notte
dopo notte, per tener fuori dal giornale qualsiasi cosa potesse
urtare la suscettibilità dei tedeschi"»
[Fonte: link Capitol Hill]
Secondo i diari di Lord Alanbrooke, Capo di Stato Maggiore
Generale, le "grandi spese" per il riarmo inglese produssero
questa situazione, quando infine scoppiò la guerra nel 1939:
«Quanto agli armamenti terrestri, considerati gli enormi progressi
della tecnica negli ultimi dieci anni, l'Inghilterra era ancora
quasi nelle condizioni di uno Stato asiatico del XIX secolo che,
con le tradizionali armi del pasato, avesse osato sfidare una
potenza europea dotata di artiglierie moderne e armi
automatiche.[...] Quando nel 1935 l'Inghilterra procedette a un
riarmo parziale, le esigenze della marina e dell'aviazione ebbero
la precedenza assoluta, mentre l'esercito rimase quasi nello
stesso stato di abbandono in cui era caduto negli anni dal '20 al
'30, periodo nel quale contava meno di 150.000 uomini. Infatti per
il riarmo delle forze di terra furono spesi meno di due milioni e
mezzo, mentre per la marina ne furono spesi tredici e per
l'aviazione sette e mezzo.»
[citato da Arthur Bryant in "Tempo di guerra", Longanesi]
«Nel luglio 1934, quando Churchill aveva ammonito il parlamento
che la Germania possedeva un'aviazione che si andava rapidamente
potenziando in segreto, la RAF aveva in patria 488 bombardieri e
caccia da prima linea.[...] Quando fu messo a punto il sistema di
rilevazione per mezzo della radio (poi Radar) e apparve il caccia
ad alta prestazione armato di otto mitragliatrici, i caccia ebbero
la precedenza sui bombardieri.»
[Fonte: J.M.Moulton, Le forze in campo, in History of the 20th
Century, Mondadori]
«Solo con una certa difficoltà il governo inglese aveva costretto
prima della guerra la RAF a dirottare risorse dalla produzione di
bombardieri a quella di caccia, tanto i capi dell'Aviazione erano
convinti della correttezza della dottrina di Dohuet della
"vittoria grazie alla forza aerea"» [Fonte: John Keegan, "La
grande storia della guerra", Mondadori]
Avevo già citato Douhet nella Nota #10, a proposito dell'eccessiva
importanza che veniva data, negli anni '30, alla strategia del
bombardamento aereo. Guernica contribuì a rafforzare questo
"terrore che viene dal cielo", e allo scoppio della guerra molti
persero la testa.
«Non stupisce che le masse sentissero così scarso entusiasmo per
la guerra. Pareva che la triste storia delle battaglie terrestri
dell'ultima guerra dovesse ripetersi. C'erano anche molti motivi
per crederlo, per credere anzi che sarebbe stata ancora più dura.
Non solo i soldati ma anche i civili sarebbero stati massacrati.
[...] L'illusione scaturiva dalla visione, senza fondamento nella
realtà, delle possibilità dell'arma aerea , che nel 1939 era la
sola grossa fonte di terrore e di allarme. Lo rivelarono il panico
che dilagò a Parigi due giorni prima della guerra e la triste
rassegnazione che traspariva da molti resoconti inglesi sulla
reazione alle sirene d'allarme che si misero a ululare pochi
minuti dopo la fine del discorso di Chamberlain quella domenica
mattina 3 settembre.»
[Fonte: J.M.Roberts: Illusioni e realtà, in History of the 20th
Century, Mondadori]
La fortunata, o lungimirante, mossa inglese di puntare sul radar e
sui caccia, fu la salvezza della Gran Bretagna e probabilmente
dell'intera Europa. Nel 1939 i caccia moderni, Spitfire e
Hurricane, erano solo 500, ma raddoppiarono in tempo per la
Battaglia d'Inghilterra.
I fatti di Guernica non scatenarono una corsa all'armamento, ma
indirizzarono il modesto flusso di fondi verso una soluzione che
si rivelò la più idonea. Se non ci fosse stata Guernica,
probabilmente non ci sarebbero stati nemmeno quei 500 caccia...
|
(Nota #24) |
torna al
testo di Messori |
Le penose calunnie sull'opera "Guernica" di Picasso meritano un
discorso a parte. Occupano la prima parte dell'articolo di Messori
(qui omessa), e si rivolgono sia agli aspetti storici del grande "murales",
che a quelli artistici. Per questi ultimi ritengo che questa non
sia la sede adatta per parlarne, ma la parte storica che riguarda
la genesi dell'opera è altrettanto arbitraria e falsa quanto la
ricostruzione del bombardamento di Guernica. Esistono documenti
fotografici che mostrano Picasso al lavoro su quel quadro. Sono
fotografie scattate da Dora Maar, l'artista che all'epoca era
compagna di Picasso, e oltre a essere state pubblicate in volume,
vengono presentate nelle numerose mostre allestite in giro per il
mondo. |
CONCLUSIONI |
torna al
testo di Messori |
E' del tutto evidente che Messori ha letto uno dei tanti libri
contenenti la "verità governativa" di Francisco Franco. Ho potuto
constatare che queste vergognose imposture sono ben conosciute nel
mondo, e da trent'anni sono state riconosciute come tali anche in
Spagna, a livello ufficiale. Perché allora prendersela con Messori,
anziché col vero autore (che comunque non viene mai citato)?
Messori ha un suo pubblico fedele, che lo ritiene uomo corretto e
scrittore attendibile. La sua completa ed acritica adesione a
quella incredibile versione, per di più aggravata dal piglio
ammiccante ( "la so lunga, io") e dalla sua ironia nei confronti
di seri studi storici (che egli liquida come "propaganda" per
ingenui creduloni), sono da considerare veri e propri attentati
alla verità storica . Non è possibile credere alla sua buona fede.
Tant'è vero che da quando questo mio modesto lavoro è apparso su
un newsgroup di storia, il sito Kattoliko.it ha ribadito le sue
menzogne affiancando a quello di Messori un altro testo, di Paolo
De Marchi, che pur facendo marcia indietro su qualche punto
marginale, conferma in linea generale la prima versione.
Questo è un deliberato tentativo di falsificare dei fatti
che i cattolici ritengono "scomodi". Se Messori avesse scritto che
nella guerra di Spagna i franchisti avevano ragione nonostante
la barbarie dei nazisti che li aiutavano, non avrei buttato tanto
tempo e tante energie per contestarlo. |
NOTA ALLE NOTE |
Ove possibile, ho privilegiato i riferimenti a opere stampate,
delle quali cito Autore, Titolo, Editore. Tuttavia si è reso
necessario ricorrere a documenti pubblicati online su Internet, in
quanto non ho il tempo né la disponibilità di consultare le
biblioteche.
Conosco perfettamente i rischi derivanti dal riportare notizie
reperite in rete, e ho dovuto fare spietati test di attendibilità,
scartando decine di siti che mi avrebbero pur fatto comodo, in
quanto riferivano i fatti troppo vagamente o con eccessiva foga
polemica. Devo annotare che le tesi di Messori sono praticamente
inesistenti nel web, anche limitandomi alle sette lingue che sono
in grado di leggere: qualche traduzione letterale del sito
kattoliko.it e nulla più. Molto più spesso mi sono imbattuto in
siti dedicati all'aspetto artistico dell'opera di Picasso, nei
quali si riassumeva la vicenda storica "per sentito dire"
(sarcasticamente: secondo vulgata), e nonostante la
sostanziale correttezza del racconto, li ho scartati perché si
sarebbero esposti troppo facilmente alla critica di "vittime del
mito" di Guernica.
Cito perciò solo i siti che dimostrano una conoscenza approfondita
della problematica storica, che tengono conto delle accuse, delle
controaccuse, nonché dei tentativi franchisti di negare ogni
responsabilità per l'accaduto. Un discorso a parte va fatto per il
sito che indico col nome
Gernika Vasca.
Si tratta di un resoconto accurato dei fatti di Guernica, raccolto
da testimoni oculari, in particolare dalla quattordicenne Karmele,
che dopo la guerra sarebbe diventata maestra elementare.
Il narratore, un guernicano che trascorse l'infanzia tra le
macerie della sua città e fu allievo di Karmele, è profondo
conoscitore di tutti i libri pubblicati sulla tragedia, e col loro
ausilio ricostruisce anche il contesto storico-bellico nel quale
avvennero i fatti. Non ho ritenuto di affidarmi a quanto costui
riporta circa la Legione Condor e l'Alto Comando dei nazionalisti:
per queste ricostruzioni ho preferito attenermi direttamente agli
storici di professione. Ma assolutamente insostituibile è il
valore testimoniale di quanto avvenne a Guernica nei giorni dal 25
al 29 aprile del 1937, sia dal punto di vista storico che da
quello umano, ed ho quindi attinto abbondantemente a quella
preziosa fonte.
Per ognuno dei siti da me citati con nomi "codificati", ecco la
mappa dei link, tenendo presente che col tempo molte pagine web
potrebbero essere scomparse, o spostate altrove:
Gernika Vasca
Catholic Critics
( if dead link)
Emory
El Mundo
Aircraft
Tamu
Basque History
Capitol Hill
Arido
USAF
(if dead link)
|
Commenti all'articolo di Messori tratte dal
forum di
Indymedia |
complimenti
by mazzetta Wednesday, Apr. 20, 2005 at 4:49 PM |
Si sente subito, dall'orgoglio con il quale
l'autore rivendica la presenza di aerei italiani, da che pulpito
venga questo pattume.
Eppure di solito i fanatici di militaria sono patriottici, ma
Messori attribuisce al suo stesso paese oltre mille morti, senza
apparente imbarazzo e con malcelato orgoglio aviatorio.
Non merita commenti il fatto che cerchi di nascondere questa
responsabilità dando la colpa -AI POMPIERI!-
Provi l'astuto a pensare se il 9/11 non fossero arrivati i
pompieri, cosa direbbe ad un -terrorista arabo - che reclamasse la
loro inefficienza?
Che faccia farebbe l'assurdo notista se si trovasse davanti Bin
Laden che dice che la colpa del collasso delle torri fu dei
pompieri di n.y.c.?
Che volgarità, che sciatteria, che mancanza di senso delle
proporzioni, pessima prestazione del Corriere; in questo periodo
covo di revisionisti incapaci.
Per troppo zelo anticomunista, o per l'astio verso l'icona
immortale del sacrificio delle popolazioni civili, santificata
dall'arte nell'immaginario degli avversari, Messori perde ogni
senso della misura e si rivela imbarazzante.
Tutti cattivi nessuno cattivo, ancora una volta il trucco per
sorvolare su responsabilità gravissime.
Non solo i morti di Guernica, non solo la guerra golpista
scatenata dai fascisti, non solo la Spagna consegnata al fascismo
fino alla morte di Franco, ma la prima manifestazione della
barbarie nazifascista, la prova generale della Seconda Guerra
Mondiale.
Guernica è un trucco, una illusione che cela la colpa dei pompieri
e del governo rosso della città; me la segno.
Credo che Messori si dovrebbe scusare con la gente di Guernica, e
non solo con loro. |
|
bravo
Mazzetta!
by Fabio Mosca Wednesday, Apr. 20, 2005 at 6:41 PM |
sottoscrivo in pieno quanto hai scritto.
Il revisionismo ormai supera se stesso. L' "Orgoglio per tutta la
nostra storia" di Ciampi ha applicazione anche per la "gloriosa
guerra di Spagna" , a quanto pare!
E' la nuova classe intellettuale venuta da Faurisson in poi a
riscrivere la storia. Ho anche letto ad esempio su un sito di
storia militare che l'Italia (fascista non importa!) intervenne in
Jugoslavia a protezione dei cetnici serbi sterminati dagli
Ustascia, e che furono i Tedeschi i soli a proteggere gli ustascia...Ed
i nemici comuni di tutti, come ovvio, erano i comunisti "titini".
E fu la stupidità dei Tedeschi che impedì lo sterminio di questi,
considerati come gli unici criminali veri da combattere...
Guerra alla verità residua! |
|
Vittorio
Messori é solo un vigliacco !!! -
by r Wednesday, Apr. 20, 2005 at 6:43 PM |
In realtà, proprio
perché la città era ormai immediata retrovia, il mercato era stato
sospeso ????
Ma per questo hanno attaccato questo giorno , perchè sapevano che
era un giorno di mercato ,ma quale sospeso !!!
http://euskalherria.indymedia.org/eu/2003/03/5300.shtml
Il celeberrimo quadro di Picasso, cioè, sarebbe nato come Lamento
en muerte del torero Joselito ????
http://sepiensa.org.mx/contenidos/l_guernica/guernica2.htm
TESTIMONIO DEL BOMBARDEO DE GERNIKA
http://www.pce.es/foroporlamemoria/documentos/gernika_dic2003.htm |
|
vergogna
per l'Italia, allora!
by Fabio Wednesday, Apr. 20, 2005 at 8:12 PM |
invece di vergognarsi si esalta la "nostra" gloriosa aviazione!
|
|
I nostri
eroi
by altro che palle Thursday, Apr. 21, 2005 at 1:01 AM |
dica pure Messori quel che vuole
"La retirada"-L'odissea di cinquecentomila repubblicani spagnoli
dopo la fine della guerra civile
"l'impegno", a. XVII, n. 2, agosto 1997
© Istituto per la storia della Resistenza e della società
contemporanea nelle province di Biella e Vercelli. È consentito
l'utilizzo solo citando la fonte.
L'esodo
Con il termine retirada gli storici indicano l'esodo di circa
cinquecentomila spagnoli, uomini, donne e bambini, dalla Spagna
alla Francia tra la fine di gennaio e i primi giorni di febbraio
1939 per sfuggire alle incalzanti truppe franchiste, che il 23
dicembre 1938 avevano iniziato l'offensiva contro la Catalogna,
penultimo atto della tragedia che, iniziatasi con l'alzamiento del
18 luglio 1936, avrebbe chiuso, con la caduta di Madrid e Valencia
alla fine di marzo, l'esperienza della Repubblica spagnola.
La fuga iniziò quando apparve chiaro che le truppe della
Repubblica, ormai senza armamento pesante, non avrebbero resistito
ai franchisti ed agli italiani che attaccavano la Catalogna da sud
e da ovest. Era la conseguenza della strategia di Franco, che
aveva anteposto alla rapidità delle operazioni militari il
principio di infliggere il "castigo" a quanti si erano schierati
con la Repubblica, la cosiddetta limpieza, che tanta indignazione
suscitò nell'opinione pubblica mondiale, ma che ottenne lo scopo
prefissato di terrorizzare non solo le disorganizzate milizie
repubblicane, ma anche i civili, per le violenze e vessazioni a
cui venivano sottoposti.
Una testimonianza agghiacciante del clima di terrore imperante
nelle carceri franchiste ci è fornita da Arthur Koestler nel suo
libro "Dialogo con la morte", dedicato ad un oscuro giovane
miliziano andaluso, fucilato il 14 luglio 1937, nel sesto
anniversario della Repubblica. Egli descrive con crudo realismo la
superficialità dei processi, la rapidità delle condanne, il
prelevare durante la notte i predestinati al plotone di
esecuzione, le preghiere del prete accompagnate dal campanello del
Sanctus, le invocazioni di aiuto e le maledizioni accompagnate da
bestemmie.
Ma se Koestler era uomo di parte, così non si può dire di
scrittori di cultura cattolica, quali Jacques Maritain e Georges
Bernanos. Il primo prese una posizione netta di distacco dalla
cruzada e la condannò come anticristiana senza mezzi termini, il
secondo descrisse, ne "I grandi cimiteri sotto la luna", le stragi
commesse dai franchisti a Maiorca sotto la regia del generale
della milizia Bonaccorsi e la benedizione del vescovo di Palma,
Miralles Sbert.
Molte furono, in particolare nei giorni successivi all'alzamiento,
le uccisioni perpetrate nella Spagna repubblicana, di massima ad
opera degli anarchici contro religiosi e borghesi, ma molto più
pesante fu la risposta dei franchisti, i cui eccidi furono
sistematici e terribili in tutte le città e villaggi via via
conquistati.
Le notizie delle migliaia di assassinati di Maiorca, Bajadoz,
Granada e Malaga spinsero le genti di Catalogna ed i profughi
delle altre province spagnole già in mano ai nazionalisti ad
abbandonare Barcellona e gli altri centri.
Circa duecentomila tra donne, bambini ed anziani, insieme a feriti
e militari sbandati, si avviarono verso il Nord, in un fiume
eterogeneo di animali e mezzi di trasporto, sotto la costante
minaccia dell'aviazione fascista italiana che si accaniva contro
questa massa inerme. La loro meta era la Francia, che
rappresentava l'estrema possibilità di salvezza, da raggiungere
attraverso i Pirenei.
In una confusione estrema i fuggiaschi si riversarono verso tutti
i posti di confine, in gran parte utilizzando le strade che
collegavano la Spagna alla Francia, ma molti percorsero sentieri
di montagna, superando colli alti anche oltre duemilacinquecento
metri. Dopo i civili fu la volta di quanto restava dell'armata
della Catalogna (circa duecentocinquantamila uomini) e delle
personalità della Repubblica tra cui i quattro presidenti. Gli
ultimi reparti organizzati a ritirarsi furono gli anarchici della
26a divisione "Durruti", che il 10 febbraio transitarono sul ponte
di Llivia; altri sarebbero ancora giunti alla spicciolata,
filtrando attraverso le maglie dei franchisti, che il 12,
occupando il colle d'Ares, avevano completato la conquista della
Catalogna.
L'accoglienza
Fu tragedia nella tragedia; al dolore di dover lasciare il proprio
Paese, al terrore di essere catturati dai franchisti, all'angoscia
per i congiunti sotto le armi, alla delusione per la fine di un
sogno di maggior giustizia, appena passato il confine dopo
infinite difficoltà, si aggiunsero le vessazioni delle guardie di
frontiera, l'abbandono senza riparo nelle notti gelide, il
disprezzo dei sorveglianti, l'insensibilità delle autorità,
preoccupate, specie quelle militari, esclusivamente della loro
sorveglianza, come se fossero delinquenti comuni. Sorveglianza
affidata di massima alle truppe coloniali francesi, che
riportavano alla memoria i tristemente famosi "mori di Franco",
innervosite dai contrastanti ordini che arrivavano da Parigi.
Infatti nulla era definito, le disposizioni si sovrapponevano e si
contraddicevano, inducendo i militari dislocati al confine a
comportamenti disumani e sprezzanti specie nei confronti dei
miliziani. Perquisiti, depredati delle poche cose di valore,
disarmati e vaccinati, continuamente umiliati, strappando loro i
fazzoletti che contraddistinguevano i reparti, forzati ad aprire
il pugno in cui tenevano un po' di terra di Spagna, questo era il
primo trattamento che ricevevano dalla Francia, culla dei diritti
dell'uomo.
Hugh Thomas in "Storia della guerra civile spagnola" riporta che
entrarono in Francia circa duecentocinquantamila militari, di cui
diecimila feriti gravi, centosettantamila donne e bambini e
settantamila civili, fra cui molti anziani, cifre che si
avvicinano sia a quelle ufficiali che a quelle fornite da altre
fonti.
Bloccati dal gelo dell'inverno, i profughi vennero trattati come
bestie. Prima donne, bambini, anziani e feriti vennero raccolti in
camps de collectage creati a ridosso dei Pirenei, lande fredde ed
umide, battute dal vento, senza riparo dalle intemperie e scarso
cibo.
Mont Louis, Prats de Mollo, Arles sur Tech, Boulou, La Tour de
Carol, furono le prime tappe del calvario dei profughi. Man mano
che altri disgraziati sopraggiungevano, i primi venivano smistati
nei cosiddetti centri di accoglienza (caserme o conventi
abbandonati) dislocati in quasi tutti i dipartimenti della
Francia.
L'autorità che li dirigeva proveniva dall'amministrazione civile e
il loro atteggiamento nei confronti degli spagnoli ne condizionava
il trattamento e la disciplina.
Camps du Mepris
Ultimi ad essere autorizzati ad entrare furono i militari, che
vennero trasferiti a piedi direttamente ai campi di concentramento
in preparazione nei comuni prescelti e cioè: Argelès-sur-Mer,
Saint Cyprien, Les Barcarès, Agde e Vernet les Bains (Pyréenes
orientales), Mazières, Montaillou (Ariège), Gurs (Pyrénées
Atlantiques), Bram (Aude), Septfonds (Tarn et Garonne).
Costretti in recinti delimitati dal filo spinato in appezzamenti
di terreno fuori mano o sulle spiagge del Roussillon, essi
scavarono delle buche nella terra e nella sabbia e le coprirono
con teli, ramaglia e lamiere, bevvero l'acqua dei pozzi, fecero i
loro bisogni nei boschi o sulla riva del mare, "la primiera linea
de mierda".
I primi giorni furono i più difficili: il freddo, la fame, la
mancanza di cure mediche determinarono circa quindicimila decessi,
che colpirono in particolare i più deboli: vecchi, bambini e
feriti. Neppure i morti ebbero la pietà di una sepoltura
dignitosa, vennero infatti inumati nei pressi dei campi.
Negli stessi giorni in una modesta pensione di Collioure morì
Antonio Machado, il massimo poeta contemporaneo spagnolo, che
venne tumulato nel cimitero della cittadina francese, dove nel
1958, grazie alla colletta di intellettuali europei, ebbe il
decoro di una tomba.
Oltre alla sorveglianza fu costante preoccupazione delle autorità
francesi spingere al rimpatrio quanti più possibile o arruolare
nella Legione straniera i combattenti repubblicani; questa
alternativa era presentata quasi come un ricatto: "O la Legione o
la Spagna".
Si stima che del mezzo milione circa di persone entrate in Francia
ne rientrarono in Spagna in un primo tempo poco più di
cinquantamila, a cui si aggiunsero più tardi altre decine di
migliaia. La cifra totale dei rimpatri oscilla, a seconda delle
fonti, da settantacinquemila a duecentottantamila.
Mentre avveniva tutto questo, a Les Perthus il generale francese
Falcade accoglieva con il saluto militare ed una calorosa stretta
di mano il generale franchista Solchaga, comandante dell'armata di
Navarra. Al saluto degli ufficiali francesi gli spagnoli risposero
con il saluto fascista e al canto di "Cara al sol" e "Per Dio, per
la Patria e per il Re", inni falangisti e dei requetés.
Questo succedersi di avvenimenti, unitamente al vedere lunghi
convogli ferroviari di materiale bellico bloccati nelle stazioni
francesi, mentre essi avevano dovuto abbandonare quasi senza
combattere la Catalogna per carenza di armamenti, creò nei
rifugiati un senso di disgusto verso la Francia.
La solidarietà che li confortò venne da privati ed organizzazioni
volontarie, non da istituzioni statali, condizionate dalle forze
reazionarie che esercitavano pressioni volte a respingere i "rossi
di Spagna".
Infatti era facile, in un periodo di crisi, rinvigorire la
xenofobia latente e condizionare l'opinione pubblica facendo leva
sul grave peso dei rifugiati per l'erario. Giornalisti come Leon
Daudet, de "L'Action Française", e Henri Béraud, del "Gringoire",
orientarono e diedero tono al dibattito domandandosi se la Francia
doveva diventare "l'immondezzaio del mondo". Il governo Daladier,
che nell'aprile 1938 aveva sostituito il governo delle sinistre
presieduto da Leon Blum, emanò una serie di circolari limitanti
prima l'entrata dei profughi (in un primo tempo solo donne e
bambini e feriti gravi) e poi il soggiorno in Francia degli esuli,
che via via proibirono "la residenza definitiva" o "la possibilità
di esercitare qualsiasi mestiere".
Contro queste posizioni insorsero per fratellanza ideologica le
forze progressiste, che promossero raccolte di fondi, e molte
personalità culturali, religiose e politiche, che non potevano
essere etichettate di sinistra, quali l'arcivescovo di Parigi, il
presidente della Croce rossa francese, premi Nobel e scrittori
famosi.
La vita nei campi
Lentamente la burocrazia si mise in moto - occorre ricordare che
non esisteva all'epoca un'organizzazione logistica di soccorso
capace di far fronte ad un esodo di dimensioni bibliche,
comprendente migliaia di malati e feriti, di donne e bambini -,
venne intensificata la costruzione degli indispensabili servizi
igienici e di baracche di legno, che offrivano protezione dalle
intemperie ma non dal freddo, dato che non erano dotati di stufe e
il giaciglio era costituito da poca paglia.
La vita riprese. I malati ed i feriti furono separati dagli uomini
validi e finalmente ricevettero le cure dovute. Per donne e
bambini, di massima familiari dei miliziani, furono predisposti
dei settori a parte denominati campo civil.
Nacque una parvenza di organizzazione: centoventi-centocinquanta
uomini costituivano una "compagnia" agli ordini di un ufficiale,
sette od otto compagnie costituivano un ilot (raggruppamento), che
aveva un servizio di intendenza con cucina, infermeria e
magazzino.
Le corvée vennero assegnate a rotazione, perché non tutte erano
gradite, come la pulizia delle latrine. Furono aperti degli uffici
postali, che curavano la spedizione e la consegna delle lettere
sia per la Francia che per la Spagna.
Diversi internati venivano reclutati da agricoltori della zona per
i lavori agricoli, per cui potevano giornalmente uscire dai campi
e ricevere un modesto salario; dovevano però subire l'umiliazione
di venire "scelti" come animali da fatica, con l'ispezione di mani
e muscoli.
Via via le comunità si diedero un'impronta di vita civile, le
strade furono distinte con nomi che nostalgicamente ricordavano la
patria lontana, ad Argelès-sur-Mer sorse un mercatino, il Barrio
chino, in cui era possibile trovare merce di prima necessità
(lamette da barba, magliette, scarpe, sigarette), un'osteria, dove
si poteva bere un bicchiere di vino e mangiare un'insalata, e con
discrezione funzionava un bordello, "la casa de la Sevillana",
dove cinque prostitute avevano ripreso la vecchia professione.
Ciò era favorito dal fatto che i rifugiati ricevevano dalle
organizzazioni di aiuto repubblicane una piccola somma in denaro,
che molti integravano lavorando presso i francesi o vendendo
oggetti di loro produzione, fatti con i materiali più disparati.
Il vitto era discreto e abbastanza nutriente, degli altoparlanti
diffondevano programmi musicali intervallati da notiziari sulla
situazione in Spagna e nel mondo.
Ma ciò che li aiutò ad uscire dallo stato di inerzia, che il lungo
tempo a disposizione concedeva loro dopo aver espletato le corvée
giornaliere, fu l' "Università della sabbia".
Prendendo spunto da una circolare del Ministero dell'Interno, che
dava istruzioni ai prefetti di istituire dei corsi di lingua
francese, numerosi insegnanti ed intellettuali internati si
dichiararono disposti ad iniziare dei corsi di istruzione di varie
materie.
Malgrado la precarietà dei mezzi a disposizione, l'iniziativa,
ottenuta l'approvazione delle autorità francesi, vide la
partecipazione di circa l'ottanta per cento dei rifugiati.
Organizzazioni umanitarie, in primis i quaccheri, fornirono
materiale didattico e fecero pressione sui comandanti dei campi
affinché destinassero alcune baracche ad aule e biblioteche.
Oltre ad insegnare le lingue, la storia, la letteratura, il
disegno e la matematica, una particolare attenzione fu prestata
per le materie pratiche volte a far apprendere un mestiere a
manovali e braccianti.
Appositi bollettini mensili riportavano le attività svolte ed il
numero dei partecipanti, furono anche favorite le manifestazioni
sportive e culturali e in particolare quelle artistiche.
A proposito di queste, fu un fiorire di mostre di pittura nelle
città dove erano situati i campi e diversi artisti spagnoli ebbero
modo di farsi conoscere e vendere le loro opere.
Questi vernissages suscitarono l'indignazione della stampa
borghese, che condusse una campagna in difesa degli artisti
nazionali: "Il pane di Francia per i lavoratori francesi!".
Con i miglioramenti anche la politica riprese vitalità e
riaffiorarono, mai sopite, le divergenze che tanto danno avevavo
arrecato alla causa della Repubblica spagnola. Tutto cominciò con
il tentativo da parte delle diverse fazioni di porre loro uomini
alla direzione interna degli ilot, il che permetteva tra l'altro
di controllare la posta e la distribuzione dei giornali nonché di
assegnare le corvée.
Per ottenere ciò si giunse a formulare false accuse nei confronti
degli avversari politici, così da indurre le autorità francesi a
trasferirli. Tali fatti crearono delle tensioni che sfociarono in
scontri, da cui l'intervento dei sorveglianti, che non andarono
tanto per il sottile ed imprigionarono al forte di Collioure,
carcere di massima sicurezza, "le teste calde".
Attraverso i giornali, pubblicati dagli internati con mezzi di
fortuna, talvolta manoscritti, come la "Voz de los Españoles"
(comunista) e il "Buletin de los antifascistas descontentos de los
campo internacionales" (anarchico), si rinnovarono le vecchie
diatribe ideologiche, che li avevano divisi in Spagna, quando la
parola d'ordine dei primi era "vincere la guerra per fare la
rivoluzione", mentre per i secondi si doveva "fare la rivoluzione
per vincere la guerra".
Anche le due anime dell'anarchismo, i puri, negatori di ogni forma
di Stato, ed i cosiddetti trientistas, favorevoli alla
collaborazione con il governo, rivisitarono criticamente gli
avvenimenti: il sostegno elettorale al Fronte popolare nelle
votazioni del 16 febbraio 1936; la partecipazione al governo della
Repubblica (spagnola e catalana); l'accorpamento delle milizie
della Federación anárquica ibérica (Fai) e Confederación nacional
de trabajo (Cnt) nell'esercito repubblicano; le tragiche giornate
di maggio 1937 a Barcellona e dell'estate in Aragona e Castiglia.
All'ingresso in Francia i rifugiati politicamente più impegnati
erano stati divisi dagli altri e, in base all'ideologia, inviati
in luoghi più facilmente controllabili e soggetti ad una
disciplina più dura. In un primo tempo, ad esempio, gli anarchici
furono mandati a Vernet d'Ariège, i membri delle brigate
internazionali a Gurs, i comunisti e le donne a Rieucros; in
seguito queste distinzioni vennero meno e les hommes d'action
dangereux si ritrovarono dietro gli stessi reticolati o furono
spediti nei più terribili campi dell'Africa del Nord.
I campi disciplinari furono un'altra pagina amara dell'esilio
spagnolo: il forte di Collioure, vecchio castello dei templari,
adibito a carcere di quanti avevano tentato la fuga dai campi di
internamento o si erano macchiati di qualche colpa grave (furto,
rissa, resistenza alle guardie, ecc.); il campo di Vernet d'Ariège,
ex campo di prigionia della prima guerra mondiale, in cui furono
rinchiusi prima gli elementi di spicco anarchici, poi, con la
firma del patto russo-tedesco, i comunisti prelevati dai campi o
arrestati in Francia tra i fuoriusciti italiani, tedeschi ed
austriaci; i campi dell'Africa del Nord, dove vennero internati
parte dei profughi provenienti dalle ultime province cadute in
mano ai franchisti e in seguito, specie sotto il governo di Vichy,
gli elementi più turbolenti, che avevano sobillato ribellioni o
anche semplici proteste per il trattamento loro riservato.
Tristemente famoso fu il campo di Dijelfa.
Vigilia di guerra
Come apparve evidente che la maggioranza dei profughi non
aveva intenzione di rientrare in Spagna, atterriti dalle notizie
del sanguinoso regolamento dei conti messo in atto dai franchisti,
le autorità centrali francesi dovettero rivedere la loro politica
anche alla luce dell'aggravarsi della situazione di quella
internazionale, per cui, pur senza archiviare la priorità del
rimpatrio, cercarono soluzioni alternative al gravoso problema,
quali: l'impiego in opere utili alla comunità, l'arruolamento
nella Legione straniera, l'emigrazione verso stati del Centro-Sud
America.
La situazione politica europea, mentre si concludeva l'esperienza
democratica spagnola, fu scossa nel marzo 1939 dall'occupazione
della Cecoslovacchia da parte della Wehrmacht in palese violazione
del trattato di Monaco, ed in maggio dalla firma del Patto
d'acciaio tra Hitler e Mussolini, il che aumentava i timori di
guerra, anche perché il dittatore italiano aveva iniziato una
campagna propagandistica rivendicante il possesso di Nizza, della
Corsica, della Savoia, della Tunisia e di Gibuti, tutti territori
francesi o soggetti alla sovranità d'oltralpe.
La popolazione dei campi veniva a rappresentare, in vista di una
mobilitazione generale dei francesi, una riserva di manodopera
produttiva a basso costo da impiegare in opere pubbliche o nel
lavoro dei campi, nell'industria bellica, se specializzati, nel
completamento delle fortificazioni della linea Maginot nel Nord
della Francia.
Basandosi sulla schedatura degli uomini validi internati nei campi
fatta dal Servicio de emigracion de los republicanos españoles
(Sere) nella prospettiva di un'eventuale emigrazione1, il
Ministero del Lavoro nominò delle commissioni comprendenti il
prefetto, l'ispettore del lavoro, il direttore dell'Ufficio di
collocamento ed il direttore dei Lavori agricoli con il compito di
costituire delle Compagnies des travailleurs étrangers (Cte).
Ne furono organizzate duecentoventi, ognuna composta da circa
duecentocinquanta uomini agli ordini di un ufficiale francese,
assistito da un pari grado spagnolo, sotto la sorveglianza di un
plotone di soldati.
La maggior parte venne impiegata nel completamento della linea
Maginot, che avrebbe dovuto difendere la frontiera francese con la
Germania, le altre (costituite dagli elementi considerati
pericolosi) vennero utilizzate in località impervie per lavori
faticosi, quali la costruzione di centrali idroelettriche in zone
di montagna. Queste ultime erano sottoposte alla disciplina
militare sempre beceramente dura. Tali inumani trattamenti in
alcuni casi sfociarono in aperte rivolte, che indussero le
autorità centrali ad intervenire per migliorare le condizioni di
vita.
Rimasero esclusi quanti già impiegati singolarmente o in piccoli
gruppi in industrie o in aziende agricole e furono quelli che di
massima ricevettero il trattamento migliore.
L'impiego a scopi militari migliorò la situazione generale dei
rifugiati che ottennero la stessa paga dei soldati francesi (5
franchi al giorno), un aumento delle razioni alimentari e
soprattutto la concessione del diritto di asilo.
Fu inoltre favorita la ricongiunzione con i familiari di modo che
fossero gli esuli con la loro paga a mantenerli, liberando così lo
Stato francese da un gravoso impegno.
I campi di internamento vennero via via smantellati eccetto quelli
destinati ad accogliere i mutilati, non utilizzabili per lo sforzo
bellico, e quelli disciplinari, dove continuarono ad essere
rinchiusi i comunisti, ex membri della brigate internazionali o
fuorusciti europei rastrellati in Francia dopo il patto di non
aggressione russo-tedesco dell'agosto 1939.
Emigrazione
Mentre l'Europa stava per essere sconvolta da un nuovo conflitto,
diversi stati sudamericani, in particolare il Messico, si
dichiararono disposti ad accogliere un certo numero di rifugiati e
furono attivati due comitati di sostegno: il Sere, Servicio de
emigracion de los republicanos españoles, e la Jare, Junta de
auxilio a los republicanos españoles, divisi tra loro da contrasti
ideologici ed economici.
Il primo, che favoriva i comunisti ed i seguaci di Negrín, vide
drasticamente ridimensionata la sua operatività, per cessarla del
tutto nel marzo 1940 con il citato patto russo-tedesco, che creò
in Francia la psicosi della quinta colonna. La Jare continuò fino
al 1942, quando, per intervento delle autorità tedesche di
occupazione, ogni partenza venne vietata.
Si calcola che partirono circa cinquantamila rifugiati, di cui il
60 per cento verso il Messico; tra questi molti uomini di scienza,
che contribuirono allo sviluppo culturale dei paesi ospitanti,
dove crearono corsi universitari, centri di ricerca, attività
industriali pubbliche e private, favorirono la nascita di giornali
e riviste nonché di iniziative teatrali e cinematografiche. I più
noti furono Rafael Alberti, Max Aub e Pablo Casals.
Importante fu la pubblicazione di studi storici e memorie sulla
recente guerra civile perché questi testi, introdotti
clandestinamente nella Spagna franchista, si contrapposero alla
letteratura di regime.
La "drôle de guerre"
All'indomani dello scoppio della guerra furono creati dei "Battaillons
de Marche", aggregati alla Legione straniera, in cui la ferma era
limitata "alla durata della guerra" invece che ai previsti cinque
anni.
Diecimila stranieri risposero al bando e al campo di Les Barcares
costituirono il 21o, 22o e 23o reggimento; il primo era costituito
da elementi di cinquantasette nazionalità, il secondo era a
maggioranza spagnola ed il terzo era composto esclusivamente da
spagnoli.
Battaglioni simili furono formati in Nord Africa; di questi l'11o
e il 12o raggiunsero quelli in addestramento nel Sud della
Francia.
I primi rifugiati ad essere impiegati in operazioni belliche
furono quelli inquadrati nella 13a Demi brigade de la légion
étrangère (13a Dble), che costituirono parte del corpo di
spedizione anglofrancese mandato in Norvegia per contrastare
l'occupazione tedesca. I legionari si batterono con molto
coraggio, riuscendo ad isolare la città di Narvik, che era
l'obiettivo principale della spedizione. L'aggravarsi della
situazione militare in Francia indusse lo Stato maggiore a
richiamare le truppe, ma per poter effettuare il reimbarco era
necessario eliminare i tedeschi che ancora difendevano la città,
compito che fu affidato alla Legione. La conquista di Narvik e le
operazioni di retroguardia necessarie per resistere ai successivi
attacchi tedeschi comportarono ulteriori gravi perdite.
Complessivamente nelle operazioni in Norvegia la Legione ebbe
centoquaranta morti e/o dispersi e cento feriti su duemilacento
uomini.
L'impiego in prima linea dei reggimenti costituiti in Francia
coincise con l'offensiva tedesca di primavera, che poneva fine
alla drôle de guerre cosicché essi, con quanti arruolati nelle Cte,
vennero coinvolti nella disfatta dell'esercito francese e del
corpo di spedizione britannico.
Gli spagnoli fatti prigionieri subirono trattamenti diversi dai
tedeschi, i soldati furono considerati prigionieri di guerra ed
internati in campi di prigionia, mentre ai militarizzati tale
qualifica non fu riconosciuta e, considerati come prigionieri
politici, vennero internati nei campi di sterminio. È stato
accertato che l'8 agosto 1940 giunsero i primi spagnoli al campo
di Mauthausen, dove in cinque anni ne sarebbero stati deportati
circa dodicimila, di cui l'85 per cento non avrebbe fatto ritorno.
Pare che il loro internamento fosse sollecitato dal ministro degli
Esteri spagnolo Ramon Serrano Suñer, cognato di Francisco Franco,
per colpire i "rossi" che erano sfuggiti alla giustizia franchista.
Con l'armistizio nacque in Francia il regime collaborazionista di
Vichy, e i rifugiati vennero nuovamente rinchiusi nei campi per
poi essere inquadrati nei Groupements des travailleurs étrangers (Gte),
da cui attingere per il lavoro obbligatorio imposto dagli
occupanti, specie in lavori sul Vallo atlantico, e poi per la
releve, cioè il programmato scambio di tre civili con un
prigioniero di guerra francese.
Sotto il governo Pétain si ebbero le ultime partenze per l'America
Latina, poi definitivamente bloccate dalle autorità tedesche di
occupazione.
Nel campo di Vernet d'Ariège rimasero internati gli elementi
ritenuti hommes dangereux; tra gli italiani vi erano: Luigi Longo,
Leo Valiani, Giuliano Paietta, Mario Montagnana. Quanti non
riuscirono a fuggire vennero in seguito consegnati alle autorità
italiane, che di massima li incarcerano nel penitenziario di
Ventotene, da cui sarebbero usciti solo dopo l'armistizio dell'8
settembre 1943, per porsi a capo della Resistenza italiana.
Nella parte di Francia da loro occupata i tedeschi si
interessarono dei rifugiati spagnoli che furono oggetto di
consegne forzate ai franchisti, deportazioni in Germania, impieghi
in lavori forzati in Francia o Germania.
Le personalità repubblicane di maggior prestigio consegnate ai
franchisti furono: Luis Company, presidente della Generalitat
della Catalogna, Julian Zugazagoita, ministro dell'Interno, Juan
Peirò, ministro dell'Industria, Cipriano Rivas Cheriff, console a
Ginevra e cognato di Manuel Azaña.
Essi vennero condannati a morte e mentre i primi tre furono
fucilati, il quarto ebbe la pena commutata in trent'anni di
carcere.
Per quanto riguarda le deportazioni nei campi di sterminio
nazisti, i rifugiati spagnoli di massima vennero così suddivisi:
se refrattari al Service de travail obligateur (Sto), a Mauthausen,
che assunse il triste soprannome di "campo degli spagnoli", e se
militanti nelle formazioni partigiane, gli uomini a Buchenwald, le
donne a Ravensbrück.
Si calcola che furono internati in Germania circa quindicimila
spagnoli e solo milleseicento di essi saranno vivi alla fine della
guerra.
Molti furono reclutati dall' "Organizzazione Todt" e utilizzati
soprattutto nella costruzione del Vallo atlantico o delle basi per
sottomarini presso Bordeaux.
I rimpatrii forzati, le deportazioni ed il lavoro forzato spinsero
molti alla macchia, favorendo lo sviluppo dei maquis, che
avrebbero assunto la massima rilevanza dopo l'attacco della
Germania all'Unione Sovietica, nel giugno 1941, con la
partecipazione attiva dei comunisti, rimasti fino allora neutrali.
La Resistenza
Gli spagnoli - evasi dal campo di Vernet d'Ariège o réfractaires
(renitenti al Sto) - rappresentarono il nucleo più consistente
delle formazioni partigiane operanti nel Sud della Francia,
costituendo dapprima la 3a brigata "Guerrilleros Españoles", che,
ampliati i suoi effettivi e la zona d'azione, divenne il XV corpo
"Guerrilleros Españoles", le cui brigate erano dislocate: la 1a e
la 3a nell'Ariège, la 2a nell'Haute et Garonne, la 4a nel Tarn et
Garonne, la 9a negli Hautes Pyrénées, la 35a nel Gers, assumendo
nel maggio del 1944 la denominazione di Agrupación de guerrilleros
españoles.
Essi furono protagonisti in diversi dei più importanti fatti della
lotta partigiana, tra questi: l'espatrio clandestino in Spagna
attraverso i Pirenei di prigionieri alleati o ebrei, il gruppo
Francs tireurs partisans - Main d'oeuvre immigrée - di Massik
Manouchian, la rivolta del carcere di Eysses a Villeneuve-sur-Lot,
la strage di Oradour-sur-Glane, la battaglia di La Madeleine (Gard).
I passeurs d'homme erano gruppi che si incaricarono di far passare
in Spagna, attraverso i Pirenei, militari alleati (prigionieri
evasi dai campi di prigionia o aviatori di aerei abbattuti) e
cittadini ebrei che fuggivano alla deportazione in Germania.
Queste reti, in stretto contatto con i servizi segreti alleati,
dovevano sfuggire sia alle guardie di frontiera franco-tedesche
sia a quelle spagnole, queste ultime con l'evolversi delle sorti
della guerra divennero meno attente e più facilmente corrompibili.
La rete più celebre fu quella che ebbe come capo Francisco Ponzan
Vidal, militante anarchico che durante la guerra civile aveva
ricoperto incarichi nel Siep (Ufficio informazioni dell'esercito
repubblicano) e aveva agito dietro le linee franchiste. In tre
anni il suo gruppo riuscì a far passare circa millecinquecento
persone di cui settecento aviatori.
Francisco Ponzan Vidal fu catturato dalla polizia francese nel
settembre del 1943 e condannato ad otto mesi di carcere nel giugno
1944, poi, malgrado avesse già scontato in anticipo la pena, venne
consegnato alla Gestapo. Quando i tedeschi nell'agosto si
ritirarono da Tolosa, fu ucciso con altri detenuti politici a
Buzet-sur-Tarn.
Il gruppo di Massik Manouchian si era reso responsabile di
numerosi attentati a treni e convogli tedeschi in Parigi e
dintorni. Una massiccia caccia all'uomo messa in atto dai reparti
speciali portò dal novembre 1943 al gennaio 1944 alla cattura di
oltre cento resistenti. Mentre le figure di secondo piano vennero
immediatamente fucilate o deportate, contro ventitré, ritenuti i
capi, fu istruito, con evidenti propositi propagandistici, un
pubblico processo per influenzare l'opinione pubblica contro
questi "terroristi". Venne affisso in tutta la Francia un
manifesto - detto l'affiche rouge - che riproduceva il volto di
alcuni di essi e il numero degli attentati e delle vittime che
avevano causato. Il processo terminò con la condanna a morte per
tutti; ventidue uomini furono fucilati a Mont-Valerian il 21
febbraio 1944, mentre la sola donna del gruppo, Olga Blancic, fu
decapitata nel carcere di Stoccarda il 10 maggio.
Louis Aragon ricordò gli "stranieri" del gruppo Manouchian nella
poesia "Affiche rouge": "Ventitré stranieri e pertanto fratelli, /
Ventitré che volevano vivere e sono morti, / Ventitré che
invocavano nel cadere la Francia!".
La rivolta del 19 febbraio 1944 nella Maison centrale de force di
Eysses a Villeneuve-sur-Lot rientrò nel piano messo in atto dai
maquis per liberare i detenuti politici ed evitarne la fucilazione
per rappresaglia o la deportazione.
Ma per un banale contrattempo - un detenuto comune diede l'allarme
- l'azione dall'interno fallì ed il massiccio arrivo di milizie
petainiste e tedesche impedì ai partigiani appostati all'esterno
di intervenire. La repressione fu molto dura: dodici prigionieri
ritenuti i capi della rivolta furono immediatamente fucilati
mentre altri trentasei vennero deportati a Dachau.
La compagnia del maquis di Rochechouart, composta quasi
esclusivamente da anarchici spagnoli al comando di Ramon Vila
Capdevila "Raymond", specializzata nella distruzione di ponti con
la dinamite, fece saltare ai primi di giugno 1944, nei pressi di
Saint-Junien, un treno blindato della Divisione Ss "Das Reich",
attentato che determinò la feroce rappresaglia dei nazisti contro
la cittadina di Oradour-sur-Glane in cui, oltre alla totale
distruzione delle case, vennero massacrati quasi tutti gli
abitanti (643 vittime).
Tra i numerosi scontri che videro impegnati i guerriglieri
spagnoli e le truppe di occupazione uno dei più importanti fu
quello che avvenne a La Madeleine il 23 agosto 1944. Qui la 3a
brigata Guerrilleros españoles, agli ordini di Cristino Garcia,
bloccò una colonna tedesca di millecinquecento uomini,
impegnandola in un combattimento che si protrasse per oltre tre
ore. Dopo aver perso più di cento uomini e aver compreso di non
aver scampo, il comandante tedesco si suicidò mentre i subalterni
si arresero.
Trentaquattro "soldati della notte" rimasero sul terreno e furono
tumulati nel cimitero di Albi; sulla lapide che ricorda questi "Enfants
morts pour la France" si leggono i nomi di Augustin Garcia, José
Férnandez, Francisco Perera e Ramon Porta.
Significativo fu l'apporto alla Resistenza delle donne spagnole,
esse furono agenti di collegamento, sabotatrici, "affittacamere",
staffette, corrieri per il trasporto di armi e documenti. Molte di
loro pagarono con la vita o la deportazione il ruolo di
combattenti per la libertà.
Soldati alleati
L'arruolamento dei rifugiati spagnoli nelle Forces françaises
libres (Ffl), create da De Gaulle per combattere a fianco degli
alleati, avvenne in tempi successivi.
I primi furono centocinquanta legionari della 13a Dble, reduci
dalla sfortunata spedizione in Norvegia, acquartierati nel Surrey,
che con altri seicentocinquanta commilitoni seguirono il generale,
mentre altri centosessanta preferirono arruolarsi nei servizi
ausiliari dell'esercito britannico; i restanti cinquecentoquaranta
rientrarono in Marocco.
Le campagne della 13a Dble fino alla fine del 1942 furono: la
sfortunata spedizione contro Dakar del settembre 1940, quando
vennero fermate dalle truppe fedeli al governo di Vichy; la
partecipazione alla conquista dell'Eritrea nel febbraio 1941, in
cui si distinsero nella presa di Massaua; l'occupazione nel luglio
del 1941 dei protettorati francesi del Libano e della Siria, dove
incorporò il 6o reggimento di fanteria straniero.
Aggregata alla 1a Brigade française libre, sotto il comando del
generale Koenig, partecipò alle seguenti battaglie in Libia: 27
maggio-19 giugno 1942 a Bir-Hakeinm, dove fermò le divisioni
corazzate dell'Asse, che tentavano l'accerchiamento delle forze
alleate; una volta che queste si attestarono su nuove linee di
difesa la 13a Dble ruppe l'accerchiamento e raggiunse le
postazioni alleate, lasciando sul terreno milleduecento uomini,
tanto che venne riorganizzata in due soli battaglioni. Dal
settembre 1942 al maggio 1943 partecipò alle offensive che
porteranno le truppe di Montogomery da El Alamein a Tobruk.
Occupata tutta l'Africa del Nord, le forze francesi vennero
riorganizzate con la costituzione di due divisioni: la 1a Brigade
française libre, agli ordini del generale Koenig, a cui fu
aggregata la 13a Dble, e la 2a Divisione blindata, agli ordini del
generale Leclerc.
Queste incorporarono militari della Legione straniera e dei
battaglioni di fanteria straniera di stanza in Marocco, ex
internati dei campi, nonché numerosi disertori del Tercio, tanto
che gli spagnoli vennero a costituire circa il quaranta per cento
del totale degli effettivi.
La 1a Division française libre partecipò alla campagna d'Italia,
dove si spinse fino a Radicofani, quindi, dopo aver liberata la
Corsica il 15 agosto 1944, sbarcò in Provenza e liberò Lione,
Digione, Colmar e Strasburgo; la fine della guerra la vide
attestata nel Cuneese.
La 2a Divisione blindata, che comprendeva circa trecentocinquanta
spagnoli, inquadrati nel 3o battaglione motorizzato del Tchad,
sbarcò in Normandia tra il 31 luglio ed il 4 agosto 1944 e
partecipò alla conquista di Les Mans, di Alençon e di Argentan.
Appresa la notizia che Parigi era insorta, il generale Leclerc
mandò in avanscoperta la 9a compagnia composta in prevalenza da
spagnoli. Il primo carro armato che entrò nella piazza dell'Hotel
de Ville si chiamava Guadalajara, seguito da Teruel, Ebro,
Madrid...
Gli stessi carri protessero la sfilata della vittoria all'Arco di
trionfo del 26 agosto.
Integrata con elementi provenienti dalle Ffi partì per il Nord
occupando Augsburg e Monaco. Raggiunse poi Berchtesgaden, il nido
d'aquila di Hitler.
Se in larga maggioranza gli spagnoli che presero parte come
militari alla seconda guerra mondiale furono incorporati
nell'esercito gaullista, molti si arruolarono sotto la bandiera
britannica e in numero minore con statunitensi e sovietici. In
particolare optarono per gli angloamericani quanti consideravano
la Francia corresponsabile della caduta della Repubblica spagnola
per la miope applicazione delle norme della "politica di non
intervento" e colpevole della disumana accoglienza e sistemazione
dei fuggiaschi della Catalogna.
Per primi si arruolarono nell'esercito inglese i legionari reduci
dalla Norvegia, che non avevano voluto seguire De Gaulle o
ritornare alle caserme africane, ed elementi della 185a Compagnie
des travailleurs ètrangers, che, aggregata al corpo di spedizione
britannico, da Dunkerque era riuscita a raggiungere l'Inghilterra.
Poiché gli stranieri per regolamento non potevano far parte delle
unità di combattimento dell'esercito inglese, vennero inquadrati
nella Number One Spanish Company del Pionier Corp, adibito a
servizi di retrovia. Eseguirono opere di fortificazione della
costa sud dell'isola e cooperarono allo sgombero delle macerie
delle città bombardate; prepararono strade ed accampamenti per
l'organizzazione dello sbarco in Normandia, che raggiunsero
nell'agosto 1944, e seguirono l'avanzata delle truppe alleate.
Altre compagnie formate nel Nord Africa furono utilizzate per
caricare e scaricare le navi e per sorvegliare depositi e
trasporti di materiale o seguirono le truppe alleate nella
campagna d'Italia o furono mandate in Scozia a lavorare in
polveriere.
Tutti ottennero alla fine della guerra la cittadinanza inglese e
poterono farsi raggiungere dalle famiglie rimaste in Francia o in
Africa.
Diversi spagnoli fatti prigionieri in Libia vennero trasferiti in
un campo di prigionia presso Laterina e qui li sorprese
l'armistizio dell'8 settembre 1943; molti fuggirono per
raggiungere le linee alleate, altri, fidando in una rapida
avanzata degli angloamericani, rimasero nel campo e furono
catturati dai tedeschi che li internarono in Germania,
considerandoli tuttavia come prigionieri di guerra. Altri ancora
si unirono ai partigiani italiani della zona di Arezzo o del monte
Amiata.
Va inoltre ricordato l'apporto di centinaia di marinai spagnoli
imbarcati su navi inglesi.
Un capitolo a parte è rappresentato da quanti, trovandosi in
Russia, si arruolarono nell'Armata rossa e concorsero alla difesa
prima e poi al vittorioso contrattacco russo contro gli invasori
nazisti. Il più noto fu Ruben Ruiz Ibarruri, figlio della "Pasionaria",
caduto sul fronte di Stalingrado ed insignito del titolo di "Eroe
dell'Unione Sovietica".
Si ritiene che complessivamente furono coinvolti nella seconda
guerra mondiale, come militari o altro, circa cinquantamila
spagnoli, pari al 25 per cento degli uomini entrati in Francia nel
1939 in grado di prendere un'arma.
Le perdite, con una certa approssimazione, possono essere così
sintetizzate: seimila caduti nell'esercito regolare francese,
mille caduti nelle forze britanniche, seicento caduti nelle forze
partigiane francesi, diecimila morti nei campi di sterminio.
L'ultimo doloroso capitolo dell'odissea dei profughi della
retirada fu la guerriglia in Spagna, la cui azione più eclatante
fu l'incursione nella valle d'Aran, che però fu prontamente
rintuzzata dalle truppe di Franco. Il resto fu un susseguirsi di
azioni di piccole bande dislocate sui Pirenei o nella Sierra
Nevada o Morena e nelle Asturie. Secondo una fonte ministeriale
spagnola i caduti della Guardia civil e dell'esercito in questa
lotta ammontarono a 500 militari e 10 ufficiali. I guerriglieri
furono circa quindicimila e compirono 8.275 azioni, subendo 5.548
morti e 634 prigionieri, per la massima parte passati per le armi.
Questa impossibile lotta si esaurì nei primi anni sessanta, poi
lentamente l'evolversi degli avvenimenti mondiali fece scendere
sulla Spagna una cappa di silenzio, che durò fino alla morte di
Franco, avvenuta nel novembre 1975. Negli anni precedenti amnistie
via via concesse dal Governo permisero il ritorno in Spagna di
parte dei rifugiati, ma diversi di essi ripartirono perché ormai
la Spagna aveva perso tutte le caratteristiche di quando si poteva
cantare: "Como estaba felix nuestra Revolución!". |
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e se non
basta
by ibarruti Thursday, Apr. 21, 2005 at 1:06 AM |
Dolores Ibarruti
"El ùnico camino" è il titolo del libro che Dolores scrisse nel
1962 per ricordare le tappe della sua vita. Proponiamo due brani
tratti da quell'opera uscita in Italia (Editori Riuniti) col
titolo "Memorie di una rivoluzionaria"
Quel 18 luglio del 1936
L'ottimismo di molti dirigenti repubblicani e socialisti che si
ostinavano a chiudere gli occhi davanti al pericolo, sostenendo
che noi comunisti seminavamo l'allarme con le nostre continue
sollecitazioni a prendere le precauzioni necessarie contro un
eventuale colpo di forza, era assurdo. (...) Da diversi giorni
nelle sedi del partito comunista dei diversi quartieri, e così
pure al Comitato centrale, mantenevano una guardia permanente.
La guardia che facevamo a turno ai nostri locali era completata
dalla vigilanza stabilita intorno ai centri reazionari dei
quartieri e delle abitazioni delle personalità più in vista della
destra e degli uomini noti per le loro idee reazionarie. Gli
uomini e le donne che formavano le milizie antifasciste si davano
il cambio di ora in ora. (...) Passammo molte notti in bianco.
Nessuno voleva andare a dormire. E quando in qualche compagno si
avvertivano tracce di fatica e gli sì ordinava di andare a
riposare, egli si rifiutava fermamente. Non c'era modo di
convincere nessuno a ritirarsi nella sua abitazione. (...) E
infine la tempesta, che da tanto tempo minacciava, si scatenò.
1118 luglio 1936 la Spagna fu destata di soprassalto.
I primi colpi di cannone dell'insurrezione furono uditi in
Marocco. L'eco degli spari si diffuse spaventoso per tutta la
Spagna. Di bocca in bocca, di casa in casa, dì strada in strada,
veniva dato l'allarme: "Le forze militari distaccate in Marocco si
sono sollevate contro la repubblica!". Le scarse ma allarmanti
informazioni che attraverso diverse vie arrivano alla conoscenza
del popolo spingevano decine di migliaia dì cittadini a scendere
nelle strade, nei villaggi e nelle città, in un andito patriottico
di conoscere la verità. dì dimostrare di essere disposti ad
appoggiare il governo nelle difesa della repubblica.
I dirigenti delle organizzazioni operaie e dei partiti politici,
tanto i corrispondenti del Fronte popolare quanto quelli che per
diverse ragioni non vi partecipavano, si misero rapidamente
d'accordo per prendere le misure necessarie per la gravissima
situazione che si era creata con la ribellione dei militari, la
cui importanza non poteva essere ignorata da nessuno. Solo il capo
del governo repubblicano, il signor Casares Quiroga, avvocato
galiziano, di provenienza repubblicana, iscritto al partito della
sinistra repubblicana, al quale apparteneva anche il presidente
delta repubblica Manuel Azaña, tentò di sminuire l'importanza del
movimento sovversivo, considerandolo alla stregua di uno dei tanti
pro pronunciamenti militari di qui era stata così prodiga la
storia spagnola del secolo XIX, e pertanto, facile da liquidare da
parte del governo.
La causa principale dello scoppio della guerra, dal punto di vista
interno, aveva la sua radice nell'odio di classe di
un'aristocrazia latifondista e di un'oligarchia plutocratica
economicamente collegate, che non accettavano nè lo sviluppo
democratico del paese né la sia pur minima riduzione dei loro
privilegi di classe e di casta. Dal punto di vista esterno, la
reazione era stimolata e incoraggiata dall'Italia e dalla
Germania, dove i promotori della sollevazione avevano messo a
punto i dettagli e ottenuto aiuti che furono concessi senza
stiracchiamenti e non disinteressatamente. La situazione
strategica della penisola iberica ponte fra l'Europa e l'Africa le
sue ricchezze minerali, la sua prossimità al continente americano
e la sua influenza fra i paesi dell'America latina valevano bene
un appoggio alla reazione spagnola (...).Aerei italiani e tedeschi
distrussero Guernica e Nulcs. Cannoni tedeschi facevano saltare le
fortificazioni repubblicane della Sierra Pandols e bombardavano
Madrid dal Cerro de los Angeles.Forze italiane conquistarono
Màlaga; navi da guerra tedesche cannoneggiarono Almeria, aerei
tedeschi bombardarono decine di volte Barcellona e Madrid; unità
militari italiane furono sconfitte a Guadalajara; camicie nere
italiainc accerchiarono gli ultimi resti dell'esercito popolare
rifugiato nel porto di Alicante... Queste erano le forze della
cosiddetta Spagna nazionalista con le quali dovette scontrarsi e
lottare il popolo spagnolo nella sua eroica resistenza dal luglio
1936 al marzo del 1939.
E anche se fin dai primi momenti la disparità dei mezzi e delle
forze era sfavorevole al popolo, questo non indugiò certo a
contare i nemici, né fu scoraggiato dinnanzi alla loro forza.
Accettò la sfida e si gettò nella lotta ineguale. (...)
Le direzioni di tutti i partiti erano riunite nelle rispettive
sedi, attente alle notizie e disposte ad agire. Il popolo si
preparava alla lotta. Le sedi delle organizzazioni si riempivano
di operai, di lavoratori, che volevano indicazioni, che esigevano
le armi. Una rappresentanza del Fronte popolare si recò a chiedere
al governo di armare le milizie operaie per difendere la
repubblica. Casares Quiroga, rispose che non lo credeva opportuno,
in quanto il governo era sufficientemente forte per dominare la
situazione.
Ma, man mano che le ore passavano, le notizie erano sempre meno
tranquillizzanti. Si seppe così che le Canarie e tutti i
possedimenti africani erano in mano dei ribelli. Che Valladolid e
Valencia si univano al movimento; che Burgos, Avila e la Galizia
erano nelle mani degli insorti; che nei quartieri di Madrid e
anche a Barcellona accadeva qualcosa di anormale. Allora il
governo non poté più resistere e dinanzi alla richiesta delle
masse e alla pressione delle organizzazioni del Fronte popolare si
vide costretto a consegnare le armi nelle mani dei lavoratori. Il
popolo si preparava a difendere la repubblica. (…) Madrid, e con
Madrid la Spagna leale, ardeva di febbre. "Armi! Armi!" era il
grido del popolo. Camion, camionette, taxi, auto private correvano
a velocità suicide, portando i lavoratori armati che abbandonavano
il lavoro per impugnare il fucile.
Le notizie che venivano radiodiffuse dal governo e che
annunciavano che l'insurrezione era stata soffocata in diversi
luoghi erano accolte dalle masse con grande giubilo.
Le brigate internazionali
Madrid sente sul suo viso l'ansimare della fiera che spia, che
striscia, che avanza, che vuole, oggi 7 novembre 1936,
anniversario della Rivoluzione d'ottobre, assestare un Colpo
decisivo alla resistenza popolare.
Con un'avanzata fulminea che le apra il cammino sino al cuore
della città e obblighi la Spagna repubblicana a inginocchiarsi,
pretende mettere fine alla guerra con la sua vittoria, cancellare
dalla coscienza delle masse anche il ricordo della data immortale.
In sanguinosi combattimenti i miliziani hanno fatto fallire i
primi assalti dei ribelli alla capitale, ma nonostante ciò i
fascisti sono riusciti a guadagnare terreno.
Madrid ferita, dissanguata dalla mitraglia, chiude gli ingressi
delle sue entrate periferiche con trincee anticarro, con muri
improvvisati, con reticolati di filo spinato. L'ululato delle
sirene rompe il silenzio della città e avverte la popolazione del
pericolo che la sovrasta.
I proiettili dell'artiglieria del Cerno de los Angeles e le bombe
dell'aviazione fascista lacerano dall'alto in basso gli edifici
più alti; scoppiano dentro di loro, distruggono monumenti secolari
e tesori artistici di valore incalcolabile, annientano migliaia di
vite. Bombardato e il museo del Prado, incendiato il Palazzo del
Duca d'Alba con le sue ricchezze artistiche e storiche conservate
con tanto amore dai nostri miliziani. Gli abitanti delle strade
battute dall'artiglieria si trasferiscono in luoghi meno
pericolosi. La popolazione si concentra nei quartieri ancora non
colpiti dai bombardamenti.
Gli altoparlanti del V° Reggimento danno, a intervalli, istruzioni
per evitare rischi inutili. Preparano i madrileni, li abituano
all'idea del nuovo attacco nemico, che i fascisti visibilmente
organizzano e che è necessario respingere. Madrid non è già più la
città libera e aperta di ieri. Oggi è una fortezza assediata.
Verso il levante ospitale sono stati evacuati i bambini, gli
infermi e i vecchi.
Gli uomini e le donne che restano nella capitale sono disposti a
rinnovare la sua storia gloriosa, a difendere la loro bella città,
pietra per pietra, casa per casa, strada per strada.
L'imminenza dell'attacco nemico tiene la popolazione all'erta e
preparata. Si fanno calcoli si misurano le possibilità. Le ore
passano e la tensione si fa insopportabile.
Coi pugni stretti, con l'orecchio attento e lo sguardo fisso, lì,
dove il nemico pondera e cerca un punto debole dove irrompere, per
lanciare all'assalto le sue orde, i madrileni aspettano...
Aspettano... Nel silenzio impregnato di minacce, di pericoli, di
sorprese sanguinose, comincia a udirsi un rumore ritmico, che
scuote, di passi decisi, che cresce, che si approssima.. Si ode
ora distintamente il rumore delle scarpe ferrate sul pavimento
delle strade.
C'è un momento di stupore, di indecisione. Chi viene? Chi sono
quelli che si avvicinano? Chi sono gli uomini che il 7 novembre
1936 marciano per le strade della nostra Madrid, muti, alteri,
severi, col fucile in spalla e la baionetta innestata, facendo
tremare il suolo sotto i loro piedi?
Dietro le finestre socchiuse, sguardi febbrili seguono il cammino
di coloro che avanzano, mentre le mani si serrano sulle armi,
sulle bombe pronte per essere lanciate. Le donne disperate dicono
agli uomini: "Sono entrati!...Che aspettiamo?...".
Sì ode un ordine, una voce di comando in una lingua straniera, che
spazza come una frusta l'aria della strada. le prime strofe di un
inno vicino e caro accompagna il ritmico movimento degli
sconosciuti. L'aria si riempie di suoni e di parole vibranti,
solenni, che fanno fremere i madrileni. "Dio mio! Non è un sogno,
questo?" - si chiedono le donne con parole in cui tremano i
singhiozzi.
Gli uomini che sfilano per le strade di Madrid assediata, cantano
l'Internazionale in francese, in italiano, in tedesco in polacco,
in ungherese, in romeno!
Sono i volontari delle Brigate internazionali, che all'appello
dell'Internazionale comunista sono venuti nel nostro paese per
lottare e forse morire insieme con noi.
Il popolo madrileno si lancia per la strada incontro a coloro che
sa suoi amici. E uomini e donne, in un impulso incontenibile e
commosso, abbracciano piangendo i combattenti delle brigate
internazionali...
La formazione è stata spezzata. Tutti voglion salutare con ciò che
hanno di meglio gli "internazionali". Ogni madrileno vuoi portare
a casa sua qualcuno di quegli uomini, o tutti. Ci sì è dimenticati
che il nemico spia, si è dimenticato il pericolo... E
improvvisamente... Superando le grida e le esclamazioni di gioia e
di entusiasmo che riempiono le strade, un rombo di motori
incomincia a roteare per i cieli, si approssima a Madrid.
C'è un istante di panico nella gente che si è precipitata nelle
strade incontro agli "internazionali".
"L'aviazione! L'aviazione!" gridano. Alcuni punti neri che
crescono, che si profilano, che si approssimano volando basso. Non
son gli essers, non sono i Savoia. Aerei sconosciuti hanno fatto
irruzione nel nostro spazio aereo, vengono verso di noi... E non
mitragliano. E non lanciano bombe... Che vuol dire, questo?
Una squadriglia di I-15 e di I-16 che più tardi il popolo chiamerà
affettuosamente "rincagnati" e "mosche", vola rapida, incrociando
nel ciclo di Madrid, quasi a guardia della città, e saluta la
popolazione profondamente impressionata.
Sulle ali degli aerei che si abbassano in segno di omaggio ai
combattenti sta la bandiera repubblicana.
Il momento è indescrivibile. Un grido immenso di gioia, di
entusiasmo, di sollievo, uscito da migliaia di gole sale dalla
terra al cielo, accoglie e accompagna l'apparizione dei primi
aerei sovietici nel cielo della nostra patria, sentinelle
vigilanti che impediscono al nemico di avvicinarsi.
"Sono aerei sovietici! Sono nostri... nostri! Nostri!".
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tratto da:
http://www.carmillaonline.com/archives/2005/09/001503.html
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