.I Furneddhri (o
pajare) e muri a secco. | A furia di togliere pietre
dalla terra ed accumularle creando "Le Specchie", i nostri avi iniziarono a
pensare che tutto quel lavoro di accumulo di massi poteva servire a
costruire dei muri di delimitazioni dei campi, prima ed in seguito dei rifugi dalle intemperie, nei campi. Col tempo questi rifugi
si trasformarono in abitazioni nella quale viveva un'intera famiglia. Nacquero così i muri
"a secco" (a secco perché costituiti solo da pietre e bolo) ed i furneddhri. Le forme cambiano, ma le
tecniche costruttive rimangono le stesse. Nell'interno la copertura è chiusa
a volta a cupola e detta tecnica può benissimo essere considerata
l'antesignana della costruzione delle tipiche volte in pietra leccesi. |
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«La
storia dell'architettura, com'é scritta e insegnata nel mondo occidentale,
si occupa solo di poche culture selezionate. Considera solo una piccola
parte del globo - l'Europa e segmenti dell'Egitto e dell'Anatolia. Inoltre
l'evoluzione dell'architettura è studiata solo
nelle sue ultime fasi. Sorvolando i primi cinquanta secoli, I cronisti ci presentano un apparato di
architettura "formale", un modo arbitrario di introdurci all'arte del
costruire, come sarebbe quello dì datare la nascita della musica con
l'avvento dell'orchestra sinfonica. Questo
approccio discriminativo degli storici è dovuto al loro parrocchialismo. Ci sono poi i pregiudizi sociali. La storia dell'architettura che ci
viene propinata ammonta a poco più di un "chi è?" di architetti che
celebrano il potere e la ricchezza, un'antologia di edifici di, da e per
privilegiati.» Così Bernard Rudofsky
presentava la mostra Architecture Without Architects organizzata al
MoMa di New York nel 1964-65. L'accento era sull'anonimo. Protagonisti: non
personalità artistiche, ma troglotidismo, «la natura come architetto»,
«immagini per sottrazione», il luogo come scelta, l'edilizia acquatica e
nomadica, arcate, passaggi coperti, logge, strade schermate, vernacolo
simbolico. Lo stesso approccio negli altri contributi di Rudofsky, per
esempio in The Prodigius Builders: «Lode alle caverne»,
«Architettura brutale», «Quando l'architettura era tutto gioco e niente
lavoro», «Architettura mobile», «II vernacolo apprezzato obliquamente»,
«L'importanza della trivialità», «Omaggio ai tuguri».
Bruno Zevi -
"Dialetti architettonici" |
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Bibliografia:
Antonio Costantini: "Le costruzioni in
pietra a secco nel Salento leccese", Italia Nostra Parabita, 1988 |
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Non
comprate quelle pietre!
Sembra una storia uscita dal romanzo La caverna
di Saramago, ma purtroppo è vera. Il Salento è una terra ricca di storia e
tradizioni, ed è una terra dove la presenza dell’uomo e del suo lavoro è
testimoniata da innumerevoli masserie abbandonate adagiate su un tessuto
di muretti a secco che un tempo avevano la funzione di delimitare le
proprietà e le aree adibite al pascolo. Le pietre tufacee scavate dal
tempo e ricoperte dai licheni, dal colore chiaro o a volte rossastro, sono
il paesaggio stesso del Salento. Un paesaggio unico in Italia. Da un po’
di tempo i camion arrivano di notte, si fermano in prossimità delle
masserie e dei muretti, le pietre vengono smontate, violentate, deportate
nel Centro e nel Nord Italia perché quelle pietre lì da secoli ora sono
diventate un business, vendute negli ipermercati come elementi decorativi
per i giardini di ville e condomini. Nessuno fa e dice nulla, poche e
isolate le voci di protesta. I centri commerciali hanno trovato un nuovo
articolo che rende bene e tanto basta per accettare il quotidiano scempio
di un paesaggio e di una tradizione. Con loro se ne sta andando una
eredità ricca di testimonianze e di cultura, immolata sull’altare delle
leggi assurde del consumo. Ora quelle pietre, strappate alla terra in
tempi remoti e poste per secoli a difesa della stessa terra affinché
questa potesse dare sostentamento a intere generazioni, stanno sopra
qualche scaffale in Brianza con un codice a barre appiccicato sopra e
vendute a peso, giacciono, insulse, tra fioriere di plastica e nani da
giardino.
(da Movimento Pasta Cunegonda) |
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