1 - Il quarto Vangelo
Il quarto Vangelo, cosiddetto "secondo Giovanni", è molto caro a
tanti cristiani che lo preferiscono agli altri tre. Quasi di
sicuro perché fa apparire un Gesù che largheggia in insegnamenti
di grande profondità spirituale, contraddistinti spesso da quel
tono misterioso che è esclusivo delle discipline iniziatiche. In
esso è ricca la simbologia e l'uso di linguaggi pittoreschi.
INIZIO DEL QUARTO VANGELO NELLA VERSIONE GRECA
Fin dall'inizio l'evangelista ha scelto di toccare la corda del
cuore con la lirica appassionata di una canto al logos,
principio ancestrale di tutto ciò che è, eterno faro di verità e
di certezza per tutti coloro che sono figli della luce.
E poi c'è un episodio, che non è descritto negli altri Vangeli, il
quale basterebbe da solo a conquistare al testo giovanneo la
preferenza di una larga schiera di fedeli. Mi riferisco al celebre
miracolo avvenuto nel villaggio di Betania, dove Gesù richiamò in
vita il caro amico defunto, Lazzaro, il fratello di Marta e Maria.
Il miracolo è descritto con tale sentimento, con le sorelle
trepidanti e i popolani partecipi al dolore e alla speranza, che
non poteva non suscitare un interesse particolare. E noi glie ne
dedicheremo molto, in questo scritto.
Certamente questo Vangelo è molto diverso dagli altri tre,
ovverosia da quelli detti "secondo Marco, Matteo e Luca", i quali
sono definiti comunemente "sinottici", per il fatto che le
narrazioni sono spesso parallele, quasi coincidenti nelle parole e
nei periodi. Creare una quadruplice sinossi (ovverosia uno schema
in cui appaiono affiancati i brani che si assomigliano) che
comprenda anche il quarto Vangelo è estremamente difficile, perché
spesso il parallelismo si perde, i brani sono molto diversi e così
anche la dinamica degli eventi descritti. Prima di affrontare la
questione che è l'oggetto specifico di questo scritto, sarà bene
esaminare alcune caratteristiche del quarto Vangelo, la cui
conoscenza permetterà di comprendere meglio aspetti e implicazioni
del problema che andremo a trattare.
2 - Personaggi sinottici e giovannei.
Nei Vangeli secondo Marco, Matteo e Luca, sono presenti elenchi
dei cosiddetti dodici apostoli, che riportiamo qui di seguito in
uno schema di confronto:
MARCO |
MATTEO |
LUCA |
Simone, detto Pietro |
Simone, detto Pietro |
Simone detto Pietro |
Andrea |
Andrea, fratello di Simone |
Andrea, fratello di Simone |
Giacomo di Zebedeo |
Giacomo di Zebedeo |
Giacomo |
Giovanni fratello di Giacomo |
Giovanni fratello di Giacomo |
Giovanni |
Filippo |
Filippo |
Filippo |
Bartolomeo |
Bartolomeo |
Bartolomeo |
Matteo |
Matteo, il pubblicano |
Matteo |
Tommaso |
Tommaso |
Tommaso |
Giacomo di Alfeo |
Giacomo di Alfeo |
Giacomo di Alfeo |
Taddeo |
Taddeo |
Giuda di Giacomo |
Simone, il cananeo |
Simone, il cananeo |
Simone, lo zelota |
Giuda l'Iscariota |
Giuda l'Iscariota |
Giuda l'Iscariota |
Il quarto Vangelo, al contrario, non riporta alcun elenco preciso,
e si limita a nominare i diversi apostoli nel corso della
narrazione, man mano che questi compaiono. Fin qui, naturalmente,
non ci sarebbe niente di singolare, se non dovessimo però
constatare che, in realtà, alcune denominazioni sono diverse e che
in tutto si raggiungono solo otto identità. Vediamo chi sono:
SINOTTICI |
QUARTO VANGELO |
|
presenti |
assenti |
Simone detto Pietro |
Simone, detto Pietro |
|
Andrea, fratello di Simone |
Andrea, fratello di Simone |
|
Giacomo di Zebedeo |
|
pres. solo nel Cap. aggiunto |
Giovanni di Zebedeo |
|
pres. solo nel Cap. aggiunto |
Filippo |
Filippo |
|
Bartolomeo |
|
assente |
Matteo |
|
assente |
Tommaso |
Tommaso, chiamato Dìdimo |
|
Giacomo di Alfeo |
|
assente |
Taddeo o Giuda di Giacomo |
Giuda, non l'Iscariota |
|
Simone, lo zelota |
|
assente |
Giuda l'Iscariota |
Giuda Iscariota |
|
|
Natanaele di Cana di Galilea |
|
|
Il discepolo che Gesù amava |
|
|
|
|
|
Possiamo così notare che il quarto Vangelo, oltre a non
contemplare alcuni apostoli della tradizione sinottica, ne
contempla alcuni che gli sono propri. O, almeno, ha delle
denominazioni che gli sono proprie. C'è un particolare che
dobbiamo aggiungere, sia di Simone, che di Andrea, che di
Filippo, si dice che provengono da Betzayda, un villaggio
sulla riva nord-orientale del Lago di Tiberiade, nel Golan.
Se vogliamo concludere la nostra breve rassegna delle
discordanze nei personaggi sinottici e in quelli giovannei,
dobbiamo far notare che Marco, Matteo e Luca contemplano
altre identità assenti nel quarto Vangelo: per esempio i
genitori di Giovanni Battista, Elisabetta e Zaccaria, i due
miracolati per resurrezione, cioè la figlia di Giairo e il
figlio della vedova di Nain; mentre il testo giovanneo
contempla Nicodemo, Lazzaro e le sue sorelle, Marta e Maria,
che sono assenti nei testi sinottici.
A dir la verità Luca parla di Marta e Maria, in questo
episodio:
"Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una
donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva
una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di
Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa
dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse:
"Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a
servire? Dille dunque che mi aiuti". Ma Gesù le rispose:
"Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma
una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la
parte migliore, che non le sarà tolta"" (Lc X, 38-42),
però, noi possiamo notare che Luca, pur nominando le due
donne, non cita la località che è Betania, specificata in
altre occasioni, ed evita di precisare che esse sono le
sorelle di Lazzaro, quelle che erano presenti alla cena
dell'unzione. In tal modo, mancando una chiara
caratterizzazione dei personaggi, che invece è effettuata
con esattezza e insistenza nel testo giovanneo, i nomi
perdono la loro importanza e le due figure restano avvolte
in una sorta di anonimato. In pratica ci sono nei gesti che
compiono, ma è come se non ci fossero nelle identità. Del
resto anche il personaggio di Lazzaro manca completamente
nei testi sinottici, e questo fa pensare che Marco, Matteo e
Luca avessero qualche motivo particolare per omettere dal
loro racconto le identità dei componenti di questa famiglia,
i quali svolgono delle funzioni di grande importanza nel
quarto Vangelo.
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3 - Assenza di brani nei
sinottici e nel quarto Vangelo.
Possiamo adesso nominare alcuni brani di rilievo, presenti
nella tradizione sinottica, che sono totalmente assenti nel
quarto Vangelo: i quaranta giorni e le tentazioni nel
deserto, l'arresto e la morte di Giovanni Battista,
l'ossesso di Cafarnao, la guarigione della suocera di
Simone, la resurrezione della figlia di Giairo, la
resurrezione del figlio della vedova di Nain, numerose
guarigioni miracolose, numerose parabole, la trasfigurazione
sul monte, il fico disseccato, la questione del tributo a
Cesare, la piccola apocalisse ("non resterà pietra su
pietra"), la pronunciazione della condanna a morte a
Gesù da parte degli ebrei, l'ascensione al cielo.
Mentre altri brani sono presenti nel quarto Vangelo e
assenti nei sinottici: le nozze di Cana, il paralitico in
piscina, il dialogo con la samaritana, l'adultera perdonata,
la discussione con Nicodemo, la resurrezione di Lazzaro, il
lavaggio dei piedi agli apostoli.
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4 - Il primato di Pietro.
Il primato di Pietro, a cui Gesù avrebbe affidato il compito
di guidare la Chiesa con le parole:
"E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra
edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non
prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno
dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato
nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà
sciolto nei cieli" (Mt XVI, 18-19),
è completamente assente nel testo giovanneo. Al contrario,
in esso è esplicitamente mostrata la subordinazione di
Pietro rispetto ad un altro personaggio:
"Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava
a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e
gli disse: "Dì, chi è colui a cui si riferisce?". Ed egli
reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: "Signore,
chi è?"" (Gv XIII, 23-25);
"Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel
discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era
trovato al suo fianco e gli aveva domandato: "Signore, chi è
che ti tradisce?". Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù:
"Signore, e lui?". Gesù gli rispose: "Se voglio che egli
rimanga finchè io venga, che importa a te? Tu seguimi""
(Gv, XXI, 20-22).
Stiamo già evidenziando una serie consistente di divergenze
che allontanano il testo giovanneo dagli altri tre. Con
questo noi possiamo sicuramente permetterci di ipotizzare
che i Vangeli sinottici siano scaturiti dall'esigenza di
esprimere una particolare interpretazione ideologica e
dottrinaria delle opere e dell'insegnamento di Gesù. Come
abbiamo visto altrove, tale interpretazione è molto diversa
da quella offerta nella letteratura giudeo-cristiana, anche
se in realtà noi non abbiamo la possibilità di leggere i
testi giudeo-cristiani, ma le informazioni che di essi
possiamo avere, dalle citazioni confutatorie presenti nelle
opere dei padri della chiesa, sono già sufficienti a darci
una chiara misura delle grandi distanze che separano questo
filone da quello facente capo all'insegnamento di Paolo di
Tarso, sfociato nella compilazione del canone
neotestamentario.
Sebbene il quarto Vangelo sia incluso nel canone
neotestamentario, dobbiamo riconoscere una certa quantità di
divergenze che lo allontanano dagli altri tre testi e, se
avanziamo la ragionevole ipotesi che lo scritto di cui
disponiamo oggi non sia il testo integrale, come lo avrebbe
redatto di prima mano l'evangelista, possiamo riconoscere
che l'ambiente in cui esso è stato prodotto aveva
presupposti ideologici e dottrinari abbastanza lontani da
quelli dell'ambiente paolino che ha generato i testi
sinottici. Potremmo già affermare che si nota nel testo
giovanneo una sensibile componente gnostica, caratteristica
dell'ambiente originario che deve averlo creato, la quale,
naturalmente, sarebbe stata successivamente sottoposta ad
interventi correttivi, anche molto pesanti, atti a renderlo
compatibile con la tradizione affermatasi negli ambienti
ecclesiastici.
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5 - Linguaggi di stile qumraniano.
Una delle peculiarità del testo giovanneo è la terminologia
che ricorre spesso ad espressioni come figli della luce
e figli delle tenebre, o semplicemente luce e
tenebre, per esprimere i concetti di bene e male. La
stessa lirica iniziale al logos contiene più volte
queste espressioni e, in seguito, troviamo passi come:
"E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma
gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perchè le
loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia
la luce e non viene alla luce perchè non siano svelate le
sue opere. ]Ma chi opera la verità viene alla luce, perchè
appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio
" (Gv III, 19-21);
"Di nuovo Gesù parlò loro: "Io sono la luce del mondo;
chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce
della vita"" (Gv VIII, 12)
"Gesù allora disse loro: "Ancora per poco tempo la luce è
con voi. Camminate mentre avete la luce, perchè non vi
sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa
dove va. Mentre avete la luce credete nella luce, per
diventare figli della luce"" (Gv XII, 35-36).
Ora, noi abbiamo visto altrove che questa terminologia è
assolutamente indicativa del linguaggio e della dottrina
qumraniana, e ciò pone importanti interrogativi sulle
relazioni fra cristianesimo ed essenato.:
"In una sorgente di luce sono le origini della verità e
da una fonte di tenebra le origini dell'ingiustizia. In mano
al principe delle luci è l'impero su tutti i figli della
giustizia: essi cammineranno sulle vie della luce. Ed in
mano all'angelo della tenebra è tutto l'impero sui figli
dell'ingiustizia: essi camminano sulle vie della tenebra"
(Regola della Comunità III, 19).
A conclusioni del tutto analoghe possiamo arrivare se
analizziamo un altro passo del quarto Vangelo, in cui si
utilizza l'immagine delle acque vive:
"Gesù le rispose: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi
è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene
avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva". Gli
disse la donna: "Signore, tu non hai un mezzo per attingere
e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva?
Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci
diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo
gregge?". Rispose Gesù: "Chiunque beve di quest'acqua avrà
di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non
avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà
in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna""
(Gv IV, 10-14).
Da confrontare con questo passo del Documento di Damasco,
importante scritto esseno di cui è stata rinvenuta copia
nelle grotte di Qumran:
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"tutti gli uomini che sono entrati nel patto nuovo, nel
paese di Damasco, ma se ne sono poi ritornati, hanno tradito
e si sono allontanati dal pozzo delle acque vive"
(Documento di Damasco XIX, 33-34).
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6 - Assenza della istituzione
della eucarestia.
Quando abbiamo parlato dell'assenza nel quarto Vangelo di
brani che sono presenti nei sinottici, abbiamo trascurato un
punto importante: l'istituzione della eucarestia. Infatti si
tratta di un fatto così significativo da meritare una
attenzione particolare, che gli dedicheremo adesso.
Se confrontiamo nei quattro Vangeli i brani relativi
all'ultima cena, noteremo che tutti e tre i sinottici
contengono una descrizione della istituzione della
eucarestia, ovverosia del mistero della ripetizione del
sacrificio di Gesù sulla croce e, in particolare della
trasformazione sovrannaturale (transustanziazione)
del pane e del vino in carne e sangue di Cristo, di cui i
fedeli si cibano, compiendo così un sacramento rituale, il
cui significato è stabilito come dogma di fede.
Il quarto Vangelo, sebbene sia estremamente più abbondante
nella descrizione dell'ultima cena, aggiungendo atti come la
lavanda dei piedi e copiosi insegnamenti che i sinottici
ignorano, e occupando così uno spazio quattro o cinque volte
superiore a quello dedicato dai sinottici a questo brano (o
più ancora), non fa cenno alcuno all'istituzione dell'eucarestia.
La ignora nella maniera più completa.
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Ora,
noi non possiamo fare a meno di ribadire che l'ultima cena,
per una serie di motivi che abbiamo esaminato altrove (sia
la somiglianza sorprendente col rito di apertura del pasto
comunitario a Qumran, sia la datazione dell'evento, che
risulta coerente col calendario solare in uso presso la
confraternita essena e non con quello ufficiale degli ebrei
di Gerusalemme) era un banchetto ritualizzato secondo la
tradizione ebraica, coerente con le concezioni e i costumi
degli intransigenti circoli messianici. In questi ambienti,
introdurre una concezione teofagica (teofagia =
cibarsi del Dio), che è peculiare di alcune religioni pagane
dell'area mediterranea, e proporre ai convitati ebrei della
cena di cibarsi del sangue e della carne del figlio di
Dio, inteso come vittima scarificale, non solo sarebbe
stato blasfemo, ma letteralmente ed assolutamente
impossibile. Qualcosa di non lontano da quel famoso "abominio
della desolazione", di cui parla la Bibbia, quando
descrive la profanazione del tempio con immagini o insegne
sacrileghe. Si tratta di empietà che più di una volta hanno
suscitato reazioni di violenza incontrollata da parte degli
ebrei, come ci è testimoniato dallo stesso Giuseppe Flavio.
Ed è per questo che abbiamo tutte le ragioni per insinuare
molto più di un semplice sospetto che tale irruzione di
spiritualità pagana nella scenografia di quel pasto ebraico
non sia affatto il frutto della volontà di Gesù, ma delle
libere formulazioni teologiche che hanno avuto sviluppo
negli ambienti della predicazione paolina.
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7 - La cronologia solare.
Scrive Jean Daniélou, sacerdote cattolico che ha avuto
accesso ai manoscritti di Qumran, nel suo libro "Les
Manuscrits de la Mer Morte et les Origines du Christianisme"
(Editions de l'Orante, Paris, 1975):
"...Sappiamo che uno dei più difficili problemi
dell'esegesi del Nuovo Testamento, è la determinazione del
giorno della Cena. I Sinottici la considerano un pasto
pasquale e la fissano quindi al 14 nizan (marzo-aprile) di
sera.
Ma per san Giovanni, la crocifissione ebbe luogo prima della
Pasqua: il Cristo è stato dunque crocifisso nella giornata
del 14 nizan ed ha istituito l'Eucaristia il 13 sera. In
questo caso, la Cena non sarebbe più un pasto pasquale, e
questo contraddirebbe i Sinottici. A meno che il Cristo non
avesse anticipato il pasto pasquale. Ma come spiegarlo? Il
problema sarebbe risolto se si potesse dimostrare che in
quell'epoca vi erano due date differenti per la celebrazione
della Pasqua...
...Ora, esiste una vecchia tradizione secondo la quale il
Cristo avrebbe consumato la cena pasquale un martedì sera,
sarebbe stato arrestato il mercoledì e crocifisso il
venerdì. Questa tradizione era stata fin qui quasi
dimenticata.
La Jaubert ha dimostrato che le genti di Qumràn utilizzavano
un antico calendario sacerdotale di 364 giorni, che era
costituito da quattro trimestri di 91 giorni, formati
ciascuno da 13 settimane. Seguendo questo calendario,
siccome l'anno comporta esattamente 52 settimane, le feste
cadono obbligatoriamente lo stesso giorno del mese e della
settimana. In questo calendario, la Pasqua veniva sempre di
mercoledì, e la vigilia era dunque di martedì. Così il
Cristo avrebbe celebrato la Cena alla vigilia della Pasqua
secondo il calendario esseno. Per contro, sarebbe stato
crocifisso alla vigilia della Pasqua ufficiale, che in
quell'anno cadeva di sabato.
Ma, una volta scomparso e dimenticato il calendario degli
Esseni, il ricordo di questa data si è cancellato, e si è
piazzata la Cena sia il mercoledì, secondo san Giovanni, sia
il giovedì. La scoperta del calendario di Qumràn permette di
restituirle la sua vera data, e per tale motivo uno degli
enigmi del Nuovo Testamento è spiegato...".
Ci troviamo pertanto, ancora una volta, davanti ad una
inequivocabile indicazione che dimostra la stretta relazione
esistente fra l'ambiente originario di produzione del quarto
Vangelo e la confraternita essena che aveva dimora nel
monastero di Qumran.
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8 - Aggiunte e suddivisioni
Il quarto Vangelo sembra avere una duplice concusione.
Infatti alla fine del ventesimo capitolo noi possiamo
leggere quanto segue:
"... molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi
discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi
sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il
Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo
nome." (Gv XX, 30-31).
Eppure, abbastanza sorprendentemente, il testo non si
conclude a questo punto, bensì riprende la narrazione con
una terza apparizione di Gesù sul lago di Tiberiade. Già
questo fatto fa capire che il brano, molto probabilmente, è
una aggiunta successiva e l'idea appare fortemente
rinforzata se esaminiamo alcuni degli argomenti di questa
parte. Infatti troviamo tre cose, due delle quali stridono
in modo abbastanza palese coi contenuti dei capitoli
precedenti, e la terza solleva importanti perplessità dal
punto di vista storico.
Di che si tratta? Innanzitutto noteremo che in questa parte
vengono nominati per la prima volta due apostoli altrimenti
assenti, vengono definiti semplicemente come "i figli di
Zebedeo" (neanche Zebedeo era mai stato nominato prima)
e, per confronto coi sinottici, capiamo subito che si tratta
di Giacomo e di suo fratello Giovanni. Poi noteremo che c'è
un episodio in cui si cerca di recuperare il ruolo primario
di Pietro rispetto a Gesù, che in precedenza non era mai
stato messo in evidenza. Infatti c'è un dialogo in cui
Pietro per ben tre volte risponde affermativamente alla
domanda di Gesù che gli chiede se egli gli vuole bene, e
infine il maestro gli ordina: "pasci le mie pecorelle",
praticamente dichiarandolo capo spirituale della comunità
cristiana.
Il terzo fatto singolare riguarda la frase conclusiva:
"Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel
discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era
trovato al suo fianco e gli aveva domandato: "Signore, chi è
che ti tradisce?"... Questo è il discepolo che rende
testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi
sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora
molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte
una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a
contenere i libri che si dovrebbero scrivere." (Gv XXI,
20-25),
in cui si dichiara che l'autore del Vangelo stesso è "quel
discepolo che Gesù amava", identificato dalla tradizione
in uno dei due figli di Zebedeo, e precisamente
nell'apostolo Giovanni. Ora, questo fatto è contestato da
molti studiosi che mostrano le numerose contraddizioni di
una identificazione di questo genere. Per prima l'età che
avrebbe dovuto avere l'evangelista, dal momento che il
quarto Vangelo è riconosciuto come un testo che ha visto la
luce alla fine del primo secolo o all'immediato inizio del
secondo. Giovanni avrebbe dovuto avere almeno novanta anni.
Poi molte indicazioni storiche, fra cui una profezia
presente nello stesso Nuovo Testamento, ci indicano che
Giovanni sarebbe deceduto prematuramente come martire.
Infine ci sono considerazioni stilistiche e di contenuti:
avrebbe potuto un ame-ha-aretz, cioè un popolano
ebreo incolto, pescatore semianalfabeta (o analfabeta del
tutto), iniziare a scrivere un testo in lingua greca dotta,
attingendo alla filosofia ellenica del Logos? Tutto
questo ci porta con estrema chiarezza ad intuire che il
ventunesimo capitolo del quarto Vangelo non è che uno dei
pesanti interventi successivi, a cui abbiamo già accennato,
atti a renderlo compatibile con la tradizione affermatasi
negli ambienti ecclesiastici cristiani. Il testo originale
non si estendeva oltre a ciò che oggi è contenuto nei primi
venti capitoli.
Ora, in aggiunta a quanto sopra, possiamo ancora notare che
i primi venti capitoli sembrano essere divisi con perfetta
simmetria in due parti di dieci capitoli ciascuna. Dal primo
al decimo capitolo appare Giovanni Battista, che è un
protagonista primario di questa metà. Egli è annunciato fin
dall'inizio con le seguenti parole:
"Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla
luce, perché tutti credessero per mezzo di lui." (GV I,
6-7),
ed è, per così dire, congedato da una frase in cui si
afferma che tutto ciò che egli aveva detto risponde a
verità, affinché gli altri credano:
"Molti andarono da lui e dicevano: "Giovanni non ha fatto
nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di
costui era vero". E in quel luogo molti credettero in lui."
(GV X, 41-42).
Nella seconda metà del Vangelo Giovanni Battista scompare
completamente dalla scena e diventano protagonisti primari
persone che finora non si erano mai viste, come Lazzaro di
Betania ed un certo "discepolo che Gesù amava", e noi
vedremo in seguito che queste due individualità solo
apparentemente sono distinte. Questa personalità unica è
annunciata subito all'inizio della seconda metà, con parole
che gli affidano una funzione di grande importanza,
celebrare la gloria di Dio con un evento di cui Lazzaro è
protagonista:
"Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il
villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella
che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva
asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro
era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: Signore,
ecco, il tuo amico è malato. All'udire questo, Gesù disse:
Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio"
(Gv I, 1-4),
e, con una sorprendente simmetria strutturale rispetto alla
prima metà del testo, anche questa volta abbiamo un congedo
tramite una frase in cui si afferma che tutto ciò che egli
aveva detto risponde a verità, affinché gli altri credano:
"Questi (fatti) sono stati scritti, perché
crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché,
credendo, abbiate la vita nel suo nome." (GV XX, 31),
ribadita anche nella conclusione aggiunta:
"Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi
fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua
testimonianza è vera." (GV XXI, 24).
Tutto questo è molto curioso, anche se destinato a rimanere
abbastanza oscuro. Certamente noi comprendiamo che
all'interno del quarto Vangelo, nelle sue parole e nelle sue
architetture, sono celati significati che il suo autore
voleva trasmettere e che sono comprensibili solamente
attraverso una analisi molto approfondita e, talvolta, solo
da un lettore in possesso di certe chiavi interpretative.
|
9 -
L'attribuzione della paternità del quarto Vangelo
Abbiamo già parlato del fatto che la tradizione attribuisce
questo testo all'apostolo Giovanni, ma abbiamo anche detto
che molte ragionevoli obiezioni mostrano la consistente
improbabilità di questa attribuzione, quasi una evidente
impossibilità. Giovanni sarebbe stato giustiziato insieme al
fratello Giacomo:
"Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con
i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le
disse: "Che cosa vuoi?". Gli rispose: "Dì che questi miei
figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra
nel tuo regno". Rispose Gesù: "Voi non sapete quello che
chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?". Gli
dicono: "Lo possiamo". Ed egli soggiunse: "Il mio calice lo
berrete..."" (Mt XX, 20-23) [si noti che Gesù usa
l'espressione "bere questo calice" con riferimento al
proprio martirio],
"...secondo non pochi moderni sarebbe stato martirizzato
nel 41-44 d.C., insieme con il fratello Giacomo, da Erode
Agrippa I. L'affermazione si basa su due testi, uno di
Filippo Sidete (430 ca.) e l'altro di Giorgio Hamartolos o
Peccatore, sec. IX, che citano la notizia dal Secondo Libro
o Discorso di Papia..." (Grande Dizionario Enciclopedico
UTET a cura di P.Fedele, voce "Giovanni, apostolo").
In realtà, se fosse stato chiaro fin dal primo momento che
questo testo era stato scritto da un discepolo così
importante come Giovanni (a cui Gesù, sempre secondo
l'interpretazione tradizionale, con la quale non
concordiamo, avrebbe addirittura affidato la madre Maria,
affinché egli la prendesse nella propria casa) non si
capisce perché a suo tempo ci siano state tante resistenze
contro l'inclusione di tale autorevole scritto nel canone
neotestamentario e perché sia stato così controverso il
dibattito che si è concluso con la decisione di affiancarlo
ai tre Vangeli sinottici. In effetti, al tempo di questo
dibattito, il presbitero di Roma Gaio respingeva questo
scritto affermando che l'autore era un maestro gnostico
dell'Asia minore, un certo Cerinto. Più tardi, quando
l'opera giovannea fu accettata ed inserita nel canone,
l'obiezione di Gaio fu superata affermando che Cerinto si
era disonestamente attribuita la paternità di scritture di
cui, invece, era autore Giovanni.
Ora, noi non possiamo sapere con certezza chi sia stato
l'autore della forma originaria di quel testo che oggi ci si
presenta come il quarto Vangelo, né convalidare l'eventuale
attribuzione a Cerinto. Però è certa una cosa: che il quarto
Vangelo non è stato scritto dall'apostolo Giovanni, e che la
sua origine è da cercare in una comunità gnostica dell'Asia
minore.
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10 - Il discepolo senza nome
Come abbiamo già visto, uno dei personaggi di questo
scritto, diciamo pure un protagonista di rilievo, non è mai
chiamato per nome ma è caratterizzato solo dall'espressione
"il discepolo che Gesù amava". Egli, definito in
questo modo, compare solo nella seconda metà del Vangelo.
Vediamo in quali occasioni:
"Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e
dichiarò: "In verità, in verità vi dico: uno di voi mi
tradirà". I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non
sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che
Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon
Pietro gli fece un cenno e gli disse: "Dì, chi è colui a cui
si riferisce?". Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù,
gli disse: "Signore, chi è?"" (Gv XIII, 21-25),
"Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme con un altro
discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo
sacerdote e perciò entrò con Gesù nel cortile del sommo
sacerdote; Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta.
Allora quell'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò
fuori, parlò alla portinaia e fece entrare anche Pietro"
(Gv XVIII, 15-16),
"Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di
sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora,
vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli
amava, disse alla madre: "Donna, ecco il tuo figlio!". Poi
disse al discepolo: "Ecco la tua madre!". E da quel momento
il discepolo la prese nella sua casa" (Gv XIX, 25-27),
"Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al
sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che
la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e
andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù
amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal
sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!"" (Gv XX,
1-2),
"Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i
discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse
loro: "Figlioli, non avete nulla da mangiare?". Gli
risposero: "No". Allora disse loro: "Gettate la rete dalla
parte destra della barca e troverete". La gettarono e non
potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci.
Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: "E` il
Signore!". Simon Pietro appena udì che era il Signore, si
cinse ai fianchi il camiciotto, poichè era spogliato, e si
gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la
barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano
lontani da terra se non un centinaio di metri" (Gv XXI,
4-8),
"Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel
discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era
trovato al suo fianco e gli aveva domandato: "Signore, chi è
che ti tradisce?". Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù:
"Signore, e lui?". Gesù gli rispose: "Se voglio che egli
rimanga finchè io venga, che importa a te? Tu seguimi". Si
diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non
sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe
morto, ma: "Se voglio che rimanga finchè io venga, che
importa a te?". Questo è il discepolo che rende
testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi
sappiamo che la sua testimonianza è vera" (Gv XXI,
20-24).
Perché l'evangelista avrebbe avuto la necessità di lasciare
anonimo questo personaggio? Si tratta di un fatto singolare,
che non ha simili nel Nuovo Testamento, ogni qual volta si
parla di figure di grande rilievo ed importanza. Noi siamo
pertanto indotti a sospettare che si tratti di un espediente
finalizzato a nascondere la vera identità di un personaggio
che sarebbe stato molto pericoloso per l'interpretazione
neocristiana del ruolo storico di Gesù, il quale, dalla
predicazione paolina, era stato reso totalmente estraneo ad
ogni coinvolgimento col messianismo degli ebrei.
Nella seconda delle citazioni che abbiamo appena visto,
questo discepolo anonimo è caratterizzato da un altro fatto,
che può fornirci elementi utili alla discussione sulla sua
identità. Di lui viene detto che era noto al sommo
sacerdote, al punto da poter entrare nel cortile in cui era
stato portato Gesù arrestato, in quella circostanza tutt'altro
che tranquilla e ordinaria, e da poter fare entrare anche
Simon Pietro, che alle guardie era totalmente sconosciuto.
Ora, un eventuale Giovanni apostolo, autore di un Vangelo
nato alla fine del secolo, pertanto molto giovane al tempo
degli eventi in questione, per di più popolano incolto
proveniente dalle regioni settentrionali della Palestina,
non poteva essere certamente un uomo conosciuto dal sinedrio
e fidato al sommo sacerdote. Il personaggio, invece, doveva
essere una persona che risiedeva nell'area di Gerusalemme,
che non fosse proprio un adolescente e che avesse
un'autorità tale da meritare questi privilegi. Egli era
introdotto negli ambienti altolocati della società
gerosolimitana. A meno che, naturalmente, la notizia offerta
dal quarto Vangelo non sia completamente fantasiosa.
|
11 - La contraffazione delle identità
Nel paragrafo precedente abbiamo accennato a espedienti
finalizzati a nascondere la vera identità del personaggio.
Adesso dobbiamo precisare che una operazione di questo
genere, ovverosia la contraffazione dell'identità di una
figura della narrazione evangelica, è estremamente comune e
riguarda quasi tutti i più importanti personaggi. Tutte le
volte che si evidenzia questo procedimento è facile rendersi
conto che lo scopo dell'evangelista è sempre lo stesso: lo
potremmo definire "intento di spoliticizzazione", e
riguarda il fatto di purgare i personaggi da ogni
caratteristica che possa farli riconoscere come individui
coinvolti nella lotta messianica (ovverosia nella causa
sostenuta dalle sette esseno-zelote). Lo possiamo notare
nelle interpretazioni scorrette che sono state fornite a
certi attributi associati ai personaggi; per esempio
cananaios inteso come cananeo, quando invece
deriva dall'ebraico qan'ana che significa zelota,
patriota; oppure bar Jona, proditoriamente
sdoppiato in due parole, per farlo apparire come figlio
di Giona, mentre i manoscritti originali recitano
barjona, che è un altro termine ebraico che indica gli
zeloti. Anche il titolo Nazareno, che riguarda Gesù,
è soggetto a una contraffazione del suo significato, poiché
non ha riferimento alla città di Nazareth, ma è un titolo
religioso e/o settario.
Se eseguiamo una indagine approfondita, finalizzata alla
individuazione dei diversi procedimenti di contraffazione
delle identità, giungiamo inequivocabilmente a riconoscere
che molti personaggi hanno subito anche degli sdoppiamenti
(compaiono più di una volta con nomi diversi e quindi
sembrano due persone distinte); ed inoltre scopriamo che
molti dei cosiddetti apostoli sono zeloti, e che spesso sono
anche membri della famiglia di Gesù: suoi fratelli. La
redazione evangelica è pervasa dall'intento di trasformare
in semplici apostoli i fratelli zeloti di
Gesù. Noi vedremo in seguito un meccanismo simile, che
avrebbe sdoppiato Lazzaro facendolo diventare anche "il
discepolo che Gesù amava", e che avrebbe sdoppiato la
sorella di Lazzaro, Maria di Betania, facendola diventare
anche Maria Maddalena. Ma ci sono altri casi clamorosi che
non possiamo esaminare in questa sede per motivi di spazio,
che riguardano Maria madre di Gesù e Maria di Cleofa; nonché
Tommaso e Taddeo (si tratta di soprannomi, il vero nome
sarebbe Giuda); Simone fratello di Andrea e Simone lo zelota
(si tratterebbe di Simone detto Cefa = pietra, o Barjona =
brigante, fuorilegge); Giuseppe il padre di Gesù e Alfeo/Cleofa
(si tratterebbe del padre comune a molti degli
apostoli/fratelli di Gesù).
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12 - Lazzaro, non Giovanni, come discepolo
che Gesù amava
Ed eccoci finalmente, dopo una serie di considerazioni utili
e necessarie ma pur sempre preliminari, ad affrontare
l'argomento specifico di questo articolo. Inizieremo
leggendo un passo del quarto Vangelo, proprio quello con cui
si apre la seconda metà:
"Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il
villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella
che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva
asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro
era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: "Signore,
ecco, il tuo amico è malato"" (Gv XI, 1-3; Vangelo e
Atti degli Apostoli, versione ufficiale della Conferenza
Episcopale Italiana, Edizioni Paoline, 1982)
Concentriamo la nostra attenzione sull'ultima frase:
"Signore, ecco, il tuo amico è malato". Se osserviamo il
testo greco noteremo che esso recita così: "Kirie,
ide, on fileiV asqenei"
in cui l'espressione "on
fileiV"
significa "colui che ami", non "il tuo amico",
e la frase completa deve essere letta come segue:
"Signore, ecco, colui che ami è malato". Anche l'antico
testo latino recita "Domine, ecce quem amas infirmatur"
|
|
Perché molte traduzioni moderne tendono ad ammorbidire il
significato di quella frase trasformando il verbo amare
nel sostantivo amico? La risposta è semplice: perché,
sempre nel vangelo di Giovanni, c'è un personaggio indicato
insistentemente come "colui che Gesù ama" che in
questo modo può essere identificato subito come Lazzaro di
Betania. Come si noterà, nel passo "Signore, ecco, colui
che ami è malato" sembra che il messaggero non abbia
alcuna necessità di specificare esattamente il nome del
personaggio affinché Gesù capisca di chi si sta parlando:
colui che Gesù ama è Lazzaro. Ora, non c'è nessuna
circostanza in tutto il Nuovo Testamento in cui sia così
esplicitamente dichiarato l'amore di Gesù per qualche altra
individualità particolare, se non nei confronti di
Lazzaro e... del discepolo che Gesù amava. Ovviamente
la traduzione ritoccata sembra il frutto dell'intenzione di
impedire che sorga spontanea l'associazione palese fra
Lazzaro e il discepolo amato.
|
IL
DISCEPOLO SENZA NOME |
|
LAZZARO DI BETANIA |
|
|
|
Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava,
si trovava a tavola al fianco di Gesù
(Gv XIII, 23) |
|
Signore, ecco, colui che ami è malato
(Gv XI, 3) |
Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il
discepolo che egli amava
(Gv XIX, 26) |
|
Gesù amava
[hgapa]
molto Marta, sua sorella e Lazzaro
(Gv XI, 5) |
Allora quel discepolo che Gesù amava disse a
Pietro: "E` il Signore!"
(Gv XXI, 7) |
|
Dissero allora i Giudei
[a proposito di Lazzaro]: "Vedi come lo amava!"
(Gv XI, 36) |
|
Quando mai, in tutto il Nuovo Testamento, si dice
dell'apostolo Giovanni che Gesù lo amasse in modo
particolare? Perché dunque la tradizione ha identificato il
discepolo amato nell'apostolo Giovanni? Perché gli ha
attribuito la paternità del quarto Vangelo? Perché tutto
ciò, a dispetto di alcune palesi evidenze (come quella
relativa al fatto che tale discepolo sarebbe stato noto al
sommo sacerdote) che mostrano l'inconsistenza di questa
identificazione e di questa paternità? Perché le cattive
traduzioni? Perché l'aggiunta di una seconda conclusione?
|
13 -
Lazzaro censurato dai Vangeli sinottici
Noi possiamo facilmente renderci conto che la tradizione,
dopo che il quarto Vangelo fu introdotto nel canone, aveva
qualche importante ragione per nascondere la vera identità
storica di Lazzaro, e con lui di tutta la sua famiglia.
Infatti i tre sinottici hanno eliminato questa famiglia e,
soprattutto, hanno completamente eliminato il miracolo della
resurrezione di Betania. Marco e Matteo hanno fatto piazza
pulita della famiglia di Betania, mentre abbiamo visto che
l'unica menzione che Luca fa di Marta e Maria non consente
di identificarle come sorelle di Lazzaro, né di collocare
geograficamente la loro abitazione, lasciandole così in una
posizione di semplici comparse, su uno sfondo volutamente
indefinito.
Quando poi i sinottici parlano della unzione di Gesù,
durante la cena di Betania, essi si sforzano con ogni mezzo
di "potare" l'episodio da ogni elemento che possa indicare
l'identità dei personaggi. Mentre il quarto Vangelo nomina
Lazzaro e dice che era uno dei commensali, dice che Marta
era impegnata a servire a tavola (evidentemente la casa era
proprio quella di Lazzaro e delle sorelle), dice chiaramente
che Maria fu colei che portò il vaso di alabastro con
l'essenza di nardo ed eseguì l'unzione, i sinottici hanno
reso tutti anonimi e Luca ha addirittura attribuito il gesto
a Maria Maddalena, invece che a Maria di Betania, mentre
Marco e Matteo lo fanno eseguire ad "una donna".
Quale ragione al mondo avevano gli autori sinottici per
effettuare una censura così sistematica e per dimenticare la
resurrezione di Lazzaro? Noi non possiamo fare altro che
pensare che queste personalità fossero pericolose per
l'interpretazione offerta dai seguaci di Paolo del ruolo
storico di Gesù, dopo che egli era stato trasformato in un
salvatore simile al Soter dei greci e al Saoshyant dei
persiani, ovverosia un maestro spirituale che non doveva
avere più niente a che fare col Messia di Israele dei
Manoscritti del Mar Morto, l'aspirante re dei Giudei che era
stato giustiziato dal procuratore Pilato.
Noi abbiamo senz'altro una buona ragione per credere che, se
gli evangelisti erano così interessati a "ripulire" i
Vangeli da ogni collegamento con la lotta messianica degli
esseni e degli zeloti, tutte le personalità che sono state
sottoposte a severa censura hanno avuto probabilmente un
ruolo in qualche movimento messianico. Questa è la prima
solida indicazione che ci permette, se non altro, di
domandarci se il Lazzaro del quarto Vangelo non sia stato un
rappresentante ben conosciuto del patriottismo religioso dei
messianisti.
|
14 - Gesù come parente
di Lazzaro
Betania era un villaggio a poco meno di un'ora di
cammino da Gerusalemme, sul versante est del monte
degli ulivi. Al suo posto oggi troviamo Al' Ayzariyah,
una cittadina palestinese il cui cielo è riempito dal
canto dei muezzin.
Ma vi possiamo trovare anche molte chiese cristiane e,
in prossimità di una di queste, proprio sul ciglio
della strada, si apre la bocca di uno stretto e scuro
budello che precipita in ripida discesa, per una
decina di metri, nelle viscere della terra. Un
cartello redatto con mezzi di fortuna avverte "Lazarus'
tomb", ma il tutto ha l'aspetto vano di una
acchiapperella per turisti ingenui. |
Al'
Ayzariyah, la Betania di oggi. |
|
Qual'era l'importanza del villaggio di Betania per Gesù?
"...uscì fuori dalla città, verso Betània, e là trascorse
la notte. La mattina dopo, mentre rientrava in città..."
(Mt XXI, 17-18)
"...ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver
guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l'ora tarda, uscì
con i Dodici diretto a Betània. La mattina seguente, mentre
uscivano da Betània..." (Mc XI, 11-12).
Come possiamo notare, Gesù doveva conoscere nel paese delle
persone che gli erano molto vicine, dal momento che costoro
gli offrivano una dimora per trascorrere la notte. Di chi
altri poteva trattarsi se non della famiglia di Lazzaro? Di
chi se non degli stessi che, proprio in quei brevi giorni
prima dell'arresto, avevano organizzato un banchetto solenne
in suo onore, nel quale le stesse Marta e Maria svolgevano
il ruolo di inservienti?
Sarà bene meditare attentamente su un fatto assai
significativo: gli evangelisti sinottici hanno dunque
ritenuto opportuno di cancellare dai loro racconti la
memoria di queste persone fondamentali nella vita di Gesù.
Non possiamo passare con indifferenza su questa
constatazione.
Adesso ricorderemo che un Vangelo gnostico ritrovato
casualmente, nel 1945, fra le sabbie di Nag Hammadi
(Egitto), una copia in lingua copta di un testo che risale
al secondo secolo, detto Vangelo di Filippo, così recita in
due versi distinti:
"Erano tre che andavano sempre con il Signore: sua madre
Maria, sua sorella e la Maddalena che è detta sua consorte.
Infatti si chiamavano Maria sua sorella, sua madre e la sua
consorte" (Vangelo di Filippo, 32),
"...la consorte di Cristo è Maria Maddalena..."
(idem, 55),
così commenta la studioso italiano Marcello Craveri,
curatore della edizione Einaudi (Torino, 1969) del Vangeli
Apocrifi:
"...la tradizione che Gesù avesse una sorella di nome
Maria è anche in Epifanio (Adv Haeres. 78,8) e in
altri apocrifi. Quanto ad un legame affettivo tra Gesù e
Maria Maddalena, confusa con Maria di Betania, vi sono altre
testimonianze apocrife...";
e ancora:
"... [Maria Maddalena] ... non avendo fatto alla tomba
del Signore quanto solevano fare le donne per i morti da
loro amati, prese con se le amiche e andò alla tomba dove
era stato posto" (Vangelo di Pietro XII, 50-51);
e infine:
"...la liturgia latina, diversamente da quella greca,
identifica questa Maria Maddalena con Maria di Betania,
sorella di Marta e Lazzaro, e con la peccatrice anonima di
cui parla Luca festeggiandola il 22 luglio..."
(Dizionario Enciclopedico UTET, a cura di P. Fedele, voce
"Maria Maddalena")
Esistono dunque tradizioni extracanoniche secondo le quali
Maria Maddalena, intercambiabile con Maria di Betania,
sarebbe stata la moglie di Gesù. Tutto ciò è rafforzato da
altre tradizioni dell'alto medio evo che hanno a che fare
col cosiddetto Santo Graal. Di quest'ultimo sono state
raccontate le cose più straordinarie: si sarebbe trattato
del calice dell'ultima cena, nella quale Giuseppe di
Arimatea avrebbe raccolto addirittura il sangue di Gesù che
colava dalla croce, per poi conservarlo nei secoli; avrebbe
posseduto proprietà sovrannaturali; sarebbe stato al centro
di una ricerca spasmodica, che ricorda quella del vello
d'oro, dell'arca santa, della spada magica di excalibur,
ecc... Al di là di tutte queste cose affascinanti, è molto
più probabile che il significato di questa tradizione della
coppa sia legato a questioni dinastiche che hanno
caratterizzato la vita politica del primo millennio d.C., e
forse anche dopo.
Capisco che ancora il lettore non veda il legame con la
questione relativa a Maria Maddalena, ma sarà presto
chiarito. Il fatto è che, se Gesù era l'aspirante re dei
Giudei (così recitava l'iscrizione posta dai romani sulla
croce come capo d'accusa) e se, come tutti i rabbì di
Israele, rispettava la legge secondo cui un rabbì non
poteva essere celibe ["E subito si avvicinò a Gesù e
disse: "Salve, Rabbì!"" (Mt XXVI, 49)] ed era sposato
con Maria Maddalena/di Betania, noi possiamo immaginare che
avesse avuto dei figli e che questi vantassero, come il
padre, figlio di Davide, una discendenza regale.
Ora, per quanto la cosa possa essere considerata
leggendaria, e magari lo è realmente, si dice che Maria
Maddalena si sia rifugiata nella Francia meridionale, presso
una grossa comunità della diaspora ebraica, e che alcuni
secoli dopo i regnanti Merovingi, vantando di essersi
imparentati con un discendente di Cristo, rivendicavano un
diritto dinastico (per avere nelle proprie vene sangue della
famiglia di Davide) sul Sacro Romano Impero. Questo filone
dinastico, cioè di sangue regale, è al centro della
questione del Santo Graal: in lingua provenzale antica (la
famosa laguedoc della Francia meridionale) sangue reale
si dice sang raal, che fa presto a diventare San
Graal. Dunque il Santo Graal non è tanto la coppa fisica
in cui sarebbe stato raccolto il sangue di Gesù, ma è il
sangue della stirpe di Davide inteso come linea dinastica,
che implica un diritto di sovranità. Si tratta di una
affascinante e misteriosa questione in cui politica e
religione si intrecciano intimamente e a noi, in questa
sede, non importa sapere quanto ci sia di vero, ma
semplicemente constatare che esistevano delle tradizioni il
cui punto di partenza era il fatto che Gesù sarebbe stato
sposato con Maria Maddalena/di Betania.
Forse il motivo per cui gli autori sinottici hanno ritenuto
opportuno di eliminare i componenti di questa famiglia o di
contraffarne le identità, e per cui il quarto Vangelo ha
incontrato tante difficoltà ad essere incluso nel canone,
comincia ad emergere da un oscuro oceano di misteri. E
Lazzaro comincia ad apparire come il cognato di Gesù.
|
15 - Maria Maddalena,
controfigura di Maria la sorella di Lazzaro
Ma sono proprio spariti i componenti della famiglia di
Betania dai racconti sinottici? Niente affatto. Essi
compaiono spesso, ma con identità mascherate. E, del resto,
anche i componenti della famiglia di Gesù, suo padre, sua
madre, i suoi fratelli, compaiono con identità ritoccate;
questi ultimi, per esempio, attraverso cambiamenti di nomi,
di paternità, e addirittura sdoppiamenti, formano alcuni di
quelli che conosciamo come apostoli.
Naturalmente non era possibile sopprimere del tutto alcuni
personaggi così importanti, ed ecco che la tradizione
sinottica ha creato una controfigura della sorella di
Lazzaro e l'ha chiamata Maria Maddalena, tant'è vero che
quando Luca ci parla del banchetto di Betania ci dice che
l'autrice del gesto di unzione fu Maria Maddalena, la
peccatrice da cui erano usciti sette demoni.
E' proprio vero che il quarto Vangelo aveva portato una
lunga serie di pasticci dopo la sua introduzione nel canone:
come si poteva, per esempio, conciliare il banchetto secondo
Luca con quello secondo Giovanni? Quest'ultimo infatti ci
dice così chiaramente che la donna dell'unzione era Maria,
la sorella di Lazzaro, mentre il primo lascia intravedere
l'identità di Maria Maddalena.
- Niente di male - hanno pensato gli interpreti - deve
trattarsi per forza di due episodi distinti -. A questo modo
sembra che, quando Gesù si spostava per la Palestina e
veniva ospitato ad una cena, arrivassero di solito delle
donne che, a dispetto della loro modestia, era proprietarie
di una ricchezza smisurata, ovverosia di un vaso di
alabastro contenente una libbra di olio di nardo, del valore
di trecento denari, e che tali donne si divertissero
abitualmente a rovesciare il profumo in testa a Gesù e sui
suoi piedi, asciugandoli poi coi propri capelli.
Ma si rende conto il lettore del Vangelo di cosa significa
questo? Quella essenza aveva il valore di una dotazione
principesca, non di un oggetto comune e, a parte il costo da
nababbi, il suo uso tradisce senza ombra di dubbio una
cerimonia d'unzione messianica, come quella che Samuele fece
nei confronti di Davide quando lo dichiarò "re dei Giudei".
Tanto più che, questa unzione sulla testa di Gesù fu fatta
esattamente in seguito al suo ingresso trionfale in
Gerusalemme, come salvatore messianico riconosciuto dal
popolo esultante.
E, poco dopo, Gesù, definito più volte "figlio di Davide" a
conferma del suo presunto diritto dinastico, fu condannato
con l'accusa di essersi fatto "re dei Giudei" e quella
unzione che provocò la reazione e lo sdegno di molti non fu
certo un semplice gesto di devozione: fu una dichiarazione
pubblica della sua messianità.
Altro che anonima donna col vasetto di profumo!
Maria, consorte dell'aspirante Messia di Israele, aveva
portato l'olio della unzione messianica affinché il marito
fosse dichiarato nella sua dignità regale di fronte al
popolo di Gerusalemme. Ora forse possiamo anche comprendere
perché...
"...stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella
di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala" (Gv
XIX, 25),
e allora Gesù...
"... vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che
egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco il tuo figlio!".
Poi disse al discepolo: "Ecco la tua madre!". E da quel
momento il discepolo la prese nella sua casa " (Gv XIX,
26-27),
c'era una vera e propria riunione di famiglia intorno alla
croce, madre, moglie, cognato. Ed è abbastanza logico che
Gesù abbia affidato la madre a quei parenti cari presso i
quali la donna era già solita dimorare quando si trovava in
Giudea.
|
16 - La controfigura sinottica dello stesso
Lazzaro
Ovviamente sorge la domanda se gli autori sinottici, dopo
avere controfigurato Maria la sorella di Lazzaro, non
abbiano creato una immagine controfigurata anche per lo
stesso Lazzaro. A questo proposito è necessario elencare i
miracoli di resurrezione presenti nelle narrazioni
evangeliche e sottoporli ad un confronto analitico: |
I
MIRACOLI DI RESURREZIONE OPERATI DA GESU' |
SINOTTICI |
QUARTO |
MARCO |
MATTEO |
LUCA |
GIOVANNI |
|
|
|
Lazzaro |
La
figlia di Giairo |
La
figlia di Giairo |
La
figlia di Giairo |
|
|
|
Il
figlio della vedova di Nain |
|
|
Ora, noi possiamo osservare che qualsiasi racconto è
costituito da almeno due componenti strutturali: la
successione degli eventi (che noi chiameremo in questa sede
"architettura dinamica") e i parametri statici, ovverosia
nomi di personaggi e località (che noi chiameremo
"architettura statica"). Com'è facile capire, se due
racconti hanno grandi somiglianze sia nell'architettura
statica che in quella dinamica, chiunque può giungere alla
logica conclusione che si tratta dello stesso racconto. Se
invece una sola delle due architetture corrisponde nei
racconti, possiamo ancora pensare che si tratti dello stessa
cosa? Ovviamente la risposta è molto più positiva se la
somiglianza si verifica nell'architettura dinamica che non
in quella statica; infatti, se i personaggi e le località
hanno nomi somiglianti, ma gli eventi sono completamente
diversi, è impossibile credere che si tratti dello stesso
racconto. L'anima di un racconto sono i fatti, non i nomi.
Se, invece, si hanno architetture dinamiche somiglianti ma
diverse architetture statiche, ovverosia personaggi con nomi
diversi, in luoghi diversi, che danno luogo alla stesso
concatenarsi di eventi, allora è facile pensare che ci sia
stato solo un cambiamento nei nomi, ma che si stia parlando
dello stesso racconto.
Questo processo della riutilizzazione di un racconto, previo
mutamento della sola architettura statica, si verifica
spesso nella letteratura antica e, in particolar modo,
religiosa. Molte leggende sumere si trovano nella Bibbia con
personaggi cambiati, trasformati ora in Adamo ed Eva, ora in
Noé (il Ziusudra dei sumeri e l'Uta-Napishtim dei
babilonesi), così come il Mosè della Bibbia ripercorre nel
racconto della sua nascita gli stessi eventi che riguardano
Sargon di Accad ["Io sono Sargon, il re possente, il re
dal dominio universale, il re di Agade. Un'umile madre mi
generò in segreto, mi mise in un cesto di giunchi e con
bitume ne sigillò il coperchio; mi gettò nel fiume, che però
non mi sommerse, ma mi sostenne e mi portò da Akki,
l'acquaiolo; questi mi allevò come suo figlio" (tratto
da A.Caocci, Conoscere per capire la storia, Mursia, Milano
1981)]. Lo stesso Gesù Cristo dei Vangeli riproduce cliché
narrativi che gli preesistono: "...la volontà dei Deva fu
compiuta; tu concepisti nella purezza del cuore e dell'amore
divino. Vergine e madre, salve! Nascerà da te un figlio e
sarà il Salvatore del mondo [Krishna, n.d.a.]. Ma
fuggi, poiché il re Kansa ti cerca per farti morire col
tenero frutto che rechi nel seno. I nostri fratelli ti
guideranno dai pastori, che stanno alle falde del monte Meru...
ivi darai al mondo il figlio divino..." (E.Shurè, I
grandi Iniziati, Bari, 1941).
Adesso, se confrontiamo i miracoli della resurrezione della
figlia di Giairo e della resurrezione del figlio della
vedova di Nain, ci accorgiamo che abbiamo differenze
sostanziali tanto nell'architettura dinamica quanto in
quella statica, evidentemente si tratta di riferimenti
originali totalmente indipendenti l'uno dall'altro. Del
resto sarebbe stato assurdo che Luca ripetesse nello stesso
Vangelo lo stesso episodio, cambiandone i personaggi.
A conclusioni completamente diverse possiamo giungere se
confrontiamo il miracolo di resurrezione che è comune a
tutti i sinottici con quello che è caratteristico del quarto
Vangelo: |
Sinottici |
|
Giovanni |
Gesù viene mandato a chiamare, per guarire la
fanciulla inferma, in grave pericolo di vita:
"Venne un uomo di nome Giairo...lo pregava di
recarsi a casa sua perché aveva un'unica figlia...che
stava per morire (Lc 8,41-42)" |
|
Gesù viene mandato a chiamare per guarire Lazzaro
infermo, in pericolo di vita:
"...le sorelle mandarono dunque a dirgli: -
Signore, ecco, colui che ami è ammalato... (Gv 11,3)" |
Quando giunge c'è molta folla:
"...durante il cammino le folle gli si accalcavano
attorno...(Lc 8,42)" |
|
Quando giunge c'è molta folla:
"...molti giudei erano venuti da Marta e Maria per
consolarle per il loro fratello...(Gv 11,19)" |
Gesù sostiene che la fanciulla dorme:
"...non piangete, perché non è morta, ma dorme... (Lc
8,52)" |
|
Gesù sostiene che Lazzaro dorme:
"Lazzaro, il mio diletto, si è addormentato...(Gv
11,11)" |
La gente piange:
"...tutti piangevano e facevano il lamento su di
lei...(Lc 8, 52)" |
|
La gente piange:
"...quando la vide piangere e piangere anche i
giudei che erano venuti con lei...(Gv 11,33)" |
Si rivolge alla morta gridando:
"...disse ad alta voce - Fanciulla, alzati! - (Lc
8,54)" |
|
Si rivolge al morto gridando:
"...gridò a gran voce - Lazzaro, vieni fuori! - (Gv
11,43)" |
La fanciulla si alza e cammina:
"...ed ella si alzò all'istante...(Lc 8,55)" |
|
Lazzaro si alza e cammina:
"...il morto uscì, con le mani e i piedi avvolti in
bende...(Gv 11,44)" |
|
Osserviamo un fatto che è sorprendente: i due racconti hanno
esattamente la stessa architettura dinamica e sono
intercambiabili l'uno con l'altro mediante una semplice
correzione dei parametri statici. E' la situazione esemplare
che si verifica tutte le volte che abbiamo un innesto (come
nei casi sopra osservati relativi a Mosè e a Gesù Cristo),
oppure quando ci si riferisce allo stesso evento, ma se ne
vogliono mascherare i protagonisti.
La figlia di Giairo non è che la controfigura di Lazzaro.
Gli autori sinottici, coerentemente con quello che abbiamo
già visto, non volevano evidenziare l'identità di questi
personaggio, ma non hanno potuto rinunciare a questo
miracolo di resurrezione e ne hanno alterato l'architettura
statica. |
17 - La resurrezione e la rinascita
Del significato spirituale nascosto dietro le apparenze dei
racconti evangelici non è possibile capire molto, sinché si
parte dal presupposto che si tratti di cronache lineari di
fatti accaduti così come sono narrati. Nel capitolo
"premesse per l'analisi storica del racconto evangelico"
abbiamo già accennato alla necessità di una seria analisi di
tutti i racconti relativi ai cosiddetti miracoli, e al fatto
che spesso occorre essere in possesso di chiavi
interpretative che presuppongono una conoscenza di linguaggi
simbolici e, talvolta, di espressioni iniziatiche.
Abbiamo visto che il raggiungimento di quella che in oriente
è chiamata illuminazione spirituale diventa spesso,
nel linguaggio evangelico, una rinascita (vedi il
dialogo con Nicodemo - Gv III, 3-8) o il passaggio dalla
condizione di morte a quella di vita, cioè una
resurrezione. Ricordiamo a questo proposito le molte
frasi come "Non è un Dio dei morti ma dei viventi" (Mc
XII, 27), "Seguimi e lascia i morti seppellire i loro
morti" (Mt III,22), e le esplicite dichiarazioni che
troviamo nei Vangeli gnostici sul significato della
resurrezione:
"Coloro che dicono che il Signore prima è morto e poi è
risuscitato, si sbagliano, perché egli prima è risuscitato e
poi è morto. Se uno non consegue prima la resurrezione non
morirà, perché, come è vero che Dio vive, egli sarà già
morto" (Vang. Di Filippo, 21),
"Mentre siamo in questo mondo, è necessario per noi
acquistare la resurrezione, cosicché, quando ci spogliamo
della carne, possiamo essere trovati nella Quiete" (Vang.
Di Filippo, 63).
Assai spesso, nelle confraternite spirituali, il discepolo
riceveva dal maestro un tipo di iniziazione che era
strutturata cerimonialmente come una resurrezione. Veniva
simulata in tutto e per tutto una scenografia funebre:
l'adepto poteva essere avvolto in un panno funebre, poteva
essere posto all'interno di una cripta, poteva trascorrervi
tre giorni nel buio e nel silenzio, senza bere e senza
mangiare (ma si trattava in realtà di non più di 36 ore,
perché veniva seppellito la sera del primo giorno e
riesumato all'alba del terzo giorno). Ciò era comune in
Egitto, come in Palestina, in Caldea, in Persia, in India.
In alcuni circoli iniziatici orientali, ancor oggi la
morte e la resurrezione non sono semplici
esteriorità liturgiche, ma complesse e pericolose acrobazie
associate ad uno stato di profonda catalessi e ad uno
straordinario abbassamento del metabolismo basale,
documentato anche dagli scienziati (vedi il khechari
mudra degli yogi tantrici, che prevede il seppellimento
reale dell'adepto sotto uno spesso strato di terra).
Senza azzardarsi a sostenere che Gesù fosse un maestro di
questi esercizi di funambolismo fisiologico, possiamo senza
dubbio pensare che la cosiddetta resurrezione di Lazzaro
fosse una cerimonia di iniziazione come quelle che dovevano
essere normali all'interno della confraternita essena,
riservate agli adepti avanzati. |
18 -
Eleazar ben Jair
Durante la orribile guerra che insanguinò la Palestina,
negli anni dal 66 al 70, indicibili catastrofi si
abbatterono sugli ebrei. Gamla, nel Golan, che aveva dati i
natali ai principali esponenti della lotta zelotica, fu
assediata e distrutta e tutti i suoi abitanti morirono
trucidati o suicidi essi stessi, gettandosi spontaneamente
nel precipizio che affiancava la città. Nel 70 la stessa
Gerusalemme, dopo un lunghissimo e tremendo assedio, cadde
sotto il ferro e il fuoco delle legioni di Tito e il tempio
fu profanato e saccheggiato. Un paio di anni prima, lo
stesso monastero di Qumran, l'eremo nella simbolica "terra
di Damasco" degli esseni, presso le rive nord
occidentali del Mar Morto, fu distrutto dalle legioni di
Vespasiano, durante la marcia da Gerico a Gerusalemme.
Qualche tempo prima i confratelli, intuendo l'imminenza di
questo pericolo, avevano nascosto le loro scritture nelle
grotte sulle scarpate sovrastanti, nella speranza che, in un
futuro mai giunto, essi potessero riappropriarsene. I più
irriducibili membri della confraternita evitarono di
disperdersi e, sfruttando una lacuna nell'organizzazione
tattica dei romani, all'indomani della caduta di
Gerusalemme, si impadronirono della fortezza di Masada,
sempre sulla riva occidentale del Mar Morto, a sud di Qumran
[vedi nel viaggio fotografico le numerose fotografie di
Masada]. Furono un migliaio coloro che la abitarono per ben
tre anni e la difesero a oltranza, sotto uno stretto assedio
romano, prima di essere a loro volta sconfitti. Anche questa
volta si ebbe un tipico esempio di martirio zelotico: tutti
si dettero la morte, nell'imminenza dell'arrivo dei
legionari, e costoro non trovarono che cadaveri ad
attenderli. |
Gli uomini di Masada erano guidati da un certo Eleazar ben
Jair (Lazzaro, figlio di Giairo), un'autorità spirituale,
nonché politica e militare, di cui Giuseppe Flavio ci dà
alcune brevi notizie: era discendente di Giuda il galileo
(il capo zelota che veniva da Gamala), parente di Menahem,
il figlio di Giuda il galileo che era riuscito (unico nella
dinastia degli aspiranti Messia di Israele) ad indossare la
veste regale in Gerusalemme, nei giorni funesti dell'assedio
romano, per un brevissimo periodo prima di essere ucciso. Se
l'aspirante re dei Giudei che era stato crocifisso a
Gerusalemme da Ponzio Pilato, nell'anno 30 o poco dopo,
veniva da Gamala ed era il figlio primogenito dello stesso
Giuda (come abbiamo visto nel capitolo "il problema del
titolo Nazareno"), e aveva anticipato senza successo
l'impresa che invece era riuscita, sebbene in modo effimero,
al fratello minore Menahem, ne possiamo subito concludere
che Eleazar ben Jair era anche parente del Cristo dei
Vangeli. |
Veduta
della fortezza di Masada, sull'altopiano che domina il Mar
Morto, qui si svolse la tragedia del suicidio di massa.
[FOTO DONNINI] |
Giuseppe Flavio ci ha trasmesso il discorso che questo
Lazzaro avrebbe pronunciato a Masada, ai suoi seguaci, per
convincerli che l'unica cosa da fare, di fronte alla
prospettiva della sconfitta, era quella di togliersi la
vita. Non credo che sia facile convincere un migliaio di
persone a suicidarsi tutte insieme. Ma se la circostanza è
quella che i romani stanno per arrampicarsi sulla montagna
da cui non è possibile fuggire, se il capo ha un grande
ascendente spirituale, com'è caratteristico di un autorevole
maestro, e se i seguaci sono dei fanatici fedeli degli
ideali religiosi esseno-zeloti, allora una cosa del genere
può diventare possibile.
Il discorso ha l'aria di un sermone iniziatico degno di una
disciplina orientale, né mancano espliciti riferimenti alla
religiosità dell'oriente, con l'elogio degli indiani che
accolgono la morte come una liberazione per l'anima: "...la
morte, infatti, donando la libertà alle anime, fa sì che
esse possano raggiungere quel luogo di purezza che è la loro
sede propria, dove andranno esenti da ogni calamità, mente
finché sono prigioniere di un corpo mortale, schiacciate
sotto il peso dei suoi malanni, allora sì che esse son
morte, se vogliamo dire il vero; infatti il divino mal
s'adatta a coesistere col mortale... comunque, se
volessimo ricevere una conferma attingendola dagli
stranieri, guardiamo agli indiani, che seguono i dettami
della filosofia... essi salgono su un rogo, perché l'anima
si separi dal corpo nel massimo stato di purezza, e muoiono
circondati da un coro di elogi..." (Giuseppe Flavio,
Guerra Giudaica, VII, 8). Evidentemente non è così
inverosimile pensare, come alcuni studiosi sostengono, che
le idee della confraternita essena fossero influenzate da
elementi di spiritualità indo-buddista, oltreché
iranico-caldea.
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19 -
Lazzaro dei Vangeli e Lazzaro di Masada
Quando abbiamo detto che la resurrezione di Lazzaro e quella
della figlia di Giairo sono le due versioni parallele, una
giovannea e l'altra sinottica, dell'iniziazione superiore
ricevuta dal discepolo amato da Gesù, abbiamo detto che gli
autori sinottici hanno operato alcuni cambiamenti, nei
parametri statici dell'episodio, per mascherare le identità
dei personaggi. Lazzaro ha cambiato età e sesso, è diventato
una ragazza. Il cambiamento è abbastanza radicale da rendere
assai difficile, se non impossibile, il riconoscimento della
persona. Forse non è cambiato il nome del padre, ed è
rimasto quello originale: Giairo. Se così è dobbiamo pensare
che Lazzaro fosse figlio di un certo Giairo. Ovverosia che
egli fosse... Eleazar ben Jair.
Ora, questa ipotesi non può certo essere dimostrata nel
senso proprio del termine, ma a suo sostegno si possono
elencare diverse somiglianze fra il Lazzaro del Vangelo e
quello che fu la guida di Masada.
A - entrambi erano coinvolti nel movimento messianico.
Infatti il Lazzaro dei Vangeli sarebbe stato fortemente
censurato dagli autori sinottici, proprio perché l'impegno
principale di costoro era quello di tenere Gesù e il suo
intorno ben lontano da ogni coinvolgimento nella lotta
messianica. Il Lazzaro di Masada... beh, la sua storia parla
chiaro.
B - entrambi erano parenti di Gesù. Come abbiamo visto
sopra.
C - entrambi erano figli di un certo Giairo.
D - entrambi erano depositari di una speciale iniziazione
essena riguardante il senso della morte.
E con questo credo che sia giunto il momento di chiudere
questa trattazione sul problema del discepolo che Gesù
amava. La quale lascerà aperti tantissimi quesiti, ma avrà
senz'altro mostrato che i Vangeli devono essere letti con
molta attenzione. |
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