Indice
Cronologia
politica degli avvenimenti in Italia nel 1964
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BREVE
STORIA DEI SERVIZI SEGRETI ITALIANI
Non esistono i servizi segreti deviati, ma le
deviazioni dei servizi segreti.
I servizi segreti
dell’Italia democratica nascono ufficialmente il 1 settembre 1949,
sulle ceneri - ma mantenendo in pieno uomini e strutture - del
vecchio SIM, il servizio d’informazione militare, nato durante il
regime fascista: il suo nome è SIFAR (Servizio Informazioni Forze
Armate).
Già nella
costituzione del SIFAR c’è qualcosa di anomalo: nessun dibattito
parlamentare, ma solo una circolare interna, firmata dall’allora
ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, repubblicano.
Dalla nascita della
Repubblica, l’Italia ha atteso più di tre anni, quindi, per dar
vita all’organismo che dovrebbe tutelarne la sicurezza, il tempo
necessario a “scaricare” le sinistre dal governo e ad aderire al
Patto Atlantico.
Il primo direttore
del SIFAR è il generale di brigata Giovanni Carlo Del Re che opera
sotto l’esplicita supervisione dall’emissario della CIA in Italia,
Carmel Offie.
In carica per tre
anni, Del Re viene sostituito nel 1951 dal gen. Umberto Broccoli –
l’uomo che – almeno sulla carta - darà l’avvio a Gladio,
sostituito, neppure un anno e mezzo dopo, dal gen. Ettore Musco.
Anche Musco, che
nel 1947 aveva formato l’AIL (Armata Italiana per la Libertà) -
una formazione diretta da militari, sostenuta economicamente e
militarmente dai servizi segreti americani, incaricata di vigilare
su un’eventuale insurrezione comunista – fu uomo di stretta
osservanza CIA e proprio sotto il controllo americano portò a
termine l’acquisto dei terreni di Capo Marrargiu, in Sardegna,
dove sarebbe sorta la base di Gladio.
GLI ANNI DI DE
LORENZO
Ma è con l’avvento
ai vertici del Sifar del gen. Giovanni De Lorenzo che i
servizi segreti italiani si trasformano e cominciano a giocare un
ruolo preponderante sulla scena politica italiana. La nomina di De
Lorenzo non è casuale: a caldeggiarla, con insistenza, è
l’ambasciatrice degli USA Claire Booth Luce, ma il generale è uomo
molto gradito anche alle sinistre che per anni equivocheranno sui
suoi meriti resistenziali.
De Lorenzo assume
le redini del SIFAR nel gennaio del 1956. Resterà in carica fino
all'ottobre del 1962: quasi sette anni filati, fatto mai accaduto,
neppure in seguito, nella storia dei servizi segreti italiani.
E’ sotto la
gestione De Lorenzo che l’Italia sottoscriverà il piano, redatto
dalla CIA, denominato “Demagnetize” il cui assunto è:
<<La limitazione
del potere dei comunisti in Italia e in Francia è un obiettivo
prioritario: esso deve essere raggiunto con qualsiasi mezzo>>.
Gli anni di De
Lorenzo al SIFAR sono gli anni delle schedature di massa
degli italiani: verranno raccolti oltre 157 mila fascicoli, molti
dei quali abusivi e falsi, in gran parte del tutto superflui per
la sicurezza, ma utili strumenti di pressione e di ricatto.
Nominato sul finire
del 1962 comandante generale dell’Arma dei carabinieri e quindi
costretto a lasciare la guida del servizio segreto, De Lorenzo
riuscì comunque a mantenere il controllo del SIFAR, facendo in
modo che al suo posto venisse nominato un suo fedelissimo, Egidio
Viggiani e che i posti chiave del servizio stesso fossero occupati
da suoi uomini di fiducia: Giovanni Allavena - responsabile,
contemporaneamente, dell’ufficio D (informazioni) e del CCS
(controspionaggio) ed in seguito egli stesso ai vertici del SIFAR–
e Luigi Tagliamonte che assumerà il doppio (e incompatibile)
incarico di responsabile dell’amministrazione del SIFAR e capo
dell’ufficio programmazione e bilancio dell’Arma.
E’ con De Lorenzo
ai vertici dei carabinieri che si acuisce la tensione in Alto
Adige, una regione attraversata all’epoca da una forte vena
irredentista filo-austriaca e, nel luglio del 1964, si ode il
famoso “rumor di sciabole” di cui parlò l’allora segretario
socialista Pietro Nenni, allorché la formazione del secondo
governo di centro-sinistra, guidato da Aldo Moro, si realizzò
sotto la minaccia, più o meno velata, di un colpo di stato: il
Piano Solo.
NASCE IL
SID.
Anche se lo
scandalo delle schedature del Sifar e del Piano Solo verranno alla
luce solo tre anni dopo, nel 1967, grazie ad una campagna di
stampa del settimanale L’Espresso, condotta dai giornalisti Lino
Jannuzzi ed Eugenio Scalfari, già nel 1965 il SIFAR viene sciolto.
E’ uno scioglimento
solo di facciata, l’ennesimo: con un decreto del Presidente della
Repubblica, il 18 novembre 1965, nasce il SID (Servizio
Informazioni Difesa) che del vecchio servizio continuerà a
mantenere uomini e strutture.
Il comando del SID
viene affidato all’amm. Eugenio Henke, genovese, molto vicino al
ministro dell’Interno dell’epoca Paolo Emilio Taviani,
democristiano.
Sotto la gestione
Henke – che resterà in carica fino al 1970 – prenderà l’avvio la
strategia della tensione che avrà come primo, tragico,
risultato la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969).
Henke lascia il SID
il 18 ottobre 1970 per essere sostituito dal gen. Vito Miceli che
già dal 1969 guidava il SIOS (il servizio informazioni)
dell’Esercito. Non trascorrono neppure due mesi dal nuovo cambio
della guardia ai vertici dei servizi segreti italiani, che nella
notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 un gruppo di neofascisti,
capeggiati dal “principe nero” Junio Valerio Borghese, ex
comandante della X MAS, mette in atto un ancor oggi misterioso
tentativo di colpo di stato, nome in codice “Tora, Tora”, passato
alla cronaca come il Golpe Borghese.
E’ noto che il
tentativo di colpo di stato fallì, o meglio aveva al suo interno
forze che ne avevano preventivato il fallimento. Di quel golpe che
sapeva molto era proprio il neo capo del SID, il gen. Vito Miceli
che nel sottile gioco delle alleanze politiche era legatissimo ad
Aldo Moro e nemico giurato di una altro potente democristiano:
Giulio Andreotti.
Miceli di quel
tentativo di golpe tacque: in primis con la magistratura. Quando
nel 1975 l’inchiesta giudiziaria sul Golpe Borghese arriverà alla
sua stretta finale, Miceli avrà già lasciato il servizio, travolto
da una serie di incriminazioni che porteranno al suo arresto per
altri fatti ancora oggi non del tutto chiariti, come la creazione
della Rosa dei Venti, un’altra struttura militare
para-golpista e lo scontro durissimo che lo opporrà al capo
dell’ufficio D, un fedelissimo di Andreotti, il gen. Gianadelio
Maletti. Gli anni della gestione Miceli sono gli anni dello
stragismo in Italia: da Peteano, alla strage alla
Questura di Milano, da Brescia all’Italicus.
Come era già
accaduto a De Lorenzo, anche Miceli finirà in parlamento: eletto,
anche lui, nelle file del MSI-DN di Giorgio Almirante, così come
anni dopo succederà ad un altro capo dei servizi segreti, il gen.
Antonio Ramponi, nelle file di Alleanza Nazionale di Gianfranco
Fini.
LA RIFORMA DEI SERVIZI
SEGRETI
La prima riforma organica dei servizi segreti – ma anche fino
ad oggi l’ultima – risale al 1977. Sempre più vicino all’area di
governo, impegnato in una politica improntata al consociativismo,
il PCI partecipa direttamente ed in prima persona, attraverso la
figura del sen. Ugo Pecchioli, alla riforma.
Per la prima volta viene introdotta una figura di
responsabile dell’attività dei servizi segreti di fronte al
Parlamento: è il Presidente del Consiglio che si avvale della
collaborazione di un consiglio interministeriale, il CESIS che ha
anche un compito di coordinamento. Inoltre i servizi devono
rispondere di quello che fanno ad un Comitato parlamentare.
Ma un importante novità introdotta dalla riforma dei
servizi segreti riguarda lo sdoppiamento dei servizi stessi:
al SISMI (Servizio d’Informazioni per la Sicurezza Militare) il
compito di occuparsi della sicurezza nei confronti dell’esterno,
al SISDE (Servizio d’Informazioni per la Sicurezza Democratica)
quello di vigilare all’interno. Con in più un’altra differenza: se
il SISMI resta completamente affidato a personale militare, il
SISDE diventa una struttura civile, affidata alla polizia che è
diventato un corpo smilitarizzato.
Una riforma, quindi, buona nelle intenzioni, ma che negli
anni a seguire produrrà soltanto risultati disastrosi, anche
perché gli uomini che andranno a far parte del SISMI e del SISDE
saranno gli stessi che hanno giàfarte del SIFAR e del SID e, per
quanto riguarda il servizio civile, del disciolto – e famigerato –
Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno.
Retto dal 1974 al 1978 dall’amm. Mario Casardi, il SISMI
vedrà l’ascesa, nello stesso anno, del gen. Giuseppe Santovito,
già stretto collaboratore di De Lorenzo.
Il SISDE, la cui direzione sarebbe dovuta spettare ad Emilio
Santillo, già capo dell’Ispettorato per l’antiterrosimo, pur
essendo una stuttura non militare finirà proprio ad un militare,
generale dei carabinieri Giulio Grassini.
Il primo scandalo in cui incappano i servizi riformati è
quello della Loggia P2. I nomi di tutti i vertici dei servizi
segreti (SISMI, SISDE ed anche del CESIS, l’organo di
coordinamento) sono compresi nella famosa lista del maestro
venerabile Licio Gelli, scoperta il 17 marzo 1981 dai magistrati
milanesi che indagano su Sindona.
IL RUOLO DEI SERVIZI SEGRETI NEI MISTERI DEGLI ANNI
OTTANTA
E’ questa forse una pagina che non è stata ancora scritta del
tutto. Di certo oggi sappiamo che entrambi i servizi segreti sono
dentro fino al collo nel caso Moro, i 55 giorni che
trascorsero fra il sequestro del presidente della DC da parte di
un commando delle Brigate rosse e l’uccisione dell’uomo politico.
Omissioni, inefficienze, tacite connivenze, depistaggi, forse
anche qualcosa di più.
Molto, ma molto di più invece nella strage di Bologna
dove per depistaggio, con sentenza passato in giudicato, sono
stati condannati, assieme a Gelli, alcuni uomini del SISMI, come
il gen. Pietro Musumeci e il col. Giuseppe Belmonte. E con loro
anche il faccendiere Francesco Pazienza, in seguito imputati anche
per aver creato una superstruttura occulta (il c.d. SUPERSISMI)
all’interno del servizio segreto militare, sospettato di aver
operato in collegamento con elementi della criminalità
organizzata.
C’è da aggiungere che uomini del SISMI sono rimasti implicati
anche nell’inchiesta sulla strage di Ustica.
Nel 1984 arriva al vertice del SISMI colui che passa per un
rinnovatore: è l’amm. Fulvio Martini. Resterà in carica fino al
febbraio del 1991 quando, assieme al suo capo di stato maggiore,
il gen. Paolo Inzerilli, finirà travolto dalla vicenda di
Gladio.
Parallelamente al Sisde si succederanno i prefetti Vincenzo
Parisi (1984-1987), che diventerà subito dopo capo della polizia e
Riccardo Malpica (1987-1991), che verrà poi condannato per lo
scandalo dei fondi neri del SISDE.
Il resto è storia recente. Gli uomini che siederanno ai
vertici di SISMI e SISDE nell’ultimo decennio sono, per fortuna
del Paese, tutte o quasi figure di scarso rilievo, ma, almeno
all’apparenza, tutte dotate di saldo spirito democratico.
I servizi segreti italiani sembrano aver scelto la linea del
basso profilo: forse servono a poco o a nulla. Ma almeno non fanno
danni.
Anche se – bisogna aggiungere - trattandosi di apparati di
sicurezza (sicurezza di chi?) bisogna sempre stare attenti a non
pronunciare mai una parola definitiva.
(fonte principale: G. De Lutiis – Storia dei servizi segreti
in Italia, Editori riuniti, varie edizioni)
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Colpo
di Stato:
le strade sono pattugliate dall'esercito,
il sinistro sferragliare dei mezzi blindati rompe il silenzio teso
della capitale. Gli oppositori sono già stati arrestati e
trasferiti in località segrete. Le libertà civili sono sospese;
ogni mezzora la televisione di Stato trasmette un messaggio del
generale…X…, che spiega che le Forze Armate hanno assunto il
potere per sventare gravi minacce eversive. Parlamento e governo
sono esautorati, una giunta militare avoca a sé tutti i poteri.
Coprifuoco e divieto di assembramenti. Sospesa la pubblicazione di
qualsiasi giornale non espressamente autorizzato dalla giunta
golpista. "Sono misure dure e severe, ma inevitabili per stroncare
alla radice i piani sovversivi di…"
La gente è chiusa
in casa. Nelle strade c'è quiete, ma nell'aria si respira una
forte tensione…
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Quando accadde
tutto ciò in Italia? Mai. Però, forse, qualcuno voleva
che accadesse .O forse voleva solo che si temesse… Era il luglio
del 1964 e il Paese affrontava una crisi di Governo che non era
come le altre; venivano al pettine i primi nodi della nuova
formula politica, il centro - sinistra. La paura dominava
una destra, che temeva involuzioni di tipo collettivistico, la
paura dominava una sinistra, che temeva involuzioni di tipo
autoritario. Probabilmente la paura dirigeva anche le azioni
dell'Autorità che avrebbe dovuto mantenere, dall'alto della sua
carica, i nervi a posto: il Presidente della Repubblica. Chi di
sicuro non aveva paura, bensì sicurezza e decisione (forse anche
un po' in misura eccessiva… ) era uno dei più stimati ufficiali
dell'esercito, il generale Giovanni De Lorenzo. Col senno di poi,
alcuni lo definirono aspirante golpista; altri, astuto
carrierista, avventuriero maneggione. Le vicende di cui ci
occupiamo accaddero nel luglio 1964 e passarono alla storia col
nome di "Scandalo SIFAR". Se e quanto in quella ormai lontana
estate furono realmente minacciate democrazia e libertà, ognuno lo
valuterà da sé, avendo la pazienza di leggere con noi la
ricostruzione di quei giorni. Ma per comprendere meglio il clima
in cui si generarono alcuni eventi, è necessario rifarci ad alcuni
anni prima e vedere insieme la situazione politica che si era
creata nel nostro Paese agli inizi degli anni sessanta.
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Col quarto governo
presieduto da Alcide De Gasperi
(in carica dal 31 maggio 1947) era cessata la collaborazione tra
democristiani, comunisti e socialisti che aveva caratterizzato i
governi del dopoguerra, basandosi ancora sulle alleanze stabilite,
in comune chiave antifascista, in seno al CLN (Comitato di
Liberazione Nazionale). Iniziava nel Paese, non solo in Parlamento
ma anche sulle piazze, una contrapposizione frontale tra Partito
Comunista e Democrazia Cristiana, che avrebbe conosciuto molti
momenti di tensione, favoriti anche dal corrispondente clima
internazionale, che vedeva l'URSS chiudersi nella "Cortina di
Ferro" coi suoi Paesi satelliti, uniti pure da un'alleanza
militare (il Patto di Varsavia), mentre i Paesi occidentali
a loro volta si riunivano, Stati Uniti in testa, in una
corrispondente e contrapposta alleanza, la NATO.
L'avvento delle
cosiddette "democrazie popolari" a guida comunista nei Paesi
dell'Est e il blocco di Berlino e la successiva, definitiva,
divisione della Germania, non fecero che aumentare in Europa la
paura per il possibile dilagare del comunismo. Questa paura era
tanto più forte in Italia, perché nel nostro Paese esisteva il più
forte partito comunista occidentale. A favorire poi le tensioni
sociali e politiche contribuivano senza dubbio gli atteggiamenti
miopi e gretti di una certa destra liberale e democristiana,
incapace di rendersi conto che le grandi migrazioni interne verso
il triangolo industriale del Nord, che avrebbero contribuito al
miracolo economico e all'industrializzazione del Paese,
andavano compensate da reali miglioramenti di vita per la classe
operaia. Se quest'ultima ebbe per diversi anni il PCI e il suo
omologo nel sindacato, la CGIL, come guide, ciò fu dovuto anche
alla scarsa capacità dei partiti di maggioranza di avviare una
seria politica di riforme sociali.
rappresentava il
maggior serbatoio di voti della DC, poteva essere la chiave di
volta per gestire un paese che intanto cresceva in modo
tumultuoso. Ai nostri giorni il quadro politico è completamente
cambiato e forse queste considerazioni possono sembrare astruse;
ma si consideri che per oltre quarant'anni il dilemma "o coi
comunisti o con la democrazia cristiana" fu il nodo centrale della
politica italiana.
A livello
internazionale erano gli anni della guerra fredda, che
conobbe peraltro anche veri e propri eventi bellici che tennero il
mondo col fiato in sospeso, come la guerra di Corea. Ad accrescere
timori e confusione contribuivano poi, internamente, le correnti
di sinistra del PSI, masochisticamente legate al PCI e le
incertezze di Pietro Nenni, per anni leader del PSI; infine, le
perplessità del governo americano (la cui influenza era innegabile
anche sulle decisioni di politica interna italiana) circa un
ingresso dei socialisti al governo pesavano sulle reali
possibilità di manovra dei vertici della DC.
Agli inizi degli
anni Sessanta il clima politico del Paese si poteva insomma così
riassumere: timide aperture a sinistra da parte della DC verso il
PSI, osteggiate da una parte da liberali e destra democristiana, e
dall'altra parte dai comunisti, che non gradivano certo uno
sganciamento socialista dall'opposizione. |
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Questo iniziale
dialogo sembrò crollare nel 1960, quando dopo l'ennesima crisi
di governo (il secondo governo presieduto da Antonio Segni cadde
dopo che il PLI ritirò il suo appoggio, accusando la DC di
"guardare troppo a sinistra"), il Presidente della Repubblica,
Giovanni Gronchi, affidò l'incarico di formare il nuovo governo al
democristiano Fernando Tambroni. Questi, con un governo
monocolore democristiano, ottenne alla Camera la fiducia solo
grazie ai voti determinanti del Movimento Sociale Italiano (MSI),
partito con chiara impronta neofascista, formato perlopiù da
nostalgici.
La DC invitò
immediatamente il Governo a dimettersi, ma il presidente Gronchi,
dopo un inutile mandato esplorativo a Fanfani, respinse le
dimissioni di Tambroni, rinviandolo al Senato per completare la
procedura della fiducia. Il clima nel Paese si fece bollente e il
culmine delle tensioni si ebbe dopo le manifestazioni di piazza di
Roma, Reggio Emilia (dove cinque manifestanti furono uccisi dalla
polizia) e Genova, indette per protestare contro il congresso del
MSI che doveva convocarsi in questa città per il 2 luglio.
Il 27 luglio 1960 entrava in carica il governo presieduto da
Amintore Fanfani; monocolore anch'esso, ma sostenuto da
socialdemocratici e liberali, con l'astensione del PSI e dei
monarchici. Era il primo passo concreto per l'ingresso del PSI
nella stanza dei bottoni, anche se i socialisti si
limitavano a non opporsi. |
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La politica di
astensione dei socialisti sarebbe durata fino al primo governo
presieduto da Aldo Moro (grande sostenitore del centro sinistra),
che entrò in carica il 5 dicembre 1963, con Pietro Nenni
vicepresidente; il PSI diventava ufficialmente partito di governo,
ottenendo anche i ministeri della Sanità (affidato a Giacomo
Mancini), i Lavori Pubblici (Giovanni Pieraccini) e il Bilancio
(Antonio Giolitti). In quegli anni avevano contribuito a
rasserenare il clima politico internazionale anche i mutati
atteggiamenti sia del governo americano, con l'elezione di Kennedy
alla Presidenza USA, sia della Chiesa, che aveva avuto in Giovanni
XXIII un Pontefice non solo popolarissimo, ma anche acuto
osservatore politico dell'evoluzione della società.
I lettori ci
scuseranno questa digressione, non brevissima, ma necessaria, per
inquadrare gli avvenimenti che ci apprestiamo a rileggere insieme.
Il primo governo Moro non ebbe vita facile: il boom
economico dei primi anni sessanta iniziava già a sgonfiarsi e gli
italiani dovevano fare i conti con una nuova e sgradevole realtà,
l'inflazione, che falcidiava soprattutto i redditi delle classi
più deboli, quegli operai e quella piccola borghesia che avevano
iniziato da pochi anni a godere un poco di benessere. Lo scontento
popolare trovava eco nel governo: i socialisti accusavano Moro di
non aver tenuto fede al programma progressista e temevano
un'ulteriore indebolimento del loro Partito, già abbandonato da 26
deputati e 11 senatori, che per protestare contro l'appoggio
socialista al governo avevano fondato il PSIUP (Partito Socialista
Italiano di Unità Proletaria), che si era posto all'opposizione,
in sintonia con PCI. Per motivi opposti, accusando il partito
repubblicano di eccessivo sinistrismo, Randolfo Pacciardi
se ne era staccato, fondando l'Unione Democratica per la Nuova
Repubblica, partito dalla vita peraltro effimera, al quale
aveva aderito una strana congerie di personaggi, da ex missini, a
ex socialdemocratici, a monarchici. |
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Insomma, come
dicevamo all'inizio, venivano al pettine i nodi
di un'alleanza politica che era ancora tutt'altro che stabile, in
una società dove erano ancora molto forti,
soprattutto in
campo industriale, le componenti francamente reazionarie, alle
quali si opponevano peraltro spesso velleitarismi barricadieri del
PCI e della CGIL, col solo risultato di allarmare la parte
cosiddetta moderata dell'elettorato.
La crisi latente
esplose il 25 giugno 1964, quando il governo Moro fu messo in
minoranza alla Camera su un capitolo del bilancio dello Stato che
prevedeva il finanziamento alle scuole private, osteggiato da
socialisti e repubblicani. Aldo Moro presentò le dimissioni e a
questo punto, come vuole la Costituzione, spettava al Presidente
della Repubblica la soluzione della crisi.
Antonio Segni era
al Quirinale dal 6 giugno 1962, eletto con 443 voti al nono
scrutinio, grazie all'appoggio determinante dei suffragi missini e
monarchici. Segni, contrario all'ingresso dei socialisti nel
governo, era stato fortemente sostenuto nella sua elezione alla
massima carica dello Stato proprio da Aldo Moro, dominus
della DC e principale sostenitore del centro sinistra, che voleva
così dare un messaggio rassicurante alla destra democristiana, per
averne in cambio la via libera al proprio progetto politico. Segni
non godeva di buona salute e veniva descritto come uomo di
carattere estremamente ansioso. Di certo si trovò al centro di una
crisi politica tutt'altro che facile, con i partiti della
liquefatta maggioranza che si scaricavano a vicenda la
responsabilità per la crisi di governo e che non riuscivano a
trovare un accordo su un programma comune per ridare una guida al
Paese. |
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Se temeva la
formazione di un governo troppo spostato a sinistra
(tra l'altro, uno dei punti in discussione era l'istituzione delle
Regioni, vista ancora da gran parte della DC come la creazione di
pericolose roccaforti comuniste, specie in Toscana, Liguria ed
Emilia Romagna), Segni era preoccupato anche dal progetto della
destra democristiana, di comporre un governo monocolore di
tecnici, con chiara impronta reazionaria: il ricordo dei
tumulti contro il governo Tambroni era ancora troppo vivo. Infine
l'eventuale scioglimento delle Camere e il ricorso a nuove
elezioni rischiava di tradursi in una grave sconfitta per la DC.
In questo preoccupante clima, pare che il Presidente della
Repubblica avesse trovato conforto in un uomo che sprizzava invece
energia e sicurezza: il generale Giovanni De Lorenzo.
Giovanni De
Lorenzo si poteva definire un militare dalla carriera brillante:
in prima linea nella lotta partigiana, dal 1955 al 1962 aveva
diretto il SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate Riunite),
ossia il servizio di spionaggio e controspionaggio militare. Dopo
questo incarico, ne aveva ricevuto un altro, non meno prestigioso,
quello di comandante generale dell'Arma dei Carabinieri (la
Benemerita ai tempi faceva parte dell'esercito e il suo comandante
generale era sempre un ufficiale provenienti dai ruoli di altre
armi). Di quelli che furono i metodi di gestione del generale De
Lorenzo sia come capo del SIFAR, sia come comandante generale
dell'Arma, si sarebbe iniziato a parlare, come vedremo, tre anni
dopo. Nei giorni di quella difficile crisi di Governo ci fu solo,
il 13 luglio 1964, uno stringato comunicato del Quirinale che
annunciava che il Presidente della Repubblica aveva ricevuto al
Quirinale il generale Giovanni De Lorenzo. |
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Di lì a pochi
giorni la crisi si concluse: il 17 luglio Aldo Moro,
riconfermato alla Presidenza del consiglio dei Ministri, comunicò
a Segni la lista dei Ministri e il nuovo Governo (al quale non
partecipava il socialista Giolitti, sostituito al Bilancio dal
collega di partito Pieraccini) ebbe la fiducia delle Camere il 22.
Il programma, per ammissione degli stessi socialisti, risultava
annacquato, in particolare per l'accettazione, obtorto
collo, della politica deflazionistica e per l'esclusione di
nuove nazionalizzazioni, nonché per il rimando a tempi migliori di
ogni discussione sulla formazione delle Regioni. Sul quotidiano
socialista Avanti! comparve, il 26 luglio 1964, un
editoriale firmato da Pietro Nenni, col quale il leader
socialista, quasi preoccupato di giustificarsi, spiegava che il
PSI aveva preferito continuare la collaborazione al governo con la
DC, perché l'alternativa sarebbe stata solo quella di un Governo
di destra, "… nei cui confronti il ricordo del luglio 1960 (cioè
il governo Tambroni, N.d.R.) sarebbe impallidito".
Qui conviene fare
un attimo di sosta per chiarire alcuni punti che possono apparire
formali, ma che in verità hanno un'importante sostanza. Il
Presidente della Repubblica nel nostro ordinamento è
"irresponsabile", né esercita funzioni di governo. Ciò vuol dire,
agli effetti pratici, che ogni atto del Presidente della
Repubblica deve essere controfirmato dal ministro competente per
materia (che se ne assume la responsabilità) e che i contatti con
i dirigenti dello Stato competono ai singoli Ministri; il
Presidente della Repubblica può incontrare i dirigenti dello Stato
alla presenza del Ministro competente, e di certo non può
impartire direttive di alcun tipo. |
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Lo stesso
titolo di comandante supremo delle Forze Armate non ha
contenuto operativo, tant'è che per le questioni militari il
Presidente della Repubblica è affiancato da un consigliere
militare. Queste precisazioni sono importanti per comprendere che
appariva strano che il Presidente della Repubblica ricevesse al
Quirinale il comandante generale dei Carabinieri senza la presenza
del Ministro della Difesa e senza che il comunicato del Quirinale
chiarisse motivi e contenuti dell'incontro. Ad alimentare le prime
voci contribuì anche una frase di Pietro Nenni (che spesso amava
esprimersi in modo sibillino), secondo il quale uno dei motivi
risolutori della crisi di governo sarebbe stato il "rumore di
sciabole". Chiacchiere su De Lorenzo ne correvano, ma perlopiù
erano relative al suo periodo presso il SIFAR, sussurrandosi da
parte di molti che il servizio di spionaggio e controspionaggio
non si occupasse solo di sicurezza dello Stato, ma anche di fare
il ficcanaso nella vita privata degli uomini politici più in vista
dell'opposizione. Comunque il governo di centro sinistra
annacquato entrò in carica ed ebbe vita lunga rispetto alla
media: un anno e mezzo, fino al 21 gennaio 1966.
La bomba scoppiò
l'11 maggio 1967; dopo una serie di articoli apparsi sulla rivista
L'Europeo, e passati abbastanza sotto silenzio, nei quali
si insinuavano gravi responsabilità da parte del Presidente della
Repubblica nella gestione della crisi di governo di tre anni
prima, quel giorno il settimanale L'Espresso uscì nelle
edicole con un clamoroso titolo di copertina: "Finalmente la
verità sul SIFAR: 14 luglio 1964, complotto al Quirinale. Segni e
De Lorenzo preparavano il colpo di Stato". |
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L'articolo,
firmato da Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi, chiamava
in causa sia Antonio Segni (che il 7 agosto 1964 era stato colpito
da trombosi cerebrale e il 6 dicembre dello stesso anno aveva
rassegnato le dimissioni per ragioni di salute), sia il generale
De Lorenzo, accusando quest'ultimo di aver predisposto un piano
segreto che prevedeva, con la sola partecipazione dell'Arma dei
Carabinieri (e perciò denominato "piano Solo") l'arresto e la
deportazione in Sardegna di numerose persone considerate
"pericolose per l'ordine pubblico", l'occupazione della RAI e di
altri importanti edifici pubblici della capitale, nonché dello
stesso Quirinale, in funzione "difensiva" da eventuali atti
sovversivi. Parimenti dovevano essere prese sotto controllo dei
carabinieri le centrali telefoniche e telegrafiche. Le liste di
persone da arrestare e deportare erano fornite dal SIFAR, sul
quale De Lorenzo continuava ad esercitare un forte potere, seppur
non ufficiale, tramite uomini a lui fedelissimi, piazzati negli
uffici più importanti ai tempi della sua direzione del servizio
militare di spionaggio.
L'articolo, che
forniva date e riferimenti precisi, scatenò una violenta bagarre
in Parlamento e lo stesso 11 maggio 1967 il ministro della Difesa,
il socialdemocratico Tremelloni, nominava una commissione di
inchiesta, presieduta dal generale Aldo Beolchini e composta dal
gen. Umberto Turrini e dal consigliere di Stato Andrea Lugo,
incaricata di verificare quanto affermato dall'Espresso. A
questa indagine ne seguirono altre: quella interna ai carabinieri,
affidata al vicecomandante dell'Arma, il gen. Giorgio Manes;
un'altra inchiesta del ministero della Difesa (commissione
Lombardi, 1968) e un'inchiesta parlamentare (1969), che si
concluderà con una relazione di maggioranza e diverse relazioni di
minoranza. |
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25 marzo 1964. Al
comando generale dell'Arma dei carabinieri
si tiene un'importante riunione. Si tratta di un rapporto che
viene tenuto dal comandante generale, De Lorenzo, presenti i
comandanti delle tre divisioni carabinieri (generale Markert,
generale Cento e generale Celi), il comandante la brigata
meccanizzata, generale Loretelli, il comandante la XI brigata,
generale Simonetti e i generali Fiore e Javarone. In tale riunione
viene data disposizione ai tre comandanti divisionali di
predisporre un piano che consenta, alla sola Arma dei Carabinieri
di far fronte, con i soli suoi mezzi e uomini, ad eventuali
situazioni di emergenza. Le bozze della prima stesura del "Piano
Solo" vengono redatte velocemente e consegnate al capo del 2°
reparto del comando generale, colonnello Tuccari; questi il 16
aprile convoca telefonicamente a Roma i tre capi di stato maggiore
divisionali per fornire loro le direttive necessarie per
armonizzare le tre bozze.
Al piano principale se ne affianca un altro, denominato "Piano
SIGMA", che prevede il richiamo, l'impiego e l'accasermamento di
alcune migliaia di carabinieri in congedo, necessari per far
fronte alle situazioni di emergenza, senza dover ricorrere alle
altre forze armate
o di polizia
preposte alla tutela dell'ordine pubblico. Col 10 maggio 1964 il
"Piano Solo" può dirsi completato in ogni particolare. Nel mese di
giugno vengono consegnati ai generali comandanti le divisioni
carabinieri gli elenchi di persone da arrestare (viene usato il
curioso termine di "enucleare"), forniti dal SIFAR. Queste liste
contengono i nominativi non solo di persone già note per la loro
pericolosità oggettiva (terroristi, pregiudicati per reati di tipo
politico ecc.) , ma anche di persone ritenute potenzialmente
pericolose per la loro appartenenza a partiti di sinistra,
sindacati, associazioni, nonché anche di personalità politiche
della maggioranza, ritenute però non affidabili. |
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Il 27 giugno 1964
si svolge
un'ultima riunione, presenti i comandanti delle legioni
carabinieri, per mettere a punto i dettagli operativi. Con questa
riunione il "Piano Solo" è definitivamente pronto e può scattare
in ogni momento, ma solo per ordine proveniente dal comandante
generale.
La redazione di
piani di emergenza è prassi normale per le Forze Armate; ma nel
caso specifico del "Piano Solo" le anomalie erano molte e gravi: -
il piano prevedeva non solo l'esclusiva partecipazione dell'Arma,
ma anche la totale segretezza nei confronti delle altre forze
preposte alla tutela dell'ordine pubblico; -
del piano non era al corrente neppure il Ministero dell'Interno,
al quale esclusivamente compete la tutela dell'ordine pubblico, da
esercitare tramite la Direzione Generale di Pubblica sicurezza,
diretta dal Capo della Polizia. Il Ministero dell'Interno compila
e aggiorna periodicamente piani di ordine pubblico, che prevedono
l'impiego, oltre che della Polizia, anche dei Carabinieri, della
Guardia di Finanza ed eccezionalmente di reparti delle Forze
Armate (esercito, marina e aviazione); - i piani di emergenza
prevedono sempre attività repressive e / o preventive da
esercitarsi nell'ambito delle leggi che regolano la materia, né
possono mai consentire atti arbitrari, quali la cattura e la
deportazione di persone "presunte pericolose" per le loro idee
politiche; - in ogni caso i piani di emergenza vengono redatti ed
aggiornati su ordine dell'autorità politica (Ministro
dell'Interno), mentre il "Piano Solo" era un'iniziativa autonoma
del comandante generale dell'Arma dei carabinieri. |
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Ma a tutte queste
anomalie nel comportamento del comando
generale dell'Arma si affiancavano quelle che venivano alla luce
nell'attività del SIFAR. Questo organismo, come risultò dalle
diverse inchieste, aveva iniziato dal 1959 una sistematica
schedatura di migliaia di persone, non giustificata da esigenze di
sicurezza. I responsabili provinciali degli uffici del SIFAR
avevano ricevuto l'ordine di iniziare a schedare e fascicolare
ogni informazione concernente le persone che a qualsiasi titolo si
occupavano di attività politica o sindacale, alla maggioranza o
all'opposizione, presenti sulle loro zone di competenza. Le
informazioni archiviate non riguardavano solo le opinioni espresse
o le attività strettamente politiche effettuate, ma comprendevano
fatti della vita privata, elencazioni delle proprietà,
comportamento dei familiari, abitudini intime, eventuali rapporti
extra coniugali.
Al 1962, si
accertò, i fascicoli conservati presso il SIFAR avevano raggiunto
l'assurda cifra di 157.000. Di questi solo poche migliaia potevano
avere una ragion d'essere in base ai compiti d'istituto dello
spionaggio militare. Non solo, scoperchiata la pentola dei servizi
segreti, vennero fuori altre cose interessanti, prima fra tutte il
fatto che da anni il SIFAR si era occupato di un'infinità di cose,
molto difficilmente ricollegabili alla sicurezza interna o allo
spionaggio e controspionaggio. Enrico Mattei, il centrifugo capo
dell'ENI, che non aveva mai nascosto la propria avversione al
Patto Atlantico, era stato oggetto delle attenzioni dei nostri
007, che tennero anche per anni uno stretto rapporto con la
Confindustria, alla quale era prassi normale fornire le
informazioni da quest'ultima richieste in materia di personale da
assumere o circa i comportamenti di diversi esponenti del mondo
sindacale. Vennero alla luce anche finanziamenti a giornali e
giornalisti e ad associazioni dalla vita effimera, nonché una
intensa attività informativa sui politici della stessa
maggioranza, a seconda della loro propensione o meno alla svolta
politica rappresentata dall'ingresso dei socialisti al Governo.
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Insomma, il SIFAR
si occupava di un po' di tutto, spiava tutto
e tutti e fascicolava, rinnovando in questo modo di agire i non
onorevoli fasti di Mussolini, che d'abitudine raccoglieva
fascicoli su amici e avversari, ben sapendo che prima o poi
potevano venire utili.
Da quello che
risultò dalle diverse inchieste, questa frenetica attività
informativa sarebbe iniziata sotto la Presidenza del predecessore
di Antonio Segni al Quirinale. Giovanni Gronchi aveva l'abitudine
di tempestare il generale De Lorenzo (che, come vedevamo, diresse
il SIFAR dal 1955 al 1962) di richieste di informazioni di ogni
tipo e il generale, spregiudicato quanto il Presidente, divenne
ben presto l'uomo più informato d'Italia, a beneficio non solo del
Presidente, ma anche suo proprio.
La brillante
carriera di De Lorenzo (che lasciata l'Arma dei carabinieri
avrebbe ottenuto un'ulteriore promozione, divenendo Capo di Stato
Maggiore dell'esercito), fu infatti facilitata anche da questa sua
posizione, che lo rendeva a un tempo utilissimo e temutissimo,
nonché capace di ricattare o quantomeno mettere in imbarazzo molte
personalità, politiche e militari. Ma le posizioni di potere
generano anche le invidie e ben presto nel SIFAR si formò un
"sotto - SIFAR"; uomini a loro volta tutt'altro che limpidi, come
il generale Aloja o il colonnello Rocca (morto suicida, con un
suicidio molto poco chiaro) agirono, più che nella preoccupazione
della legittimità, solo in funzione anti - De-Lorenzo. Del resto,
il fatto stesso che le informazioni circa i piani militari del
1964 e le attività del SIFAR pervenissero alla stampa prima che
alla magistratura, la dice lunga sul modus agendi che ormai
si era instaurato nei servizi segreti militari. |
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Era prassi
normale tenere i segreti nel cassetto, in attesa di
utilizzarli a proprio beneficio o a beneficio di chi li avrebbe
ben compensati. De Lorenzo comunque perse il posto di capo di
stato maggiore dell'esercito in seguito al doppio scandalo "Piano
Solo - SIFAR", ma si consolò dandosi alla politica e venne eletto
deputato, il 19 maggio 1968, nelle file monarchiche, dalle quali
passò poi agilmente al MSI, dimostrando, se ancora ve ne era
bisogno, che il massimo interesse che lo spingeva in ogni scelta
era il tornaconto personale: il PDIUM, retto da Covelli, uomo
fuori dal tempo, ma grande galantuomo, era un partito destinato ad
estinguersi, mentre il MSI, guidato da Almirante, era un partito
tenuto nel ghetto dalle altre formazioni politiche, ma che dava
molte più garanzie di mantenere la presenza in Parlamento.
La degenerazione
del SIFAR spinse il Parlamento a porre mano alla riforma dei
servizi di informazione militare, costituendo il nuovo SID
(Servizio Informazioni Difesa), con compiti e dipendenze
gerarchiche inequivoche; il ministro della Difesa Tremelloni
assicurò che si era dato corso alla distruzione dei fascicoli
illegalmente compilati, ma nessuno fu mai in grado di poter
verificare con mano come e quanto avvenne questa distruzione (né
si sapeva se esistessero copie, e in che numero…). Resta lecita a
questo punto una domanda fondamentale: in quel luglio 1964 si
progettò davvero un Colpo di Stato?
Se al generale De
Lorenzo di possono imputare molte colpe, di certo l'uomo non era
uno stupido e appare poco credibile che un militare della sua
esperienza credesse davvero di poter controllare un Paese vasto
come l'Italia con la sola Arma dei carabinieri (per quanto
rinforzata da qualche migliaio di richiamati), senza poter tra
l'altro sapere le eventuali reazioni degli altri organi dello
Stato preposti alla tutela dell'ordine pubblico. La preparazione
del "Piano Solo" appare molto di più come un'ostentazione di forza
e di organizzazione, e anche una intimidazione: a beneficio di
chi? Antonio Segni, gravemente minato nel fisico, non fu mai più
in grado di chiarire la sua reale posizione nella vicenda, ma si
possono fare delle supposizioni legittime sulla base dei fatti.
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Il "Piano Solo"
consentiva a De Lorenzo di presentarsi come l'uomo
in grado di difendere il Paese dall'emergenza sovversiva, trovando
nel Presidente Segni l'uomo che non desiderava altro che sentirsi
rassicurato, probabilmente essendo in quelle condizioni
psicologiche che spingono a non riflettere più, ma ad aggrapparsi
alla mano che viene tesa, senza troppo chiedersi se quella mano
non nasconda anche un anello avvelenato. Parimenti le "voci" su un
rischio di colpo di Stato potevano comunque servire a tenere a
bada una sinistra, che a sua volta non dimostrò in tutta la
vicenda né determinazione né idee chiare. Si pensi che Nenni (lo
stesso che aveva parlato di "rumore di sciabole" nella soluzione
della crisi di governo), ammonito dal segretario del PSI, De
Martino, sulla inaffidabilità di De Lorenzo, ne approvò in
Consiglio dei ministri la nomina a capo di stato maggiore
dell'esercito, accontentandosi di "assicurazioni sulla lealtà" del
chiacchierato generale, espresse da Taviani (Ministro
dell'Interno) e Andreotti (Ministro della Difesa). Chi ne uscì
vincitore su tutti fu il generale, promosso a un incarico
superiore e di fatto dominatore delle ansietà di una classe
politica che si mostrò fondamentalmente pavida. |
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De Lorenzo alla
guida di un Colpo di Stato? E perché mai?
Quali vantaggi ne avrebbe mai tratto? Di sicuro ne trasse molti
dicendo e non dicendo, progettando ed ostentando sicurezza. Segni
invece sarebbe stato realmente disponibile? Nessuno lo può dire,
ma giova comunque ricordare che l'ordine operativo per il "Piano
Solo" poteva essere dato da una sola persona, il comandante
generale dell'Arma, insomma, ancora lui, il generale Giovanni De
Lorenzo.
Piano Solo -
SIFAR: una vicenda da basso impero, uno scandalo squallido da cui
tutti uscirono inzaccherati, politici e militari. E in fondo gli
unici ad uscire a testa alta dalla vicenda furono i giornalisti,
Scalfari e Jannuzzi, che esercitarono il diritto-dovere di
informazione e, se anche calcarono la mano su presunti pericoli
corsi dalle libere istituzioni, fecero sapere un po' meglio agli
Italiani come funzionava l'Italia.
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Cronologia politica degli avvenimenti in
Italia nel 1964
9 Ottobre 1963 |
A Roma durante una manifestazione sindacale avvengono
incidenti. Strani personaggi in tuta mimetica e in divisa da
poliziotto aggrediscono pesantemente i manifestanti
provocando centinaia di feriti e molti danneggiamenti. Il
senatore Ferruccio Parri accusa di aver agito come squadre
di provocatori le unità clandestine costituite dal
colonnello Rocca. Un'ex generale del SID affermerà molti
anni dopo, "...gli uomini dell'organismo parallelo erano
stati accompagnati nei dintorni di Piazza SS. Apostoli dove,
in alcuni appartamenti e nel cortile di un palazzo, avevano
ricevuto e indossato tute mimetiche e divise di polizia. Poi
avevano cominciato a lanciare sassi sugli edili, partendo
quindi alla carica con randelli...". I misteriosi soggetti,
risulterà, appartenevano a Gladio |
4 Gennaio 1964
|
Durante il viaggio in Israele di Paolo VI la sua scorta è
affidata ad Allavena per il SIFAR e Mons. Marcinkus per i
servizi del Vaticano |
Febbraio |
Il SIFAR entra nel Comando Clandestino Alleato |
Marzo
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La giunta della Confindustria stanzia 35 miliardi per
finanziare il "Piano Noto" |
1 Marzo |
Randolfo Pacciardi fonda l'"Unione Popolare Democratica per
una Nuova Repubblica", in cui confluiscono molti fascisti,
fra cui Enzo Dantini ed Antonio Aliotti di Avanguardia
Nazionale. Il programma prevede l'instaurazione di una
repubblica presidenziale in Italia. |
23 Marzo |
Il capo del reparto D del SIFAR, Allavena, chiede una
informativa al colonnello Rocca su Ordine Nuovo |
16 Aprile |
Il colonnello Rocca sollecita l'ing. Valerio, amministratore
delegato della Edison e capofila della parte della
Confindustria contro la svolta a sinistra, ad aiutare
economicamente Pacciardi, ma questi rifiuta dicendo che
sarebbero "...soldi buttati..." |
Maggio |
Giorgio Pisanò fonda il "Movimento per la Seconda
Repubblica". Nello stesso periodo in Puglia e in Lazio si
formano i Centri di Azione Agraria coordinati dal principe
Ruspoli |
10 Maggio |
Pacciardi durante un comizio all'Adriano di Roma invita
esplicitamente allo scontro fisico con le sinistre |
Giugno |
Squadre di civili si addestrano nella base di Capomarrargiu |
6 Giugno
|
Pacciardi chiede che il presidente della repubblica componga
un governo di salute pubblica sciogliendo il Parlamento |
14 Giugno |
A Roma si svolgono le celebrazioni per i 150 anni dell'Arma
dei Carabinieri. Durante la cerimonia sfila l'XI brigata
meccanizzata con 20 cingolati, 50 autoblindo e 32 mezzi
corazzati. De Lorenzo annuncia che, per il protrarsi delle
celebrazioni, i reparti speciali affluiti a Roma non
potranno abbandonare la capitale prima del 20 Luglio. I
principali esponenti politici dormono fuori casa |
22 Giugno |
Il primo governo Moro entra in crisi |
Luglio
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Tentativo di colpo di stato del generale Giovanni De
Lorenzo, in opposizione all'ipotesi di un governo di centro
sinistra con contenuti sociali avanzati ("Piano Solo"). Sono
trasmesse liste di persone di sinistra da "enucleare" tratti
dalla schedatura di 157.000 persone e 40.000 movimenti,
organizzazioni, associazioni e gruppi vari, creata negli
anni precedenti. Il piano prevede l'impiego di milizie
volontarie di destra, cioè dell'organizzazione armata
clandestina che verrà poi conosciuta come "Gladio",
l'internamento nelle basi militari in Sardegna (una di
queste viene individuata in quella di Capo Marrargiu) delle
personalità che avrebbero potuto essere ostili al nuovo
regime. Il nuovo governo avrebbe dovuto essere presieduto da
Cesare Merzagora, presidente del Senato, che rappresenta da
anni a Roma il mondo industriale finanziario del nord
Italia. Una grande esercitazione NATO denominata "Corazza
Alata" si svolge contemporaneamente. Il colpo di stato
rientra dopo che i socialisti cedono sul programma |
5 Luglio
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Durante un comizio a Bari, Pacciardi e Ruspoli chiedono la
fine del centro sinistra ed un governo di salute pubblica.
Partecipa al comizio anche Stefano Delle Chiaie. Il
settimanale "Epoca", in edicola quella settimana, esce con
una copertina tricolore su cui è scritto: "L'Italia che
lavora chiede al Capo dello Stato un governo energico e
competente che affronti subito con responsabilità la crisi
economica ed il malessere morale che avvelena la nazione." |
25 Luglio |
La crisi di governo è risolta. Il nuovo incarico è affidato
ancora a Moro che propone la stessa composizione del
precedente |
6 Settembre |
In una baita della Val Pusteria viene ucciso Louis Amplatz e
ferito George Klotz, entrambi ricercati perché sospettati di
essere gli autori di numerosi attentati in Alto Adige.
Subito dopo il fatto Christian Kerbler, irredentista anche
lui, ma che risulterà essere un informatore della squadra
politica della questura, presente al fatto, si presenta
spontaneamente in una caserma degli alpini, ma durante il
trasferimento fra Merano e Bolzano, Giovanni Paternel, capo
della squadra politica di Bolzano, lo fa fuggire; 22 anni
dopo sarà condannato in contumacia per l'uccisione di
Amplatz. Paternel però dichiarerà che a far fuoco erano
stati in realtà i carabinieri, ciò verrà confermato da altre
testimonianze. Risulterà poi dalle indagini del giudice
Mastelloni che il gen. De Lorenzo "...voleva esperire la
possibilitàdi uccidere uno o due terroristi sudtirolesi..."
e che in tale intento erano implicati anche il questore di
Bolzano Ferruccio Allitto Bonanno e il funzionario
dell'Ufficio Affari Riservati Silvano Russomanno |
15 Novembre |
Il bagagliaio del treno Brenner Express, staccato dal
convoglio dopo una segnalazione anonima, salta in aria.
L'attentato e il suo preordinato fallimento sono attribuiti
al SIFAR nel quadro di una manovra diretta a preservare "...l'italianità
dell'Alto Adige ..." che la NATO esige |
10 Dicembre |
Visita in Italia di Ciombè . Si svolgono numerose
manifestazioni di protesta della sinistra che vengono
attaccate dalla polizia che è spudoratamente affiancata
dagli squadristi di Avanguardia Nazionale |
24 Dicembre |
Giuseppe Saragat viene eletto presidente della repubblica
dopo che Antonio Segni, colpito da ictus, rassegna le
dimissioni. |
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BIBLIOGRAFIA
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tratto da:
http://www.storiain.net/arret/num88/artic2.asp
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