Tanto si è scritto
e tanto si è detto che, nella coscienza collettiva, il tentativo
di colpo di stato noto come Golpe Borghese è diventato sinonimo di
un maldestro tentativo di rivolta istituzionale messo in atto da
un gruppo di sgangherati nostalgici. Niente di più che una
buffonata. E invece non è così. L'insurrezione armata che si
verifica nella notte tra il
7 e
l'8 dicembre 1970 (la notte dell'Immacolata) è ancora oggi un
altro dei tanti punti oscuri della storia repubblicana. Non è
chiaro perché fu messo in atto, a cosa realmente mirasse e
soprattutto perché fallì e chi lo fece fallire. Tutto ha inizio
nella tarda serata del 7 dicembre quando gruppi di militanti
dell'estrema destra si riuniscono in alcuni luoghi della capitale:
nel quartiere di Montesacro, nei cantieri del costruttore Remo
Orlandini, legato al SID di Vito Miceli; in pieno centro
storico, nella sede di Avanguardia nazionale; attorno
all'Università; in una palestra non distante dalla stazione
Termini. Alle porte di Roma si è concentrata intanto anche una
colonna armata di guardie forestali, mentre un gruppo di
neofascisti è già penetrato nell'armeria del ministero
dell'Interno. Il quartier generale del Golpe si è sistemato nel
quartiere Nomentano. Ne fanno parte: il principe Junio Valerio
Borghese, ex comandante della X Mas, vero capo del complotto; il
generale a riposo dell'Aeronautica Giuseppe Casero; il maggiore
della polizia Salvatore Pecorella. Il piano prevede, oltre
all'occupazione dei ministeri della Difesa e dell'Interno, della
sede della RAI (da dove Borghese leggerà un proclama alla
nazione), degli impianti telefonici e quelli di telecomunicazione,
anche la mobilitazione totale dell'Esercito. Tutto, insomma è
pronto, comprese le liste delle personalità politiche e sindacali
da arrestare. Eppure il Golpe Borghese fallisce. Lo stesso
principe nero riceve una telefonata da un misterioso generale
(l'inchiesta della magistratura non chiarirà mai hi fosse) che
ordina la sospensione del tentativo insurrezionale. Tutti a casa.
Cosa è successo quella notte a Roma? Prova generale per un vero
colpo di Stato? Avvertimento inviato ai politici sulla falsariga
del
Piano Solo di De Lorenzo?
Oppure il classico doppio gioco: mostrare i muscoli e allo stesso
eliminare l'ala dura del Partito del Golpe che da anni ormai
cresce e si ramifica? Di quanto accadde a Roma nella notte
dell'Immacolata una sola cosa è certa:
i servizi segreti sapevano.
Ed erano stati informati anche diversi uomini politici di governo.
Lo proverà la documentazione che Andreotti consegnerà alla
magistratura romana soltanto cinque anni dopo. Quella stessa
magistratura che farà di tutto per insabbiare l'inchiesta
giudiziaria e per trasformare il Golpe Borghese in un Golpe da
operetta.
Indice:
|
|
|
|
Rosso sangue
per il terrorismo nero |
Il
25 aprile del 1969, con le bombe che esplosero alla Fiera
Campionaria di Milano gli Italiani entrarono in una fase storica
che sarebbe durata per più di un decennio: il terrorismo nero.
L'anno prima c'era stato il Sessantotto, con le rivolte
studentesche in tutto il mondo, seguite dall'Autunno caldo
degli operai, con le loro idee di cambiamento delle condizioni di
lavoro. Lo scossone provocato dal movimento di contestazione
studentesca e di quella degli operai ebbe effetti destabilizzanti
sull'assetto politico e sociale italiano. Sono gli anni di
profonde trasformazioni e di grandi speranze collettive, che
coinvolsero in un unico grande movimento tante persone di origini
diverse. Certamente i giovani italiani diventarono un soggetto
politico nuovo e, almeno per il momento, autonomo.
La sera del 25 aprile del 1969 a Milano, alle sette e alle nove,
degli ordigni esplosero rispettivamente nel padiglione della Fiat
alla Fiera Campionaria e all'Ufficio Cambi della
Banca
Nazionale delle Comunicazioni, all'interno della stazione
centrale. Si contarono per fortuna solo una ventina di feriti.
Nella notte fra l'8 e il 9 agosto dello stesso anno si replicò,
questa volta sui treni, nei vagoni di prima classe delle linee
ferroviarie Pescara-Roma, Roma-Venezia, Roma-Lecce, Trieste-Roma,
Milano-Venezia e viceversa, Trieste-Domodossola, Bari-Trieste. Su
una decina di bombe, solo otto esplosero, causando anche questa
volta solo feriti. Poi arrivò quel maledetto 12 dicembre 1969 che
segnò per sempre l'inizio del terrore criminale. Quel giorno, alle
16.30, una bomba ad alto potenziale esplose all'interno della sede
della Banca dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano. Si
contarono 27 morti e 88 feriti. In quella stessa giornata, alcuni
minuti prima della deflagrazione nella Banca dell'Agricoltura, un
impiegato della Banca Commerciale Italiana trovò nei locali
dell'istituto un'altra bomba di cui il sistema d'innesco non
funzionò. Venti minuti più tardi, a Roma, un ordigno esplose nel
sottopassaggio della Banca Nazionale del Lavoro, facendo solo
sedici feriti. Alle 17.22 e 17.30, sempre a Roma, esplosero altre
bombe: una davanti all'Altare della Patria, l'altra all'entrata
del museo del Risorgimento in piazza Venezia. Fortunatamente si
contarono solo quattro feriti. |
Gli
anarchici come capo espiatorio |
Per piazza Fontana
e gli altri attentati fu subito creata una pista ad hoc: si
volle far credere che la strage e le bombe di Milano e Roma
fossero opera degli anarchici. Uno di loro il ferroviere Giuseppe
Pinelli, dopo il fermo giudiziario e durante l'interrogatorio,
volò inspiegabilmente da una finestra della questura di Milano
(quella stessa Questura in cui uno dei dirigenti era il
commissario Calabresi). Per lo Stato quella di Pinelli fu "una
morte accidentale". Assieme a Pinelli fu fermato il ballerino
Pietro Valpreda, che rimase in carcere innocente per oltre otto
anni. Tuttavia il castello di sabbia costruito intorno alla pista
anarchica ben presto crollò. Subentrò invece la pista nera, tenuta
fuori dallo scenario opponendo e studiando ogni sorta
d'espedienti.
Da qualche parte
nell'estrema sinistra si ricavò dagli attentati, specie quello di
piazza Fontana, materiale più che sufficiente per alimentare il
sospetto e la paura di un rischio di "golpe neofascista". La
strage, intesa anche come un atto di guerra contro le lotte e il
movimento del Sessantotto, spinse le tensioni sociali che
alimentavano la protesta di sinistra ad assumere più intensamente
forme eversive e rivoluzionarie, come dimostra la personale
esperienza di Giangiacomo Feltrinelli, fondatore dei Gruppi di
Azione Partigiana (GAP).
Alle bombe di Milano, Roma e dei treni seguirono quelle del 22
luglio 1970 sul treno La Freccia del Sud (6 morti e 139
feriti), del 31 maggio 1972 a Peteano (3 morti e un ferito, tutti
carabinieri), del 17 maggio 1973 davanti alla questura di Milano
(4 morti), del 28 maggio 1974 in piazza della Loggia a Brescia (8
morti e 94 feriti), del 4 agosto 1974 sul treno Italicus, a
San Benedetto Val di Sambro (12 morti e un centinaio di feriti),
del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna (80 morti e centinaia
di feriti).
Tutti questi
attentati facevano indubbiamente parte di un "qualcosa" di
concertato e oscuro, di cui già si percepiva la potenza, insomma
l'inizio di un piano criminale ben organizzato. Qualcuno
evidentemente credette di ripercorrere le strade sperimentate con
successo da Hitler e dai nazisti con l'incendio del Reichstag:
compiere stragi, pilotare le inchieste verso obiettivi depistanti
per attribuirne la colpa alle sinistre, utilizzare il terrore per
creare smarrimento e incertezza dei cittadini per dar vita ad un
governo autoritario. Tutte quelle esplosioni, infatti, hanno
rappresentato l'inizio della "strategia della tensione" operata
dalla manovalanza del "terrorismo nero". E le stragi nere del
periodo 1969-1974 non sono state altro che piccoli tasselli di un
grande mosaico cospiratorio e golpista, oltre che criminale. |
Le
formazioni paramilitari o
parallele alle Forze Armate |
Nell'immediato
dopoguerra, già dai primi anni della Repubblica, si costituirono
svariate formazioni paramilitari o parallele alle Forze Armate (ad
esempio Gladio) che avevano il ruolo di procedere in azioni di
guerriglia in caso d'invasione da parte delle forze del "Patto di
Varsavia" e soprattutto agire nel nord Italia specialmente nella
pianura Padana contro il Partito Comunista Italiano che avrebbe
sicuramente appoggiato l'offensiva sovietica. Parallelamente, per
merito di vecchi nostalgici, sorsero le prime organizzazioni
neofasciste italiane.
Il neofascismo italiano sino al 1968 si caratterizzò come un
movimento certamente violento in alcune sue manifestazioni, con
aggressioni squadriste o attentati ai monumenti dedicati alla
Resistenza. Certo, avventure criminali ma non operazioni
terroristiche. Alla fine degli anni Sessanta del Novecento gli
attentati rappresentarono il cambio di strategia. Così a partire
dalla fine del 1969, alla reiterazione delle spedizioni squadriste
con raid di violenza nelle università, nelle scuole e nelle
piazze, si sovrappose drammaticamente l'esplosivo. Tendenzialmente
in posizione critica nei riguardi delle contestazioni del
Sessantotto, i gruppi eversivi di destra si appoggiavano sui
valori di "autorità" e di "gerarchia sociale". L'ideale era in
sostanza lo "Stato forte".
Fino alla metà degli anni Settanta del Novecento, lo scenario
delle organizzazioni dell'estrema destra è dominato da Ordine
Nuovo (On) e Avanguardia Nazionale (An). Le differenze tra le due
organizzazioni riguardano unicamente l'atteggiamento che
assumevano nella lotta politica. Ordine Nuovo prediligeva la
strategia della rivoluzione a lungo termine, mentre Avanguardia
Nazionale seguiva la strada dell'azione immediata.
Tutta la storia
dell'estrema destra italiana attraversa per
intero quella della cosiddetta "Prima Repubblica", intrecciandosi
costantemente con molte vicende oscure italiane. Sino al 1974,
quando ancora i neofascisti non colpivano i rappresentanti dello
Stato, ci fu indubbiamente un rapporto privilegiato da parte degli
estremisti di destra con una parte del potere. Parallelamente alla
rete di collegamenti tra eversione nera e alcuni dirigenti dello
Stato, si sviluppò anche una profonda attività di copertura da
parte di una fazione dei servizi segreti italiani.
I rapporti tra
l'eversione nera e un parte dei servizi segreti, risalgono già ai
primi anni Sessanta del secolo scorso. In quel periodo
l'organizzazione Avanguardia Nazionale fu coinvolta in
un'operazione progettata da alcuni dirigenti dell'Ufficio Affari
Riservati del ministero dell'Interno. L'operazione consisteva
nell'affissione clandestina di alcuni "manifesti cinesi". In
pratica fu organizzata una campagna d'attacco al Partito Comunista
Italiano apparentemente proveniente dalla sua sinistra. Non solo,
è stato appurato anche una "certa" collaborazione di servizi
segreti di altri Paesi nel quadro NATO. Dagli atti dell'inchiesta
condotta dal giudice milanese Guido Salvini, emerge il concorso
fra ufficiali del Counter Intelligence Corp (il servizio
segreto statunitense dell'Esercito), la CIA e il Comando delle
Forze Alleate per il Sud Europa di Verona. Scrive nella sentenza
il giudice Salvini: «[.] la presente istruttoria, oltre a far
venire alla luce le modalità e i materiali esecutori di molti
attentati, stava dirigendosi verso l'individuazione delle
collusioni in tali attentati e delle attività di controllo del
nostro Paese, negli anni della strategia della tensione, da parte
delle strutture dell'Alleanza Atlantica».
Come le varie
inchieste hanno appurato, in quegli anni le "deviazioni" non
furono un'iniziativa personale di alcuni uomini, ma l'attuazione
di ordini predefiniti provenienti da catene di comando
"irregolari". Insomma, i neofascisti sono stati la manovalanza di
un più grande organismo complesso e segreto, di un vero e proprio
disegno eversivo fondato sulla creazione e sul mantenimento di un
clima di disordine sociale insanguinato, in cui una parte del
potere potesse trovare buon gioco.
Dalla monumentale
inchiesta condotta dal giudice Salvini, durata oltre dieci anni,
si rileva chiaramente che gli uomini delle organizzazioni eversive
neofasciste degli anni della "tensione", non erano altro che
manovalanza di una regia occulta. La CIA non solo aveva degli
infiltrati nelle organizzazioni eversive nere, ma "incoraggiava"
in qualche modo questi gruppi perché perseguivano lucidamente il
medesimo scopo del governo statunitense: l'anticomunismo. L'ordinovista
veneto Carlo Digilio era un infiltrato della CIA, il suo nome in
codice era "Erodoto" (uno dei suoi referenti in Italia era il
capitano David Carret, ufficiale statunitense in servizio nelle
basi NATO di Vicenza e Verona. Il capitano David Carret è stato
inquisito in Italia per spionaggio politico militare e concorso
nella strage di piazza Fontana). |
I
depistaggi |
I depistaggi sono
stati il lato più oscuro e vergognoso della storia democratica
dell'Italia del secolo scorso. Ogni qualvolta le indagini si
approssimavano all'esistenza di una certa simbiosi tra eversione
neofascista e alcune strutture dello Stato, che utilizzavano le
stragi per finalità d'influenza della politica, veniva apposto
incredibilmente il segreto di Stato. Scrisse Aldo Moro dalla
"prigione del Popolo" delle Brigate Rosse: «E' doveroso alla fine
rilevare che quello della strategia della tensione fu un periodo
di autentica e alta pericolosità, con il rischio di una deviazione
costituzionale che la vigilanza delle masse popolari
fortunatamente non permise».
Come se non
bastasse, il tragico bilancio della "strategia della tensione"
s'incrocia con quello di altre misteriose tragedie su cui i
vertici della Repubblica, dei servizi segreti e delle Forze Armate
italiane hanno più di qualche segreto sepolto da qualche parte:
aerei finiti in mare durante scenari di guerra, persone alla
conoscenza di segreti che stranamente si suicidano, giornalisti
strangolati e fatti sparire, piani di golpe progettati e mai
realizzati, e così via. A questo punto è opportuno far entrare in
scena anche il "Piano Tora Tora", un nuovo tentativo di colpo di
Stato (dopo il progettato golpe del generale de Lorenzo). Il golpe
fu fissato per l'Immacolata del 1970, ed era guidato dall'ex
comandante fascista della "Decima Mas" nella Repubblica di Salò,
il principe Junio Valerio Borghese |
Il
Fronte Nazionale e il golpe |
Tutto ha inizio
nella tarda serata del 7 dicembre, quando gruppi di militanti
dell'estrema destra, militari e civili si radunano in alcuni
luoghi di importanza strategica nella capitale, in Lombardia, nel
Veneto, in Toscana, Umbria e Calabria. Questo gran numero d'uomini
era stato raccolto e organizzato da Junio Valerio Borghese sotto
la sigla Fronte Nazionale, in stretto collegamento con Ordine
Nuovo e Avanguardia Nazionale.
Il Fronte Nazionale
fu costituito dal principe Borghese nel settembre 1968 con un
regolarissimo atto notarile. Finalità dell'organizzazione era
quella di perseguire qualsiasi azione utile alla difesa e al
ripristino dei massimi valori della civiltà italiana. Il Fronte
Nazionale fu costituito con una doppia struttura: una pubblica,
denominata "Gruppo A", ed una occulta, chiamata "Gruppo B". Quest'ultima
era composta di reparti irregolari armati da impiegare nell'ambito
di una strategia di stabilizzazione attraverso la
destabilizzazione: le azioni criminose portate a termine da questi
reparti avrebbero determinato la richiesta da parte dell'opinione
pubblica italiana un forte desiderio di ordine. Questo avrebbe
generato l'intervento delle Forze Armate portando il Paese a
destra.
A partire dal 1969,
il Fronte Nazionale del principe Borghese aveva favorito la
fondazione di gruppi clandestini armati, aveva stretto relazioni
con uomini e settori delle Forze Armate, aveva coltivato rapporti
con faccendieri e intermediari collegati all'amministrazione
statunitense ed ai comandi Nato. Sin da questo periodo si erano
già succedute riunioni segrete tenutesi in più parti d'Italia, con
la partecipazione di non pochi esponenti del mondo industriale,
finanziario, militare, politico e mafioso, in cui si cercarono
alleanze e si abbozzò un organigramma golpista. Il 4 luglio 1970,
invece, fu costituita una "Giunta nazionale". Nelle riunioni si
decisero anche gli obiettivi strategici da occupare (il Ministero
degli Interni, il Ministero della Difesa, la sede della
televisione italiana, gli impianti telefonici e di
radiocomunicazione), l'elenco delle persone da arrestare e il
luogo della loro deportazione, il proclama alla Nazione da leggere
in diretta televisiva. |
La notte
della Madonna del 1970 |
Il
piano "Tora Tora" (chiamato così in ricordo dell'attacco a
sorpresa portato a termine dai giapponesi a Pearl Harbor il 7
dicembre del 1941), più volte rinviato, scattò effettivamente
nella notte fra il 7 e l'8 dicembre del 1970, nella cosiddetta
notte della "Immacolata". Gruppi di congiurati si riunirono nel
quartiere di
Montesacro, nei
cantieri del costruttore Remo Orlandini (personaggio legato al
SID); in pieno centro storico, nella sede di Avanguardia
Nazionale; attorno all'Università; in una palestra non distante
dalla stazione Termini. Contemporaneamente altri congiurati si
riunirono in diverse città italiane. Un gruppo di neofascisti
guidati dal terrorista nero Stefano Delle Chiaie, riuscì ad
entrare nel Ministero dell'Interno, impossessandosi dall'armeria
di duecento fucili a ripetizione. Un altro gruppo di neofascisti
con alcuni ufficiali dell'esercito, era in attesa di ordini nella
palestra dell'Associazione paracadutisti in via Eleniana, sempre a
Roma. In questo luogo si attendeva la distribuzione delle armi,
che doveva avvenire a seguito dell'ordine di Sandro Saccucci (un
tenente dei paracadutisti stretto collaboratore di Borghese). Lo
stesso Saccucci, che avrebbe dovuto assumere il comando del SID,
avrebbe dovuto dirigere personalmente un gruppo di congiurati con
il compito di arrestare gli uomini politici elencati nella lista
approvata personalmente da Borghese. Infine una colonna di
quattordici automezzi, con a bordo centonovantasette guardie
forestali guidate dal colonnello Luciano Berti (già inquisito per
apologia di collaborazionismo e ciò nonostante giunto ad alti
gradi del Corpo forestale dello Stato) e proveniente da
Cittàducale presso Rieti, arrivò a poche centinaia di metri dalla
sede della RAI in via Teulada. Il generale Casero e il colonnello
Lo Vecchio, i quali garantirono di avere l'appoggio del Capo di
Stato Maggiore dell'Aeronautica (il generale Fanali), aspettavano
il segnale per occupare il ministero della Difesa. A Milano il
colonnello Spiazzi con un altro gruppo di congiurati avrebbe
dovuto occupare Sesto San Giovanni. A Venezia civili e militari
stazionavano nei pressi dell'Arsenale, in pratica nello spiazzo
dinanzi al Comando della Marina Militare. Altri congiurati, sempre
civili e militari, attendevano l'ordine a Verona, in Toscana,
Umbria e a Reggio Calabria. In quest'ultimo paese sarebbero state
distribuite ai cospiratori le divise militari dei carabinieri.
Tutti i militanti furono dotati di un'arma corta e di una lunga.
Il quartier generale del Golpe si era sistemato nel quartiere
Nomentano. Ne facevano parte tra gli altri: il principe Junio
Valerio Borghese, vero capo del complotto; il generale a riposo
dell'Aeronautica Giuseppe Casero; il maggiore della polizia
Salvatore Pecorella.
Contemporaneamente
a Milano il colonnello Spiazzi muoveva con un reparto di
congiurati verso i sobborghi di Milano, con l'obiettivo di
occupare Sesto San Giovanni, in esecuzione di un piano di
mobilitazione reso operativo da una parola d'ordine. |
Il
proclama alla Nazione |
L'epilogo del
colpo di mano sarebbe giunto con la lettura di un proclama
televisivo da parte del principe Borghese, al termine del quale
l'intervento delle Forze Armate avrebbe suggellato il definitivo
successo dell'insurrezione e l'avvio di una nuova fase politica
per il Paese. Il contenuto del proclama sequestrato nel marzo del
1971 nello studio del Borghese era pressappoco questo:
Italiani, l'auspicata svolta politica, il
lungamente atteso "colpo di Stato" ha avuto luogo.
La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, ha
portato l'Italia sull'orlo dello sfacelo economico e morale, ha
cessato di esistere. Nelle prossime ore con successivi bollettini,
vi verranno indicati i provvedimenti più immediati ed idonei a
fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione.
Le Forze Armate, le Forze dell'Ordine, gli uomini più competenti e
rappresentativi della Nazione sono con noi; mentre, dall'altro
canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi,
quelli, per intendersi, che volevano asservire la patria allo
straniero, sono stati resi inoffensivi.
Italiani, lo Stato
che insieme creeremo, sarà un'Italia senza aggettivi né colori
politici. Essa avrà una sola bandiera: il nostro glorioso
Tricolore!
Soldati di Terra,
di Mare e dell'Aria, Forze dell'Ordine, a voi affidiamo la difesa
della Patria ed il ristabilimento dell'ordine interno. Non saranno
promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali
speciali; vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti. Da
questo momento, nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi,
ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi.
Nel riconsegnare
nelle vostre mani il glorioso Tricolore vi invitiamo a gridare il
nostro prorompente inno d'amore: Italia! Italia! Viva l'Italia!
E' chiaro, l'unico
modo per ottenere la legittimazione da una parte delle forze
politiche risparmiate alla deportazione, era quella di dare
autorevolezza ad un nuovo esecutivo senza sopprimere le
istituzioni repubblicane ma solo limitarle di poteri in favore di
un esecutivo più forte. |
Il
contrordine inspiegabile e inaspettato |
Ad un certo punto
della notte più lunga della Repubblica arrivò il contrordine:
tutti a casa. L'insurrezione, già in fase di avanzata
esecuzione, fu
improvvisamente interrotta e tutte le disposizioni già impartite
furono annullate. Fu Borghese stesso a ricevere un ordine per
telefono in base al quale bisognava interrompere il piano
sovversivo. A tutt'oggi non si è ancora conosciuto chi diede
quell'ordine a Borghese e per quali ragioni. Lo stesso Borghese
rifiutò di spiegarle persino ai suoi più fidati collaboratori.
Probabilmente qualcuno d'alto era venuto meno al piano
golpista, oppure si era trattato unicamente di un atto
dimostrativo. Anche l'inchiesta della magistratura non chiarirà
mai chi fosse stato a fare quella telefonata.
Assieme all'ordine
di abbandonare l'operazione, fu richiesto la restituzione delle
armi sottratte all'armeria del Ministero degli Interni, per
occultare qualsiasi prova della cospirazione. Ma quando, dopo il
contrordine, si trattò di restituire anche le sei pistole
mitragliatrici custodite in un armadio dell'armeria del Viminale,
una risultò mancante, al punto che si dovette farne fare una copia
in fretta e furia da rimettere al posto di quella sottratta,
perché nessuno si accorgesse in seguito dell'accaduto.
Subito dopo il
tentativo di golpe, il mondo fu messo a tacere. Per averne
conoscenza pubblica si dovette aspettare un anno e mezzo, fino al
17 marzo 1971, quando l'edizione serale di "Paese Sera" strillò la
notizia in prima pagina. Due giorni dopo, il 19 marzo, la procura
della Repubblica intervenne sulle rivelazioni della stampa
emanando un ordine di cattura per il principe Valerio Borghese,
per il pesante reato di cospirazione contro lo Stato. Ma dopo le
prime indiscrezioni uscite il 17 marzo, Borghese si era già reso
irreperibile riparando in Spagna dove morì da latitante, nel 1974,
in circostanze mai chiarite, forse avvelenato, come sostennero i
suoi fedelissimi. Constatata l'irreperibilità di Borghese, il
giorno 21 marzo, nella perquisizione ordinata dai magistrati
dell'appartamento del principe, furono ritrovati gli organigrammi
dell'apparato direttivo golpista e il proclama che avrebbe dovuto
essere letto in diretta televisiva. Il ministro degli Interni
dell'epoca, Restivo, dovette rispondere alla Camera sulle prime
notizie divulgate dalla stampa, tra cui proprio l'occupazione
della sede del suo ministero. Seguirono inevitabilmente
interrogazioni al governo e polemiche accese. |
Il danno e la
beffa |
Grazie alle
abilissime manomissioni politico-giudiziarie avvenute nel corso
degli anni e alla complessa opera d'insabbiamento dell'inchiesta,
l'opinione pubblica italiana prese per attendibile la tesi del
"golpe da operetta" coronata dalle sentenze della Corte d'Assise
di Roma del 14 novembre 1978 e della Corte d'Assise d'Appello del
14 novembre 1984 che condussero all'esito assolutorio dei
congiuranti: in pratica il delitto di insurrezione armata contro
lo Stato fu fatto cadere. In appello l'assoluzione fu definitiva e
generale. Ufficialmente, quindi, il caso fu archiviato dalla
magistratura come un fatto da operetta. Le condanne furono quindi
inesistenti.
Con la sentenza del
27 novembre 1984, infatti, la Corte di Assise di Roma assolse le
settantotto persone condotte in giudizio «perché il fatto non
sussiste». Nelle motivazioni della sentenza, si affermava: «I
cospiranti scesero in piazza per un'isolata manifestazione
eclatante, ostile, di per sé inidonea a realizzare l'evento
previsto [.]».
Il proscioglimento
quindi fu così motivato: «molte persone aderirono al Fronte
Nazionale perché illuse e
confuse da
ingannevole pubblicità [...]. Nei loro confronti non sono state
avanzate istanze punitive nella presunzione che l'iscrizione, il
gesto isolato e sporadico, il sostegno "esterno", la convergenza
spirituale di per sé rilevano, piuttosto che un permanente legame,
un atteggiamento psicologico non incidente sulla "condizione"
processuale degli interessati».
Tra le posizioni
archiviate ve ne erano alcune riferibili a soggetti che negli anni
successivi avrebbero fatto parte in vicende di rilievo
dell'eversione di destra, quali Carmine Palladino, Giulio
Crescenzi, Stefano Serpieri, Gianfranco Bertoli, Giancarlo
Rognoni, Mauro Marzorati, Carlo Fumagalli, Nico Azzi. In più anche
la posizione del generale Berti risulta inspiegabilmente non
perseguibile, nonostante l'alto ufficiale condusse un'intera
colonna di militari armati di tutto punto e muniti di manette,
acquistate senza autorizzazione ministeriale appena pochi giorni
prima, fino a poche centinaia di metri dalla sede della
radiotelevisione.
Di quanto accadde a Roma in quella notte dell'Immacolata del 1970
una sola cosa è certa: i servizi segreti sicuramente sapevano. Lo
proverà la documentazione che Andreotti consegnerà alla
magistratura romana soltanto cinque anni dopo. Quella stessa
magistratura che farà di tutto per insabbiare l'inchiesta
giudiziaria e per trasformare il "Golpe Borghese" in una vicenda
cospiratoria da operetta. |
L'ombra della
mafia |
E'
stato appurato che il principe Borghese richiese la collaborazione
della Mafia per la realizzazione del suo golpe. Molti anni più
tardi, infatti, grazie alle rivelazioni di Luciano Liggio e
Gaspare Mutolo e, poi, di Tommaso Buscetta e di Antonino
Calderone, emersero i legami tra il progetto golpista di Borghese
e l'organizzazione mafiosa Cosa Nostra.
Il 3 dicembre 1984,
nel corso di un'audizione, Tommaso Buscetta riferì che durante i
mondiali di calcio in Messico del 1970 la "cupola" mafiosa si
riunì in Sicilia per discutere della proposta di partecipazione ad
un "golpe", avanzata dal principe Borghese. Raccontò il pentito
che il progetto di "golpe" prevedeva un ruolo attivo degli
affiliati di Cosa Nostra, a cui sarebbe stata affidata la
"gestione" del territorio compreso nel mandamento di ciascuna
famiglia mafiosa, per "calmare e far vedere al popolo siciliano
che noi eravamo d'accordo, ognuno per la sua sfera di influenza
che avevamo nelle nostre terre".
La contropartita
offerta dai cospiratori fu quella della revisione di molti
processi in corso a carico di esponenti dell'organizzazione
criminale. L'accettazione da parte di Cosa Nostra fu compromessa
in seguito alla richiesta, da parte dei golpisti, di un elenco di
tutti gli "uomini d'onore" partecipanti alle operazioni golpiste.
Non solo, tutti gli uomini di Cosa Nostra, durante l'insurrezione
dovevano rendersi riconoscibili agli altri golpisti mediante una
fascia di colore verde da portare ben visibile al braccio. Secondo
i pentiti di mafia l'insurrezione fu bloccata in extremis perché
gli statunitensi avrebbero ritirato il loro appoggio in seguito
alla presenza nel Mediterraneo di una flotta armata sovietica. |
Una
morte misteriosa |
All'insaputa l'uno
dell'altro due giornalisti italiani stavano indagando sul golpe
Borghese, seppure da posti diversi: da Genova Camillo Arcuri e da
Palermo Mauro De Mauro. Tutti e due furono costretti al silenzio.
De Mauro per sempre, Arcuri solo per trent'anni.
Nel 1969 Camillo
Arcuri era giornalista al quotidiano Il Giorno. Egli nel
settembre di quell'anno ricevette un'informazione da una fonte
confidenziale: Junio Valerio Borghese, ex capo della "Decima Mas"
e ispiratore del movimento neofascista Fronte Nazionale, si era
riunito in gran segreto con alcuni economisti genovesi nel
castello di Capo Santa Chiara. Borghese stava progettando un colpo
di Stato militare. Il giornalista diede il via ad una inchiesta
giornalistica, cercando riscontri e approfondendo le informazioni
in suo possesso. Arcuri scrisse un primo articolo, proponendolo
alla redazione de Il Giorno. L'articolo non ricevette mai
la necessaria autorizzazione ad essere pubblicato.
Contemporaneamente Arcuri cominciò a ricevere strani messaggi che
lo esortavano ad essere prudente, assieme ad anonime pressioni al
silenzio. Ci sono voluti trent'anni per pubblicare quelle
informazioni (vedi bibliografia). In quello stesso periodo anche
Mauro De Mauro, giornalista del quotidiano siciliano L'Ora,
aveva ricevuto le stesse informazioni. Il giornalista stava
lavorando su un servizio che, come egli stesso riferì, avrebbe
"fatto scoppiare l'Italia". Mauro De Mauro scomparve
misteriosamente la sera del 16 settembre 1970. Per anni gli
inquirenti credettero che dietro l'assassinio del giornalista vi
fosse la sua inchiesta sulla ricostruzione del misterioso
incidente aereo in cui, nell'ottobre 1962, perse la vita Enrico
Mattei, presidente dell'Ente Nazionale Idrocarburi. Solo
recentemente si è scoperto che la ragione dell'eliminazione del
giornalista andava ricercata nelle rivelazioni che De Mauro si
accingeva a pubblicare sull'imminente golpe Borghese, in
particolare sull'alleanza tra neofascisti e Cosa Nostra. |
Non fu dunque un golpe
da operetta |
I progetti
golpisti (da quello di Borghese a quello di Edgardo Sogno del
1974) erano strettamente collegati alle bombe e alle stragi nere.
Queste possono essere quindi interpretate come azioni inserite in
una strategia pianificata avente come unico scopo quello di
portare il Paese ad un livello di non-governabilità dell'ordine
pubblico, per comprovare l'inettitudine dello Stato democratico e
favorire una modificazione dell'assetto istituzionale in senso
autoritario.
E' sbagliato quindi definire quello di Borghese un golpe "tentato"
e poi rientrato. Il risultato politico che voleva ottenere chi
aveva organizzato la cospirazione fu raggiunto: congelamento della
politica del "compromesso storico" di Aldo Moro, allontanamento
del Partito Comunista Italiano dall'area di governo, garanzie di
una totale fedeltà filo-atlantica e filo-americana.
La verità è che il
golpe c'è stato ed è riuscito. Eccome! |
BIBLIOGRAFIA |
- Servizi
segreti. Tutte le deviazioni: dal piano "Solo" al golpe
Borghese, dalla P2 alla strage di Bologna, dal caso Cirillo al
super Sismi, a cura di P. Calderoni, Pironti, Napoli, 1986.
- Stragi, trame
nere e Servizi, di C. Palermo, Publiprint, Trento, 1994.
- Servizi
segreti. Tutte le deviazioni: dal piano "Solo" al golpe
Borghese, dalla P2 alla strage di Bologna, dal caso Cirillo al
super Sismi, a cura di P. Calderoni, Pironti, Napoli, 1986.
- Il Grande
Vecchio. Dodici giudici raccontano le loro inchieste sui grandi
misteri d'Italia da Piazza Fontana a Gladio, di G. Barbacetto,
Baldini & Castoldi, Milano, 1993.
- I poteri
occulti nella Repubblica. Mafia, camorra, P2, stragi impunite,
di Autori Vari, Marsilio, Venezia, 1994.
- Minacce alla
democrazia, di F. Ferraresi, Feltrinelli, Milano, 1995
- La destra in
armi: neofascisti italiani tra ribellismo ed eversione, di G.
Cingolati, Editori Riuniti, Roma, 1996.
- Il lato oscuro
del potere, di G. De Lutiis, Editori Riuniti, Roma, 1996.
- Alleanza
Atlantica e stragista, di M. Notarianni, in Liberazione,
11 febbraio 1998.
- Ombre nere. Il
terrorismo di destra da Piazza Fontana alla bomba al
"Manifesto", di Daniele Biancchessi, Mursia, Milano, 2002.
- Colpo di
Stato. Storia vera di una inchiesta censurata. Il racconto del
golpe Borghese, il caso Mattei e la morte di De Mauro, di C.
Arcuri, Rizzoli, Milano, 2004.
|
|
|
tratto da:
http://www.storiain.net/arret/num104/artic3.asp
|