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& co.
Varie & modernità
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Introduzione |
Col presente
lavoro volevo sottoporre al paziente lettore una serie di
riflessioni suggeritemi da un interessante quadernetto, gentile
omaggio dell'amico Francesco Corona*, dedicato ad uno dei più
misteriosi monumenti del nostro patrimonio storico-artistico:
il mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto (vedi le
due immagini all'inizio e alla fine). L'opera fu realizzata
tra 1163 ed il 1165 da un monaco dell'Abbazia di S. Nicola di
Casole in Otranto: Pantaleone, il cui nome appare nella parte
inferiore del mosaico in corrispondenza dell'entrata principale
della cattedrale. Le immagini riportate danno solo una vaga idea
della grandiosità di quest'opera, che si estende per oltre 16
metri coprendo interamente il pavimento della cattedrale.
L'immagine centrale attorno cui ruota l'opera è un maestoso albero
che, partendo dalla porta situata nella parte inferiore del
mosaico, giunge quasi fin sotto al presbiterio. Fino ad oggi si
pensava, che questo simbolo inusuale per dimensioni e centralità
nell'opera, rappresentasse l'Albero della Vita, ma
decifrare il mosaico è stato, da sempre, un intricato enigma privo
di soluzioni credibili. Quella che voglio proporre è, credo, una
chiave di lettura che collega insieme in maniera limpida le
principali ed enigmatiche rappresentazioni figurative contenute
nell'opera. |
Una
panoramica |
Il primo dilemma
che ci si trova di fronte è dovuto alla totale assenza di riferimenti
neotestamentari, e la cosa è, a dir poco, inusuale per una chiesa
cristiana. Le raffigurazioni sono, per lo più, tratte dall'antico
testamento, ma svariati simboli e immagini appaiono, ad una prima
analisi superficiale, totalmente fuori contesto: vediamone qualche
esempio. Il presbiterio, ove è rappresentata, appunto, la cacciata dal
paradiso terrestre di Adamo ed Eva, ospita la prima presenza
inspiegabile: re Artù, raffigurato in groppa ad un caprone
mentre impugna uno scettro stranamente curvo. Che si tratti di Re Artù
non v'è dubbio data la presenza di una dicitura in bell'evidenza.
Sulla punta
dell'albero, collocata proprio sotto la cupola della chiesa, e quindi
al centro tra le navate laterali subito sotto il presbiterio, è
avvolto il serpente simbolo del demonio posto tra le figure di Adamo
ed Eva. Inutile dire che la collocazione appare, quantomeno,
provocatoria.
Scendendo in basso
si incontra la raffigurazione dei dodici mesi dell'anno e ancora più
sotto troviamo una vasta rappresentazione del diluvio universale. La
scena va letta da sinistra a destra e mostra l'ordine impartito da Dio
a Mosè, raffigurato dalla mano di Dio, fino alla costruzione
dell'Arca, ed alla salita degli animali sulla imbarcazione.
In questa sommaria
analisi delle rappresentazioni musive, stiamo seguendo un percorso di
lettura inverso a quello che si sarebbe portati ad utilizzare.
Partiamo infatti dal presbiterio e muoviamoci verso la porta della
cattedrale (come avremo occasione di mostrare, e come è stato
osservato nel volumetto citato, il mosaico va letto proprio in questo
modo): ci imbattiamo subito nell'episodio della costruzione della
Torre di Babele. La dimensione dell'immagine e la sua posizione in
chiara evidenza, ci spingono a credere che Pantaleone abbia voluto
attribuire ad essa un particolare significato che va oltre quello
puramente narrativo. A rendere ancora più intricata la decifrazione
della simbologia, interviene uno stranissimo leone dotato di quattro
corpi connessi ad un'unica testa. In posizione simmetrica troviamo
un'altra inspiegabile presenza che ci segnala, se ancora ve ne fosse
stato bisogno, che la chiave di lettura del mosaico non è né quella
veterotestamentaria, né quella cronologica: Alessandro Magno.
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Il mosaico
e la cabala |
La prima
prospettiva interpretativa dell'opera del monaco Pantaleone è
quella cabalistica. La corrispondenza posizionale tra
raffigurazioni principali del mosaico e le Sefirot della Cabala
non lascia dubbi sulla volontà del monaco, di segnalare questa
interpretazione come canale privilegiato d'interpretazione.
Vediamo in dettaglio la sequenza dei paralleli. Partiamo dai
simboli cabalistici espliciti. La contrapposizione che troviamo
nella parte inferiore del mosaico tra il leone con quattro corpi
ed Alessandro Magno ha un omologo evidente nelle Sefirot
inferiori: lo Splendore (il leone con volto solare) e la
Vittoria (l'invincibile Alessandro Magno).
Di
pari evidenza è il parallelo tra le Sefirot centrali della cabala
e la parte centrale del mosaico. Il Rigore (Severità) è
rappresentata dalla punizione divina e dall'ordine dato a Mosè da
Dio (la mano che appare a sinistra). La Pietà, invece,
contrapposta al Rigore, è indicata attraverso la raffigurazione
dell'Arca. Nella parte superiore del mosaico, l'Intelligenza
è raffigurata con l'albero della vita e quello del bene e del
male, di fronte a cui si pone la scelta di Adamo. Il suo desiderio
di conoscenza razionale lo porta alla scelta sbagliata: quella
semplicistica e quindi alla scelta dell'albero del bene e del male
anziché di quello della vita.
Su questo
particolare aspetto torneremo approfonditamente in seguito.
All'intelligenza è contrapposta la Saggezza (Intuizione),
che viene raffigurata con Re Artù ed il gatto con gli stivali.
Infine la Corona raffigurata con la cosmogenesi nella parte
superiore del mosaico, rappresenta il mistero, l'illuminazione ed
il massimo livello di conoscenza. |
I due
alberi |
La Cabala è
tradizionalmente indicata anche con il termine Albero della Vita.
Essa, ben lontana dai tradizionali pregiudizi che ne danno
un'interpretazione puramente magica, rappresenta, in realtà, la chiave
di lettura unica degli episodi biblici e rivela il progetto di
redenzione e di amore di Dio verso l'uomo. La cabala sintetizza il
percorso sapienziale che l'uomo deve compiere per giungere a Dio. Essa
ha un legame stretto con gli alberi del paradiso raffigurati
nell'opera musiva. Privata, come appare nel mosaico, delle Sefirot
connesse al ramo centrale, sostituito dal grande albero, rappresenta
l'albero del bene e del male. Le Sefirot laterali, non mediate dalle
due Sefirot della Consapevolezza e della Meditazione (la Bellezza e la
Conoscenza), diviene strumento di perdizione, di eterna scissione e
eterna oscillazione tra il bene ed il male. Pantaleone ci vuole
suggerire in maniera esplicita questo significato, raffigurando
entrambi gli alberi nel paradiso e la scelta di Adamo che privilegia
quello privo di tronco, l'albero del bene e del male, aprendo così il
corso alla storia ed alla schiavitù dello spazio-tempo raffigurato con
i dodici mesi. |
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Le 5
dimensioni |
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Il significato
ora esposto è solo introduttivo. Pantaleone espone, in questo
modo, il problema stesso della vita, ma vedremo come, a questo
problema, il monaco propone una soluzione originale e descritta in
dettaglio nell'opera musiva. Prima di tutto va osservato che,
un'altra delle possibili interpretazioni della cabala, è quella
multidimensionale. In sintesi la cabala rappresenta una struttura
multidimensionale, che alle dimensioni note all'uomo: la coppia
spazio-tempo, aggiunge la dimensione della consapevolezza
raffigurata dal ramo centrale. Lo spazio-tempo nasce,
nell'interpretazione cabalistica, dalla contrapposizione tra le
colonne laterali della cabala private del tronco (la
Consapevolezza). La scelta di Adamo vincolò l'uomo alla schiavitù
dello spazio-tempo, rappresentato, per questo motivo, subito sotto
la cacciata dal paradiso con i dodici mesi (il tempo), e le
attività dell'uomo per ciascuno di essi (lo spazio). Fin qui ci
muoviamo ancora nell'ambito della descrizione del problema, ma
siamo lontani dalla soluzione che Pantaleone propone. |
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L'immagine
del frate |
Corona fa notare,
che il monaco Pantaleone s'è rappresentato tra i dodici anelli che si
trovano sotto il presbiterio (secondo a destra a partire dall'alto).
Il
frate guarda un unicorno e si è collocato in un cerchio sulla cui
corona sono rappresentati una serie di piccoli cerchi: tra essi, però,
ne manca uno. Il cerchio mancante sembra essere quello che il monaco
ha collocato all'interno della stella a 5 punte che sovrasta il
cavallo. L'autore del volumetto citato pensa che Pantaleone stia
guardando il simbolo della conoscenza (l'unicorno) e che abbia
identificato il suo livello spirituale (nella scala tipica della
conoscenza indiana) segnalandolo con l'anello mancante posto, appunto,
nella stella .Forse Corona ha colto solo uno degli aspetti del mosaico
avvicinandosi ad una verità che va ben oltre. |
La chiave
gnostica |
In un brano tratto
dal Bestiario Divino (testo del tredicesimo secolo) l'unicorno
viene associato al Vangelo di Verità, un documento gnostico
Valentiniano sconosciuto fino al 1945 e ritrovato, insieme ad altri 3
sconosciuti Vangeli: il Vangelo di Filippo, il Vangelo di
Tommaso e quello di Maria, a Nag Hammadi. Nel Bestiario
Divino si legge:
"L'unicorno
possiede un sol corno nel mezzo della fronte. Esso è il solo animale
che può vincere l'attacco dell'elefante; … L'unicorno rappresenta Gesù
Cristo. Che acquista su di sé la sua natura nel grembo della vergine,
che fu tradito dai giudei e consegnato nella mani di Ponzio Pilato. Il
suo unico corno simboleggia il Vangelo di Verità…" (Le
Bestiaire Divin, di Guillaume, Clerc de Normandie [13th century]).
E' possibile che
questo sia il senso dell'autoritratto di Pantaleone? La data di
stesura presunta del Bestiario Divino è certamente, compatibile
con quella di composizione del mosaico. E' possibile che i testi
gnostici di Nag Hammadi fossero patrimonio anche della biblioteca
dell'Abbazia di Casole? |
Il Vangelo
di Filippo ed il senso dell'albero nel pensiero gnostico
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Alcuni brani
tratti dalla sensazionale scoperta di Nag Hammadi sembrano
mirabilmente vicini ai simboli utilizzati da Pantaleone e,
probabilmente, offrono quella soluzione al problema della vita,
che abbiamo delineato in precedenza. Nel Vangelo di Filippo
si legge infatti:
"Giuseppe
il falegname ha piantato un giardino, perché aveva bisogno di
legna per il suo mestiere. E' lui che ha costruito la Croce con
gli alberi che ha piantato. Il suo seme è stato Gesù, la Croce la
sua pianta" (ver.91).
La croce è,
quindi, l'albero su cui è morto Gesù, che è anche strumento di
conoscenza e simbolo della conoscenza stessa. A riprova, sempre
nello stesso testo si legge:
"Ci sono
due alberi in mezzo al Paradiso: uno produce animali, l'altro
produce uomini. Adamo ha mangiato dell'albero che produce animali
ed è diventato animale ed ha generato animali. Per questo i figli
di Adamo venerano dèi che hanno forma di animali. L'albero di cui
Adamo ha mangiato i frutti è l'albero della conoscenza. Per questo
i peccati sono divenuti numerosi. Se egli avesse mangiato
dell'altro albero, i frutti dell'albero della vita, che produce
uomini, gli dèi venererebbero l'uomo. Ma l'albero della vita è in
mezzo al Paradiso, e anche l'ulivo, da cui viene il crisma, grazie
al quale la resurrezione" (ver.92).
C'è in questo
testo un interessantissimo filo che connette:
-
la cabala e
quindi l'albero della vita da esso rappresentato;
-
l'albero del
bene e del male (la cabala priva dell'asse centrale o tronco);
-
l'albero
piantato da Giuseppe (metafora che identifica, tra l'altro, in
Giuseppe il padre naturale di Gesù e non solo adottivo);
-
la Croce di
Gesù ed il legno con cui fu costruita;
-
la funzione
redentiva della resurrezione;
-
il bestiario
che pervade il mosaico riempito dalle bestie (gli uomini)
generate dall'errore di Adamo: la scelta dall'albero del Bene e
del Male e non di quello della conoscenza.
Il ponte tra
questi elementi è presente solo nel Vangelo di Filippo ed
in parte introdotto nei principi generali del Vangelo di Verità.
In quest'ottica non meraviglia affatto che il monaco si sia posto
di fronte al simbolo di Gesù (l'Unicorno) ed al Vangelo di
Verità, il corno che ha sulla fronte.
Può essere
questa la chiave interpretativa e la soluzione indicata dal monaco
alla schiavitù indotta dall'errore di Adamo? Che questa sia la
soluzione al dilemma che Pantaleone si pone nel mosaico è
chiaramente indicato sempre dal Vangelo di Filippo, in cui
si legge:
"Dio ha
piantato un Paradiso. L'uomo viveva nel Paradiso. C'era unità e
non c'era separazione [...] Beati gli uomini che in esso non
desidereranno più separarsi. Questo Paradiso è il luogo in cui mi
sarà detto: "Mangia di questo o non mangiare di questo, secondo il
tuo desiderio". E' il luogo dove io mangerò di tutto, poiché là
c'è l'albero della conoscenza. Lì esso ha ucciso Adamo, qui invece
l'albero della conoscenza ha dato la vita all'uomo. La Legge era
l'albero. Esso aveva il potere di dare la conoscenza del bene e
del male. Ma esso né lo allontanava dal male, né lo stabiliva nel
bene, ma ha creato la morte per quelli che ne hanno mangiato.
Perché quando ha detto: "Mangia di questo, non mangiare di
quello," è stata l'origine della sua morte" (ver.94).
Interessantissima tale visione, che è sbalorditivamente simile a
quella che ritroviamo negli scritti dell'apostolo Paolo e che ci
spinge a chiederci se sia il pensiero gnostico ad attingere da
tali opere o se tale pensiero non preceda quello dell'apostolo,
configurandosi come una delle tre anime del cristianesimo
primitivo: gnostica, paolina, giudeo-cristiana, ma il discorso ci
porterebbe lontanissimo. La separazione del bene dal male e
dell'uomo in se stesso, che pervade gli scritti gnostici della
biblioteca di Nag Hammadi, è il male denunciato dalla gnosi, che
ha, nella Conoscenza ottenuta grazie a Gesù ed alla ricerca
personale di Dio e dei misteri del Regno, la sua soluzione.
Se questa è la
soluzione proposta da Pantaleone, essa può davvero essere letta
nel Mosaico? |
L'albero al
centro della Chiesa
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Sempre nel
Vangelo di Filippo si legge:
"Quando Abramo
si rallegrò di vedere ciò che stava per vedere, circoncise la carne
del suo prepuzio, mostrandoci come sia necessario distruggere la carne
e il resto di questo mondo. Finché le loro passioni sono nascoste,
rimangono e sono vive; se vengono manifestate, muoiono, secondo
l'esempio dell'uomo che è manifesto: finché le viscere dell'uomo sono
nascoste, l'uomo vive; se le viscere appaiono e vengono fuori di lui,
l'uomo morirà. Così pure è l'albero: finché la sua radice è nascosta,
esso fiorisce e cresce; se la radice appare, l'albero secca. Così è
per ogni prodotto che è nel mondo, non soltanto per quello che è
manifesto, ma anche per quello che è nascosto. Infatti, fintanto che
la radice dell'errore è nascosta, esso è forte, ma quando è
riconosciuta, esso si dissolve. Questo è il motivo per cui il Logos ha
detto: "Già la scure è posta alla radice degli alberi". Essa non
sfronderà soltanto "ciò che è sfrondato germoglia di nuovo" ma la
scure taglia profondamente finché svelle la radice. E Gesù ha divelto
la radice di tutto il luogo; gli altri invece solo in parte. Quanto a
noi, ciascuno scavi profondamente fino alla radice dell'errore, che è
dentro di lui e lo divelga dal suo cuore fino alla radice. Ed esso
invero sarà divelto, quando noi lo riconosceremo. Che se noi siamo
ignoranti a suo riguardo, esso affonda in noi le radici e produce i
suoi frutti nei nostri cuori. Esso domina su di noi, e noi siamo suoi
schiavi. Ci tiene prigionieri, cosicché noi facciamo ciò che non
vogliamo, e ciò che vogliamo non lo facciamo. Esso è potente perché
noi non lo conosciamo, e finche esiste, esso lavora. L'ignoranza è per
noi la madre dell'errore. L'ignoranza è al servizio della morte: ciò
che viene dall'ignoranza né è esistito, ne esiste, ne esisterà. Invece
coloro che sono nella verità saranno perfetti quando tutta la verità
si manifesterà. Perché la verità è come l'ignoranza: quand'è nascosta,
riposa in se stessa, ma quando si rivela ed è riconosciuta, viene
glorificata, in quanto è più potente dell'ignoranza e dell'errore.
Essa dà la libertà. Il Logos ha detto: "Se voi conoscerete la verità,
la verità vi farà liberi". L'ignoranza è uno schiavo, la conoscenza è
libertà. Se noi riconosceremo la verità, troveremo i frutti della
verità in noi stessi. Se ci uniremo con essa, essa produrrà il nostro
perfezionamento" (ver.123).
La conoscenza
gnostica è un albero tagliato alla radice e Gesù ha tagliato le radici
dell'albero dandoci la libertà che è nella conoscenza dell'errore.
Abbiamo seguito il
percorso che dalla cima dell'albero posta sotto il presbiterio,
intorno a cui è avvolto il serpente, porta verso la porta della
cattedrale, vediamo ora la radice dell'albero raffigurata di seguito:
Si
notino i due elefanti che sorreggono l'albero e soprattutto il fatto
che l'albero è, in realtà, privo di radice. L'elefante è notoriamente,
simbolo della sapienza ed i due elefanti che sorreggono l'albero sono
contrassegnati da un cerchio vuoto ed uno contenente un cerchio pieno.
Il cerchio rappresenta il serpente e quindi il male e l'altro la
pienezza e quindi il bene. Le figure che suonano intorno ai due
elefanti sono chiaramente simbolo dell'armonia raggiunta percorrendo
l'albero dal presbiterio verso la porta, e non a caso è in questo
punto che Pantaleone appone il suo nome.Ma ha un senso il fatto che il
nome appaia anche oltre la soglia della porta, all'esterno della
Chiesa? |
L'eresia
del monaco Pantaleone |
Abbiamo visto
come il percorso dal presbiterio verso la porta della chiesa sia
da un lato il problema dell'uomo (la lettura destra e sinistra del
mosaico) dall'altro riveli anche la soluzione: il grande albero al
centro che è il percorso della conoscenza (Gnosi) Quindi al
termine della conoscenza si giunge alla soglia dell'uscita dalla
Chiesa Ufficiale. Si arriva alla mediazione equilibrata della
conoscenza del bene e del male e quindi alla giusta comprensione
armonica degli opposti. Si giunge a quello che nella Cabala è
chiamato Regno, che è proprio quello che Gesù segnalava
come mèta ai sui discepoli e che è il cuore ed il senso stesso
della conoscenza che Gesù declama nel Vangelo di Tommaso. A
questo punto si è già fuori la Chiesa (la porta) il luogo dove
Pantaleone appone la sua firma e l'anno di costruzione del
mosaico.
Ma perché,
allora, partire da Artù? Artù non può che richiamare la
leggendaria ricerca del Santo Graal, che è, nel mosaico, la
conoscenza, la gnosi e quindi il Logos. Re Artù parte alla
ricerca della Conoscenza, lì dove è la radice del male: nella
violazione di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre. Il Graal è
l'altro simbolo, nemmeno tanto nascosto, che troviamo nel mosaico.
Si noti, infatti, come i due rami in basso, e la base dell'albero,
costituita dai due elefanti, disegni una coppa: il Graal appunto.
Il mosaico pullula, inoltre, dei tradizionali simboli templari,
quali, ad esempio la scacchiera. I templari sono da sempre stati
connessi, a torto o a ragione, con le conoscenze misteriche di cui
sarebbero stati unici detentori nella Chiesa. |
La Chiesa,
l'albero e la Croce
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Un elemento
che ha contribuito a rendere criptico il senso del mosaico di
Otranto è, certamente, da ricercarsi nella impossibilità di avere
una visione d'insieme dell'opera e delle sue topologie. La
presenza nella cattedrale, di panche, di elementi d'arredo e di
culto, rende praticamente impossibile una lettura complessiva del
mosaico al visitatore, anche attento. Per cogliere il senso della
soluzione che Pantaleone offre al problema della maledizione
dell'albero del Bene e del Male, bisogna posizionarsi in alto e
visionare tutto il mosaico uscendo idealmente fuori della Chiesa.
E' solo così che si coglie un aspetto a nostro avviso,
emblematico. L'albero del mosaico è al centro della croce formata
dalla Chiesa stessa e quindi esso è il legame che è stato
segnalato nel Vangelo di Filippo tra Gesù, la Croce e la
Cabala: la Croce ha fornito il tronco mancante all'albero del Bene
e del Male, rendendo di nuovo possibile all'uomo l'ascesa a Dio e
la conoscenza dei misteri. |
La
cosmogenesi
|
Quindi il
mistero del mosaico ha trovato soluzione?
No, purtroppo,
finche non si darà un senso alla parte principale del mosaico: la
cosmogenesi. Abbiamo individuato, nella cosmogenesi del mosaico,
la principale delle Sefirot: la Corona. La cosmogenesi appare
raffigurata in 16 cerchi contenenti ciascuno un simbolo, la cui
funzione è estremamente criptica. Pur non volendo affrontare
l'arduo compito della interpretazione complessiva di questa
costruzione, vogliamo far cenno ai simboli che per posizione e
forma, ci sembrano avvalorare la pista interpretativa qui
proposta.
Chi
si sia imbattuto, anche una sola volta, nel più classico dei
simboli gnostici, non può non notare una notevole somiglianza tra
quella che viene definita la Sirena e l'Abraxas. L'Abraxas
è, nell'accezione ideata dallo gnostico egiziano Basilide, il nome
oscuro dato al Sommo Architetto dell'Universo: i due serpenti che
fanno da arti inferiori all'essere identificano l'unione tra la
componente maschile e femminile ed hanno un chiaro significato di
natura sessuale. Il valore numerico delle lettere del nome abraxas
è 365 ed è pari quindi, ai giorni dell'anno (nell'alfabeto greco
A = 1, B = 2, R = 100, A = 1, S
= 200, A = 1, X = 60, totale 365). Il termine è
probabilmente alla base della formula magica Abracadabra (abrasadabra
in greco) e proviene dalle parole Ab, Padre, Ben,
Figlio, e Acadsch, lo Spirito, di conseguenza racchiude in
se il concetto trinitario. Tertulliano segnalava, nella sua
invettiva contro Basilide, che l'Abraxas aveva una funzione
centrale nella venuta del Cristo. Basilide, sosteneva
Tertulliano,
credeva che la venuta di Cristo non fosse dovuta a Dio ma al suo
nome nascosto (Abraxas appunto) e che Cristo fosse venuto sulla
terra non in forma corporea (arrivando a sostenere che fu Simone
di Cirene e non Gesù ad essere ucciso sulla Croce). Che l'assenza
delle rappresentazioni cristologiche nella cattedrale sia legata a
questo? Ovviamente si tratta solo di un dubbio privo di alcuna
possibilità di verifica, se non dopo aver approfondito
similitudini reali e differenze tra la simbologia del mosaico e
quella gnostica.
Per chiudere
sul simbolo della Sirena non possiamo non far notare una
differenza interessante tra l'Abraxas e la Sirena: l'Abraxas è, in
genere, un uomo, qui l'Abraxas è chiaramente una donna. Il motivo
di questa sostituzione rimane ignoto, anche se va ricordata la
centralità che la donna ha nella cultura gnostica (ad esempio la
Maddalena su cui torneremo più avanti). Meno criptica, invece,
sembra essere la forma che Pantaleone ha usato per rappresentare
la Sirena: la Omega. Vediamo il perché. |
Salomone
|
L'immagine di
Salomone è chiaramente e simbolicamente legata all'idea di
giustizia, ma a nostro avviso la sua funzione nel mosaico non è
solo questa. La forma che il seggio di Salomone assume nella
costruzione sembra ricordare l'Alfa. Il fatto che l'Alfa sia
disposta simmetricamente alla Sirena che è, come detto, l'Omega,
simboleggia Dio e soprattutto la sua funzione creatrice. In buona
sostanza, i due simboli in alto al centro della cosmogenesi
rappresentano le funzioni di Dio: creatore, artefice di giustizia,
ed una qualità: quella trinitaria. A queste, l'Abraxas aggiunge la
componente gnostica dell'unione degli opposti e delle componenti
maschili e femminili. |
Il Leopardo
alato |
Alla destra
della Sirena, troviamo l'immagine di un leopardo alato che uccide
un ariete. Al di sotto si legge l'iscrizione PASCA già decifrata
da mons. Grazio Gianfreda:
P(ardus) =
leopardo
A(latus) = alato
S(ternit) = abbatte
C(ornutus) =
cornuto
A(rietes) =
ariete
Pardus ha, nel
senso cabalistico lo stesso valore di Pardes (Paradiso). E'
quindi, il luogo della vittoria. Questo elemento completa il lato
destro superiore che definisce le qualità destre di Dio: il luogo
in cui risiede e le sue caratteristiche "fisiche" (la trinità, e
l'unione in sé). |
La regina
di Saba |
La regina di
Saba completa la parte destra degli attributi di Dio. Va ricordato
che storicamente essa è strettamente legata a Salomone come
componente femminile, ma ha anche altre svariate funzioni nella
mitologia gnostica, prima tra tutte il suo parallelo con la
Maddalena e da questa con Maria madre di Gesù. La Maddalena è una
delle entità femminili più importanti negli scritti gnostici e non
di rado, il suo ruolo supera per importanza, quello degli
apostoli. Nel Vangelo di Maria, e nella Pistis Sophia,
la Maddalena è destinataria delle rivelazioni segrete di Gesù dopo
la morte, mentre nel Vangelo di Filippo viene identificata
chiaramente come la compagna di Gesù. La sua funzione centrale è
richiamata anche da Gesù in Matteo in chiara connessione con il
Giudizio divino degli ultimi tempi e con Salomone:
La
regina del mezzogiorno comparirà nel giudizio con questa
generazione e la condannerà; perché ella venne dalle estremità
della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco, qui c'è
più che Salomone!
(Matteo 12:42)
Andrebbe anche
ricordata la connessione tra la regina di Saba, la Maddalena, ed
il culto della Madonna nera, ma questo ci porterebbe fuori
contesto. |
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Conclusione |
Un'antica
leggenda lega l'interpretazione del mosaico della Cattedrale di
Otranto alla scoperta del Graal. La presenza di Artù e la figura
stessa che i due rami inferiori dell'albero tracciano nel
basamento del mosaico, come illustrato, possono a ragione, aver
alimentato questa credenza, ma riteniamo che la leggenda nasconda
, in fondo, una parte di verità. Il legame stretto che abbiamo
evidenziato tra la letteratura gnostica scoperta nel 45 a Nag
Hammadi (in particolare il Vangelo di Filippo), il fatto
che l'Abbazia di Casole fosse un'accademia talmudica, i limpidi
riferimenti alla Cabala, la leggenda che vuole ricchissimo il
materiale documentale in possesso dell'Abbazia, ci fa
verosimilmente ritenere che Pantaleone fosse entrato in possesso
dei testi che solo oggi possiamo visionare a Nag Hammadi, e
probabilmente di molti altri che ancora non conosciamo. |
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Se, come
abbiamo cercato di dimostrare, quella di Pantaleone è una estrema
sintesi gnostica della cultura cristiana, protognostica ed
ebraica, probabilmente dovremo fermarci sulla soglia delle
interpretazioni che ho proposto nel presente articolo.
La funzione di
alcuni dei simboli presenti nel mosaico è stata interpretata solo
perché letta alla luce dei testi di Nag Hammadi, ma ci sono
simboli (quelli ad esempio presenti nella cosmologia del mosaico)
che non trovano riscontri immediati in quella letteratura.
Sebbene abbia,
ad esempio, tentato l'arduo compito di un paragone tra la più
avanzata e complessa sintesi del pensiero gnostico, rappresentata
dalla Pistis Sophia (Pistis Sophia, di L.Moraldi,
1999, Ed.:Adelphi) ed il mosaico di Otranto, ho dovuto riscontrare
spesso distanze abissali, che mi hanno portato ad escludere un
riferimento diretto a quel testo. Voglio però ricordare che il
prof. Moraldi, nell'appendice, propone per il mosaico di Aquileia
una soluzione non distante da quella da me indicata per il mosaico
di Otranto. Per certi versi, la simbologia del mosaico, appare
estremamente più primitiva rispetto alla Pistis Sophia,
mentre, sembra essere un'ottima e puntuale evoluzione dei
principali testi della biblioteca di Nag Hammadi. In ogni caso è
indubbio che il Graal, per il mosaico, è l'elevazione del pensiero
dell'uomo alla Conoscenza misterica attraverso il Cristo gnostico,
quindi è la gnosi stessa. La ricerca del Graal è, quindi, il
percorso sapienziale che, presa coscienza dell'impossibilità di
interpretare il mistero con il solo uso della Cabala, e degli
scritti talmudici (es.: il Sefer Yetzirà), utilizza la
rivelazione della conoscenza nel mondo: il Cristo, dando corpo al
più gnostico dei Vangeli canonici: quello di Giovanni.
Io sono la
via
(l'albero, il
tronco, la via attraverso cui si arriva a Dio), la verità
(l'asse che media tra gli estremi della cabala), la vita
(l'albero della vita).
Pantaleone,
infine, ci ricorda che questo percorso porta, inevitabilmente,
alla radice della croce, e dell'errore che si trova ancora nella
Chiesa, e ci conduce fuori di essa. |
Appendice: |
La strana botola nel mosaico
di Otranto |
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Abbiamo già
avuto occasione di affrontare le problematiche di interconnessione
tra il simbolismo del mosaico della cattedrale di Otranto e la
gnosi del Vangelo di Filippo, testo gnostico scoperto solo nel
1945 a Nag Hammadi. Dalla nostra analisi è emerso come più che
probabile la approfondita conoscenza di questo testo da parte del
monaco Pantaleone, che tra il 1163 ed il 1165 realizzò l'opera.
Come il testo fosse pervenuto nelle sue mani non lo sappiamo, ma
abbiamo avanzato l'ipotesi che questo fosse il frutto delle razzie
praticate dai monaci-guerrieri templari in Terra Santa. A questo
punto una domanda è d'obbligo: esistono prove certe della
influenza e presenza templare nella cattedrale di Otranto?
Sotto la
navata destra della cattedrale su apre una larga scalinata che
porta alla stupenda cripta inferiore. A sinistra della scala è
stata conservata quella che doveva essere la vecchia scala di
ingresso alla cripta che, però, finisce in corrispondenza di una
singolare tomba vuota. Essa è sistemata a sinistra nella parte
finale della scala, ed è collocata in un vasto incavo nel muro che
fiancheggia la scalinata. Ciò che rende singolare la tomba è la
presenza di croci vermiglie a coda di rondine chiaramente templari
che ornano le quattro pareti interne della tomba. Una spada
tipicamente templare raffigurata vicino una delle croci conferma
l'origine di questa tomba. Nella zona incavata nel muro che ospita
la tomba era presente un affresco che qualcuno, in epoche remote,
ha provveduto a scalpellare con tale accanimento e minuziosità che
è, oggi, assolutamente impossibile sapere cosa esso raffigurasse.
Tomba vuota e affresco cancellato ci dimostrano, quindi, che non
solo la presenza templare nella cattedrale è un fatto, ma che
questa doveva avere connotati tali da rendere necessaria non solo
la profanazione della tomba ma anche la cancellazione definitiva
di un intero affresco. In buona sostanza riteniamo che sia la
tomba che l'affresco mantenessero elementi che erano in qualche
modo connessi alla eresia templare. Escludiamo sicuramente, che
l'origine della profanazione sia stata araba (la chiesa fu usata
come granaio dagli Arabi, ma essi non pare avessero intenzione di
danneggiarla tanto che il mosaico uscì indenne da questo
inconsueto uso). I mussulmani infatti non avrebbero conservato,
per il loro significato cristiano, le croci vermiglie, le quali
invece sembrano essere state rispettate.
Ma le sorprese
della cattedrale non finiscono qui. In una recente visita
personale alla cattedrale ho avuto occasione di conoscere il colto
Don Gianfreda, massimo conoscitore dell'opera e parroco della
cattedrale. A lui ho posto una domanda che mi angosciava ormai da
molto tempo: che funzione aveva, o ha ancora oggi, la botola che
si vede nella figura sottostante, proprio lì dove termina l'albero
ed inizia la vasta lacuna? |
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La domanda non
era, evidentemente, dettata dalla semplice curiosità, ma da un
ragionamento suggeritomi dalla particolare forma dell'albero,
simile ad una "Spada", ed alla "Roccia" in cui essa sembra
infissa. Nel Parzival di Wolfram il Graal è una pietra
sulla quale sono incisi i nomi dei cavalieri che avrebbero difeso
il segreto del Graal. Solo gli eletti e quindi i cavalieri
predestinati potevano leggere il loro nome sulla pietra. Ebbene,
Artù nel mosaico sembra indicare proprio la botola ed il punto, la
roccia, in cui è conficcato l'albero-spada.
Per
comprendere cosa potrebbe nascondere la botola è necessaria una
brevissima digressione. Sono ormai molti gli studi sul Templarismo,
che tra i molteplici misteri più o meno fondati, vertenti intorno
alla storia dei monaci guerrieri, se ne pongono uno storicamente
davvero sconcertante: poteva una figura scialba, incolta,
volubile, come il De Molay, quale egli appare dai documenti
inquisitori e dal poco che si sa della sua storia personale,
dirigere con efficacia un apparato complesso e ramificato come
quello templare? Poteva un uomo apparentemente incolto decidere
sui modi e sulla gestione delle attività bancarie ed economiche
che ruotavano intorno alle commende templari, e interessavano
tutta l'area del Mediterraneo?
La risposta
che si danno oggi studiosi come Jean Markale [I Templari -
Custodi di un mistero, J. Markale, Sperling & Kupfer, Milano,
2000.] è: quasi certamente: no. Doveva esistere un gruppo
ristretto di persone insospettabili, probabilmente intimamente
legate ai più alti ranghi della Chiesa, che manteneva il controllo
dell'esercito di monaci guerrieri. Siffatta elite intellettuale
era probabilmente composta da personaggi che ufficialmente non
risultavano essere aderenti all'Ordine, ma coltivavano la matrice
gnostica e presiedevano alla realizzazione del disegno templare.
Don Gianfreda,
alla domanda cosa ci fosse sotto la botola, mi ha risposto, come
del resto mi aspettavo, che essa una volta aperta scopriva una
piccola scala di legno che portava al luogo di sepoltura di alcuni
vescovi. Peccato che in nessuna parte della chiesa si faccia
menzione dei nomi di costoro, ma se il loro ruolo era quello che
abbiamo ipotizzato, allora il nascondere la cripta ed i nomi dei
vescovi rientra perfettamente nello scenario prefigurato dalla
leggenda Graaliana, e nella ipotesi del gruppo di vescovi i quali
nascostamente coordinavano le attività occulte e palesi dei
Templari.
Ma ritorniamo
all'ambiente nascosto in esame. La prima constatazione è relativa
alla orientazione dell'accesso. La presenza della cripta visibile
della cattedrale fa sì che l'ingresso alla cripta nascosta risulti
orientato verso Ovest, ma è anche interessante notare che la tomba
vuota templare si trova all'esterno del muro perimetrale di questa
cripta nella zona orientata a Sud. Abbiamo avuto occasione di
constatare che queste botole e queste camere sepolcrali segrete,
lungi dall'essere un caso isolato nell'architettura delle chiese
medievali, sono, anzi, una costante. Il dubbio che ci si pone è se
esse avessero anche una funzione cerimoniale oltre che sepolcrale.
* Il
Mistero del Mosaico di Otranto - Sentieri di Crescita Interiore,
di Francesco Corona, volume, tomo non rintracciabile nelle
librerie (se no non quelle idruntine) poiché pubblicato dallo
stesso autore.
[Una presentazione dell'autore si
trova nel numero 4 di Episteme] |
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tratto da: "Il
Mosaico di Otranto - L'ultimo oltraggio di un monaco gnostico?",
Sabato Scala, Episteme n. 5, 2002
http://itis.volta.alessandria.it/episteme/episteme5.htm |
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