"Lo stato italiano è stato
una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia
meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i
contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col
marchio di briganti"
(Antonio Gramsci in Ordine Nuovo, 1920).
1860 nascita di una colonia
La
donchisciottesca spedizione di Garibaldi e dei suoi Mille, come la
definisce Mack Smith in Cavour e Garibaldi nel 1860, venne
finanziata dal governo inglese con una cassa di piastre d'oro
turche (moneta franca nel Mediterraneo del tempo) pari a molti
milioni degli attuali dollari.
Le navi
militari inglesi, "casualmente" alla fonda in Marsala, con uno
stratagemma protessero lo sbarco dei "Mille". Tempo dopo, il
cassiere della spedizione, Ippolito Nievo, e i registri contabili,
vennero fatti sparire nel nulla.
Papato e
controbilanciare l'egemonia francese sul Mediterraneo. L'occasione
gli venne offerta dalla crisi siciliana (l'Isola era in rivolta
per l'autonomia da Napoli). Dietro "l'impresa" emerge il disegno
della Massoneria, e Londra è da sempre l'Alma Mater di tutte le
Logge. Tutti massoni ovviamente: Garibaldi, Cavour ecc. E il
povero Nievo fece la stessa "fine" di Calvi e delle carte
scottanti del "Banco Ambrosiano", seppur con un Papato a ruoli
invertiti.
L'atto di
annessione dell'Isola allo Stato di Vittorio Emanuele II nel 1860,
come dimostra anche il Mack Smith (1), non fu chiara e libera
manifestazione plebiscitaria della volontà dei Siciliani, ma un
vero e proprio atto di forza. Garibaldi confessa a varie riprese
(2) che il popolo fu sempre assente nel "movimento per
l'unificazione italiana", quando non fu decisamente contrario.
Lo stesso
Mazzini, rispondendo con uno scritto alla circolare 15 agosto1860
del ministro Farini, nella quale si rivelava la decisione del
governo piemontese per l'annessione, spinse deliberatamente a
quell'atto, proprio perché temeva le pesanti riserve dei Siciliani
(3) e intendeva tagliar corto alla idea più sana di una
Confederazione Italiana, propugnata dal Gioberti e da diversi
patrioti siciliani tra il 1848 e il 1860.
La stessa
relazione del Consiglio Straordinario di Stato-istituito in
Sicilia dal prodittatore Mordini con decreto 19 ottobre 1860 e con
il quale, ad annessione avvenuta, i rappresentanti del Popolo
Siciliano avrebbero dovuto discutere e proporre gli ordinamenti
più convenienti alla Sicilia per entrare a far parte dello Stato
Italiano- non ebbe mai seguito.
Mentre la
Luogotenenza -promulgata da Vittorio Emanuele II a Palermo il 1°
dicembre1860, in occasione della sua prima visita, ed in base alla
quale lo Stato avrebbe avocato a sè soltanto la branca degli
Affari esteri e quella della Difesa, lasciando il resto in mano ad
amministratori siciliani che avrebbero fatto parte del Consiglio
di essa -visse una breve e grama esistenza e fu abolita con un
semplice Decreto Reale il 1° febbraio1862.
Tutto -come
ben sappiamo dalla lettura dell'art.4 del "decreto prodittatoriale
9 ottobre 1860", con il quale si stabilì l'infame sistema di
votazione per il plebiscito- si svolse in un'atmosfera di vera e
propria sopraffazione della libera volontà dei Siciliani.
I risultati di
quel plebiscito registrarono soltanto 667 "no" su 432.720 votanti,
con una percentuale che supera il 99,99% dei cosiddetti "si".Lo
stesso ministro Eliot, ambasciatore inglese a Napoli, dovette
scrivere testualmente nel rapporto al suo Governo che: "Moltissimi
vogliono l'autonomia, nessuno l'annessione; ma i pochi che votano
sono costretti a votare per questa". E un altro ministro inglese,
Lord John Russel, mandò un dispaccio a Londra, così concepito: "I
voti del suffragio in questi regni non hanno il minimo valore".
Con una buona dose di ipocrisia.
Entrata così a
far parte del Regno d'Italia, la Sicilia, nel giro di pochi anni
si vide spogliata dell'ingente patrimonio di quei Beni
Ecclesiastici che fruttarono allo Stato 700 milioni del tempo,
della riserva d'oro e d'argento del suo Banco di Sicilia, e vide
portato il carico tributario a cinque volte di più del precedente.
Come accertò Giustino Fortunato, mentre per l'anno1858 esso era
stato di sole lire 40.781.750 per l'anno1891 le sue sette province
registrano un carico di lire 187.854.490,35 (5).
Si inasprirono
inoltre i pesi sui consumi, sugli affari, sulle dogane, le tasse
di successione che prima non esistevano, quelle del Registro che
erano state fisse, quelle di bollo, per cui nel1877 queste tasse
erano già pervenute a 7 milioni e nel 1889-90 avevano raggiunto i
20 milioni.
La vendita del
patrimonio dello Stato -ossia del demanio dell'ex Regno della Due
Sicilie- impinguato dai beni dei soppressi Enti Religiosi e
sommato alla vendita delle ferrovie, aveva fruttato allo Stato
italiano oltre un miliardo, senza contare il capitale dei mobili,
delle argenterie e tutta la rendita del debito pubblico, posseduta
dalle Corporazioni religiose, che venne cancellata del tutto. E
non erano "beni della Chiesa di Roma", ma frutto
dell'accumulazione di famiglie siciliane investito sul "figlio
prete"!
Le terre
demaniali che Garibaldi aveva promesso ai contadini ed ai
"picciotti" il 2 giugno 1860, con il decreto concernente la
divisione dei demani comunali, andarono soltanto ad impinguare i
patrimoni dei nobili e dei borghesi, per cui già nel giugno e nel
luglio del 1860 si ebbero in Sicilia quelle sollevazioni che
assunsero "proporzioni vastissime, poiché i contadini
rivendicarono non solo la quotizzazione dei demani ancora
indivisi, ma anche la nuova quotizzazione dei demani usurpati o
illegalmente acquistati da nobili o borghesi, oppure il
ristabilimento su di essi dei vecchi diritti d'uso" (6).
Il risultato
di quelle richieste legittime furono le feroci repressioni
eseguite da Bixio a Bronte, e dagli altri garibaldini a
Caltavuturo, a Modica, e in tanti altri comuni.
"Verso la fine
di giugno e nel corso del luglio 1860 la frattura tra governo
garibaldino e movimento contadino si venne via via accentuando,
non solo per la resistenza popolare alla coscrizione (resa
obbligatoria da Garibaldi con il decreto del 14 maggio) ma anche
perché le autorità governative e le forze armate garibaldine
furono portate sempre più a schierarsi a favore dei ceti
dominanti" (7).
In questo
clima di disagio morale, economico, sociale e politico, aggravato
dall'imposizione della leva militare che i Siciliani avevano
sconosciuto fino allora, il Parlamento Italiano conferì i pieni
poteri al Generale Govone nel 1863, al fine di ridurre in Sicilia
l'opposizione al servizio militare, consentendogli di tenere dei
tribunali militari e di fucilare la gente sul posto.
Gli eccidi
consumati allora dalle truppe del Govone, specie a Licata e in
tanti altri centri dell'interno dell'Isola, furono denunziati
all'opinione pubblica nel dicembre del '63 dal deputato cattolico
moderato Vito D'Ondes Reggio e da molti deputati della Sinistra e
della Destra al potere, ma come dice con lapidaria frase il
Candeloro: "questo gesto clamoroso non modificò peraltro la
politica del governo in Sicilia" (8).
Migliaia di
arrestati, morti e trucidati, abusi, violenze e atrocità commesse
come rappresaglia sulla popolazione civile, prelevamenti di
ostaggi nelle famiglie dei renitenti, stato d'assedio per tutta
l'Isola, taglio dei viveri e dell'acqua potabile alla città
martire di Licata.
Quando poi
scoppiò il moto palermitano nella notte tra il 15 e il 16
settembre 1866 con 3.000 uomini armati -per lo più ex "picciotti"
ed ex patrioti del 1848- che, scesi dai monti, attaccarono di
sorpresa la città ed instaurarono un Comitato provvisorio,
presieduto dal principe di Linguaglossa e da Francesco Bonafede,
si parlò di complotto della Chiesa in accordo con i Borboni, ma la
verità è che fin dalla prima metà del1865 la Sicilia, per lo stato
di abbandono e di maltrattamento inflittogli dall'Italia, era in
stato di agitazione e di congiure.
"E' dunque da
escludere -come afferma uno storico di parte non sospetta- che la
massa di manovra e i capipopolo del1866 intendessero puntare su
una restaurazione borbonica, così com'è da escludere che si
trattasse di un moto puramente brigantesco, due tesi che
specialmente il Generale Raffaele Cadorna, inviato poi come
commissario straordinario (e a reprimere il moto con il 2° stato
d'assedio nell'Isola) volle far passare nella convinzione comune e
che furono accettate dalla storiografia moderata. Coloro che
furono invece testimoni della settimana infuocata resero ragione
della sostanziale disciplina che caratterizzò il comportamento dei
rivoltosi e smentirono le voci di spaventose crudeltà che da essi
sarebbero state commesse" (9).
Tutti i
volantini del tempo, di propaganda autonomista (conservati presso
l'Archivio di Stato di Palermo) si soffermano sul sempre più
accentuato distacco tra masse popolari e classi nobiliare e
borghese, le quali rappresentavano il più fermo sostegno interno
della dominazione italiana (10).
Poichè
l'insuccesso delle prime truppe da sbarco italiane comandate da
Emerico Acton fu completo, divenne necessario che giungesse un
intero corpo di spedizione sotto gli ordini del Cadorna, per
combinare un assalto simultaneo di tutte le forze di terra e di
mare, combattere per 36 ore contro circa 40.000 popolani armati,
guadagnare una ad una le barricate.
I morti non
poterono contarsi: i fucilati in massa furono diverse migliaia, i
massacrati senza motivo diverse centinaia; la rivoluzione venne
chiamata del "Sette e mezzo" per la durata dei suoi giorni. Moriva
ancora una volta la speranza della Sicilia e dei Siciliani.
Moriva, annegata ancora una volta nel loro stesso sangue.
Tenuta nello
stato di abbandono... in conto di "regione tropicale"... in mano
di sfruttatori e ladri... e di una polizia che giunse all'aperta
collusione con la mafia e la delinquenza locale sì da far
insorgere perfino il Procuratore Generale di Palermo, Tajani (11),
il quale promosse ma non poté ottenere l'incriminazione del
famigerato Questore Albanese (12)... senza alcuna iniziativa in
fatto di lavori pubblici... nel più completo analfabetismo...
nella miseria contadina più vergognosa... la Sicilia cominciò a
riorganizzare la sua Resistenza nel corso del1867. Quando il
generale Giacomo Medici venne ad assumere la prefettura di
Palermo.
Sull'onda di
quel movimento socialista che era stato fondato sotto il nome di
Fratellanza internazionale nel 1864 da Saverio Friscia, Bakunin e
Fanelli, ma, soprattutto, alimentata da una fitta rete di "società
di mutuo soccorso" e "circoli operai", e, in fin dei conti, nel
retrobottega del farmacista, nel salone del barbiere, nello studio
dell'avvocato, nei capannelli domenicali col vestito buono, un pò
in tutte le kiazze di città e paesi, l'Isola dei Siciliani covava
i suoi Fasci e maturava il suo programma: "Terra e Libertà!".
I Fasci
Siciliani dei Lavoratori, che sorgeranno nella crisi di fine
secolo e, incompresi dalla "sinistra italiana", verranno
schiacciati nel sangue dal Governo di Roma.
Ancora una
volta le forze progressive dell'Isola dei Siciliani non trovarono,
oltre le nuvole, che la notte scura. E tante navi per l'America:
tonnellate umane, come quelle dei popoli africani alla cui
deportazione contribuì anche l'ancòra "Capitano" Garibaldi, che,
sulle rotte sanguinanti della "tratta degli schiavi", commerciava
"negri e cavalli". L' Italia era ripassata per le nostre contrade:
con le sue truppe, i suoi tribunali speciali, la sua macchina
fiscale...La Resistenza Siciliana, massacrata e sconfitta,
emigrava a "Brucculinu". E qui, sul tracciato effimero della
"nuova frontiera", i Siciliani scrissero alcune tra le pagine più
belle del nascente movimento operaio americano, ma si inventarono
anche, e a colpi di mitra, l'organizzazione etno-imprenditoriale
più efficente del secolo: la Cosa Nostra.©1991. (Terra e
Liberazione)
note
Cfr. D. MACK
SMITH, Storia della Sicilia medievale e moderna, Bari, Ed. Laterza
1970, pagg. 599-609. Cavour e Garibaldi nel 1860, Torino Ed.
Einaudi, 1958, pagg. 463-501.
(2) Cfr. G.
GARIBALDI, I Mille, Torino, Ed. Camilla e Bertolero, 1874
-Memorie, Bologna Cappelli, Ediz. Naz. degli Scritti.
(3) Cfr. G.
NICOTRI, Rivoluzioni e rivolte in Sicilia, Torino, UTET, 1910.
(4) Cfr. F.
GUARDIONE, La Sicilia nella rigenerazione politica d'Italia,
Palermo, Reber, 1912, pag. 620
(5) Cfr. G.
FORTUNATO, Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano, Firenze, Ed.
Vallecchi, 1911, Vol. II, pag. 125 e segg.
(6) Cfr. G.
CANDELORO, Storia dell'Italia moderna, Milano, Ed. Feltrinelli,
1971, Vol. IV pag.463.
(7)
Ibidem, pag. 465.
(8)
Ibidem, Vol.
V, pag. 204.
(9) P. ALATRI,
Lotte politiche in Sicilia sotto il governo della Destra, Torino,
Ed. Einaudi, 1954, pag. 142. Ma vedi pagg. 105-150 per imotivi
della rivolta.
(10) Questi
materiali di propaganda manifestano spesso le tendenze socialiste
che si erano venute largamente affermando e diffondendo in Sicilia
dopo il '60. Il Brancato ha anzi sottolineato quanto, in quella
rivolta di popolo, richiama i precedenti del 1860, del 1848 e del
1820 e anticipa i moti dei Fasci Siciliani del 1893 - Cfr. F.
BRANCATO, Origini e carattere della rivolta palermitana del
settembre 1866, Palermo, "A.S.S.", serie III, Vol. V.
(11) Cfr. P.
ALATRI, Op. Cit., Cap. VI, pagg.347-417.
(12) Cfr.F. S;
MERLINO, Questa è l'Italia, Milano, nuova ediz. 1953.
Chi volesse approfondire l'argomento legga:
"L'Unità d'Italia: nascita di una colonia" di Nicola Zitara (L.25.000)
e "L'essenza della Questione Siciliana" di Natale Turco (L.40.000),
richiedendoli con vaglia postale a "Terra e LiberAzione" C.P.367
Catania Centro.
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