Storia di
un virus figlio illegittimo degli allevamenti industriali
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L’aviaria nasce e si diffonde nei
grandi pollai industriali, frutto collaterale
delle pratiche industriali degli allevamenti intensivi.
Questa la tesi dell’ONG “GRAIN”, attiva nella tutela della
biodiversità, secondo la quale le misure prese dai governi
per “combatterne” la diffusione non farebbero altro che
negare il problema favorendo, per il futuro, la nascita di
nuove pandemie. |
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Un
polletto scappa arzillo zampettando qua e là sul terreno fangoso.
Dietro, un paio di bambini inzaccherati lo rincorrono ridendo e
lanciando urletti sotto gli occhi velati di tristezza dei
genitori. Finalmente la femminuccia riesce ad afferrare il
pennuto. Lo solleva, lo stringe forte per evitare che le sfugga di
mano, pare che lo abbracci per un’ultima volta ma sempre ridendo,
come per un gioco. Poi le si avvicina un uomo che indossa una tuta
integrale bianca, stivali bianchi, maschera bianca: la ragazzina
gli allunga il pollo con un sorriso. L’uomo lo afferra
maldestramente con gli spessi guanti bianchi. Quello comincia a
dimenarsi seriamente, ma non c’è nulla da fare. L’uomo bianco apre
con una mano un grande sacco, anch’esso bianco, e ci caccia dentro
con forza il pennuto. Poi, forse come ringraziamento per l’aiuto,
lancia un ultimo sguardo asettico alla bambina, rimasta
interdetta, e se ne va in una nuvola di disinfettante.
Storie
di aviaria in una qualsiasi campagna del sud est asiatico.
L’epidemia che sta terrorizzando il mondo è nata qui e qui ha
fatto le prime vittime (pochissime umane, parecchie -come da
sempre- fra i pennuti) negli scorsi anni prima di diffondersi
nell’etere fino a invadere i televisori e i discorsi degli
italiani.
Sono
quelle campagne e quei piccoli pollai famigliari dove i bambini
giocano nel fango insieme agli animali, secondo l’immaginario
comune e secondo l’iconografia televisiva, l’incubatrice e la
fucina del tremendo virus H5N1. E’ qui, dove le condizioni
igieniche sono scarse e il pollame vive all’aperto, a contatto con
i volatili selvatici e senza antibiotici e controlli certosini,
che sarebbe nato il flagello dell’aviaria con la sua ipotetica
minaccia di pandemia umana. |
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Ciò, però, è tutto da dimostrare. L’unica certezza, pare, è
quella che i piccoli allevatori del sud est asiatico sono
stati, fino ad ora, quelli che hanno subito le conseguenze
economiche dell’aspirante pandemia. Riguardo all’origine, e
anche agli stessi vettori di diffusione del virus, sta
crescendo al contrario la voce di chi, dati alla mano,
colloca la fucina dell’H5N1 lontana da quel sistema
romantico di piccoli produttori e di galline arzille che
giocano con i bambini accusando direttamente gli allevamenti
intensivi e i loro metodi fordisti di creazione a tavolino e
di produzione del pollo industriale. |
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Questa teoria, riportata fra l’altro dall’ONG “Grain”
(1) che si occupa
principalmente di tutela della biodiversità, fino ad oggi è
rimasta racchiusa nella ristretta cerchia degli ultras
dell’agricoltura biologica e dell’ambientalismo. Una cerchia
non imparziale, in linea di principio, ma che merita
assolutamente voce e attenzione, se non altro per bilanciare
la propaganda della lobby degli allevatori industriali.
Certo, di aviaria sarebbe meglio non parlare, visto che già
se ne è parlato troppo e i risultati di questo blaterare in
maniera semplicistica e scandalistica sono sotto gli occhi
di tutti: psicosi e cali vertiginosi nei consumi, piccoli
allevatori sul lastrico, posti di lavoro persi e grandi
rimborsi, a carico dei contribuenti, diretti soprattutto
alle grandi aziende, in Italia come in Tailandia come nel
mondo. Tuttavia, pur con tutta la calma e con tutta la
fiducia possibile negli allevamenti italiani, sicuramente
più controllati degli allevamenti intensivi Tailandesi, e
nella speranza di non alimentare ulteriori psicosi, è
doverosa un’analisi delle tesi di GRAIN che ci pone problemi
seri, che vanno al di là dell’epidemia contingente fin
troppo enfatizzata, mettendo in discussione un intero
sistema di industria e di caccia alla produttività applicata
ad un settore delicato come quello dell’alimentazione.
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L’Asia esporta milioni di polli, e solo la Tailandia è tra
primi cinque esportatori mondiali del settore. Il grosso
dell’export, rivolto principalmente a UE e Giappone,
coinvolge il gigante Charoen Pokphand (Cp)
(2), una conglomerata
multinazionale presente in più di 20 paesi, che ha
impiantato i primi allevamenti industriali negli anni ‘70.
Sarebbero questi pollai industriali, dove decine di migliaia
di polli selezionati geneticamente consumano i loro 35
giorni di vita ammassati l’uno sull’altro in batterie sempre
sottoposte alla luce artificiale, secondo il rapporto di “GRAIN”,
le vere incubatrici del virus H5N1. Ed è su queste industrie
transnazionali dei polli, sempre secondo GRAIN, che
andrebbero indirizzati gli sforzi per controllare il virus.
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Gli allevamenti industriali presentano le condizioni ideali
per la diffusione del virus. Sono due i fattori principali,
particolarmente evidenti nel contesto del sud est asiatico,
che determinano questa presunta predisposizione, e cioè la
debolezza dei polli e le condizioni di allevamento.
La debolezza dei polli è determinata da una molteplicità di
fattori collegati alla necessità di ottenere, in tempi
record, polli grassi e carnosi. I polli presenti negli
allevamenti industriali presentano numerose disfunzioni
metaboliche legate al nutrimento intensivo, come fegati
ingrossati e masse grasse straordinariamente sviluppate in
opposizione a scheletri ossei non ancora formati. Gravi sono
le implicazioni che hanno sulla resistenza dei polli anche
l’assenza di movimento e di aria fresca a cui gli
allevamenti li costringono, l’esposizione a luci artificiali
continue (per accelerare il metabolismo) che, tra l’altro,
creano ambienti caldi e malsani -anche a causa delle grandi
quantità di deiezioni che si depositano sul terreno. Il
pollo da allevamento è una macchina biologica ad
elevatissimo “indice di conversione”: un pollo mangia un
chilo e mezzo di mangime e ne “produce” uno di carne. La
durata media della sua vita in allevamento è di 35 giorni,
durante i quali vive con altri polli ad una densità di 10-15
polli al metro quadrato. I mangimi, ad alto contenuto di
antibiotici (unico modo per contrastare le infezioni vista
l’estrema debolezza dei polli ad ogni tipo di agente
patogeno), possono contenere proteine animali derivate dalle
interiora, dalle teste, dalle zampe, dalle piume derivate
dai loro fratelli morti in precedenza, oltre alle proteine
animali acquistate dove costano meno (farine di sangue e di
pesce) e sono prodotti da poche grandi aziende secondo
formule in buona parte top secret. Unico risultato ufficiale
l'effetto Carmen Di Pietro: nel 1976 il petto di un pollo
pesava circa 252 grammi, oggi miracolosamente ne pesa 382. |
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Il contagio è favorito, naturalmente, dall’altissima densità
e dal fatto che i polli sono deboli, nonché appartenenti
tutti alla stessa specie (fattore che favorisce la
diffusione delle patologie). Tutti i polli che compriamo e
mangiamo, in tutto il mondo, sono oramai infatti solo di un
paio di razze ibride (denominate COBB 500, i cui brevetti
sono in mano alla The Cobb Breeding Company LTD), nate nei
laboratori di genetica applicata, selezionate esclusivamente
per l’ingrassaggio. Favoriscono la diffusione del virus
anche le condizioni igieniche e il calore e il fetore
inimmaginabile, provocato dall’illuminazione artificiale
costante e sicuramente incentivato dal clima umido del sud
est asiatico.
Sarebbero quindi questi pollai industriali sarebbero le
bombe batteriologiche dalle quali il virus si sarebbe poi
diffuso agli animali selvatici tramite gli escrementi (usati
anche come fertilizzante), tramite l’aria malsana prodotta
dai pollai, tramite le piume e i resti di animali, tramite i
pulcini scartati (usati anch’essi come fertilizzante) e
anche tramite le uova fecondate esportate in altri
allevamenti (è il caso dell’India e, pare, della Nigeria).
«Tutti si ostinano a vedere gli uccelli migratori e i
piccoli allevamenti come il vero problema» dice Devlin Kuyek
di GRAIN. «Ma non è così che si diffonde la variante
altamente patogena del virus. Il virus uccide uccelli
selvatici e distrugge i piccoli allevamenti, ma è
impossibile che sia diffuso da questi». «Ad esempio -scrive
Green Planet, la rete italiana del biologico- in Malaysia il
tasso di mortalità causato dall'H5N1 fra i piccoli
allevamenti nei villaggi è solo del 5%, indicativo del fatto
che il virus fatica molto a diffondersi nei piccoli
assembramenti di polli. Il contagio da parte dell'H5N1 nel
Laos, che è circondato da nazioni infette, è avvenuto solo
nei pochi allevamenti industriali del paese, riforniti con
pulcini provenienti dalla Tailandia. Gli unici casi di
contagio in piccoli pollai, che supportano il 90% della
produzione di polli del Laos, sono avvenuti nei pressi degli
allevamenti industriali. "Le prove che troviamo sempre più,
dall'Olanda nel 2003 al Giappone nel 2004 all'Egitto nel
2006, è che il contagio della variante letale dell'Influenza
Aviaria si presenti in allevamenti industriali di larga
scala e poi si diffonda da lì." spiega Kuyek. Il contagio in
Nigeria all'inizio del 2006 iniziò in un singolo allevamento
industriale, di proprietà di un Ministro, distante dai
luoghi dove si concentrano gli uccelli migratori, ma noto
per l'importazione clandestina dall'estero di uova
fecondate. In India, le autorità locali dicono che il virus
H5N1 emerse e si diffuse da un allevamento industriale di
proprietà della più grande compagnia di pollame, la
Venkateshwara Hatcheries». (3) |
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Concentrando l’attenzione e le accuse sugli allevamenti
famigliari e sugli animali selvatici (che possono comunque
essere vettori), denuncia GRAIN, si vuole sfruttare
un’emergenza causata dall’industria del pollame e dalle sue
pratiche per avvantaggiare le stesse grandi industrie. Per
affrontare il pericolo della diffusione del virus e della
trasmissione all’uomo, che necessiterebbe del contatto
diretto romantico ma mortale con gli animali infetti, molti
governi del sud est asiatico –che hanno negato l’emergenza
per mesi- hanno promulgato leggi che rendono obbligatorio
l’allevamento al chiuso del pollame costringendo molti
piccoli produttori, impossibilitati a costruire le strutture
necessarie e già in difficoltà economiche per l’abbattimento
dei polli e per il crollo della domanda, ad abbandonare
l’attività favorendo i grandi colossi e i loro polli (pardon
i loro COBB 500) geneticamente modificati da ingrasso.
Secondo Grain questa tendenza avrebbe gravi implicazioni a
livello di biodiversità, oltre che a livello sociale,
favorendo, nel futuro, la nascita e la diffusione di nuovi
virus e di nuove pandemia a discapito dell’uomo e degli
animali.
di
Andrea Franzoni |
Note: |
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Grain è una ONG con base a Barcellona che si occupa della
tutela della biodiversità e che pubblica numerosi rapporti
in inglese pubblicati all’indirizzo
http://www.grain.org/briefings
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La vicenda dell’aviaria in Tailandia, con le coperture
politiche a favore delle grandi industrie e la distruzione
dei piccoli allevamenti a favore dei colossi nell’articolo
“Thailandia, i disastri dell’influenza aviaria” (Le Monde
Diplomatique. luglio 2004).
http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Luglio-2004/0407lm09.01.html#1
-
“Aviaria, la radice del problema è l’allevamento
industriale” (Green Planet, 02/03/2006).
http://www.greenplanet.net/Articolo14109.html
Questo
Articolo proviene da Cani Sciolti
http://www.canisciolti.info
L'URL per questa storia è:
http://www.canisciolti.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=537
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Questo
articolo è datato, ma purtroppo molto attuale!
Polli messi al forno,
prima di “impazzire”
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Come vengono allevati
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Cosa mangiano
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Cosa si ottiene
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di Guglielmo Donadello,
consulente aziendale
settore zootecnico e agroalimentare
(Liberazione, 19
novembre 2000)
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Che cos’è oggi il pollo
da carne? Stiamo parlando di broiler.
Tutti i polli che compriamo e mangiamo, in tutto il mondo,
sono oramai solo di un paio di razze ibride (denominate COBB
500, i cui brevetti sono in mano alla The Cobb Breeding
Company LTD), nate nei segreti laboratori di genetica
applicata, selezionate esclusivamente per l’ingrassaggio. Il
risultato di queste selezioni è una vera macchina biologica
ad elevatissimo “indice di conversione”: un broiler
mangia un chilo e mezzo di mangime e ne “produce” uno di
carne. Lo fanno vivere solo 35 giorni (non ha neanche il
tempo per diventare pazzo). Questi polli denominati
“galletti” quando arrivano a “maturazione” pesano vivi in
media sui 2,3 chili e preparati a busto circa 1,2. Per avere
queste rese così elevate e cicli biologici così accelerati
servono allevamenti e mangimi adatti. |
Come vengono allevati |
Si chiama allevamento
integrato. Assoggettato, cioè, alla filiera industriale
della produzione di carne, le cui principali fasi sono:
produzione della gallina ovaiola, incubatoi delle uova,
produzione dei pulcini, magnifici, macelli, industria di
lavorazione, logistica, commercializzazione nella rete della
grande distribuzione organizzata. Nel nostro paese due
aziende controllano oltre il 70% del mercato. Una è l’AIA
del gruppo Veronesi e l’altra è del gruppo Amadori.
L’allevamento viene svolto in grandi capannoni dove possono
stare decine di migliaia di volatili: con una densità di
10-15 per metroquadro, sino a 30 chili di “carne” a mq. (I
regolamenti UE per gli allevamenti biologici stabiliscono in
tre polli per metro quadrato la densità massima
ammissibile). Beccano tutto ciò che ha colore paglierino,
giorno e notte, grazie all’illuminazione artificiale. Le
temperature sono sempre elevate (anche a causa della luce e
delle deiezioni, che vengono raccolte con una ruspa per la
produzione della pollina, sottoprodotto usato come concime
agricolo o combustibile; e fino a 10 anni fa come mangime
per bovini da ingrasso).
Le condizioni igieniche sono terribili. Gli animali vivono
dal primo all’ultimo giorno della loro brevissima vita
calpestando e dormendo sulle loro deiezioni. Le infezioni
batteriologiche sono contrastate dal primo all’ultimo giorno
di vita con gli antibiotici contenuti nei mangimi; ma per i
virus – come si sa – non ci sono farmaci. Da qui l’uso di
vaccini che, come è noto, creano una quantità di anticorpi
che contrastano l’estrinsecazione delle manifestazioni
patologiche del virus, ma impediscono la eradicazione dello
stesso, consentendo che animali solo apparentemente sani
siano commercializzati: con il rischio che il virus si
trasferisca dall’animale all’uomo. A questo si aggiunge il
rumore spaventoso provocato dal pigolare di 50.000 – 100.000
animali spaventati, tenuti in quelle condizioni.
L’organismo del broiler, che è pur sempre un animale diurno,
viene messo a dura prova, l’apparato digerente stressato, la
sua capacità di resistenza agli agenti patogeni fortemente
indebolita. Nel territorio dove sono inseriti, senza un
minimo di criterio di biosicurezza, questi allevamenti sono
delle vere e proprie bombe batteriologiche, pericolose e
costose per tutta la collettività. Pericolose, in quanto
incubatoi di possibili virus trasmissibili agli uomini, come
salmonelle e influenze; costose, come il caso dell’ultima
peste aviaria costata alla sola regione veneta 110 miliardi,
e altri 500 allo stato.
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Cosa mangiano
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I polli dovrebbero
mangiare mais, soia e fibre. Trasformano proteine vegetali
in proteine nobili. I broiler, che rappresentano il 99% dei
520 milioni di polli e dei 22 milioni di tacchini che
mangiamo ogni anno, mangiano esclusivamente mangimi
industriali, prodotti in larghissima misura da due o tre
aziende. Le formule di questi mangimi sono top secret;
possono in questo modo metterci dentro di tutto e di più. Il
mais e la soia, che sono i componenti principali (fino al
60/70%), sono in grandissima parte di importazione e di
produzione transgenetica, perché costano meno.
Contrariamente alle normative per i bovini, i mangimi per
pollame e tacchini possono contenere farine di carne e di
pesce, pannelli di olio esausto, grassi di origine animale.
La vicenda di due anni fa dei polli belgi alla diossina è
dovuta a un “eccesso” di PCB, ma se sta nei limiti tollerati
si può dare da mangiare ai polli anche oli esausti di
motori.
Ma i risultati migliori si ottengono con le proteine animali
derivate dalle interiora, dalle teste, dalle zampe, dalle
piume derivate dai loro fratelli morti in precedenza; oltre
alle proteine animali acquistate dove costano meno (farine
di sangue e di pesce). Ai polli ed ai tacchini ne vengono
somministrate una quantità fino al 30% nel tacchino, un po’
meno per il pollo.
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Cosa si ottiene
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Si ottengono dei
pulcinotti venduti come galletti o tacchini, con una carne
senza gusto né qualità organolettiche, e di dubbia
salubrità.
I polli così allevati se li cucini due minuti di più
letteralmente si sbriciolano, se li lasci raffreddare
rilasciano il classico odore di pesce con cui sono stati
allevati. Oggi la carne di pollo non viene offerta da nessun
ristorante degno di questo nome, viene data solo nelle mense
delle fabbriche, delle scuole o per le mense delle famiglie
sotto i due milioni al mese.
Per i tacchini è ancora peggio: la carne è letteralmente
immangiabile. Amadori la tritura, aggiunge un po’ di manzo e
propone in questi giorni con la pubblicità i rotoloni di
carne “per una buona domenica da passare in famiglia”.
Questi rotoli sono fatti con la carne di tacchini con
aggiunta di carne di manzo e – come si dice in gergo – con
la giusta quantità di aromatizzanti.
Nessuno, ad esclusione dei pochi NAS, protegge i
consumatori. Nessuno controlla, e i nostri 7000 veterinari
pubblici, come da precise istruzioni, guardano, registrano,
e alla fine non possono fare altro.
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tratto da:
http://www.disinformazione.it/pollipazzi.htm
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Altro che
polli asiatici! Tutta la verità su quelli italiani
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Paola Magni e Claudio Vigolo -
tratto da www.lifegate.it
Ai
microfoni di LifeGate Radio, il Dottor Enrico Moriconi,
Presidente dell’Associazione Culturale Veterinari di Salute
Pubblica, ha risposto a questa e altre domande
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Quali sono le condizioni
igieniche negli allevamenti italiani? |
Le condizioni sono critiche.
Siamo in situazione di sovraffollamento. Gli animali vengono
tenuti per tutto il periodo della loro vita sulla stessa
lettiera, respirano l’ammoniaca che si libera dagli
escrementi che loro producono. Hanno uno stato di stress
continuo, che deve essere corretto - anche se gli allevatori
smentiscono - con la somministrazione di farmaci.
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Recenti analisi
di laboratorio commissionate da Lav e Il Salvagente
hanno evidenziato la presenza di residui di antibiotici
in 4 polli italiani su 10… Perché vengono somministrati gli
antibiotici e con che frequenza?
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Gli antibiotici sono la base
dell’allevamento intensivo: gli allevamenti intensivi sono
storicamente nati nel momento in cui sono stati disponibili
grandi quantità di antibiotici. Questi farmaci rendono
possibile l’allevamento, altrimenti lo stress, il
sovraffollamento, le carenti condizioni igieniche farebbero
scoppiare delle malattie. Questi farmaci aumentano la
crescita degli animali e contemporaneamente li proteggono da
alcune malattie. Nel caso dei virus non servono. Il fatto
che l’antibiotico sia somministrato continuativamente,
nonostante sia ammesso farlo solo in caso di terapia, è
facilmente dimostrabile. Qualche anno fa, ad esempio, ci fu
lo scandalo in Gran Bretagna dei polli che venivano
rietichettati e venduti anche un mese dopo la reale
scadenza. Ebbene, questo fu possibile proprio perché i polli
sono pieni di sostanze chimiche che non li fanno “marcire”. |
Cosa mangiano i polli
italiani negli allevamenti intensivi? |
Il mangime è principalmente
costituito da mais e altri cereali. In più vi sono degli
integratori a base di sostanze grasse per favorire la
crescita.
Anche
l’olio esausto, l’olio dai motori delle macchine usato, è
ammesso nella dieta dei polli
Italiani, che sono considerati come dei “grandi
riciclatori”. Molti sottoprodotti sono quindi permessi. Per
quanto riguarda mais e soia ogm nei mangimi, non c’è obbligo
di etichettatura poi nel pollo. Bisogna dire che chi mangia
carne ha una forte possibilità di mangiare proteine
geneticamente modificate, proprio perché negli
allevamenti non biologici l’uso di mangimi geneticamente
modificati è permesso.
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Illuminazione artificiale
che li tiene 24 ore su 24 alla luce e densità di 15-20 polli
per metro quadro… Animali così stressati saranno anche più
deboli… |
L’illuminazione artificiale
tende a creare un’atmosfera uniformemente “grigiastra” ,
perché se ci fosse troppa luce sarebbero acuiti i fenomeni
di cannibalismo. In queste condizioni la mortalità degli
animali è comunque alta, ma il loro valore commerciale è
così basso da non preoccupare particolarmente l’allevatore.
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Parlare degli allevamenti
intensivi italiani come di “bombe batteriologiche” è
esagerato? |
Le definirei piuttosto “bombe
ecologiche”: al problema della presenza di batteri si somma
il problema delle deiezioni da smaltire, e quindi
dell’eutrofizzazione delle acque e della presenza di nitrati
nelle falde acquifere.
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Quale strada intraprendere
per migliorare la qualità degli allevamenti e prevenire così
epidemie come l’influenza aviaria? |
Bisognerebbe mangiare meno
carne o addirittura smettere di mangiarne. Questa risposta
può sembrare un po’ estrema ma rende bene l’idea di come per
migliorare il benessere – anche di quelli che vogliono
mangiare la carne- sia indispensabile per tutti noi
abbassarne i consumi. |
tratto da:
http://www.disinformazione.it/altrochepolli.htm
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