Archeologia
proibita: la storia segreta della razza umana
Inedite informazioni storiche e
scientifiche sul nostro passato
Michael Cremo, Richard L. Thompson
- (I Nuovi Delfini, Gruppo Futura, 1977)
"La
nostra civiltà, come ogni civiltà,è una congiura"
(Louis Pauwels)
Isola
di Manitoulin (lago Hurona, America Settentrionale), anni Cinquanta.
Nel corso di una campagna di scavi condotta da Thomas E. Lee, del
Museo Nazionale del Canada, vengono rinvenuti nei depositi glaciali di
Sheguiandah degli "utensili sofisticati in pietra". L'analisi del
materiale, porterà il geologo John Sanford, della Wayne State
University, ad ipotizzare per i reperti un'età compresa tra i 65 mila
e i 125 mila anni1. Una datazione straordinaria, tale, se
confermata, da rimettere in discussione i principi dell'archeologia
ufficiale! Come sottolinea Michael Cremo, commentando il caso in
questione nell'introduzione al volume scritto assieme a Richard L.
Thompson2, secondo le teorie ufficiali, gli esseri umani
sarebbero apparsi la prima volta nel Nord America - raggiungendo il
continente dalla Siberia - soltanto 12 mila anni fa! In pratica, si
tratterebbe di "ritoccare" le datazioni ufficiali anche di ben cento
mila anni!
Se le implicazioni
legate ad uno scenario del genere sono ben immaginabili, quello di
Sheguiandah non è che uno dei tantissimi casi "incredibili", e certo
non il più clamoroso, dei quali nel libro di Cremo e Thompson viene
offerta una raccolta imponente, frutto di otto anni di ricerche. Una
lunga rassegna di scoperte "impossibili", rinvenimenti inspiegabili,
venuti alla luce dal XIX secolo ad oggi, che non solo pongono seri
interrogativi sulle datazioni ortodosse, ma rispetto ai quali vengono
a vacillare appunto le fondamenta stesse dell'archeologia, oltre che,
per esempio, della paleontologia.
Soprattutto, quale
filo conduttore dell'intera opera, emerge una denuncia della
parzialità e del dogmatismo della scienza ufficiale, che avrebbe
costruito le proprie certezze ignorando ogni scoperta contrastante con
le ipotesi approvate e denigrando e isolando ogni ricercatore
promotore di teorie alternative o soltanto "colpevole" di essere
disposto a prendere in esame dati "imbarazzanti".
Ci è sembrato
interessante proporre il caso di Sheguiandah fin dalle prime righe di
questa recensione - che, essendo tanto più proposta da chi non può
vantare alcuna competenza in materia, vuole avere come unico obiettivo
quello di invitare alla lettura di un libro certamente "scomodo" -
perché appare emblematico per i retroscena e per lo stesso "finale"
della storia. Per i quali, meritano di essere riportati per intero i
seguenti brani dal testo:
"Lo scopritore
dell'insediamento fu cacciato dalla sua posizione nel Servizio Civile
e per molto tempo gli venne rifiutato qualsiasi lavoro; i canali di
pubblicazione letteraria furono tagliati; e le prove furono distorte
da diversi famosi scrittori...; le tonnellate di reperti svanirono nei
bidoni usati come deposito del Museo Nazionale del Canada; per essersi
rifiutato di licenziare lo scopritore, lo stesso direttore del Museo
Nazionale, che aveva proposto di far pubblicare una monografia sui
reperti, fu licenziato dal governo; il prestigio e il potere dei
funzionari ufficiali furono ampiamente utilizzati per entrare in
possesso dei sei reperti di Sheguiandah che non erano stati destinati
al Museo, e il luogo dell'insediamento è stato trasformato in una
località turistica...".
"Sheguiandah" -
queste le eloquenti parole conclusive - "avrebbe costretto i bramini
dell'antropologia a confessare di non essere onniscienti. E avrebbe
necessariamente portato a riscrivere quasi tutti i libri presenti sul
mercato. Doveva essere eliminato. Ed è stato distrutto".
La rassegna dei
casi "inspiegabili", per molti dei quali peraltro è stata
definitivamente cancellata ogni prova, è impressionante. E se sulla
valutazione di reperti come orme o ossa e sulla relativa datazione si
possono in effetti registrare valutazioni discordanti, se per tanti
singoli casi si sono scontrati pareri diversi ed opposti, certo si
rimane sconcertati di fronte alla notizia del ritrovamento - avvenuto
nelle miniere del Sud Africa - di centinaia di sfere di metallo in un
deposito minerale del Precambriano datato 2,8 milioni di anni, o delle
statuette di argilla rinvenute nell'Idaho o in Europa in giacimenti di
milioni di anni fa! Tra i reperti "impossibili", troviamo il muro di
mattoni rinvenuto in una miniera durante l'estrazione di carbone
risalente al Carbonifero (1928, Texas), tubi metallici in formazioni
di gesso del Cretaceo (1968, Francia), un'iscrizione in un blocco di
marmo estratto ad una profondità di venti metri (1830, Filadelfia).
"Certamente" - scrivono gli autori in merito a tali episodi - "si
tratta di prove molto bizzarre, corredate di pochissime prove. Ma sono
storie che circolano e ci chiediamo quante ne stiano circolando, e se
qualcuna possa essere vera".
Ampia attenzione
viene invece dedicata ad una estesa casistica, la cui documentazione
comprende anche i pareri di eminenti scienziati e le relazioni
pubblicate in prestigiose riviste o presentate in occasioni di
congressi ufficiali. Una prima sezione è riservata ai ritrovamenti
aventi per oggetto ossa incise o spezzate in modo non naturale,
risalenti al Pliocene, al Miocene ed a periodi ancora più remoti.
Vengono poi esaminati i casi di ritrovamenti di "oggetti in pietra di
fabbricazione insolitamente antica", e quelli relativi ai resti di
scheletri umani "anomali".
Naturalmente, data
la complessità delle argomentazioni, qui ci limitiamo soltanto ad
accennare ad alcuni dei casi più interessanti descritti (tra questi
alcuni venuti alla luce in Italia), rinviando per ogni approfondimento
alla lettura del libro. Quella reperibile in italiano, è peraltro
un'edizione ridotta: una scelta voluta dagli autori per non
appesantire il lettore con le analisi geologiche e gli studi
specialistici, riportati invece nell'edizione integrale in inglese
(ricca di oltre novecento pagine).
L'opera di
recupero delle "prove sepolte" parte da St. Prest (Francia
nordoccidentale), dove nel 1863 Jules Desnoyers, del Museo Nazionale
Francese, nota segni incisi su un frammento di tibia di rinoceronte
non imputabili ad agenti naturali. Desnoyers scoprirà che anche i
fossili esposti presso il Museo di Chartres e presso la Scuola
mineraria di Parigi presentavano le stesse incisioni, spiegabili, come
sosterranno anche vari paleontologi, soltanto con l'azione volontaria
di un essere umano. Un'ipotesi che forse sarebbe apparsa ovvia, se non
fosse che il sito degli scavi di St. Prest appartiene al tardo
Pliocene, epoca in cui per l'archeologia ufficiale, viene spiegato,
"la presenza di esseri capaci di fare un uso sofisticato di oggetti in
pietra risulterebbe quasi impossibile"! La scoperta non mancherà di
provocare accese polemiche - l'ipotesi di Desnoyers, come del resto
viene onestamente riportato, sarà contestata da vari archeologi - e
alla fine tale ritrovamento finirà per cadere nell'oblio. Eppure a
tutt'oggi nessuna prova definitiva che possa escludere l'azione di
esseri umani sarebbe stata presentata, e per gli autori "non esistono
sufficienti motivi per rifiutare categoricamente queste ossa come
prova della presenza umana nel Pliocene". Perché, si chiedono
commentando la scoperta di Desnoyers, di tali reperti non si parla nei
libri di archeologia? Per la risposta a questo interrogativo, vengono
riportate le parole di Armand de Quatrefages, membro dell'Accademia
della Scienza francese e professore al Museo di Storia naturale di
Parigi, per il quale "le obiezioni sollevate contro l'esistenza di
esseri umani nel Pliocene e nel Miocene sembrano di norma collegate a
considerazioni teoriche più che all'osservazione diretta"3.
Alle stesse
conclusioni si arriverà per tante altre scoperte "anomale" avvenute in
Inghilterra, Grecia e Italia, che non necessariamente ci riportano
all'Ottocento o all'inizio del Novecento. Un caso recente, siamo nel
1970, ha per scenario il Nord America: ossa di cervidi, che per lo
scopritore Richard E. Morlan, dell'Istituto di Ricerche Archeologiche
del Canada e del Museo Nazionale Canadese dell'Uomo, mostrerebbero
chiari segni di intervento intenzionale umano anteriori al processo di
fossilizzazione, sono state rinvenute in un uno strato geologico
databile fino a ottantamila anni. Ancora una sfida quindi alle teorie
ufficiali sull'origine dell'uomo nel continente americano...
Ancora più ampia è
la sezione relativa ad utensili ed armi in pietra. Tali ritrovamenti,
spesso corredati da una grande quantità di prove, furono numerosissimi
nei decenni successivi alla pubblicazione dell'Origine delle specie
di Darwin e, viene sottolineato, per decenni sono stati oggetto di
discussione nei congressi scientifici, finché "intere categorie di
dati sono scomparsi dalla scena".
Rinvenimenti
contrastanti con le teorie ufficiali sull'evoluzione umana sarebbero
state fatte anche negli ultimi decenni in Pakistan, Siberia, India,
Usa, Messico. Ma il copione sembrerebbe essere sempre lo stesso: le
scoperte in grado di mettere in discussione le teorie dominanti
sull'evoluzione verrebbero ancora oggi sistematicamente soppresse. Ciò
si sarebbe verificato soprattutto per i ritrovamenti di scheletri
umani "anomali", cioè rinvenuti in contesti geologici incredibilmente
antichi, anch'essi tutt'altro che rari pure nel ventesimo secolo.
"Benché queste ossa umane abbiano attratto inizialmente un notevole
interesse" - viene osservato - "sono praticamente sconosciute. La
maggior parte della letteratura corrente fornisce l'impressione
generale che, dopo la scoperta del primo Neanderthal nel decennio
1850, non si siano verificate scoperte significative di scheletri fino
al ritrovamento dell'Uomo di Giava successivo al decennio 1890".
Nella rassegna
relativa ai resti di scheletri umani, si va dal "femore di Trenton"
(New Jersey), rinvenuto in uno strato risalente al periodo
interglaciale (centomila anni), allo scheletro rinvenuto a Gallery
Hill (nei pressi di Londra) in un deposito risalente a oltre
trecentomila anni fa. Soprattutto quest'ultimo caso darà vita a pareri
discordanti (la maggior parte degli archeologi sosterranno che lo
scheletro sia stato sotterrato recentemente). Ma come viene osservato,
le prove fornite in questo caso, come del resto in molti altri, non
sono sufficienti a risolvere i dubbi. Tra i reperti anomali, la cui
natura apparirebbe invece molto meno discutibile, troviamo teschi,
orme, vertebre, mentre gli autori fanno solo un accenno a quelle che
vengono definite "anomalie estreme".
"E' davvero
piuttosto curioso" - questo il commento di Cremo e Thompson - "che
tanti ricercatori scientifici del diciannovesimo secolo e dell'inizio
del ventesimo secolo abbiano riportato indipendentemente e
ripetutamente di segni su ossa e conchiglie del Miocene, del Pliocene
e del primo Pleistocene che indicano segno di interventi umani. [...]
Tutti questi scienziati si sbagliavano? Forse. Ma i segni di tagli su
ossa fossili sono un oggetto davvero strano su cui sbagliarsi, un
soggetto ben poco romantico o ispirante". Se poi non si avrà ulteriore
notizia di scoperte del genere, viene spiegato, non sarà perché non si
siano presentati nuovamente episodi simili, ma semplicemente perché
nessuno scienziato si azzarderà più a parlare di ritrovamenti
"anomali": "Se si accetta l'esistenza di tali prove nel passato, viene
da chiedersi come mai non se ne trovino più oggigiorno. La risposta,
un'ottima risposta, è che nessuno le cerca. [...] Se un
paleoantropologo è convinto che nel medio Pliocene non potevano
esistere esseri umani capaci di fabbricare attrezzi, è assai poco
probabile che rifletta sull'esatta natura dei segni che appaiono sulle
ossa fossili di quel periodo".
Gli interrogativi
si fanno ancora più inquietanti quando gli autori, nella seconda parte
del volume, passano ad analizzare le "prove" sulle quali l'archeologia
ha invece fondato il proprio impianto teorico ed in particolare la
teoria evolutiva ufficiale. Una teoria che per Cremo e Thompson
presenterebbe molte ombre, anche per mancanza di prove definitive, e
che viene giudicata inadeguata a spiegare troppi aspetti ed
interrogativi, che tuttora non troverebbero risposta.
A questo riguardo,
alcune considerazioni ci sembrano comunque opportune. Attorno
all'evoluzionismo, il dibattito oggi è quanto mai aperto, anche per la
diffusione che in questi ultimi tempi stanno registrando le teorie
creazioniste. Di certo fino a pochi anni fa sarebbe stata impensabile
la notizia, accolta con comprensibile clamore dalla stampa, che in uno
degli Stati Uniti si è arrivati a proibire l'insegnamento
dell'Evoluzionismo nelle scuole. Insomma, siamo ben consapevoli di
quanto sia difficile addentrarsi su tale terreno. Ma negli ultimi
tempi anche all'interno del mondo scientifico molti scienziati hanno
posto la necessità di rimettere in discussione se non altro alcuni
aspetti della teoria evolutiva. Se fino a poco tempo fa negli ambienti
accademici era impossibile anche soltanto accennare a mettere in
dubbio alcuni assunti secondari, oggi il clima sembra essere cambiato.
Prova ne è la pubblicazione di una lunga serie di volumi, dove si
arriva a proporre il superamento di alcuni punti salienti del
darwinismo. Ed è proprio in riferimento al dibattito interno
all'evoluzionismo, che il libro di Cremo e Thompson è forse tanto più
attuale. Sia per l'esigenza, ribadita con forza, di un dibattito e un
confronto libero e a tutto campo. Sia perché rispetto a posizioni
"intransigenti" (la critica creazionista), gli autori, pur non
nascondendo di riconoscersi in una precisa visione religiosa - quella
vedica - per la quale l'esistenza dell'uomo sarebbe molto più antica
di quanto asserito dalla scienza ufficiale4, si limitano ad
avanzare l'ipotesi che "esseri umani ed esseri scimmieschi esistono
contemporaneamente da lungo tempo", non addentrandosi sul problema
specifico delle origini.
Tale prospettiva,
almeno in parte, non è incompatibile con alcuni dei nuovi orientamenti
che stanno emergendo all'interno delle correnti evoluzionistiche che,
rifiutando la teoria monogenetica e lineare dell'evoluzione,
propendono invece per l'ipotesi di una linea evolutiva non univoca,
una prospettiva che non esclude la compresenza di più specie nello
stesso periodo5.
In questa opera
Cremo e Thompson non hanno comunque la pretesa di formulare una
compiuta teoria alternativa, un obiettivo questo che, come viene
spiegato, sarà oggetto di un secondo lavoro, e va riconosciuto che le
convinzioni degli autori non hanno condizionato l'esposizione dei
tanti casi presentati nel libro. E come spiega nella prefazione E.
Johnson (autore di Processo a Darwin), "alla fine, l'importante
non è perché i ricercatori erano motivati a cercare un tipo di prove,
ma se hanno trovato qualcosa che valga la pena di riportare e che
possa valere la seria considerazione della comunità scientifica".
Dall'analisi delle
prove e delle relazioni scientifiche, emergerebbe come in molti casi
le conclusioni alle quali sono arrivati numerosi archeologi ortodossi,
sarebbero state tratte in modo decisamente discutibile, sulla base di
analisi inadeguate o di una interpretazione dei dati forzata.
All'indomani della pubblicazione dell'Origine delle specie,
l'obiettivo era stato quello di fornire ad ogni costo prove a sostegno
della teoria di Darwin, e soprattutto in grado di screditare le altre
posizioni. Cremo e Thompson spiegano infatti come alla fine
dell'Ottocento quella di Darwin non fosse l'unica teoria
sull'evoluzione, ma come esistessero concezioni differenti. In
particolare, molti archeologi accettavano l'idea che l'uomo moderno
avesse fatto la propria comparsa in tempi molto più remoti di quanto
non sostenga oggi l'archeologia ufficiale. L'antropologo Frank Spencer
scrive per esempio: "dalle prove accumulate sotto forma di scheletri,
sembra che il tipo di scheletro umano si possa far risalire molto
addietro nel tempo, un fatto evidente che ha portato molti ricercatori
ad abbandonare o a modificare le loro opinioni sull'evoluzione umana.
Uno di questi apostati fu Alfred Russel Wallace"6. Proprio
la posizione di Wallace che, come viene sottolineato, condivide con
Darwin l'elaborazione della teoria dell'evoluzione attraverso la
selezione naturale, rappresentava però per lo stesso Darwin la
peggiore delle eresie. La maggiore critica al darwinismo, era
costituita dalla mancanza di prove fossili dell'evoluzione umana, ma
ecco che nell'ultimo decennio dell'Ottocento viene annunciata la tanto
attesa scoperta dell'anello mancante, la prova della specie che
testimoniava il passaggio dall'uomo alla scimmia: l'uomo di Giava,
battezzato dallo scopritore, Eugene Dubois, "Pithecanthropus" (nome
formato dalle parole greche indicanti "scimmia" e "uomo"). Tale
scoperta contribuirà all'affermazione della teoria di Darwin, ma
soprattutto a far perdere terreno alle altre, a partire da quella di
Wallace. Ma fin da subito era stata giudicata priva di fondamento da
molti studiosi, per i quali non poteva esserci la certezza che i resti
rinvenuti a Giava potessero far pensare all'esistenza di un essere
avente in parte caratteristiche scimmiesche ed in parte umane. Nel
corso degli scavi Dubois aveva in particolare rinvenuto un resto di
calotta cranica, in un primo tempo addebitata ad una scimmia
antropomorfa, e un femore fossilizzato di tipo umano. Nella relazione
ufficiale Dubois, cambiando tra l'altro il proprio parere, ipotizzerà
che i due resti appartenevano allo stesso essere, che chiamò appunto
Pithecanthropus. Ma non ci sarebbe alcuna prova
dell'appartenenza dei due frammenti allo stesso essere e non invece a
due esseri distinti. Tanto più che il femore era stato rinvenuto a
tredici metri dal resto di calotta cranica! Lo stesso Dubois in
seguito si ricrederà e molti antropologi sconfesseranno tale ipotesi.
In ogni caso, infine, il risultato sarà raggiunto: per il mondo intero
l'anello mancante, la prova tanto attesa, era stata trovata.
La storia
dell'archeologia ufficiale non manca di essere caratterizzata anche da
falsi clamorosi, come dimostra la storia di Piltdown. All'inizio del
Novecento viene annunciata da Charles Dawson, membro della Società
Geologica, una strabiliante scoperta: il ritrovamento a Piltdown (Sussex)
di un teschio umano con mascella da scimmia. La notizia susciterà come
comprensibile grande eccitazione. Ma fin da subito fu vista con
sospetto da numerosi archeologi. Si scoprirà ben presto che il teschio
era il frutto di una manipolazione. In questa vicenda ci troviamo di
fronte non ad errori involontari, ma ad una vera e propria truffa. Il
problema più generale, viene evidenziato, è rappresentato dai tanti
episodi in cui le conclusioni discutibili o errate a cui arrivano gli
archeologi, non sono frutto di malafede, ma sono prodotte dalle loro
convinzioni. Forti condizionamenti, per dire di un altro aspetto
analizzato nel libro, possono essere esercitati anche dalle stesse
fondazioni che finanziano le ricerche: quelle condotte in Cina da
Davidson Black sull'Uomo di Beijiling, si sarebbero svolte
"all'interno del ben più ampio scenario dello scopo esplicitamente
dichiarato della Fondazione Rockefeller, che rifletteva lo scopo
implicito della grande scienza: il controllo del comportamento umano
da parte degli scienziati".
Interessante è
pure l'analisi di Vayson de Pradenne tratta da Fraudes
Archéologiques (1925): "Si trovano spesso degli uomini di scienza
posseduti da idee preconcette i quali, pur senza commettere vere e
proprie frodi, non esitano a presentare i fatti osservati in modo da
canalizzare l'attenzione altrui nella direzione che concorda con le
loro teorie". Così per de Pradenne ci troviamo non di rado di fronte a
"una vera e propria truffa nella presentazione stratigrafica dei
reperti, una truffa causata dalle sue idee preconcette, ma eseguita
più o meno coscientemente da un uomo in buona fede che nessuno
definirebbe un imbroglione. E' un caso che si è verificato spesso".
Secondo Cremo e
Thompson, reperti interpretati in modo errato sarebbero presenti nei
musei di tutto il mondo: "Anche se, considerati separatamente, questi
casi di filtraggio delle conoscenze sembrano poco importanti,
l'effetto cumulativo è travolgente e riesce a distorcere e ad oscurare
radicalmente il quadro delle origini e dell'antichità dell'uomo".
"Forzature"
nell'analisi dei fossili a parte, la teoria evolutiva proposta dalla
scienza ufficiale si reggerebbe in piedi soprattutto grazie ad una
sistematica eliminazione dei dati "scomodi": "Questa gratuita
eliminazione di prove, prove sostenute da ricerche solide e valide
quanto quelle che sostengono tutte le scoperte attualmente accettate,
rappresenta una truffa perpetrata da scienziati che desiderano
promuovere uno specifico punto di vista. Questa digressione dalla
verità non sembra il risultato di un complotto organizzato
deliberatamente [...] ma piuttosto del risultato inevitabile dei
meccanismi sociali di filtraggio del sapere che sono in atto
nell'ambito della comunità scientifica".
Sta di fatto, come
ben spiega Phillip E. Johnson, che Cremo e Thompson dimostrano come ci
si trovi di fronte ad un "doppio criterio di valutazione" dei reperti
da parte dell'archeologia ufficiale: "I reperti degli esseri umani o
dei loro attrezzi vengono accettati e riconosciuti se rientrano nei
modelli ortodossi dell'evoluzione umana, mentre reperti altrettanto
validi, che però non rientrano nel modello preconcetto, vengono
ignorati o addirittura distrutti".
"Tali scoperte" -
sottolinea ancora Johnson - "scompaiono ben presto dalla stampa e nel
giro di poche generazioni diventano invisibili. Di conseguenza, è
praticamente impossibile che teorie alternative sulla storia dei primi
esseri umani ottengano qualche riconoscimento. Le prove stesse che
potrebbero sostenerle non sono più reperibili e non possono più essere
valutate".
Se questo è vero
per i decenni passati, oggi nuovi ritrovamenti starebbero mettendo in
crisi l'intero impianto teorico ufficiale. Il libro si conclude non a
caso con una panoramica sulle ultime scoperte avvenute nel continente
africano, oggetto peraltro di accese dispute. In anni recenti
l'archeologia ha registrato prese di posizione anche clamorose,
attraverso le quali archeologi e paleontologi hanno rimesso in
discussione quelli che fino a poco tempo fa erano dei veri e propri
tabù inviolabili. Ampia risonanza ha avuto per esempio sui mezzi di
comunicazione l'ipotesi che tende ad escludere l'uomo di Neanderthal
dalla linea evolutiva dell'uomo7.
Secondo
Archeologia proibita ben altre certezze verrebbero a crollare,
tanto che si arriva a contestare la legittimità dell'inclusione nella
linea evolutiva anche dell'Astrolopithecus e dello stesso
Homo Habilis.
Certamente si
tratta di ipotesi di fronte alle quali è comprensibile un
atteggiamento di scetticismo se non di incredulità. Ma dalle
argomentazioni esposte nella critica alla conduzione delle ricerche e
ai metodi "discutibili" con cui la scienza è arrivata a definire tanti
principi, emerge come una buona dose di prudenza si possa fondatamente
avere anche rispetto ai risultati dati per sicuri nei manuali e nei
libri scolastici. A rafforzare la necessità di un atteggiamento
maggiormente problematico, sono poi gli stessi commenti di archeologi
ufficiali. Il giudizio di Pat Shipman, rispetto alla "confusa
relazione tra le specie discendenti", è emblematico:
"Potremmo
affermare che non abbiamo assolutamente nessuna prova sull'origine
dell'Homo e così togliere tutti i membri del genere Australopithecus
dalla famiglia degli ominidi... Provo un'avversione così viscerale a
questa idea che sospetto di non essere in grado di valutarla
razionalmente. Sono stata educata sulla base della nozione che l'Australopithecus
è un ominide".
"Ecco" - questo il
commento degli autori - "una delle affermazioni più oneste che abbiamo
mai sentito da uno scienziato 'ufficiale' implicato nella ricerca
paleoantropologica".
Una delle
"anomalie" più sconcertanti venute alla luce in Africa è rappresentata
dalle orme impresse su di uno strato di ceneri vulcaniche vecchie di
3,8 milioni di anni, scoperte nel 1979 a Laetoli (Tanzania
Settentrionale). Orme che sembrerebbero chiaramente prodotte da
ominidi. Tali reperti sono stati analizzati in un articolo pubblicato
dal National Geographic in cui l'autrice, Mary Leakey, riporta
le parole di Luise Robbins, esperta di impronte dell'Università del
North Carolina: "hanno un aspetto troppo umano, troppo moderno, per
essere state trovate in un tufo così antico". "Noi siamo comunque
rimasti sorpresi di incontrare un'anomalia così evidente" - è il
commento degli autori a questo caso - "nell'ambito insospettabile
degli annali più recenti della ricerca paleoantropologica ufficiale.
Quello che ci ha veramente sconcertato è stato vedere che scienziati
di fama mondiale, i migliori della loro professione, erano capaci di
osservare queste impronte, descrivere le loro caratteristiche umane, e
ignorare la possibilità che le creature che le hanno lasciate
potessero essere umane come noi. Evidentemente la loro corrente
mentale influisce nei normali canali precostituiti".
Ma se sono sempre
più numerosi gli scienziati che si rendono conto della necessità di
riaprire la discussione sulle tante incongruità e sulle contraddizioni
esistenti, l'atteggiamento scelto ancora oggi dalla scienza ufficiale
è immutato: i dati "scomodi" si ignorano o si arriva alla soppressione
delle prove. Cremo sottolinea che quando parla di soppressione delle
prove, non si riferisce certo all'azione di un gruppo di "scienziati
cospiratori" ma, come abbiamo visto, più semplicemente ad un "normale
procedimento sociale di filtraggio della conoscenza".
Archeologia
proibita
è innanzitutto una denuncia dell'esistenza di un procedimento che,
"apparentemente innocuo", alla lunga finisce per avere un "notevole
effetto cumulativo". Al di là dei contenuti espressi, uno dei meriti
maggiori del libro è proprio quello di far riflettere sull'esistenza
di tale meccanismo, che appare ancora più rilevante se si parte da una
consapevolezza. E cioè che i presupposti e le certezze sulle quali si
basa l'archeologia, ed in particolare il darwinismo, più di quanto non
valga per altre discipline, costituiscono le fondamenta dell'impianto
teorico dell'intera scienza e dell'attuale visione del mondo.
In un articolo
pubblicato ne Le Scienze8 - in cui si rifletteva su
quale fosse il pensiero che più di ogni altro ha finito per
condizionare la visione del mondo che l'uomo si porta con sé nel terzo
millennio - è stato ben evidenziato proprio come: "da Darwin
(piuttosto che Einstein, Marx, Freud ndr) dipende in larga misura la
moderna concezione del mondo".
Si comprende
allora quanto la difesa dell'ortodossia in questo campo assuma
un'importanza che supera i confini della disciplina stessa e come
accettare di rimettere in discussione anche solo alcuni aspetti, possa
rappresentare un fatto ben più destabilizzante di quanto
apparentemente si possa immaginare. E se un atteggiamento di chiusura
può essere comprensibile quando ci si trova di fronte a teorie
fantasiose e tutt'altro che basate su presupposti solidi, il rifiuto
di discutere e confrontarsi su reperti o prove documentate, magari
anche con il solo intento di confutare interpretazioni considerate
prive di fondamento, non è accettabile. E gli interrogativi posti da
Cremo e Thompson "perché ci si rifiuta di prendere in considerazione
certe scoperte?"; "perché non se ne discute?", ci sembrano
interrogativi più che legittimi.
1
Il sito sarà analizzato da quattro geologi. Per tre di loro i reperti
risalivano all'ultimo periodo interglaciale e quindi potevano avere
un'età compresa tra i 75 mila e i 125 mila anni. Nella dichiarazione
congiunta tutti e quattro si accorderanno per un'età di minima di 30
mila anni. Per sconfessare tale conclusione sarà avanzata l'ipotesi di
uno slittamento di fanghi, ritenuta però poco credibile.
2
Titolo originale: The Hidden History of the Human Race,
Bhaktivedanta Book Trust-International, 1996.
3
Fossiles et Hommes Sauvages, 1884.
4
Michael Cremo e Richard Thompson, come spiegano nell'introduzione,
appartengono all'Associazione internazionale per la Coscienza di
Krishna, che si occupa della relazione tra la scienza moderna e la
visione del mondo che emerge dalla letteratura vedica, ed è in questa
prospettiva che hanno iniziato la loro ricerca.
5
In L'errore di Darwin di Hans-Joachim Zillmer (Piemme, Casale
Monferrato, 2000) è addirittura avanzata l'ipotesi che esseri umani e
dinosauri abbiano convissuto insieme*.
6
Alan R. Liss, The Origin of Modern Humans: A World Survey of the
Fossil Evidence, New York.
7
la Repubblica, giovedì 30 marzo 2000: "L'uomo di Neanderthal
non è nostro antenato - Glasgow, le analisi del Dna rivelano: non ci
furono incroci sessuali con il Sapiens", articolo di Claudia Di
Giorgio.
8
Le Scienze, settembre 2000. L'articolo, intitolato "L'influenza
di Darwin sul pensiero moderno", è di Ernst Mayr**.
(Alberto Barelli) - E-mail:
odbare@tin.it
Note della
redazione
* In relazione a quanto pubblicato in
questo stesso numero di Episteme a proposito della questione
delle "pietre di Ica", val forse la pena di sottolineare che nel libro
di Zillmer si arriva a certe conclusioni senza fare alcun riferimento
a quei discussi reperti. Si può aggiungere che il testo in parola è
stato aspramente criticato per esempio nella rivista del CICAP
Scienza & Paranormale (N. 33, Settembre/Ottobre 2000), in cui si
afferma tra l'altro: "Leggendo questo libro viene da chiedersi se
meriti parlarne. Senza esagerare, in ogni pagina si riscontrano o
errori concettuali, o imprecisioni e inesattezze, o salti logici non
giustificabili"; "Zillmer è un ingegnere edile e potrebbe sorprendere
che una persona sicuramente non a digiuno di conoscenze scientifiche e
tecnologiche di base argomenti delle tesi ardite, ignorando o
rifiutando completamente la geologia moderna. Si tratta in realtà di
un deliberato attacco alla scienza [...]"; "In conclusione, di
attacchi all'evoluzionismo ne sono stati fatti tanti, ma questo appare
di livello molto basso, arrivando - forse anche deliberatamente - alla
mistificazione" (recensione di Giancarlo Barisone).
** Si tratta di un'opinione
assolutamente condivisibile, che mostra anche come sia difficile
dibattere certe questioni restando sempre sul piano strettamente
scientifico. Che le acquisizioni, reali o pretese, della scienza
abbiano avuto, ed abbiano, implicazioni etico-sociali-politiche, oltre
che "metafisiche", del tutto rilevanti è cosa manifesta, nonostante
ogni tentativo dialettico di evitare surrettiziamente tale spinosa
questione. Fa scempio di tale ambigua posizione proprio un darwinista,
James Rachels, che nel suo schietto Creati dagli animali -
Implicazioni morali del darwinismo (Edizioni di Comunità, Milano,
1996) sostiene senza mezzi termini che: "Così, sulla base del modo in
cui il dibattito si è sviluppato, sembrano possibili solo due
soluzioni: la tesi fondamentalista che il darwinismo mini i valori
tradizionali, e debba dunque essere respinto; e la risposta
evoluzionista secondo cui il darwinismo non costituisce affatto una
minaccia per tali valori. Quando le linee vengono tracciate in questo
modo, risulta difficile prendere sul serio la possibilità che la
teoria di Darwin abbia conseguenze morali - e in particolare l'idea
che essa mini la moralità tradizionale - senza dar l'impressione di
schierarsi con i nemici dell'evoluzione [...] Si è così persa nella
nebbia la possibilità di una terza soluzione: che la teoria darwiniana
sia incompatibile con la moralità tradizionale, e fornisca dunque una
ragione per respingere tale moralità e sostituirla con qualcosa di
meglio [...] La teoria di Darwin, se è corretta, riguarda questioni di
fatto [...] Esiste una relazione tra la teoria di Darwin e queste più
ampie questioni, anche se si tratta di qualcosa di più complesso di
una semplice implicazione logica. Io argomenterò che la teoria di
Darwin mina in effetti i valori tradizionali. [...] Così, pur essendo
un darwinista, difenderò una tesi cui gli amici di Darwin si sono in
genere opposti. Ma non assumerò, con i nemici di Darwin, che tali
implicazioni siano moralmente perniciose [...] La moralità
tradizionale dipende dall'idea che gli esseri umani si situino in una
categoria etica particolare: dal punto di vista morale, la vita umana
ha un valore speciale e unico, mentre la vita non-umana ha
relativamente poca importanza [...] Ci si riferisce comunemente a ciò
come alla dottrina della dignità umana. Ma tale dottrina non esiste in
un vacuum logico. Tradizionalmente, essa è stata suffragata in due
modi: innanzi tutto tramite l'idea che l'uomo sia fatto a immagine di
Dio, e in secondo luogo, tramite l'idea che l'uomo sia l'unico essere
razionale [...] [Il darwinismo] mina tanto l'idea che l'uomo sia fatto
a immagine di Dio, quanto l'idea che l'uomo sia l'unico essere
razionale [...] se il darwinismo è corretto, è improbabile che si
trovi un qualsiasi ulteriore sostegno per la dottrina della dignità
umana. Tale dottrina risulta pertanto essere l'emanazione morale di
una metafisica screditata" (op. cit., pp. 5 e segg.).
tratto da:
http://itis.volta.alessandria.it/episteme/ep3-22.htm