Chi era veramente Giordano Bruno? Un
campione del libero pensiero o un mago bestemmiatore? Facciamo
chiarezza su una delle vicende più strumentalizzate dalla
propaganda anticristiana
Come è noto, a partire dalla
"guerra civile ideologica" che si apre nel corso dell'Ottocento
fra élites massoniche e liberali e Chiesa Cattolica, la figura di
Giordano Bruno svolge un ruolo tutt'altro che secondario, e questo
difficile e oscuro pensatore viene trasformato nel simbolo del
"libero pensiero", di una modernità "illuministica" ingiustamente
ostacolata dalla Chiesa stessa.
Ma chi è veramente Giordano Bruno? Per capirlo occorre più che mai
ricominciare da capo e considerare aspetti biografici normalmente
poco conosciuti o abilmente celati.
Bruno nasce a Nola nel 1548 e,
ancora molto giovane, a Napoli, per continuare gli studi, veste
l'abito dei domenicani. Rimane per dieci anni in convento,
laureandosi in teologia e ricevendo gli ordini sacri, ma ben
presto si scontra con i superiori come sospetto di eresia, in
quanto da tempo si è dedicato a pratiche e a letture proibite. Il
giovane filosofo nel 1576 lascia il convento e fugge. Bruno, sulla
base della lettura di testi ermetici e magici, sviluppa una
sofisticata ars memoriae, una memoria artificiale cioè, che
fa da fondamento a tutte le sue successive concezioni.
Elabora intanto una metafisica che
concepisce l'universo come infinito e privo di centro, increato,
dove Dio è pensato panteisticamente come coincidente con il mondo
e con la natura; il cosmo è pertanto infinito e in esso tutto
viene divinizzato.
Questa filosofia porta con sé la
necessità di distruggere il cristianesimo, la sua morale, la sua
concezione dell'uomo, segni per il filosofo di un'estrema
decadenza e povertà del mondo.
Giordano Bruno inizia quindi una
serie di drammatiche peregrinazioni attraverso l'Europa. La sua
prima tappa importante è a Ginevra, dove aderisce alla confessione
calvinista dominante per venire ben presto processato, scomunicato
e costretto a fuggire in Francia. Qui entra in contatto con Enrico
III di Valois che forse, secondo la Yates, lo invia in Inghilterra
con una precisa missione politico-culturale: cercare di convincere
la regina Elisabetta e i circoli colti della corte inglese ad
aderire alla nuova religiosità magica ed "egiziana" di cui Bruno
si fa banditore e sacerdote. Lo scopo è smorzare la
contrapposizione fra cattolici e protestanti trovando un comune
terreno "ermetico" di intesa in funzione antispagnola. Un altro
storico inglese, John Bossy, nel 1991 pubblica un testo
fondamentale, "Giordano Bruno e il mistero dell'ambasciata", in
cui avanza la tesi che Bruno a Londra si sia posto al servizio dei
servizi segreti di Sir Walsingham, aiutandoli a sventare i
complotti dei cattolici inglesi, giovandosi a questo scopo anche
delle confessioni che carpisce in qualità di sacerdote
all'ambasciata francese di cui è ospite.
Dopo l'esperienza inglese, e un
breve e sfortunato ritorno in Francia, Bruno passa un lungo
periodo in diversi stati tedeschi e a Wittenberg tesse uno
strabiliante (e strumentale) elogio di Lutero, infarcito di accuse
durissime contro il Papa. La sua adesione opportunistica al
luteranesimo non gli impedisce però di essere scomunicato ancora
una volta ad Helmstadt proprio dai protestanti locali. Bruno è
infatti tradito dal suo carattere focoso e irascibile, dal suo
senso smisurato del proprio valore. Nel 1591 è raggiunto da un
invito di un nobile veneziano, il Mocenigo, che vorrebbe imparare
da lui la mnemotecnica.
Perché il filosofo accetta il
rischio di rientrare in Italia?
Secondo il Corsano lo si comprende
se si considerano i testi di magia nera che Bruno ha scritto in
Germania prima del rientro a Venezia: sono scritti terribili in
cui il mago italiano sviluppa tecniche per realizzare "legamenti"
magici e soggiogare così le persone che si intendono asservire ai
propri scopi. Forte di queste tecniche Bruno intenderebbe
nientemeno che recarsi a Roma e conquistare il Papa, spingendolo a
riformare il cattolicesimo in senso magico-egiziano: un progetto
incredibile che fa dire alla Yates, una studiosa solitamente molto
prudente, che il filosofo è ormai ai confini della follia, del
delirio conclamato.
Il Mocenigo però rimane sconvolto
da quanto vede e sente fare dal suo ospite - in particolare dalle
sue bestemmie - e lo denuncia all'Inquisizione con accuse molto
precise; il tribunale veneziano lo arresta senza esitazioni.
Inizia in tal modo la fase
veneziana del processo di Giordano Bruno che si conclude con una
spettacolare e spontanea abiura da parte del filosofo di Nola, che
ritratta le sue convinzioni - non si sa quanto sinceramente - e
invoca il perdono dei giudici promettendo di ravvedersi. Il Sant'Uffizio
romano ha però deciso di avocare a sé la causa e ottiene dalla
Repubblica di Venezia il trasferimento dell'imputato: inizia così
la seconda parte del processo, che si svolge a Roma a partire dal
febbraio del 1593 per ben sette anni. L'Inquisizione romana si
muove con una scrupolosità straordinaria: verbalizza minutamente
numerosissimi interrogatori, fa analizzare da teologi esperti
tutte le opere di Bruno, sottopone ripetutamente al filosofo
elenchi di errori filosofici e teologici che gli chiede di
abiurare, fornendo all'inquisito ampi mezzi di difesa.
Contrariamente a quanto si è abituati a pensare, la cella in cui
Bruno viene rinchiuso e dove rimarrà per sette anni è - a detta
del grande storico Luigi Firpo - un luogo abbastanza vivibile,
ampio e luminoso, dove la biancheria viene cambiata due volte alla
settimana e dove l'imputato può usufruire di vari servizi come il
barbiere, i bagni, la lavanderia. Nei verbali rimane traccia, ad
esempio, della richiesta avanzata da Bruno di avere un cappello di
lana per l'inverno e una copia della Summa di Tommaso, richieste
prontamente soddisfatte.
A Roma, nel corso del 1597, forse
subisce una seduta di tortura; "forse" perché non va dimenticato
che per l'Inquisizione la semplice minaccia di ricorrere alla
tortura viene registrata nei verbali come tortura effettivamente
somministrata.
All'inizio del 1600 il Tribunale
presieduto dal cardinale Bellarmino, che ha tentato in tutti i
modi di convincere il filosofo dei suoi errori, dopo una lunga
serie di ultimatum posti al Bruno, a cui egli risponde con la
promessa di voler abiurare, per poi tornare sui suoi passi, decide
di consegnarlo al braccio secolare: si arriva così al tragico rogo
del 17 febbraio 1600.
Dunque la morte di Bruno, per quanto tragica, se contestualizzata
nel momento e nelle condizioni storiche in cui avvenne, non ha
nulla né di misterioso, né di barbaro; ed anzi si può affermare,
senza essere temerari, che pochi altri processi - non solo
cinquecenteschi - hanno visto da parte dei giudici mettere in atto
un comportamento così scrupoloso e corretto, così moralmente e
deontologicamente irrepresensibile.
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E' largamente noto come nessun altro processo inquisitoriale
quanto quello di Giordano Bruno, sia stato usato, innanzitutto
dalla massoneria ottocentesca, come strumento d'attacco alla
Chiesa Cattolica. L'operazione è stata condotta presentando in
modo distorto la natura del processo stesso.
Bruno in realtà, sospettato già in
gioventù di crimini assai gravi, frate apostata e fuggiasco, in
qualunque luogo abbia soggiornato in Europa è giunto
immancabilmente a provocare aspre reazioni a lui avverse, in
particolare nei paesi protestanti, dovendo a più riprese fuggire
precipitosamente. Inoltre non è stato un pensatore puro e
disinteressato, ma, al contrario, si è impegnato in progetti
politici di fatto sovversivi svolgendo, probabilmente, attività di
spionaggio, e sognando addirittura, prima dell'arresto, di sedurre
il Papa e di rinnovare personalmente la religione cattolica per
trasformarla in un nuovo culto "egiziano". Mago oltre che
filosofo, il suo processo è uno dei più corretti e rigorosi che
mai il Sant'Uffizio abbia condotto: al punto che i giudici
giungono ad alterare le procedure pur di dargli un'ulteriore
possibilità di ravvedimento.