KRONSTADT 1921 - RIVOLTA E REPRESSIONE DEI
MARINAI INSORTI
CONTRO LA
DITTATURA BOLSCEVICA DI LENIN E TROTSKIJ
NOTA
INTRODUTTIVA:
«Fu il lampo», ebbe a dire Lenin
della rivolta di Kronstadt «che illuminò meglio di ogni altro
fatto la nostra realtà». Nel marzo del 1921 i marinai della base
navale del Golfo di Finlandia, "onore e gloria" della rivoluzione
russa, si ribellarono contro il governo bolscevico, che pure
avevano aiutato a conquistare il potere. Con la parola d'ordine
"liberi soviet", fondarono una comune rivoluzionaria che
sopravvisse sedici giorni, prima di soccombere di fronte alle
truppe inviate contro di loro attraverso il ghiaccio. Dopo una
lunga e selvaggia battaglia che fece riscontrare gravi perdite da
ambo le parti i ribelli dovettero cedere. Sotto molti punti di
vista i fatti di Kronstadt costituirono un primo esempio dei molti
eventi successivi che avrebbero indotto tanti radicali delusi a
rompere con il movimento e a richiamarsi alla purezza originaria
dei propri ideali. La rivolta, che per Lenin rappresentò il fatto
più grave da fronteggiare dopo la presa del potere con il colpo di
Stato bolscevico ed i massacri degli oppositori interni (c.d.
"menscevichi"), ancor oggi rappresenta, per gli irriducibili
nostalgici del «sogno umanitario» marxista, ciechi sino alla fine
di fronte ai suoi agghiaccianti genocidi, vuoi il simbolo
dell'ultimo tentativo di riscattare una rivoluzione tradita, vuoi
la copertura di una cospirazione degli zaristi tramata nei circoli
dei russi emigrati all'estero.
Più che una città, Kronstadt è un'isola fortificata del Mar
Baltico, in posizione strategica nel Golfo di Finlandia in quanto
proprio di fronte a San Pietroburgo (che all'epoca dei fatti si
chiamava Pietrogrado ed era la capitale della Russia) ed alla
costa di Oranienbaum, base dell'aviazione russa del nord. La sua
importanza militare si nota ancora in tempi recenti, tant'è che
solo a metà degli anni Novanta, ben dopo il crollo dell'URSS, le
autorità russe hanno finalmente consentito ai turisti stranieri di
sbarcarvi per visitarne i monumenti. Fino a quel momento l'area
era interdetta ai civili, e controllata a vista.
GLI ANTEFATTI: LA GUARNIGIONE DI
KRONSTADT COME «ONORE E GLORIA» DELLA RIVOLUZIONE BOLSCEVICA
Kronstadt aveva
una storia di acceso radicalismo che risaliva al primo grande
sollevamento della Russia nel XX secolo, la rivoluzione del 1905.
Gli opuscoli illegali erano apparsi nella base navale già nel
1901, e subito dopo i marinai cominciarono a costituire circoli
ove discutere i problemi politici e sociali ed esporre le loro
rivendicazioni: soprattutto i bassi salari, il cattivo cibo e la
rigorosa disciplina alla quale erano sempre stati sottoposti.
L'ondata di scioperi, rivolte contadine, atti terroristici, che
scosse il paese tra il 1902 ed il 1905 fu vista da loro con
simpatia, e contribuì a elevare la loro coscienza politica e
sociale. L'insubordinazione nei confronti degli Ufficiali ed altre
manifestazioni di indisciplina erano divenute un fatto quotidiano.
Nel 1905, dopo lo scoppio della guerra russo-giapponese e della
rivoluzione, quanto ancora poteva restare del loro morale subì un
tracollo decisivo dopo la battaglia di Tsushima, dove gran parte
della flotta venne affondata dai Giapponesi. Ulteriore stimolo
all'azione rivoluzionaria, se pur ve n'era bisogno, venne dato dal
drammatico ammutinamento della Potiomkin del giugno 1917
nella flotta del Mar Nero. I primi gravi disordini scoppiarono a
Kronstadt nell'ottobre del 1905, quando la rivoluzione era al
culmine, e indicarono una strada che doveva divenire sempre più
consueta negli anni successivi. Nei giorni successivi la tensione
si accrebbe con impressionante rapidità: il 25 ottobre si ebbe una
manifestazione di protesta nella mensa dei marinai, dopo che
alcuni si erano lamentati per il cibo. Grida di "Ammazza il
Comandante!" si levarono tra il frastuono dei piedi e del
martellare delle posate. Il giorno dopo Kronstadt si ribellò
apertamente. La rivolta, del tutto spontanea per la sua origine,
degenerò presto in un'orgia di saccheggi e distruzioni assai
simile agli ammutinamenti degli streltsi durante il regno
di Pietro il Grande. Una folla di marinai e di soldati imperversò
per le strade cittadine, frantumando le vetrine dei negozi e dando
fuoco alle case. Vennero erette barricate e occupate parecchie
abitazioni come roccaforti contro l'atteso arrivo di forze di
repressione da Pietroburgo. La sommossa durò due giorni, fece 17
morti e 82 feriti prima che le truppe governative restaurassero
l'ordine. Circa 3.000 ammutinati vennero arrestati; molti di loro
vennero condannati ad anni di prigione o di esilio, benché nessuna
condanna a morte fosse comminata. Il 19 luglio 1906 si verificò
una seconda e più grave ribellione, suscitata questa volta da un
ammutinamento nel porto di Sveaborg: imperversò per due giorni e
la sua forza motrice era ancora l'odio per l'autorità e la
disciplina. Da entrambe le parti si combatté con ferocia, giacché
i ribelli erano spinti dalla frustrazione e dalle offese, mentre
le autorità erano spronate dalla fiducia in una rapida vittoria,
ora che l'ondata rivoluzionaria in Russia aveva cominciato a
scemare. Questa volta 36 esponenti della rivolta vennero
giustiziati, mentre centinaia furono imprigionati o esiliati in
Siberia.
Nel 1917, agli albori della rivoluzione d'ottobre, Kronstadt fu
ancora una volta al centro di una sfrenata attività
rivoluzionaria. Sotto l'influenza dell'estrema sinistra, che in
quell'anno predominava ideologicamente tra gli abitanti dell'isola
di Kotlin, Kronstadt si proclamò "comune rivoluzionaria"
sull'esempio della comune di Parigi del 1871: nel maggio 1917 il
soviet di Kronstadt, che si era auto-organizzato sotto la
direzione di bolscevichi, anarchici, socialrivoluzionari di
sinistra e radicali apartitici di tutte le correnti, rifiutò di
sottomettersi all'autorità del governo provvisorio e si autonominò
"unico potere della città". Venne organizzata una milizia popolare
per difendere l'isola da ogni intervento esterno contro la sua
sovranità, e gli abitanti di Kronstadt manifestarono un vero
talento per l'organizzazione spontanea: a parte vari comitati,
uomini e donne che lavoravano nella stessa azienda o vivevano
nella stessa zona formarono delle piccole comuni agricole di circa
50 membri e cominciarono a coltivare tutto il terreno arabile a
disposizione sul nudo territorio dell'isola. Poiché teneva
moltissimo alla sua autonomia, la popolazione di Kronstadt
sostenne fin da subito la parola d'ordine "tutto il potere ai
Soviet" avanzata nel 1917 da Lenin, ma interpretandola in modo
letterale: ogni località, cioè, doveva amministrare da sola i
propri affari, senza nessuna interferenza di altre autorità
centrali. Questa ingenuità sarà la miccia della rivolta del 1921
contro la dittatura di Lenin, prontamente repressa nel sangue. Ma
procediamo con ordine.
Nel corso del 1917 la flotta del Baltico rimase in uno stato di
turbolenza segnato da violente rivolte contro ogni forma di
autorità politica e militare. I marinai di Kronstadt, in
particolare, ardevano dal desiderio di liberarsi dalla severa
disciplina e dall'atmosfera carceraria che permeava l'isola di
Kotlin: così, quando scoppiò la rivoluzione di febbraio, colsero
l'occasione per regolare i conti con gli odiati superiori. Il 28
febbraio un manipolo di marinai infuriati strappò dal suo alloggio
il comandante della base, l'ammiraglio R. N. Viren, e lo trascinò
sulla Piazza dell'Ancora dove venne giustiziato sommariamente. Fu
il segnale di un'orgia di sangue in cui oltre quaranta Ufficiali
di terra e di mare vennero trucidati. Altri duecento circa vennero
messi in prigione. Durante la rivoluzione di febbraio un'ondata di
violenze si verificò in tutto il complesso delle basi della flotta
del Baltico: 76 Ufficiali di Marina, senza contare quelli delle
guarnigioni, vennero uccisi dai loro uomini. Questa sete di
vendetta personale non fu che un aspetto dell'estremismo
rivoluzionario della guarnigione di Kronstadt, dove la piazzaforte
fu presa da un generale spirito di licenza libertario,
incoraggiato quanto più possibile dai bolscevichi e dalle altre
frange dell'estrema sinistra politica. L'obiettivo principale di
questi ultimi, infatti, non erano gli Ufficiali ma lo stesso
governo provvisorio russo, e nei mesi successivi si servirono
abbondantemente dei marinai nelle manifestazioni di piazza a
Pietrogrado dell'aprile e giugno 1917. La guarnigione di Kronstadt
raggiunse nuovamente Pietrogrado (allora capitale russa) nel mese
di luglio, giocando un ruolo di primo piano nella fallita
insurrezione. Fu in quell'occasione, allorché si distinsero per
brutalità e ferocia, che Trotskij (fondatore e capo dell'Armata
rossa) li battezzò «onore e gloria della rivoluzione»: in un noto
incidente un gruppo di marinai catturò Viktor Cernov, ministro
socialrivoluzionario dell'agricoltura, che poté sfuggire al
linciaggio solo grazie all'intervento dello stesso Trotskij. Alla
fine di agosto, durante la marcia sulla capitale del generale
Kornilov, i marinai vi accorsero nuovamente in difesa di quella
che consideravano la loro rivoluzione: l'equipaggio della
corazzata Petropavlovsk, che era stato all'avanguardia
durante la rivolta di luglio, chiese nuovamente l'immediato
trasferimento di tutto il potere ai soviet, unitamente all'arresto
ed esecuzione di Kornilov. Quattro Ufficiali che si erano opposti
furono arrestati ed uccisi. Nelle settimane seguenti i marinai,
fedeli alla loro reputazione di intransigenza rivoluzionaria,
continuarono a premere per il rovesciamento del governo
provvisorio di Kerenskij. Il 25 ottobre, quando Lenin riuscì a
compiere il colpo di Stato della violenta minoranza bolscevica, si
lanciarono contro Pietrogrado con i propri battelli, unendosi alle
guardie rosse nell'assalto al Palazzo d'Inverno, mentre
l'incrociatore Aurora - alla fonda nella capitale - sparava
granate a salve per demoralizzare gli oppositori del golpe.
Ma non bastò la caduta del governo e l'avvento al potere di Lenin
a calmare i marinai di Kronstadt: la loro tendenza alle soluzioni
violente si manifestò nuovamente nel gennaio 1918, quando nella
notte tra il 6 ed il 7 una banda di essi penetrò in un ospedale di
Pietrogrado dov'erano custoditi due ex ministri
costituzional-democratici dell'abbattuto governo provvisorio,
Scingarev e Kokoscin, trucidandoli nei loro letti. Lenin impedì
un'inchiesta sull'accaduto, poiché attribuiva un valore non
indifferente ai marinai, considerandoli una specie di guardia
pretoriana pronta a prendere le armi all'istante per la difesa dei
soviet, e non voleva inimicarseli. Su queste premesse nel corso
della guerra civile 1918-1920 i marinai di Kronstadt e dell'intera
flotta del Baltico rimasero gli alfieri della milizia
rivoluzionaria, tant'è che più di 40.000 di essi parteciparono
alla lotta contro le armate dei c.d. "russi bianchi",
distinguendosi per la crudeltà ed entrando a far parte dei ranghi
dell'Armata rossa su tutti i fronti. Nella battaglia decisiva di
Sviiazhsk fornirono a Trotskij le truppe scelte più focose, e si
distinsero in numerose azioni belliche.
Ma quando la guerra civile ebbe fine, la situazione - invece di
migliorare - volse al peggio, ed il miraggio marxista si rivelò
nella ben più reale e pragmatica dittatura bolscevica ...
IL PROSIEGUO: LA DITTATURA DI LENIN E
LO SCOPPIO DELLE OSTILITÀ
Con la fine delle ostilità interne venne anche meno la
giustificazione popolare della dura politica di Lenin, che a
questo punto rivelò la vera natura criminale del tanto osannato
"sogno umanitario": come i contadini non vedevano più alcuna
necessità nelle confische dei loro prodotti e nell'abolizione del
mercato libero, e gli operi reagivano al soggiogamento dei loro
sindacati ed alla restaurazione della disciplina di fabbrica, alla
direzione personale ed ai tecnici e specialisti "borghesi", così i
soldati ed i marinai chiedevano il ritorno dei principî
democratici nella vita militare. Nella turbolenta flotta del
Baltico l'opposizione al rafforzamento della disciplina,
all'abolizione dei "comitati di nave" e la nomina di commissari e
di "specialisti militari" in posizione di comando assunse
immediatamente dimensioni minacciose. Anzi, gli sforzi dei
bolscevichi per liquidare i "comitati di nave" e per imporre
l'autorità dei commissari nominati dal centro suscitarono un
uragano di proteste. Ma a ciò si aggiunsero delle nuove
circostanze idonee a fomentare lo spirito ribelle tra le ciurme
delle navi e tra i soldati delle guarnigioni del Baltico: dato che
il pericolo della resistenza filo-zarista era stato eliminato, gli
uomini ricevettero, per la prima volta dopo molti mesi, delle
licenze. Ed appunto tornando ai villaggi natali, toccarono con
mano le meraviglie del "paradiso del proletariato" che si andava
costituendo. Vennero a contatto con la politica della requisizione
dei cereali e con i metodi violenti che il partito comunista usava
per attuarla; alcuni di essi vennero fermati dai distaccamenti che
controllavano i blocchi stradali e sottoposti a perquisizione per
il timore che trasportassero illegalmente dei viveri; nelle città,
invece, videro in tutta la sua estensione la miseria prodotta
dalla guerra civile che loro stessi - complici dei bolscevichi -
avevano scatenato per impadronirsi del potere assoluto,
distruggendo qualunque cosa avesse potuto contrastarli. Dovunque
si trovarono di fronte ad una popolazione inquieta e scontenta,
soggiogata dai nuovi padroni. Ascoltarono le lamentele dei loro
fratelli e parenti, che somigliavano stranamente - in tanti casi -
alle proprie ragioni di risentimento nei confronti delle autorità.
«Per anni», osservò Stepan Petricenko, figura di spicco
nell'insurrezione di Kronstadt del 1921, «ciò che accadeva a casa
nostra mentre noi eravamo al fronte o sul mare ci è stato nascosto
dalla censura bolscevica. Quando tornammo a casa i nostri genitori
ci chiesero perché combattessimo per gli oppressori. E questo ci
fece riflettere». L'effetto di questo ritorno alla realtà fu così
brusco che il governo cercò di ridurre drasticamente le licenze
nella flotta, ma da ciò derivarono solo fenomeni di crescente
diserzione. All'inizio del 1921 la flotta, in quanto forza
militare organizzata, stava per cadere in preda ad una grave
crisi. A ciò si aggiunsero problemi di approvvigionamento sempre
più grandi, che già sul finire del 1920 avevano fatto scoppiare
un'epidemia di scorbuto tra gli equipaggi. A dicembre i marinai di
Kronstadt inviarono a Mosca - ora ritornata ad essere capitale
della Russia e dell'URSS - una delegazione per chiedere un
miglioramento delle razioni, ma al loro arrivo gli uomini vennero
immediatamente arrestati. Nel gennaio 1921 circa 5.000 marinai del
Baltico abbandonarono il partito comunista, mentre tra l'agosto
1920 ed il marzo 1921 l'organizzazione di partito di Kronstadt
perse più della metà dei suoi membri: i vertici moscoviti
attribuirono ciò all'infiltrazione di elementi poco fidati
nell'ultimo periodo della guerra civile, quando molti "reazionari"
cercavano scampo dissimulandosi nelle organizzazioni ancora
recenti del partito. Verso la metà di febbraio del 1921 la
tensione era giunta alle stelle: prima della fine del mese a
Pietrogrado scoppiò una serie di scioperi, ed il 26 gli equipaggi
della Petropavlovsk e della Sevastopol tennero
un'assemblea straordinaria decidendo di inviare nell'ex capitale
una delegazione per capire ciò che stava realmente accadendo. Le
navi da guerra, infatti, non potevano abbandonare Kronstadt perché
imprigionate, una a fianco dell'altra, dai ghiacci. Quando la
delegazione giunse a Pietrogrado, vi trovò uno "stato di guerra"
imposto dai comunisti per mantenere una parvenza di ordine: le
fabbriche in sciopero erano circondate dalle truppe e dagli
allievi ufficiali, mentre negli stabilimenti ancora attivi delle
squadre armate di comunisti sorvegliavano da vicino gli operai,
che rimanevano in silenzio all'arrivo dei marinai. «Si sarebbe
potuto pensare», disse ancora Petricenko, «che non si trattava di
fabbriche, ma di campi di lavoro forzato dell'epoca zarista». Il
28 febbraio i delegati, indignati, rientrarono a Kronstadt e
tennero la loro relazione in una "storica" riunione a bordo della
Petropavlovsk. L'assemblea, alla fine, votò una lunga
risoluzione, che prese il nome di "Piattaforma politica della
rivolta di Kronstadt". La rivoluzione della Petropavlovsk,
che si ribellava apertamente contro il potere bolscevico negandone
la legittimità rivoluzionaria ed equiparandolo a tutti gli effetti
alla precedente tirannide zarista, esprimeva più in generale il
malcontento delle città e dei villaggi nei confronti del nuovo
dispotismo leninista: la dichiarazione iniziale della risoluzione,
per cui «i soviet attuali non rappresentano la volontà degli
operai e dei contadini» era una chiara sfida al monopolio
bolscevico del potere politico. La domanda di nuove elezioni ai
soviet, collegata alla richiesta della libertà d'espressione (pur
limitata ai soli gruppi politici della sinistra!) era qualcosa che
Lenin ed i suoi accoliti non erano disposti a tollerare. Ma se si
conoscono bene i documenti programmatici del partito comunista
russo, si scopre che in realtà la risoluzione della
Petropavlovsk altro non era che un invito al governo sovietico
di comportarsi secondo la sua stessa costituzione, una banale
riaffermazione, cioè, di quegli stessi diritti e di quelle stesse
libertà che a parole Lenin aveva sostenuto nel 1917. Per poi,
ovviamente, sconfessare nei fatti una volta giunto al potere. Con
l'adozione della risoluzione gli eventi precipitarono: il giorno
successivo, il 1° marzo, si tenne un comizio sulla Piazza
dell'Ancora cui parteciparono circa 15.000 persone, più di un
quarto della popolazione civile e militare di Kronstadt. Sul palco
erano presenti anche due funzionari bolscevichi di prestigio,
inviati da Pietrogrado per salvare la situazione: Kalinin e Kusmin:
al loro arrivo furono accolti da festeggiamenti di piazza e da una
guardia d'onore militare, ma una volta che presero la parola,
condannando la risoluzione e diffidando i marinai dal
sottomettersi all'autorità centrale, la piazza si rivoltò loro
contro: per parecchi minuti le urla ed i fischi costrinsero
Kalinin al silenzio, poi tentò un'ultima volta di prendere la
parola per denunziare la rivoluzione come "controrivoluzionaria",
gridando all'indisciplina ed al tradimento, che sarebbero stati
stroncati dalla mano di ferro (ovverosia l'Armata rossa di
Trotskij) del proletariato. A questo punto venne allontanato dalla
tribuna. Dopo l'approvazione della risoluzione, l'assemblea decise
di inviare a Pietrogrado una delegazione di 30 uomini per
informarne la popolazione e per ottenere che fosse inviata a
Kronstadt una rappresentanza di "senzapartito" per rendersi conto
della situazione in modo diretto. I delegati vennero però
arrestati non appena sbarcati a Pietrogrado, e di loro non si
seppe più nulla. Il 2 marzo venne eletto un nuovo soviet di
Kronstadt, impedendo ai comunisti di dominare le votazioni.
Qualcuno propose l'invio di una nuova delegazione a Pietrogrado,
ma la proposta venne scartata per il timore d nuovi arresti;
quindi, nella tensione generata dalle prospettive di un attacco
dei bolscevichi, la conferenza prese una risoluzione fatidica:
decise di costituire un comitato rivoluzionario provvisorio con il
compito di amministrare la città e la guarnigione sino alla
formazione del nuovo soviet. Mancando il tempo per procedere ad
elezioni più regolari, l'ufficio di presidenza di cinque membri
venne designato come Comitato rivoluzionario provvisorio, sotto la
presidenza di Petricenko. Con quest'azione il movimento di
Kronstadt si pose al di fuori dei limiti di una mera protesta.
Tutti i forti, le batterie e le navi da guerra riconobbero
l'autorità del Comitato rivoluzionario; e già di primo mattino
copie della risoluzione della Petropavlovsk erano state
inviate sulla terraferma e distribuite ad Oranienbaum, Pietrogrado
ed altre città vicine. Nel pomeriggio la squadra aerea navale di
Oranienbaum riconobbe il Comitato rivoluzionario e inviò,
attraverso il ghiaccio, dei rappresentanti a Kronstadt. La rivolta
aveva cominciato ad espandersi. Il giorno dopo, 3 marzo, il
Comitato rivoluzionario provvisorio cominciò a pubblicare un
quotidiano, le «Isvestia Vremennogo Revolutsionnogo Komiteta
Matrosov, Krasnoarmeitsev i Rabocikh gor. Kronsctadta»
("Notizie del Comitato rivoluzionario provvisorio dei marinai,
soldati e lavoratori della città di Kronstadt"), che sarebbe
apparso senza interruzione sino al 16, il giorno antecedente
all'attacco decisivo contro i ribelli. Ad Oranienbaum, invece, le
truppe del primo squadrone aereo della flotta tennero a loro volta
una riunione nel loro circolo, approvarono all'unanimità la
risoluzione e - seguendo l'esempio di Kronstadt - procedettero
all'elezione di un proprio Comitato rivoluzionario.
Sempre il 3 marzo, però, alle 5 del mattino giunse a Pietrogrado
un treno blindato con un distaccamento di kursanti e tre
batterie di artiglieria leggera. Le caserme dello squadrone aereo
di Oranienbaum vennero rapidamente circondate ed i loro occupanti
arrestati. Poche ore dopo, a seguito di stringenti interrogatori,
45 uomini vennero portati via e fucilati: tra essi vi erano il
comandante dell'aviazione navale rossa ed il presidente del
Comitato rivoluzionario appena costituito. Così come accadrà a
Kronstadt, i ribelli di Oranienbaum si dimostrarono estremamente
ingenui nei riguardi dell'apparato repressivo sovietico, poiché
non avevano compiuto il minimo tentativo per armarsi e garantirsi
l'effettivo controllo della base. Né fu mai presa in
considerazione l'ipotesi di marciare direttamente su Pietrogrado -
nei primi giorni della rivolta - per incitare la popolazione a
ribellarsi alle angherie dei bolscevichi, tanto più avendo a
disposizione l'appoggio della stragrande parte delle forze armate
locali: i marinai preferirono arroccarsi sulla loro isola
illudendosi sulla bontà intrinseca del comunismo, non ricordandosi
neppure le nefandezze che quest'ultimo aveva potuto compiere
proprio grazie al loro apporto durante la guerra civile.
Con un proclama ufficiale, sempre il 5 marzo i
bolscevichi lanciarono l'ultimatum alla guarnigione di
Kronstadt, minacciando di "massacrarla come pernici" (espressione
attribuita a Trotskij), dopodiché le autorità di Pietrogrado
ordinarono l'arresto - come ostaggi - dei familiari dei ribelli.
Il sistema degli ostaggi era stato inaugurato da Trotskij durante
la guerra civile, come un ammonimento agli "specialisti militari"
(ex Ufficiali zaristi) perché non pensassero mai di "tradire" le
truppe dell'Armata rossa al loro comando. Il 7 marzo scadde l'ultimatum,
senza la resa di Kronstadt: adesso, però, Lenin era in grado di
usare la forza, perché nel frattempo aveva fatto affluire a
Pietrogrado un gran numero di uomini e mezzi militari d'assalto.
Le operazioni militari ebbero inizio il 7 marzo, alle sei e
quarantacinque del mattino: le batterie comuniste di Sestroretsk e
di Lisy Nos, sulla costa settentrionale, aprirono il fuoco su
Kronstadt. Questi bombardamenti, diretti soprattutto contro i
fortini esterni dell'isola, miravano ad indebolirne le difese per
favorire il successivo assalto della fanteria. Quando vi fu il
fuoco di risposta dall'isola, iniziò il bombardamento da Krasnaja
Gorka, cui seguì la reazione del Sevastopol. Il 7 marzo era
anche la giornata internazionale delle donne lavoratrici: tra il
frastuono delle armi da fuoco la radio di Kronstadt inviava auguri
alle lavoratrici di tutto il mondo, denunziando nello stesso tempo
i comunisti quali "nemici del popolo che lavora" ed invitando
all'abbattimento delle tirannie e dei dispotismi d'ogni genere. Il
giorno dopo, all'alba, fu sferrato il primo attacco della fanteria
sovietica, che venne però impedito dall'improvviso cedere della
lastra ghiacciata del Golfo di Finlandia colpita dai proiettili
esplosi; va notato che in quell'occasione una parte delle truppe
d'assalto abbandonò il campo comunista per appoggiare gli insorti.
Quella sera, poi, un gruppo di bolscevichi si avvicinò a Kronstadt
da sud, recando ingannevolmente una bandiera di tregua. Due membri
del Comitato rivoluzionario provvisorio, Verscinin e Kupolov,
andarono loro incontro a cavallo: Verscinin venne catturato
all'istante, mentre Kupolov riuscì a salvarsi al galoppo.
Il nuovo cannoneggiamento, decisivo, ebbe inizio alle due
pomeridiane del 16 marzo e continuò per tutto il giorno:
proiettili caddero a Kronstadt nei pressi del cimitero dove erano
in corso i riti funebri in memoria dei difensori caduti. Gli
insorti risposero con un intenso fuoco di sbarramento ed elevando
una cortina fumogena dalla Petropavlovsk, che però fu
colpita assieme alla Sevastopol, seppur non in modo grave.
Entrambe le navi, però, erano imprigionate dai ghiacci e quindi
impedite ad affrontare il mare aperto e le forze dell'Armata
rossa. Il 17 marzo fu una giornata limpida, senza nebbia, per cui
gli assalitori si trovavano in condizioni di protezione ridotta:
per questo intensificarono il fuoco, ed a metà pomeriggio avevano
ormai conquistato la maggior parte dei forti avvicinandosi al
bastione nord-est della città di Kronstadt. Nel frattempo il
settore sud delle armate bolsceviche aveva lanciato il suo attacco
contro i confini meridionali ed occidentali della città: muovendo
da Oranienbaum, alle quattro del mattino del 17 marzo, un'ampia
colonna dotata di mitragliatrici ed artiglieria leggera avanzò su
tre colonne contro il porto militare di Kronstadt, mentre una
quarta colonna puntava sulla Porta di Pietrogrado, il punto di
accesso più vulnerabile della città. Era ancora buio quando le
punte avanzate della 79ª brigata di fanteria giunsero nei pressi
delle postazioni di cannoni pesanti che difendevano il porto: i
proiettori lanciavano fasci di luce, ma le tenebre e la nebbia
nascondevano alla vista dei difensori le truppe mimetizzate.
Raggiunti i confini meridionali della città, distaccamenti scelti
dei comunisti sopraffecero i serventi di alcune batterie esterne.
Ma, allorché si spinsero in avanti, furono assaliti da un intenso
fuoco di sbarramento di cannoni e mitragliatrici da parte delle
circostanti fortificazioni ribelli. Durante tutta la giornata la
battaglia continuò ininterrotta. Secondo alcune testimonianze, le
donne di Kronstadt presero parte al combattimento, trasportando
munizioni ai ribelli e salvando i feriti sotto il fitto fuoco per
portarli ai posti di soccorso degli ospedali cittadini. Alle
sedici gli insorti lanciarono un improvviso attacco che vide
vacillare i bolscevichi e minacciò di respingerli di nuovo sul
ghiaccio, ma proprio a questo punto sopraggiunsero il 27°
reggimento di cavalleria e un distaccamento di volontari del
partito comunista di Pietrogrado che ristabilirono le sorti della
giornata. Prima del tramonto fu portata sino in città
l'artiglieria da Oranienbaum, che aprì il fuoco sui ribelli con
effetti devastanti. In serata i kursanti del settore nord
penetrarono in città da nord est e catturarono il quartier
generale della fortezza, sterminandolo. Si unirono quindi con i
loro "compagni" del settore sud, che nel frattempo si erano aperti
la strada dalla Porta di Pietrogrado al centro della città. Verso
mezzanotte il fuoco cominciò a ridursi: gli ultimi forti erano
stati via via conquistati, e la vittoria dei bolscevichi era ormai
cosa fatta.
Alla sera del 17 marzo, quando tutto appariva perduto, undici
membri del Comitato rivoluzionario (tra cui lo stesso Petricenko)
si rifugiarono, attraverso il ghiaccio, a Terijoki; poco prima di
mezzanotte circa 800 fuggiaschi, tra i quali il nerbo dei
dirigenti della rivolta, raggiunsero la costa finlandese: poiché
erano certi che, una volta catturati, sarebbero stati
immediatamente uccisi dai sovietici, furono i primi a lasciare
l'isola, con l'eccezione di un certo numero di ribelli che si
trovavano nei forti più vicini alle spiagge della Karelia (allora
territorio finlandese, poi invaso dall'URSS). La loro fuga
rappresentò il segnale dell'esodo in massa dei difensori di
Kronstadt dall'isola di Kotlin e dai forti circostanti. Durante le
ventiquattr'ore successive un fitto flusso di fuggiaschi,
soprattutto marinai, attraversò le frontiere finlandesi: in totale
fuggirono più di 8.000 uomini, più della metà delle forze ribelli.
Circa 400 cavalli vennero portati attraverso il ghiaccio, e 2.500
fucili abbandonati vennero raccolti lungo la costa dalle guardie
di frontiera finlandesi. Alle 23:50 di sera il quartier generale
comunista di Kronstadt, ristabilito, fu in grado di inviare al
comitato di difesa di Pietrogrado un messaggio di vittoria: «I
nuclei controrivoluzionari sulla Ptropavlovsk e sulla
Sevastopol sono stati liquidati.
Il potere è in mano ai simpatizzanti del governo sovietico. A
bordo della Petropavlovsk e della Sevastopol è
cessata ogni azione militare. Si stanno prendendo misure urgenti
per catturare gli Ufficiali che sono fuggiti verso le frontiere
finlandesi». Nelle prime ore del 18 marzo distaccamenti di
kursanti occuparono le due corazzate; nel frattempo, ad
eccezione di poche sacche di disperati, il resto degli insorti si
era arreso, e verso mezzogiorno i forti, le navi e quasi tutta la
città erano nelle mani dei sovietici. Tra i morti, una buona parte
venne massacrata nei momenti finali della battaglia: una volta
penetrate nella fortezza, le truppe attaccanti si vendicarono in
un'orgia di sangue delle perdite subite. Una misura dell'odio dei
comunisti di Pietrogrado è dato dal rammarico, da questi espresso
ufficialmente, che non fossero stati usati gli aeroplani per
mitragliare i fuggiaschi verso la Finlandia, mentre percorrevano i
ghiacci. Del resto sia Trotskij che il suo comandante in capo, S.
S. Kamenev, avevano autorizzato l'uso di gas asfissianti contro
gli insorti, e se Kronstadt avesse resistito più a lungo sarebbe
stato attuato un piano per lanciare un attacco di gas mediante
proiettili e palloni, elaborato dai cadetti della scuola chimica
superiore.
L'EPILOGO
Nessuno dei ribelli catturati ebbe un pubblico
processo.
Tra gli oltre 2.000 prigionieri catturati nel corso della
battaglia ne furono scelti 13, quali capi della rivolta, che
furono "processati" a porte chiuse. Per montare un processo per
cospirazione controrivoluzionaria, la stampa sovietica si
preoccupò di sottolineare le loro origini sociali: cinque erano ex
Ufficiali di famiglie nobili, uno un ex prete e cinque di origine
contadina. I loro nomi non hanno particolare rilievo: nessuno di
loro apparteneva al Comitato rivoluzionario, quattro membri del
quale - Valk, Pavlov, Perepelkin e Verscinin - erano stati
arrestati dai bolscevichi, o era membro del gruppo di "specialisti
militari" che aveva avuto funzione consultiva nel corso della
rivolta. In ogni caso, i tredici "capi" vennero "processati" il 20
marzo e puntualmente condannati a morte. Dei restanti prigionieri,
parecchie centinaia vennero immediatamente trucidati a Kronstadt;
gli altri furono trasportati dalla Ceka [la polizia politica da
cui poi nascerà l'NKVD e quindi il KGB] nelle sue carceri sulla
terraferma. A Pietrogrado le prigioni erano piene oltre misura, e
per parecchi mesi centinaia di ribelli furono portati via e
fucilati a piccoli gruppi. Tra questi vi fu Perepelkin, che prima
di essere ucciso scrisse un resoconto della rivolta, poi scomparso
negli archivi sovietici. Altri vennero inviati nei campi di
concentramento, quali la tristemente nota prigione di Solovki sul
Mar Bianco, da cui nacque il sistema concentrazionario del gulag.
Qui i lavori forzati, uniti alla fame, all'esaurimento ed alle
malattie completarono l'opera di eliminazione pianificata da
Lenin. In qualche caso le famiglie degli insorti subirono la
stessa sorte. Ad esempio, la moglie ed i due figli di Koslovski,
che erano stati presi come ostaggi ai primi di marzo, furono
inviati in un campo di concentramento: solo la figlia di undici
anni venne risparmiata. Per quanto invece riguarda i fuggiaschi in
Finlandia, circa 8.000 si salvarono attraverso i ghiacci e vennero
internati nei campi per rifugiati di Viipuri, Terijoki e Ino.
Quasi tutti erano marinai e soldati, con una percentuale minima di
civili: la Croce Rossa inglese ed americana li rifornì di cibo e
vestiario, alcuni trovarono lavoro nella costruzione di strade o
in altre opere pubbliche, ma non si adattarono mai alla vita nei
campi. I bolscevichi, intanto, richiesero il loro rimpatrio con le
armi che avevano portato con sé, e molti fuggitivi - ingannati da
una promessa di amnistia e nonostante tutto convinti della bontà
di quella causa comunista in nome della quale avevano combattuto e
massacrato - rientrarono in Russia, dove vennero prontamente
arrestati e spediti nei campi di concentramento siberiani. Nei
mesi di giugno e luglio del 1921 gruppi di questi passarono per le
prigioni sovietiche, sulla via di un futuro di lavori forzati e di
morte prematura.
Anche il loro leader Petricenko non si liberò mai dalla
bestialità del sogno maxista: rimase in Finlandia per 25 anni e -
nonostante tutto quel che gli era capitato - dopo un po' di tempo
iniziò ad organizzare dei gruppi filosovietici proprio all'interno
del paese che gli aveva dato asilo, e che sarebbe poi stato invaso
dall'URSS. A causa di queste attività eversive fu rimpatriato in
Russia alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dove venne
immediatamente arrestato. Circa due anni dopo morì in un campo di
prigionia sovietico.
[Kronstadt
1921: una tragica necessità - Il "giustificazionismo" a tutti
i costi dei crimini del comunismo internazionale - in italiano]
[Kronstadt
1921: The Third Revolution
- in inglese - area anarchica] |