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I Messapi

 

 

 

 
Introduzione

I Messapi erano gli abitanti della parte meridionale della Iapigia (Puglia) distinti dai Peuceti (terra di Bari) dai Dauni (terra di Foggia) e riconosciuti con il nome di Salentini.

Non si sa bene da dove derivi il loro nome. Si pensa significhi "popolo tra due mari" perché si erano stabiliti nella zona a sud della Puglia, tra il Mar Adriatico e quello Ionico, e perché nel loro nome si avverte la presenza del suono "ap", come anche in Iapigi e Apuli, che vuol dire "acqua". Si pensa anche voglia dire "domatori di cavalli" (equorum domitores, come li definisce Virgilio); infatti allevavano i cavalli.

Erodoto li ricorda come una popolazione unitaria e compatta etnicamente e culturalmente; in un passo della sua opera, i Messapi sono definiti discendenti dei Cretesi, che si spinsero sulle coste del Salento, si mescolarono alle popolazioni già presenti, fondando così le prime città e portando usi e costumi che distinsero i Salentini dalle altre popolazioni.

Secondo gli storici moderni, invece, i Messapi erano di stirpe illirica, come farebbero pensare gli etnici, i nomi geografici, le glosse e la lingua delle iscrizioni messapiche, rinvenuti in Puglia. Essi sarebbero arrivati a Otranto intorno al 1000 a.C., in quanto punto più vicino all’Albania, e poi sarebbero scesi fino a S. Maria di Leuca e risaliti fino a Taranto . Questo deriva da testimonianze storiche considerate valide perché gli autori antichi parlano di alcuni viaggi così effettuati. Anche Virgilio nell’Eneide, parlando delle peregrinazioni di Enea, fa riferimento ad un viaggio con un itinerario simile.

Gli storici antichi assegnavano ai Messapi tutta la penisola da Brindisi e da Taranto fino al capo di S. Maria di Leuca, come testimoniano i ritrovamenti linguistici. La lingua messapica ci è nota da un numero considerevole di iscrizioni pubbliche, funerarie, votive, numismatiche, rinvenute in Puglia soprattutto nel Salento, redatte in alfabeto messapico, che è quello greco di Taranto . Si tratta di una lingua indoeuropea che rientra nel gruppo delle lingue cosiddette "satem", cioè le indoeuropee centro-orientali, presentando un’affinità con l’odierno albanese. Comunque della lingua messapica non si sa molto, o meglio, si sa leggerla ma non si sa capirla perché i simboli, simili a quelli dell’alfabeto greco, formano parole di cui non si conosce il significato.


Da non molto tempo, in occasione della revisione delle conoscenze circa i popoli che, nei secoli che precedettero la nascita di Roma, hanno abitato la penisola Italiana ed il Salento in particolare, si è cominciato a parlare dei Messapi o, per meglio dire, della "Sfinge Messapica", in quanto si tratta di un popolo che fa arrovellare le menti degli studiosi che sono ancora alla ricerca delle loro sicure origini ed identità:"Nessuno sa nulla dei Messapi e quel poco che noi conosciamo è così esile e scarno da assomigliare praticamente al nulla." Sono parole di Oronzo Parlangeli, che dedicò larga parte dei suoi studi a questo misterioso popolo; da qui il paragone con la Sfinge od, osando un po', con gli Etruschi. Si sa difatti che, come gli Etruschi, era un popolo fiero e portatore di una propria autonoma civiltà ma, all'arrivo dei Romani, non seppe reggere l'urto di questi ultimi nuovi arrivati e, perciò, lentamente sparì.

Per iniziare a fare un po' di luce, bisogna partire da una semplice constatazione geografica: il Salento è la regione più a est d'Italia (per la precisione capo d'Otranto ne è il punto più a est), questa particolarità geografica ne ha ovviamente condizionato la storia. Il Salento è, difatti, testa di ponte da millenni fra l'Oriente e l'Occidente e viceversa, ed è stato interessato da tutti i popoli che si sono mossi nell'area del bacino del mediterraneo.

L'origine dei Messapi si potrebbe datare attorno al XIII-XII sec. a.C. quando gruppi provenienti dall'Illiria, una regione oggi poco a nord dell'attuale Albania,  si stanziarono nella penisola Salentina, mescolandosi con le popolazioni paleo-meridionali, dette anche ausoniche. La storia racconta che gli invasori furono guidati da Japyge, Dauno e Peucezio. I seguaci di Dauno si insediarono nell'attuale foggiano, le genti di Peucezio si stanziarono nel territorio barese, il gruppo guidato da Japyge occupò, infine, le sedi meridionali della Puglia, stabilendosi nell'attuale territorio delle province di Lecce, Brindisi e Taranto.  Japygia, alla fine, si chiamerà tutta la Puglia fino alla totale conquista romana ( 269-267 a. C. ),  quando poi muterà il nome in Calabria. Quasi contemporaneamente agli Illiri si mossero verso questa terra anche i Greci, quasi sicuramente di provenienza cretese. Le fonti letterarie dell'antichità non si rivelano sempre attendibili al proposito, data la loro natura mitizzante delle informazioni storiche. Non sarebbe del tutto leggendario, però, il noto episodio di Erodoto secondo il quale Cretesi-Micenei, di ritorno dalla Sicilia, furono gettati da una tempesta in Japygia e, non avendo più possibilità di tornare a casa, vi rimasero e si trasformarono in Jàpygi-Messapi. Il poeta Virgilio invece, narra dell'eroe Idomeneo che, cacciato dalla propria patria, Licto, nell'isola di Creta, durante le sue peregrinazioni, in greco salo, riunì ed amalgamò profughi di diversa stirpe, i quali poi si fusero e si assimilarono con i Messapi, cioè i "popoli tra i due mari".

La Japygia, che sorse come unità statale nel 1280 a. C., estese in seguito la sua influenza nel Salento e su tutti i territori dell'odierna Puglia, costituendo una federazione di nazioni e stati con i Salentini, i Peucezi ed i Dauni. Soltanto la dorica Taranto, a stento, riuscì a conservare la propria egemonia politico-culturale nella regione opponendosi con le armi, ma invano Taranto cercò di assoggettare i Messapi: i Tarantini, imbattibili sul mare, dovettero soccombere a terra contro i Messapi, abili domatori di cavalli. La cavalleria messapica era celerissima negli spostamenti e dell'imbattibilità dei cavalieri messapici si accorsero anche i Romani allorché li vollero al loro fianco nella seconda ( 326-304 a. C. ) e terza (298-290 a. C. ) guerra sannitica. I Messapi, fieri della propria civiltà e della loro potenza militare, erano laboriosissimi e coltivavano l'arte, pur non raggiungendo gli altissimi livelli dell'arte greca. Curavano inoltre le industrie, il commercio, la pastorizia e l'agricoltura, su tutto, comunque, primeggiava l'arte della guerra. Ammirarono molto la cultura ellenica che cercarono di imitare e che li influenzò profondamente nell'arte, nella religione e nei costumi, favoriti sicuramente dalla frequenza degli scambi commerciali con le colonie greche. Un aspetto importante della vita messapica è emerso dagli scavi di Vaste, Oria e S. Pancrazio dove, in vasi di bronzo, sono state ritrovate monete d'argento. Negli anni sessanta e settanta sono venute alla luce epigrafi a Lecce, Ugento, Oria e nella grotta di Roca vecchia. Nonostante ciò, non si può parlare di una lingua messapica autonoma, l'influenza della lingua greca anche in questo settore fu dominante, essa infatti non ebbe seguito in quanto non lasciò testimonianza letterarie. Circa l'abbigliamento, le donne usavano indossare, per lo più, una lunga tunica fermata da fibule di rame, di bronzo o di metallo nobile a seconda delle condizioni sociali. Largo uso si faceva di unguenti e profumi contenuti in unguentari fittili o di pasta di vetro dorato. Non mancavano, altresì, di adornarsi di anelli, spilloni ed armille, la trozzella era lo strumento di corredo più caro alle donne come le armi per l'uomo. Inoltre i ceti più benestanti usavano sulle loro mense utensili d'oro e d'argento, non pochi esemplari sono venuti alla luce.

Ma Roma non amava le città concorrenti della sua potenza. Tra il 269 ed il 267 a. C., in seguito alla guerra tra i confederati messapo-salentini, Taranto e Pirro contro l'Urbe, si compì la conquista romana del Salento, dove si parlavano il messapo ed i vari dialetti magno-greci che nel corso di sette secoli di dominazione latina vennero completamente spazzati via. Roma legava a sé tutte le genti sottomesse con patti giuridici ed accordi, ma le città messapiche erano cadute in uno stato di crisi economica e demografica. Il loro stato di esasperazione si rivelò durante le guerre puniche: i centri messapici passarono senza esitazione dalla parte di Annibale, Roma non perdonò mai    quest'azione. Le proprietà delle genti del Salento furono confiscate ed assegnate al territorio demaniale, al vecchio lotto si sostituì il latifondo a lavoro schiavile, la penisola si ripopolò, ma le città messapiche avevano perso per sempre il loro ruolo di protagoniste.

Del misterioso popolo dei Messapi, fieri della loro civiltà e della loro potenza militare, nel Salento rimangono mura isodome, stazioni archeologiche e nella stessa città di Lecce, di tanto in tanto, emergono durante scavi occasionali, tombe, iscrizioni, corredi funerari messapici di cui qualche reperto si può ammirare nel museo "S. Castromediano", mentre la stragrande maggioranza della suppellettile funeraria è custodita dal Museo Nazionale di Taranto.

Resti delle mura dei Vereto (9695 bytes)Molti paesi della provincia di Lecce devono le loro origini a questo popolo antichissimo: Alezio, Soleto, Vaste, Rocavecchia, Patù, Cavallino, Ugento, Gallipoli e la stessa Lecce, inizialmente subordinata al più importante centro di Rudiae ( nacque a Rudiae nel 239 a. C. Quinto Ennio, poeta insigne di Roma, fiero dell'acquistata cittadinanza romana, ma pure orgoglioso delle proprie radici messapo-rudine), sono solo alcune delle tante città Messapiche del Salento.

Tuttavia esistono anche vere e proprie "città morte", fondate dai Messapi. Una di queste è Vereto, o, per lo meno, quello che resta di un antico insediamento messapico. Situata nel sud del Salento, pare che sia stata conosciuta, nell'antichità, anche con il nome di "Iria", città fondata da un gruppo di Cretesi. A questo punto, però, la storia si confonde con la leggenda, già ricordata sopra, di Idomeneo che, lasciata la sua isola per combattere nella guerra di Troia, tornato a casa, si trovò spodestato. Raccolto un gruppo di fedelissimi, riprese il mare e navigò sino a giungere ad una nuova terra ospitale. Sbarcò, sempre secondo la leggenda, in una magnifica baia dove, su un isolotto in prossimità della costa fondò quella che sarebbe stata chiamata la "città Bella": Gallipoli.

Da Gallipoli il prode Idomeneo partì alla scoperta della terra di cui si accingeva a prendere possesso e, più a nord fondò un nuovo villaggio: era il primo nucleo di quella che sarebbe stata, tremila anni dopo, la moderna Lecce. Mancavano, più o meno, mille anni alla nascita di Gesù Cristo e circa quattrocento per la fondazione di Roma.

Della antica civiltà dei Messapi esistono, ancora oggi, incuranti del rigore del tempo, tracce delle mura che questi antichi abitanti solevano costruire attorno alle loro città; purtroppo, queste grandi costruzioni servirono, durante i secoli bui del Medio Evo, da vere e proprie cave di pietra per erigere altre costruzioni. E, siccome le pietre usate dai Messapi solevano essere ben squadrate e di grosse dimensioni, non é difficile riconoscerle come facenti parte di altre costruzioni di origine, sicuramente, più recente.

Un'altra caratteristica dei Messapi: essi prediligevano erigere le proprie cittadine in cima ad una collina, da cui potevano, con facilità controllare le vallate sottostanti; tipico esempio sono Ugento, Alezio e, in provincia di Brindisi, Ceglie Messapica e, ormai inesistente, l'antica Vereto, nei pressi di Patù.

 

Cenni storici

Popolo combattivo e indipendente, i Messapi si scontrarono con i Tarentini (in continua espansione verso l’interno), riportando su di loro una vittoria nel 473. Pochi decenni dopo, durante la guerra del Peloponneso, il principe messapico Artas prestò aiuto agli Ateniesi contro Siracusa (413). Dal 343 al 338 i Messapi si imbatterono con successo contro il re spartano Archidamo III, accorso in aiuto di Taranto ; vennero quindi sconfitti da Alessandro d’Epiro, intervenuto in appoggio alla città greca. Alleati di Roma nella prima e nella seconda guerra sannitica, i Messapi si staccarono in parte da essa durante la terza guerra, si schierarono al fianco di Pirro nella lotta dei Tarantini contro Roma : ma furono sconfitti nel 280 a.C. e sottomessi nel 267 -266. Mai del tutto assimilati alla civiltà romana, durante la seconda guerra punica essi si ribellarono (213-212 a.C.); in seguito, nel 90 a.C., parteciparono alla "guerra sociale".

Tra i centri abitati sono da ricordare Canosa, Ruvo, Ceglie, Brindisi, Oria, Rudiae, Conversano, Francavilla, Manduria, Roca, Otranto, Soleto, Ugento, Lecce, Ostuni, Alezio, Muro Leccese, Gallipoli, Patù, Vitigliano, Cavallino e Vaste.

   
La Civiltà
 

La civiltà messapica è caratterizzata da una nuova ceramica attestata da reperti simili alle ceramiche micenee, ma appartenenti a gruppi che non trovano riscontro esatto nelle scoperte del Bacino dell’Egeo; è una speciale ceramica a ornamenti geometrici con forme singolari di vasi detti "TROZZELLE", ad alti manici, e anfore a collo largo. 

I Messapi coltivavano l’ulivo, la vite; si dedicavano alla pastorizia, all’allevamento dei cani, all’apicoltura e particolarmente sviluppato era l’allevamento dei cavalli. Infatti intorno al 500 a.C. i Tarentini si rivolsero ad un artista peloponnesiaco, Agelada di Argo, per innalzare a Delfi il donario commemorativo di una vittoria sui Messapi che rappresentava la preda tratta dal popolo vinto, e cioè donne e cavalli.

Inoltre essi indossavano una veste lunga che si stringeva ai lembi con un cappuccio, usavano sandali; le donne mettevano lunghe tuniche e si ornavano il capo con una corona, come si evince dai vasi istoriati.

Sembrano, queste, tutte espressioni di amore per la vita, di imperturbabilità di fronte all’evento misterioso della morte; la stessa presenza dei sepolcri dentro le mura cittadine è la manifestazione più autentica di tale sentimento di serenità della creatura terrena nei confronti dell’aldilà.

Le tombe, che dimostrano sempre il rito a inumazione, nel periodo più antico hanno la forma di tumuli di pietra, più tardi si hanno ipogei. Molto probabilmente nel modo di seppellire i defunti essi sono stati influenzati dai Greci; infatti da altri scavi si è saputo che usavano seppellire i morti in tombe di pietra con delle steli e mettevano in bocca al defunto una moneta (usanza di origine greca).

I reperti dimostrano, infine, che i Messapi subirono l'influenza greca anche per ciò che attiene alla religione, come rivelano i nomi di divinità messapiche che richiamano alcune tra le più importanti dell'Olimpo greco. Ma abbiamo testimonianza dell'esistenza di dei propri dei Messapi. Cosimo Pagliara ha studiato le iscrizioni nelle grotte di Torre dell’Orso e in quella di Roca, denominata "La Poesia", e ci ha comunicato i nomi di alcune divinità messapiche come Tator o Taotor, una delle più importanti di questa zona. Un altro esempio è Giove Batio venerato nei rovi da cui deriva il nome Batio (che significa appunto rovi). È in realtà una divinità venerata nella grotta, a volte considerata maschile e a volte femminile, raffigurata perciò mentre allatta il figlio. Quest’ultimo culto prevalse in età post-messapica come culto pagano ad una divinità femminile che cresce il figlio.

   

L'Organizzazione Politica

mappa di SoletoIl popolo dei Messapi, verosimilmente, si organizzò in città gestite da oligarchie gentilizie, unite in una confederazione capeggiata da un re. Uno dei loro re fu Opis e in una leggenda si narra che il primo re dei Messapi fu Iapige.

Questo popolo in nessuna occasione ha minimamente cercato di espandere i propri domini ai danni delle popolazioni vicine e lontane; non ha mai pensato a guerre di conquista, ha solo difeso fino all’ultimo respiro la terra iapigia, nella quale da tempo immemorabile aveva stabilito la propria dimora, dando vita a un legame sanguigno, fisico con questa terra, organizzandosi in proprio per respingere le continue incursioni di Taranto e di tutti gli avventurieri stranieri chiamati in Puglia a spezzare la resistenza delle genti indigene.

Non ebbero dunque un’indole aggressiva ed espansionistica. In un’epoca in cui era possibile avanzare e muovere verso un dominio che invitava alla conquista, essi rimasero là dove si erano originariamente fissati.

Risulta probabile che non un singolo popolo abbia costituito la nazione messapica, bensì l’apporto di elementi e di genti di diversa provenienza, tra le quali assunsero un ruolo prevalente gli Illiri, gli Elleni e i Fenici.

Le principali vie di comunicazione

All'interno di essa scorrevano importanti vie di comunicazione; fra le più frequentate dai traffici erano:

  • la Via Sallentina, che da Taranto portava fino al promontorio japigio di Leuca, passando per Manduria, Nardò,  Alezio e Ugento;

  • la Via Idruntina, che da Brindisi arrivava a Leuca, passando per Cavallino e Otranto;

  • la Via Brentyria (termine convenzionale composto dall'unione dei toponimi Brentesion e Hyria) che portava a Taranto, passando per Oria e Grottaglie. 

  • La Via Acheorum, invece, era una strada più antica, costruita dai primi visitatori achei che si avventurarono da queste parti durante il periodo miceneo. Essa, ancora in parte percorribile nel V secolo, seguiva un tracciato ad ellisse che da Hydruntum  (Otranto) passava per Sybar Sallentina (Cavallino), Rhudia, Orra, Mesochoron (Grottaglie), Taranto e continuava fino a Metaponto.

Si può immaginare, quindi, quanto la penisola salentina fosse stata importante nel corso della storia, considerando anche il fatto che essa era meta di mezzo (Metapia) per i grandi traffici che seguivano la rotta a piccolo cabotaggio verso le regioni occidentali. 

Alcuni centri messapici

Alezio

(Alixias)

Tra le testimonianze dell’antico popolo messapico, meritano di essere ricordate le tombe messapiche aletine. Una di esse è composta da venti lastroni in tufo locale (che formano un volume complessivo di circa 10 metri cubi). Gli oggetti recuperati al momento del ritrovamento e successivamente, furono un’anfora vinaria, cinque unguentari fusiformi, una lucerna, frammenti di ferro uniti da forte ossidazione, una moneta ridotta pressoché in polvere e dei chiodi. Nella piazza principale, infine, fa spicco una tomba monumentale con iscrizioni in lingua messapica.

CASTRA  MINERVAE

(Castro)

Secondo la tradizione, Castro sarebbe stata fondata dai Cretesi o dai Greci. Fu greca e poi romana con il probabile nome di Castra Minervae. In epoca medioevale divenne un centro fiorente nei commerci e nelle industrie, tanto da essere sede vescovile dal 1179, epoca in cui abbandonò la giurisdizione della Chiesa di Bisanzio, edificando una cattedrale dedicata all'Annunziata, attuale patrona cittadina. Sotto i Normanni divenne contea; nel '500 era rinomata come piazzaforte capace di resistere ai continui assalti dei pirati. Nel 1537 però fu annientata dall'armata ottomana di Ariadeno Barbarossa, tanto da costringere il vescovo a trasferire la sede nel comune di Poggiardo. Decadde fino a ridursi ad un villaggio di pescatori. Dalla fine dell'Ottocento, con la scoperta delle Grotte marine, è oggetto di studi di archeologia marina e importante sito di interesse turistico-culturale di valore internazionale.

Cavallino

(Sybar Sallentina)

Il sito di Cavallino è assai interessante perché mostra un insediamento messapico che ha conservato integra la sua omogeneità sociale, culturale ed armonica già nell’VIII sec.; nel VI sec. a.C. si mostra già urbanisticamente sistemato. Verso la fine del VI sec. a.C., per difendersi dalle minacce e dai propositi bellicosi dei Tarentini, i Messapi di Cavallino decidono di approntare intorno alla città una solida e valida cinta muraria e scavare un fossato per tutta la lunghezza del perimetro cittadino. Con gli scavi sono venuti alla luce molti oggetti: accette litiche levigate di roccia filoniana grigia, aghi lunghi e sottili di osso, chiodi e fibule di ferro. Altri oggetti personali erano quelli usati come elementi di collana e bracciali: fuseruole e valve forate; oggetti per giochi fanciulleschi erano le palline e le rondelle di terracotta. È stata trovata, anche, una piramidetta con incisa una dedica ad una divinità femminile: Arzeria. Nelle poche tombe sono state rinvenute borchie e collane di bronzo, vasellini di terracotta, bellissimi vasi, armi di selce, figurine di bronzo, una civetta di bronzo e grande abbondanza di monete. Le tombe per adulti erano a cassa rettangolare, uniformi come dimensioni, scavate nella roccia affiorante, coperte da lastroni di pietra leccese ed erano poco profonde. Interessante il modo in cui seppellivano i bambini: agli angoli dell’abitazione, i corpi venivano sistemati in posizione rannicchiata dentro un pithos ovoidale oppure dentro un cratere di produzione locale, decorate a fasce o a motivi geometrici.

Ceglie Messapica

Attorno all’abitato di Ceglie è dato riconoscere, da un’indagine recente, tre cinte murarie di età messapica, ancora oggi in parte visibili; il circuito più stretto e più antico è composto da blocchi megalitici sistemati a secco, che spesso integrano la roccia a tratti affiorante. Le altre due cinte murarie, a brevissima distanza l’una dall’altra e collegate tra loro dai muri a secco e camminamenti, comprendono un territorio molto più vasto del centro abitato antico, per consentire il foraggiamento della città nell’eventualità non remota di un assedio; è stata individuata una porta della città messapica con una torre e un camminamento esterno dell’altezza di circa 4 metri. Esiste anche una quarta cinta muraria con Specchie dalle evidenti funzioni difensive e avvistatrici. Per la cronologia di questo sistema difensivo bisogna ricorrere ad argomentazioni di carattere storico che portino alla giustificazione di questo sistema così complesso attorno all’abitato di Ceglie. Il centro rappresentava anticamente, insieme con Oria, Manduria e Carovigno, il primo ostacolo contro cui si sarebbe trovata ad urtare Taranto, città greca, protesa in una espansione verso l’interno; la prima notizia storica che noi abbiamo dei Messapi consiste nel passo di Erodoto VII, 170 relativo alla battaglia tra Messapi da una parte e Tarentini e Reggini dall’altra. Questa battaglia di cui Erodoto parla come della più grave sconfitta subita dal popolo greco, avvenne nel primo trentennio del V sec. a.C. In tempi di relativa calma poteva essere ben sufficiente alla città messapica la cinta più stretta e più vicina al centro abitato; ma quando i rapporti con Taranto si fanno più tesi, soprattutto quando Carbinia nel 473 viene assediata, e Taranto grava minacciosa anche su Ceglie, allora gli abitanti organizzano un sistema difensivo che comprende le varie cinte murarie e le Specchie, il tutto collocabile cronologicamente in un periodo che abbraccia V e IV sec. a.C.

Le testimonianze archeologiche più rilevanti consistono in corredi tombali di V, IV e III sec. a.C. conservati nei musei di Taranto, Brindisi, Egnazia e Lecce; notevoli 37 iscrizioni in lingua messapica studiata in particolare da Ribezzo, Parlangeli, Santoro.

Gallipoli

(Anxa)

Plinio, nel menzionare la città, si esprime col nome di "ANXA" (termine di risonanza messapica). Tale dovette essere la denominazione originale, dal momento che Gallipoli fu assoggettata a Taranto, che esercitava il proprio dominio sui maggiori centri e porti della Messapia.

In un sito già frequentato in epoca preistorica e importante per i collegamenti fra Taranto e Leuca, fu fondata dai Messapi col probabile nome di Anxa, e ribattezzata nell'VIII secolo a.C. con il nome di Callipolis (città bella) dagli Spartani, che ebbero un ruolo decisivo nella formazione della personalità della città, contraddistinta da un forte sentimento di indipendenza. Fu alleata di Taras (Taranto) nella resistenza ai Romani, dai quali tuttavia fu conquistata nel 265. Diventò municipio e conservò autonomia amministrativa; seguì le sorti di Taras divenuta anch'essa romana col nome di Tarentum nel 90 a.C. Negli anni del declino dell'Impero romano d'Occidente, subì, non senza fiera resistenza, i saccheggi e le devastazioni dei Vandali nel 460 e degli Ostrogoti di Totila nel 542; fu poi ricostruita e tenuta ininterrottamente dai Bizantini vittoriosi sugli invasori - diventando sede vescovile nel 551 - sino alla conquista dei Normanni nel 1071. Contesa per la posizione naturalmente notevole, capitolò - dopo lunga e strenua opposizione - agli Svevi, prima, e agli Angioini, nel Trecento. Nel 1481 resistette all'invasione turca, ma tre anni dopo - divenuta appetibile base di traffici commerciali - fu sottomessa dai Veneziani, che lasciarono sul campo il loro doge Giacinto Marcello, per appena quattro mesi. Fortificata con mura alla fine del Quattrocento, respinse le truppe del re di Francia Carlo VIII di Valois, che aveva sottomesso Napoli. Dalla fine del XVI secolo diventò uno dei più importanti centri commerciali europei, con la conseguente straordinaria crescita di iniziative nei settori dell'arte e dell'edilizia religiosa e civile, che durarono fino al Settecento. La partecipazione al Risorgimento e alla vita dei primi anni dello Stato unitario non avvenne pacificamente per la presenza di una forte componente cittadina filo-borbonica. Successivamente l'integrazione diede risultati positivi e la partecipazione della città e della sua classe dirigente fu proficua.

Lecce

(Rudiae)

Anche Lecce ebbe un insediamento messapico. Poco ancora si conosce sulle sue vere origini. Alcune scoperte recenti, però, hanno dato interessanti conferme sull’origine messapica; infatti, in ogni scavo praticato nella parte meridionale della città, è venuta alla luce qualche tomba coperta da lastroni incisi con iscrizioni messapiche e contenente vasi di terracotta o di bronzo analoghi a quelli rinvenuti nelle necropoli messapiche di Oria, Manduria, Rusce, Vaste e Ugento. I reperti consistono in iscrizioni, vasi di argilla grezzi o smaltati o figurati, giocattoli di bimbi, idoletti in terracotta, ossa lavorate ed una piccola statua di bronzo.

 

Lecce, città barocca del nostro meridione assolato, non può non destare sorpresa con la ricchezza architettonica dei suoi palazzi, con la bellezza antica delle sue strade: qui tutto parla di un passato di glorie che ancora emoziona.

 Il mitico fondatore di Lecce è Malennio, re dei Salentini, discendente addiritura da Minosse. Il sorgere della città si fa risalire a un secolo prima della guerra di Troia. Malennio pare abbia dato vita anche a Rudiae, a pochi chilometri da Lecce, patria del primo grande poeta romano: Quinto Ennio.

Ecco, dunque, una prima gloria della bella Lecce: meridionale, salentino era il grande Ennio, il padre della poesia, il maestro a cui Virgilio stesso s’ispirò per il suo dolce verso. Centro coloniale greco di notevole importanza, passò poi sotto la dominazione romana. I potenti conquistatori del mondo antico che venivano dal "biondo Tevere", pensarono a fortificarla per difenderla dagli attacchi dal mare.

Documenti della grande civiltà romana sono l’anfiteatro romano i cui resti sono visibili in pieno centro leccese, in piazza S. Oronzo (d’estate queste antiche reliquie rivivono dimenticate emozioni durante i frequenti spettacoli che si tengono in tale cornice) e ciò che rimane dell’antico porto Adriano, a S. Cataldo. Proprio qui, pare, sia sbarcato Ottaviano, che da Apollonia, dopo la morte di Cesare, si recava a Roma per esservi incoronato imperatore.

Fino al VII secolo la regione, che oggi denominiamo Salentina, si chiamò Calabria. Ancora prima essa ebbe altri nomi: Japygia, Peucetia, Messapia, Salentina. Sotto i Bizantini il centro più importante divenne Otranto: la regione, allora, divenne Terra d’Otranto.

Questo fu forse per Lecce il periodo più oscuro: solo i porti di Brindisi, Taranto, Otranto e Gallipoli ebbero florida vita.

Nel 1000 Lecce rinacque sotto i Normanni; nel 1058 Roberto il Guiscardo affidò la contea di Lecce al fratello Goffredo di Hauteville. La città divenne sede di principi e potenti signori e notevole centro artistico.

Anfiteatro Romano

L’anfiteatro si trova in corrispondenza di Piazza S. Oronzo, e ne sono state portate alla luce alcune parti, quasi la metà nel complesso, tra il 1904 ed il 1938. La costruzione è d’età augustea, ed è di ragguardevoli dimensioni: m 102 x 82; è stata realizzata in parte con lo scavo del terreno, in parte con architettura ad arcate sorrette da pilastri di tufo. 

Queste ultime sostenevano un doppio ordine di gradinate, di cui solo quello inferiore è conservato. L’arena è ellittica, ed era separata dalle gradinate da un alto muro guarnito di un parapetto rivestito di un fregio in marmo con scene di caccia ad animali feroci: il che rimanda al tipo di spettacoli che si tenevano nell’arena.

I pezzi superstiti del fregio sono sistemati al suolo, sotto il parapetto; tutti gli altri materiali notevoli pertinenti al teatro, iscrizioni latine comprese, si trovano nella galleria scavata nella roccia che corre intorno all’arena. Da notare, infine, che nei pressi dell’anfiteatro fu scavata anche una necropoli preromana, che ha restituito iscrizioni messapiche.

Teatro Romano

Scoperto nel 1929 si fa risalire al periodo augusteo. 

Sono stati portati alla luce la cavea, l'orchestra e la scaena. La cavea è scavata in parte nel banco di roccia. La scaena era rivestita di marmi ed il muro di fondo decorato da colonnati e nicchie con le statue di marmo (I.II sec. d.C.) esposte nel Museo Provinciale.

Porta Rudiae

A segnare gli antichi limiti della cerchia cittadina leccese c’erano quattro porte, di cui oggi ne rimangono solo tre: Porta Napoli, che è la più antica, porta S. Biagio, porta Rudiae. Aperta sul braccio delle mura orientali della città, porta Rudiae e la più interessane e antica delle porte di Lecce, quella che volgeva verso l'antica città di Rudiae, patria del poeta latino Quinto Ennio, e da cui ha preso il nome. La porta originale crollò verso la fine del XVII secolo ma fu generosamente ricostruita nel 1703 da un patrizio leccese. La porta e' costituita da un unico fornice inquadrato da colonne che poggiano su di un alto podio e sorreggono un fregio su cui sono collocati i busti dei mitici fondatori della città: Licio Idomeneo, Malennio, sua figlia Euippa e suo figlio Dauno, re delle Puglie che da lui furono chiamate, nell’antichità, Daunia. Sotto i busto di Malennio si legge:"Io sono il re e il fondatore della città, Malennio figlio di Dasumno e nipote di Salo". Sotto quello di Dauno si legge:" Io sono il  re Dauno, figlio di Malennio, illustre per il mio regno e il maneggio delle armi". Sotto il busto di Euippa si legge:" Euippa, sorella di Dauno, sopravvissuta al fratello, con mano di donna seppi reggere lo scettro avuto". Sotto il busto di Idomeneo si legge:" Io Lizio Idomeneo, col matrimonio con Euippa, ottenni la città che mio suocero aveva fondato e la ingrandii". Questa porta è detta anche di Sant'Oronzo perché è ad egli consacrata come si legge sull'iscrizione posta sul fastigio del monumento. La statua di S.Oronzo che sovrasta il fastigio è affiancata dalle statue di S.Domenico e di Sant'Irene, protettori minori di Lecce. Inoltrandosi verso il centro, il barocco leccese esplode nella plasticità delle architetture, nella grazia degli ornamenti, nella ridondante ricchezza che rendono ancora più raffinati questi palazzi, segni di un’antica nobiltà soprattutto di cultura.

 

Manduria

Antica capitale messapica. Importantissimo centro messapico, ebbe un ruolo di primo piano nella storia antica per l’eroica e leggendaria resistenza opposta ai Tarentini, allorché questi mossero guerra ai Messapi con mire espansionistiche. La Manduria messapica presenta una triplice, grandiosa cerchia di mura, una realizzazione che ha ben pochi riscontri in Italia; purtroppo essa è stata in parte coperta o distrutta dalle costruzioni successive ma ne sussistono larghi resti, in particolare nella zona della chiesa dei cappuccini. La cerchia interna, non molto alta, è formata da grandi blocchi irregolari e risale al secolo V a.C.; la cerchia mediana è più alta e a blocchi irregolari, con l’intercapedine riempita da materiale eterogeneo. Sono visibili anche tracce degli ampi fossati difensivi, delle strade di cinta e di arroccamento, oltre a resti di grandiose porte e di torri di difesa. Presso le mura sono state scoperte tombe isolate e vaste necropoli, che hanno dato prezioso materiale.

Muro Leccese

La sua fondazione si fa risalire ai Messapi che, a giudicare dalle mura megalitiche ancora esistenti, da numerose tombe e dai reperti archeologici, ne fecero un paese strutturalmente forte e civilmente avanzato. Dalla muraglia iapigio-messapica, assai importante come si evince dalla relazione del prof. F. Tummarello , si vedono ancora molti avanzi che attestano una fattura con massi ben quadrati e legati nelle sovrapposte corsie orizzontali.

Nardò

(Neretum)

 

 

(Nardo') D'origine messapica, fu municipio romano con il nome di Neretum (ecco perché i suoi abitanti vengono, ancora oggi, chiamati Neritini). Nel Medioevo fu un importante centro bizantino, aderendo al culto greco, che conservò fino al Quattrocento. Conquistata nel 1055 da Goffredo il Normanno, che la fortificò, subì incursioni e saccheggi, e soffrì delle continue lotte feudali. Diventò sede vescovile nel 1413; fu presa dai Turchi nel 1480, quindi, quattro anni dopo, dai Veneziani. Alla fine del Quattrocento appartenne agli Acquaviva di Conversano, che v'istituirono il Ducato di Nardò. Fra il Cinquecento e il Seicento il suo territorio costiero fu particolarmente munito di una fitta rete di torri di avvistamento volute dall'imperatore Carlo V d'Asburgo (1500-1558) per la difesa dalle incursioni saracene. Nel 1647-48 fu protagonista del moto antispagnolo salentino, ferocemente represso da Gian Girolamo Acquaviva, il "Guercio di Puglia". Semidistrutta dal terremoto del 1743, si riprese rapidamente ed ebbe una fiorente vita culturale: fu sede di Accademie e di un'Università di studi letterari e filosofici. Partecipò attivamente alle vicende del Risorgimento e alla vita dei primi anni dell'Unità. Agli inizi del Novecento iniziò la Bonifica e nel 1927 fu costituito il Consorzio di Bonifica dell'Arneo. Nel secondo Dopoguerra conobbe le lotte contadine per la terra; la sua economia, prevalentemente agricola, si arricchì di un discreto tessuto industriale. Negli anni Cinquanta fu realizzato un notevole rimboschimento, dal quale nacque la pineta di Portoselvaggio, facendone una delle più interessanti aree naturali italiane. Nardò ha avuto tra i vescovi della diocesi Fabio Chigi, divenuto Papa Alessandro VII.

Oria

Oria divenne capitale della Messapia. Qui, sono venute alla luce tombe e grotte di origine messapica contenenti resti di scheletri umani, epigrafi tombali, una numerosa varietà di vasi d’argilla, di pregevolissima fattura, ma privi di ogni serio elemento decorativo, e monete di tipi e periodi vari.

Ostuni

Rispecchia le caratteristiche strategiche, topografiche e strutturali tipiche degli agglomerati messapici. La storia riferita a quel periodo non ci ha tramandato alcun episodio particolare. L’esistenza della città al tempo dei Messapi ci è testimoniata dal rinvenimento di una necropoli.

Otranto

(Hydruntum)

 

Otranto era anticamente chiamata Hydruntum (dal fiumicello Idro, che sfocia nel porto) fu città greca, forse fondata dai Tarantini e poi municipio romano; per la sua posizione Otranto fu un porto frequentato soprattutto in età romana repubblicana per i rapporti tra Italia e Grecia. Nel medioevo Otranto fu uno dei più importanti centri del dominio bizantino in Italia, ed ebbe vescovo greco. Fu occupata solo per breve tempo dai Longobardi (757-58); ridottasi nel IX sec. l'occupazione bizantina della Puglia all'estremità del Salento, Otranto ne divenne il capoluogo e il centro militare e diede il nome alla regione (Terra d'Otranto).
Fu più volte assalita dai Saraceni. Con Bari e Taranto, Otranto fu anche il fulcro dell'ultima resistenza bizantina contro i Normanni (1054-68) e cedette solo nel 1070 circa a Roberto il Guiscardo. Ebbe nei sec.XI e XII una vita intensa, per i mercanti veneziani, dalmati e levantini che frequentavano il suo porto e per il movimento delle Crociate. Ma in seguito decadde col prevalere di altre città vicine. Otranto nel 1480 fu aggredita e assediata dalla flotta turca di MaomettoII, intervenuta nella lotta tra Venezia e gli Aragonesi, sotto il comando di Ahmed Pascià. Otranto non avendo avuto soccorso da Napoli capitolò dopo 15 giorni.

I Turchi massacrarono nel Duomo il vescovo Stefano Pendinelli, il clero e il popolo che vi era rifugiato: sul vicino Colle della Minerva, furono uccisi i prigionieri superstiti (gli "800 Martiri" di Otranto).

Le loro ossa ora sono conservate nella Cattedrale di Otranto in 7 armadi molto grandi e in parte nella chiesa di Santa Caterina a Napoli.

Porto Cesareo

(PORTUS SASINAE)

 

In una zona abitata dall'età del bronzo nel XVIII secolo a.C. - come dimostrano i reperti della penisola di Strea e di Scala di Furno - fu fondata dai Romani col nome di Cesaria sul sito dove sorgeva il Portus Sasinae dei Japigi. Nel Medioevo fu rifugio dei monaci basiliani; in epoche successive appartenne a lungo agli Orsini Del Balzo, conosciuto come feudo di Pescaria, per la presenza del villaggio di pescatori. L'attuale centro si sviluppò nel Cinquecento presso la torre Cesarea.
Patù

A Patù, paesello vicinissimo al Capo di Santa Maria di Leuca, un monumento messapico, le "CENTOPIETRE", apparve prima a Francesco Lenormant e dopo a Paul Bourget come il più prodigioso avanzo archeologico del promontorio salentino. Probabilmente le "Centopietre" risale all’età arcaica della civiltà messapica e dovette essere un tempio dedicato a qualche divinità. Gli archeologi C. De Giorgi, G. Arditi e P. Maggiulli non sono concordi sullo scopo dell’opera e hanno avanzato ipotesi contrastanti. Consiste in un androne formato da enormi macigni e coperto da lastre di pietra a spiovente sorrette all’interno da pilastri su cui ricorre un listello decorativo. Tale monumento, che nel medioevo venne adibito a cappella, ha ancora visibili alcuni tratti di affreschi bizantini.

Soleto

Soleto fu un ragguardevole nodo viario già in epoca messapica, che metteva in comunicazione i più importanti centri messapici ed incrociava una " via trasversale" che collegava il porto di Roca con Vereto e con il porto Nauna (l’attuale S. Maria al Bagno). Recenti indagini archeologiche vanno restituendo tracce di un possente circuito murario di tipo messapico. Inoltre nelle campagne intorno a Soleto si incontrano innumerevoli avanzi di terracotta grossolana, di stoviglie smaltate e, scavando "sottoterra", si trovano dei sepolcri sempre messapici. Quindi è molto probabile che Soleto avesse al tempo officine di arte ceramica, come può provare la grande vicinanza ai bacini di argilla che anche oggi alimentano la piccola industria nel vicino paese di Cutrofiano. Infine è stata ritrovata anche una tomba coperta da tre intavolature di pietra, nella quale, accanto ad uno scheletro , furono raccolte due monete messapiche.

Ugento

(Ausentum)

Al tempo dei Messapi era nota per la sua floridezza, anche perché pare che la fondazione del primo nucleo risalga ad epoche precedenti. Gli avanzi di mura megalitiche, tombe, monete, materiale vascolare, suppellettili e iscrizioni, però, evidenziano l’inequivocabile testimonianza della civiltà messapica. Interessante il fatto che, in epoca messapica, la città ha battuto moneta propria. A Palazzo Colosso, è custodita una raccolta di reperti: monete, armi, ceramiche, iscrizioni, ecc..., del periodo messapico.

Inoltre ricordiamo il ritrovamento del "Poseidon", una statua in bronzo del 510 a.C. rinvenuto in Ugento nell’ottobre 1961 nei pressi ove sorgeva il tempio dedicato al dio del mare. Ora la statua è ancora nel museo messapico di Taranto.

Vaste

E’ uno dei centri del Salento per i quali la ricerca archeologica abbia fornito una serie di indicazioni circa la topografia del sito nelle sue varie fasi di sviluppo.

Estesi scavi hanno permesso di rilevare tracce consistenti dell’abitato messapico (VIII-VII sec. a.C.): tali testimonianze sono concentrate nella parte centrale e più alta dell’abitato in corrispondenza dell’attuale piazza Dante. È stato possibile riconoscere l’impianto di capanne a pianta ovale con muretto perimetrale di pietre a secco, diversi focolari e scarichi di ceramica iapigia associate a materiali greci d’importazione.

L’abitato messapico di IV-III sec. a .C. sembra si possa riconoscere in strutture a blocchi squadrati e fondazioni di edifici a pianta rettangolare costituiti da più ambienti, disposti intorno ad un cortile. I vani avevano probabilmente pavimenti in tufina pressata, alzato in piccole pietre a secco e copertura in tegole.

Sono state portate alla luce anche fortificazioni in calcare locale, costituite da due cortine di grosse pietre collegate tra loro da un riempimento interno di tegole, pietre e terra; la parte esterna era rivestita da un muro a blocchi squadrati.

All’inizio del III secolo la cinta muraria, almeno in alcuni punti, fu rinforzata addossando un muro, largo circa 3 metri, a grandi blocchi squadrati.

La necropoli ellenistica si sviluppa nell’area periferica dell’antico abitato. All’interno, invece, era situato l’ipogeo delle Cariatidi in pietra leccese , datato alla seconda metà del IV sec. a .C., a pianta rettangolare, con gradinata di accesso e vestibolo comunicante con due camere funerarie.

Degna di nota è la necropoli probabilmente utilizzata da un gruppo gentilizio, con tombe rinvenute all’interno di controfosse scavate nel banco roccioso. Si notano i sarcofagi tagliati in blocchi monolitici di pietra leccese, che sono prova di un notevole livello di capacità tecnica. E’ databile al IV sec. a.C.; la qualità e la tipologia degli oggetti di corredo allude chiaramente al rango sociale del defunto e al ruolo all’interno del gruppo familiare.

Nelle tombe maschili risalta la presenza del cratere e degli oggetti con caratteristiche simili a quelli greci; nelle tombe femminili, caratterizzate da tipologia meno "prestigiose" di oggetti, ricorre costantemente il tipico vaso indigeno, la TROZZELLA.

Vereto

Noto centro messapico, vi sono state trovate numerose iscrizioni e monete. Molto importate è l’iscrizione scoperta da T. Mommsen, considerata la prima iscrizione messapica storicamente documentata. Anche gli studi di N. Corcia, precedentemente, ci davano notizie su questi ritrovamenti messapici a Vereto, in particolare su due monete che ci attestano l’esistenza di una vera e propria zecca veretina nel III sec. a.C. Inoltre in una delle tombe scoperte nel 1905 vennero trovati due grandi vasi di terracotta, su uno dei quali era raffigurata una donna con una falce in mano in mezzo a corimbi di fiori bianchi. In un’altra tomba vennero trovati i seguenti oggetti: piccoli vasi in terracotta, una cintura di rame, un frammento di elmo e altri piccoli oggetti in bronzo. Nelle altre due tombe si rinvennero delle pentole a grosso ventre che si pensa servissero a custodire i resti delle ossa.

Vitigliano

A Vitigliano si conserva un monumento analogo alla "CENTOPIETRE" di Patù, chiamato "CISTERNALE". Identica l’orientazione, la forma, il sistema costruttivo della copertura a enormi lastre di sabbione con doppio spiovente. La sola differenza tra le "CENTOPIETRE" e il "CISTERNALE" è costituita dal fatto che la prima si eleva sul piano a grandi blocchi parallelepipedi sovrapposti senza malta, mentre l’altra è scavata nel vivo della roccia con sovrapposizione artificiale della copertura.

Lo Zeus, tesoro della Magna Grecia

La statua è la testimonianza che i Messapi adottarono immagini greche

 

Ci sono tracce che il tempo non cancella, tracce che rimangono nascoste, sepolte, e custodiscono la memoria, la storia di un popolo. Segni di un passaggio, testimonianze di una cultura, dei suoi cambiamenti, segni che non si trovano solo nei libri, che puoi vedere, toccare come una prova, che sono nell’arte, in quell’esigenza a volte espressiva, a volte votiva, a volte pratica.

L’oggetto, il luogo, sono i tasselli che riescono a tracciare il profilo della storia.

La presenza di tracce di cacciatori all’interno della Grotta Focone è la testimonianza che già nel paleolitico superiore la zona di Ugento era abitata. Gli stessi menhir, le specchie, il villaggio di Pazze sono poi la conferma della grande vitalità dei gruppi neolitici locali. Ugento come una comunità amante del bello, con l’arrivo dei Messapi nel II millennio a.C., ha acquisito molte delle caratteristiche che poi ha conservato fino ad oggi. Ugento della “Tomba dell’atleta” e Ugento dello “Zeus”. Ritrovata nel 1961, la statua, alta 74 cm, rappresenta non solo la testimonianza che i Messapi adottarono immagini greche, ma costituisce la migliore espressione della bronzistica della Magna Grecia e forse di tutta la Grecia del periodo arcaico. Fatta risalire al 530 a.C., la statua rientra nella produzione dell’arte tarantina e ne è il simbolo, anche se da alcuni particolari sembra che ci siano elementi ugentini nella sua fattura.

Inizialmente confusa con una raffigurazione di Poseidone, la statua è stata in seguito identificata con Zeus (elemento immediatamente riconoscibile è infatti la posizione del dio”saettante”).

Non è da escludere, inoltre, che si tratti di una rappresentazione di Zeus Kataibates, il dio protettore degli Iapigi che secondo la tradizione aveva folgorato i Tarantini puniti per aver commesso empietà durante la presa di Carbina. Per questo, da allora, i Tarantini offrivano sacrifici su stele poste dinanzi alle case dei folgorati. Altre sono poi le tracce del culto di Zeus a Ugento: iscrizioni, epigrafi, simboli presenti su alcune monete bronzee. Altri elementi sembrano inoltre testimoniare l’intenzione di spogliare la statua di Zeus della sua grecità per essere inserita all’interno del sistema culturale ugentino dove Zeus diventa Zis, dio del fulmine e delle forze della natura.

Zeus è importante per la storia di Ugento ma anche per il suo presente e il suo futuro. Dopo il ritrovamento infatti la statua fu portata al museo di Taranto per il restauro ed è rimasta lontana dalla sua città “natale” fino al Luglio del 2002. Il ritorno di Zeus a Ugento è stato un evento eccezionale accompagnato da una mostra che ha ricostruito i contesti archeologici e gli spazi rituali in cui la statua fu venerata.

Oggi “Zeus” rappresenta un’ importante risorsa per Ugento, la testimonianza di un grande passato, ma anche la testimonianza di un presente che guarda alla storia e all’arte come fonti di cultura e risorse per il turismo.

Donata Zecca

tratto da: http://www.comprensivomuro.it/Info/ScuolaeCultura/scuolaecultura_giugno2003.pdf

NERETUM

 

(Nardò)

(Nardo') D'origine messapica, fu municipio romano con il nome di Neretum (ecco perché i suoi abitanti vengono, ancora oggi, chiamati Neritini). Nel Medioevo fu un importante centro bizantino, aderendo al culto greco, che conservò fino al Quattrocento. Conquistata nel 1055 da Goffredo il Normanno, che la fortificò, subì incursioni e saccheggi, e soffrì delle continue lotte feudali. Diventò sede vescovile nel 1413; fu presa dai Turchi nel 1480, quindi, quattro anni dopo, dai Veneziani. Alla fine del Quattrocento appartenne agli Acquaviva di Conversano, che v'istituirono il Ducato di Nardò. Fra il Cinquecento e il Seicento il suo territorio costiero fu particolarmente munito di una fitta rete di torri di avvistamento volute dall'imperatore Carlo V d'Asburgo (1500-1558) per la difesa dalle incursioni saracene. Nel 1647-48 fu protagonista del moto antispagnolo salentino, ferocemente represso da Gian Girolamo Acquaviva, il "Guercio di Puglia". Semidistrutta dal terremoto del 1743, si riprese rapidamente ed ebbe una fiorente vita culturale: fu sede di Accademie e di un'Università di studi letterari e filosofici. Partecipò attivamente alle vicende del Risorgimento e alla vita dei primi anni dell'Unità. Agli inizi del Novecento iniziò la Bonifica e nel 1927 fu costituito il Consorzio di Bonifica dell'Arneo. Nel secondo Dopoguerra conobbe le lotte contadine per la terra; la sua economia, prevalentemente agricola, si arricchì di un discreto tessuto industriale. Negli anni Cinquanta fu realizzato un notevole rimboschimento, dal quale nacque la pineta di Portoselvaggio, facendone una delle più interessanti aree naturali italiane. Nardò ha avuto tra i vescovi della diocesi Fabio Chigi, divenuto Papa Alessandro VII.

 

 

 

 

 

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scrivi il tuo pensiero


 email ricevuta il 15 luglio 2005

Entro in punta di piedi, anche se la mia mente,(e credo anche quella di molti storici) urla allo scandalo:
Se volete a tutti i costi date una storia antica a Lecce, ce n'è da scrivere, fino a farsi venire i capelli bianchi.-
Non appropriatevi della storia e la memoria degli altri.-
Con tutto il rispetto espongo il il mio pensiero, che, ovviamente non è solo mio:
    ***********************
Il Regno Messapico non si estese mai al di là della penisola idruntina e cioè l'istmo che va da Taranto a Brindisi; terra questa a sua volta divisa in tre parti:

  • sul lato orientale del golfo di Taranto vede popoli denominati "LEUTERNII";

  • sul lato dell'adriatico fin dopo Otranto vede popoli chiamati  "PAUCEZI";

  • L’interno da Manduria e fino a Leuca vede popoli  chiamati  "SALLENZI"

A nord si sono insediati i Messapi (altrimenti detti calabri) "SERVIO , scrisse: "SAVE CALABRIA ANTE MESSAPIA tre generazioni  prima della caduta di Troia.- EVOCATA EST"

La Messapia confinava con la greca Taranto  (prova ancora esistente il LIMITONE DEI GRECI confine di separazione), con Manduria  (Sallenzi)   e Brindisi (Paucezi).-

La provincia dell'odierna Lecce e la stessa città di Brindisi non sono mai state messapiche.-

Le città di sicuro origine messapico e che segnano i confini del Regno sono:
VASTE e CASTRO ma non oltre CAROVIGNO, CEGLI, MONTEMESOLA, GROTTAGLIE e  ORIA  più altre città all'interno come SCANVIUM ("oggi solo resti archeologici ricchissimi e stupendi, sommersi da camionate di immondizie grazie all'incuria della gestione comunista della pertinente città di Mesagne"), e la stessa città di MESAGNE  prima città messapica fondata ca 3.500 anni fa da Messapo  9° Re Sicione, su questa terra Re Messapico dal suo stesso nome,  si ricorda che i Sicioni e gli Illiri erano figli diretti dei Pelasgi.-

La capitale del regno messapico  per : 

  • STRABONE  e  CASAUBONO era "TURAEUM"

  • PAPADOTERO era "THYRAEUM"

  • TITO LIVIO era "THURIAS  "

ossia   TIREA o TURIA oggi distrutta e ultima sede dell'ultimo Re messapico  "HARTA " e non Oria che, è tutta un'altra storia.


Con l'occasione porgo molti distinti saluti.


Dr.  Don Angelo ZITO

 


Ho chiesto, per email, al Dr. Don Angelo Zito di darmi delle indicazioni bibliografiche su quanto afferma, in quanto nonostante varie ricerche svolte non ho trovato nulla che confermi la sua tesi, che, sebbene interessante ha bisogno di essere avvalorata da fonti documentali. Da più di due mesi dalla richiesta ancora non si è avuta risposta.

Pino De Nuzzo


email ricevuta il 20 novembre 2005 da parte di Stefano Cortese

Vorrei rispondere all’intervento del dr. Don Angelo Zito.

I Messapi erano divisi in Salentini e Calabri. Un testo fondamentale per analizzare le fonti antiche è “I Messapi e la Messapia nelle fonti letterarie greche e romane”, a cura di Mario Lombardo. Dall’analisi di tutte le fonti emerge che la Puglia è divisa in tre tronconi, Dauni, Peucetii e Messapi ( Erodoto, Tucidide, Polibio, Nicandro, Strabone). Lo stesso Lombardo asserisce che “Alcune fonti distinguono più o meno organicamente all’interno dell’entità etnico-regionale…qualificata come quella dei Messapi delle articolazioni: da un lato i Sallentinoi (o Salentini), dall’altro i Calabroi (o Calabri)”.

Molto chiaro sulla questione appare il greco Strabone: “confinante con esse è la Japigia, che i Greci chiamano anche Messapia, mentre le popolazioni epicorie una parte la chiamano terra dei Salentini, quella intorno al Capo Iapigio, l’altra dei Calabri. La Messapia forma (come) una penisola, chiusa dell’istmo di 310 stadi che va da Brindisi a Taranto.   

Molta confuso appare il quadro della divisione tra questi Messapi: alcuni studiosi, confortati da fonti soprattutto imperiali, giurano nella divisione dell’attuale penisola salentina in calabri e salentini a seconda del versante, associando la sub-etnia calabra alla costa adriatica e quella salentino al ramo ionico.

Ciò sembra anche corrispondere al rinnovamento della via traiana, che collegava Brindisi a Taranto e viene divisa appunto in calabra e salentina. A creare confusione compare una fonte di Plinio dove cita come Calabri molte città dell’attuale nord Salento, mentre come Sallentini città del sud Salento tra cui “Aletini (di Alezio), Basterbini (di Vaste), Neretini (di Nardò), Uzentini (di Ugento), Veretini (di Vereto, presso Patù).

Mettere in ballo il Limitone dei Greci è un grossolano errore. I recenti sondaggi, che abbiamo effettuato con il dott. Stranieri, hanno dimostrato come sotto il “paretone” associato a dei carboni ci fosse ceramica di età romana. Abbiamo così i termini ante e post quem, cioè epoca romana e epoca angioina in quanto si rinvenne occultato nel muro un tesoro di quell’epoca. Il paretone inoltre non va inteso come muraglia di difesa in quanto la presenza di ceramica nei territori adiacenti (almeno nel tarantino) non è riconducibile a presenze stanziali di cui un muro di difesa ha bisogno.

Visto che si parla di Messapi, vorrei sottolineare quello che più sfugge, cioè la grandezza di Ugento: era la città messapica più estesa con 145 ha, mentre la seconda, Nardò era 110ha; pensate che il porto della città di Ugento, S. Giovanni, era molto più grande dell’antica Lecce o Soleto. Tante leggende parlano di Artas e di tanti recenti rinvenimenti ne stanno dimostrando la grandezza.

Le indagini condotte dal prof. D’Andria inoltre, identificano i tre grandi centri della Messapia in Oria, Cavallino e Ugento; la seconda fu distrutta nella prima metà del V secolo a.C. probabilmente nella guerra dei Messapi contro Taranto (il “barbaros polemos”, la più grande strage di greci fra tutte quelle di cui si ha conoscenza). Importante era anche Muro Leccese, di cui non si sa l’antico nome, che venne distrutta secondo alcuni nel “bellum sallentinum” (267-266 a. C.) secondo altri nella guerra annibalica (214 circa).

Per la storia sui Messapi, vi consiglio il sito www.anticasannicola.it, esiste una sezione ben curata ed approfondita. Si parla inoltre della questione Gallipoli/Anxa, che probabilmente era il porto di Alezio, l’antica Alixias e non Bavota (Parabita). Il nome Gallipoli è greco e potrebbe significare non città bella, ma città dello scalo (kalis in greco significa scalo): nonostante il toponimo greco, non esiste una presenza stanziale greca nella zona, se non nella fantasia degli storici locali che datano la fontana umanistica all’età ellenistica e voluta dai Greci. Così il nome Messapia lo hanno voluto i Greci, così come Gallipoli come città tipo emporium, e Leuca, che significa bianca.

Stefano Cortese (cortesestefano@virgilio.it)


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Ultimo aggiornamento:

 29 ottobre 2006