I giovani ricercatori:
Oreste Caroppo
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INTERVENTI:
MONOGRAFIE:
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Antichi
legami tra il Salento e l’Arcipelago Maltese nell’età del
bronzo.
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Considerazioni finali sulla numerosità dei menhir
pugliesi
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Antichi
sacrifici all’ombra dei menhir
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Influssi maltesi nei menhir del Salento.
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Ricerca
e analisi di petroglifi incisi sulle superfici di alcuni menhir
salentini
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riguardo
al dolmen (doppio) di Corigliano
d'Otranto (e-mail del 24.03.03) |
Sono un ragazzo di Maglie da diversi anni
sono interessato al fenomeno del megalitismo pugliese,e ho scoperto, con
gioia, l'esistenza di questo vostro sito. Già all'età di 15 anni
cominciavo le mie ricerche di megaliti nelle campagne intorno a Maglie.
Con grande gioia nell'estate del 1993 ritrovai dopo numerose ricerche,
(attratto dalle caratteristiche morfologiche dei luoghi sulla dorsale
rocciosa tra Maglie e Corigliano) i due dolmen che nel vostro elenco
compaiono come dolmen senza nome nell'agro di Corigliano. Nel 1994 dopo
averne informata la Sovrintendenza di Taranto e aver fatto un
sopralluogo con un gruppo di studiosi che appurarono l'evidente valore
del sito,ne fu data comunicazione alla stampa e con un lungo articolo
del "Quotidiano di Lecce" si comunicava per la prima volta al
grande pubblico la scoperta. Il primo testo in cui si accennò a questa
scoperta è la monografia "Maglie" del professore Emilio
Panarese. Qui insieme alle foto del sito vi si indica il mio nome,Oreste
Caroppo (Maglie 22/03/1977) come quello del legittimo scopritore. Ma i
risultati delle mie ricerche nel fruttuoso territorio salentino non si
fermano qui. Sul "Gallo" giornale distribuito gratuitamente
nella zona tra maglie Tricase e Casarano , ho segnalato negli ultimi
anni in più articoli: una struttura dolmenica in agro di Giurdignano e
un menhir in agro di Supersano dalla caratteristica sezione rettangolare
e presentante numerose croci incise sulle sue facce, entrambi non ancora
segnalati. Di questi ed altri ritrovamenti non ancora segnalati mi
impegno a darvene comunicazione e materiale fotografico; nell'interesse
della loro tutela il primo passo e' la conoscenza e il censimento di
tutte queste strutture.
P.S.: gradirei che nell'interesse della storia dei Dolmen di Corigliano
colmaste la lacuna relativa al nome dello scopritore:"Oreste
Caroppo". Gli stessi dolmen sono stati battezzati "dolmen
Caroppo I "il più grande e caratteristico per la presenza di più
lastroni adiacenti e "dolmen Caroppo II" il più piccolo a
struttura perfettamente trilitica.
Vi segnalo l'interesse di tutta la zona in cui sono ubicati i dolmen,
per la presenza di numerosi lastroni e pietrame di antica cavatura,
resto del tumulo che copriva i dolmen e di altri tumuli/dolmen presenti
in quella che era una vera e propria necropoli megalitica. Interessanti
sono anche i segni dell'antica estrazione in loco di materiale litico e
interessante e' la morfologia del luogo che sorge su un altura nonché
la presenza di un foro rettangolare ipotizzabile base di un antico
menhir immediatamente di fronte al dolmen II.
Il sito merita una più attenta tutela, purtroppo dopo la mia scoperta
il proprietario ha asportato dal sito alcuni degli antichi lastroni lì
presenti e tumuli di pietrame di cui fortunatamente conservo alcune
foto,e ha apportato terreno tufaceo che ha coperto lo strato roccioso
precedentemente affiorante.
distinti saluti e grazie per l'attenzione che spero dedicherete a questa
mia lettera.
vedi dolmen Caroppo I e II |
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un
nuovo
menhir a Supersano (e-mail del 26.03.03) |
La ringrazio per la
rapidità con cui ha aggiornato il suo prezioso archivio telematico con
i dati che le ho fornito sui dolmen in agro di Corigliano.
Le riporto per il momento, per intero, l'articolo
pubblicato l'anno scorso sul "Il Gallo" relativamente ad un
menhir da me individuato in territorio di Supersano.
Oggetto: segnalazione di
“un nuovo menhir a Supersano"
Approfitto dello spazio
gentilmente concessomi da "Il Gallo" per segnalare la scoperta
di un nuovo menhir nell'agro di Supersano.Sono uno studente di
ingegneria ,di Maglie,e da diversi anni mi occupo della ricerca e dello
studio dei monumenti megalitici nel Salento. La scoperta che sto per
annunciare risale al 4/12/1993 ma solo oggi nell'interesse della tutela
di queste antiche testimonianze, che rischiano di scomparire prima
ancora di essere conosciute, ho deciso di divulgarne la notizia e
l'occasione è stata un'escursione condotta in zona domenica 4
novembre,con un gruppo di appassionati, alla scoperta delle antiche
neviere salentine. Ma ritorniamo al menhir : il luogo dove è ubicato è
la splendida piana che si domina da Casale Sombrino,ad alcune
centinaia di metri da questo in direzione NE , poco distante da un
piccolo campo d'aviazione di proprità privata.La struttura è
costituita da un parallelepipedo calcareo. La sezione rettangolare
misura circa cm.37x23. Le superfici del monolite sono coperte da un
vetusto strato di licheni. Sulle pareti maggiori ,orientate SSE-NNW,si
contano numerose croci incise, probabile segno dell'opera di
cristianizzazione attuata dai primi amministratori del culto cristiano
in zona;e proprio a questi si deve forse l'abbattimento della parte
superiore (oggi il menhir è alto circa 1,00m. Il monumento è inclinato
a ENE ed è profondamente conficcato nel terreno. Sulla sommità si
osserva una scanalatura profonda cm.10 circa che corre parallela ai lati
minori. Fu uso diffuso cristianizzare questi simboli pagani anche
apponendovi delle croci sulla parte superiore trasformandoli in "osanne"
(questo forse il motivo della scanalatura).
Dimenticato
il suo originale significato i contadini lo hanno utilizzato per legarvi
gli animali nelle pause durante l'aratura dei campi; un taglio su uno
spigolo per meglio assicurare una ipotetica fune fa supporre questo.
Propongo
che il nuovo menhir sia chiamato con il nome dell'antica palude che
sorgeva nella zona : Menhir Sombrino.
Distinti
saluti e grazie alla redazione de "Il Gallo" ,sempre
attento alle segnalazione delle nuove scoperte che arricchiscono il
nostro patrimonio culturale.
Oreste Caroppo
P.S.: tale menhir potrebbe avere un più ampio
interesse per la studio del significato di questi monoliti per le
evidenti correlazioni spaziali con gli altri menhir di Supersano, penso
al menhir di Coelimanna con il quale forma un interessante allineamento
parallelo alla vicina "serra".
Segnalo anche come nei pressi del menhir era
presente una buca rettangolare di ampie dimensione e profonda più di un
metro e mezzo provvista di una scalinata che ne permetteva la discesa.
Oggi purtroppo è stata riempita di rifiuti e coperta da terreno. Ma
almeno è ancora lì benché coperta e sarà interessante studiare anche
questa struttura quanto si procederà ad una rilettura dell' intero
sito.
Sui dolmen di Corigliano le invierò la particella
catastale in mio possesso e alcune foto che mostrano il sito prima dei
dannosi lavori effettuati dal proprietario nonché alcuni dati
dimensionali e di orientamento cardinale dei megaliti.
Per il momento mi limito ad osservare quanto sia
originale il Dolmen Caroppo I: consta di ben 4 lastroni delimitanti
altrettante celle,un sorta di dolmen galleria più propri questi del
barese e della Sardegna, ma in cui le celle sono raggruppate intorno ad
un fulcro centrale al fine di riprodurre una pianta ellittica o
vagamente circolare della quale sarà interessante lo studio
dell'orientazione dell'asse maggiore.
Nel sito vi è una
pagliara a pochi metri dai dolmen ,all'ingresso della quale è presente
una struttura dalle caratteristiche dolmenica probabilmente coetanea
della pagliara ma che forse è stata costruita con un lastrone locale,
anticamente copertura di un altro dolmen. Il piccolo lastrone quasi
perfettamente circolare presenta un piccolo foro passante sul margine
forse la struttura fu usata come canile e il foro fu praticato per
assicurarvi una corda; ma non escudo altre interpretazioni.
La invito a masterizzare tutte le preziose
informazioni che sta raccogliendo nel suo archivio telematico per
evitare che incivili navigatori danneggino con stupidi virus tale
materiale. In un epoca in cui l'ignoranza sta distruggendo quanto secoli
di storia ci hanno tramandato la meritevole opera di persone come lei
che affannosamente e amorevolmente si impegnano nel raccogliere ogni
informazione che possa essere importante per gettare luce sul nostro
passato e sulle nostre origini ha un valore così grande che stentiamo a
rendercene conto!
Appena avrò a disposizione in formato digitale le
foto su altri miei ritrovamenti mi impegnerò a recapitargliele con le
relative informazioni.
Distinti saluti e ancora grazie per il suo lavoro.
vedi menhir Sombrino |
N.d.R.: grazie a questa segnalazione del Signor Caroppo è stato
possibile ritrovare da parte del sottoscritto un ulteriore menhir a
Supersano (vedi nuovi
rinvenimenti). P.De Nuzzo |
due
menhir nei pressi di Otranto (e-mail del 22.07.03) |
Finalmente trovo un po’ di tempo
libero per inviarle ulteriori segnalazioni su altre strutture
megalitiche da me individuate.
Data la grande diffusione di megaliti
monoliti in tutto il basso Salento, sin ora appariva alquanto strano che
proprio in Otranto e in tutto il suo vasto areale non vi fossero menhir.
Otranto è
certamente una delle più antiche città salentine e se oggi non si
trovano menhir in essa come invece nella vicina città di Giurdignano,
ciò si deve solo alla graduale distruzione cui sono stati sottoposti
per opera antropica e soprattutto per mano di officianti del culto
cristiano, che nei secoli passati hanno cercato di estirpare gli antichi
credi pagani a favore della nuova religione. Fortunatamente qualcosa si
è salvata ed e giunta sino ai nostri giorni!
Nella zona degli Alimini a Nord di
Otranto ho avuto la fortuna di imbattermi in due Menhir.
La presenza umana nell’area risale
già al paleolitico. Si ritrovano insediamenti in grotta (Grotta Sacara
e Grotta Marisa), ripari sotto roccia e insediamenti all’aperto di
tipo capannicolo, come rivelano i numerosissimi reperti litici
(strumenti in selce e ossidiana) ritrovati in zona, ed esposti nel museo
paletnologico di Maglie; addirittura negli ultimi anni è stato ivi
rinvenuto, da un mio amico, un
chopper, purtroppo fuori
strato, donato da questi al su menzionato museo.
Percorrendo la provinciale
Otranto-Alimini si svolti a sinistra per Martano, la strada transita su
un ponticello sotto cui scorre il canale “Strittu” che collega il
lago Alimini Grande con il lago Alimini Piccolo. Dopo un centinaio di
metri si svolti a destra, si imbocca una stradina in terra battuta che
si snoda lungo il lato ovest del lago Alimini Grande. A sinistra della
stessa i terreni sono interessati da
uliveti mentre a destra la strada confina con una pineta che è
interposta tra questa e il lago. La si percorra finchè la strada non
curva a sinistra. A questo punto si guardi a destra tra i cespugli di
lentisco e si osserverà, come accadde a me nel pomeriggio del 18 luglio
del 1993, un monolite bianco, alto 65 cm, di sezione rettangolare con
dimensioni approssimativamente di 22 cm per 33 cm, con i lati maggiori
orientati est-ovest, come in numerosissimi menhir salentini. Si tratta
di un blocco di calcare-argillo-magnesifero, “pietra leccese”
volgarmente detta; per le caratteristiche geologiche del luogo, si
tratta di una pietra trasportata in situ da altre località del Salento.
Il blocco è solidamente impiantato
nel terreno e forse nella roccia. Nella parte alta si osservano dei
piani di frattura. Il blocco era in origine più alto e certamente per
mano umana, come fanno pensare i numerosi segni di frattura sulla sommità,
fu abbattuto. Quello che oggi vediamo è solo la base di un antica “pietrafitta”.
Le dimensioni, la forma, l’orientazione fanno pensare ad un menhir.
Ma se ciò non bastasse ricordiamo che spesso i menhir furono
cristianizzati oltre che con l’incisione di croci che forse erano
nella parte alta oggi divelta, anche con lo scavo in blocchi di roccia
siti nelle vicinanze, di grotte votive dedicate al Cristo o a santi
cristiani; noti menhir di Giurdignano e di Bagnolo del Salento,
presentano queste caratteristiche.
Nel monolite in analisi, che
battezziamo “Menhir Alimini”, si ritrova la medesima situazione. A
nord-est della struttura, a non più di sette metri, è sita una cripta,
scavata nel costone roccioso che dalla strada scende sino al lago. Nella
piccola cripta sono incise croci di piccole dimensioni, dominate da una
grande croce scolpita in altorilievo sulla volta della cavità
pseudo-rtificiale.
Non
escludo che anche queste cavità possano essere coeve ai menhir e
connesse al loro culto; luoghi sacri, o tombe, poi riutilizzati e
sottoposti ad opera di cristianizzazione. E ricordando che il simbolo
della croce è ampiamente attestato nell’area mediterranea, millenni
prima della diffusione del cristianesimo, non possiamo neppure a priori
escludere, che già in antichità si apponessero questi simboli sui
nostri menhir, ben prima dell’arrivo nelle nostre terre degli
apostoli Pietro e Paolo.
Percorrendo la strada statale che da Otranto mena alle località
turistiche degli Alimini, nel tratto
compreso tra il mare Adriatico e il Lago di Fontanelle o Alimini
piccolo, si guardi a sinistra; un centinaio di metri prima di una
stradina che mena direttamente al lago suddetto, si osserverà, come
accadde a me il 9 ottobre del 1993, a 5-6 m dal ciglio della strada, un
blocco monolitico che si eleva dal piano per circa 85 cm. La forma è
quella di un parallelepipedo. La sezione rettangolare ha dimensioni di
circa 32 cm per 21 cm, i lati maggiori sono orientati est-ovest, secondo
il percorso solare, così come tipico nei nostri menhir, e analogamente
ad altri menhir sulla sommità si osserva scolpita una bacinella, sul
cui significato molto si teorizza (forse base di croci lignee). Inoltre
lo spesso strato di licheni che ne rivestono le superfici, lascia
intravedere alcune croci incise sui lati maggiori. Il menhir è in
pietra leccese. Pare profondamente incastonato nella roccia e alla base
si osservano alcuni grossi massi di calcarenite (la pietra locale).
Propongo di battezzare il menhir: “Menhir Fontanelle”.
I menhir sono sempre associati ad
antichi tracciati viari, e viene dunque da pensare che il prolungamento
della via Appia che conduceva da Brindisi ad Otranto passasse proprio
lungo
un ben più antico tracciato, il cui
percorso ci è oggi indicato dai due menhir dei laghi Alimini.
Altri
ceppi monolitici sono stati da me individuati nella stessa zona, ma di
questi non ne faccio menzione poiché non presentano le stesse evidenze
di arcaicità dei precedenti (croci, associazioni con cripte, spessi
strati di licheni, bacinelle sulla sommità e soprattutto orientazione
est-ovest) e potrebbe pertanto trattarsi di semplici pietre miliari o
ceppi di confine |
Sulla destra “Menhir Alimini”. Si
noti sulla sinistra l’ingresso della Grotta della Croce. |
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il menhir "Croce
di Marrugo" a Serrano (e mail del 11.8.04) |
Caro Pino ti invio la descrizione e alcune foto
di un menhir da me scoperto nel 1993 di cui non ho trovato alcuna
precedente segnalazione. Alcuni giorni fa sono tornato nella zona in cui
era ubicato, è ho felicemente osservato che la struttura è rimasta
inviolata.
Il menhir si erge in un incolto ad alcune
decine di metri sulla sinistra dalla strada vicinale che porta da Cursi a
Serrano ( frazione di Carpignano Salentino ) ad alcune centinaia di metri
a Nord di Masseria Marrugo. La scoperta risale al 28/11/1993. La struttura
si distingue dagli altri menhir salentini per una particolarità unica :
sorge al centro di un cumulo di pietre informi di pianta ellittica molto
allungata. Il menhir è un blocco monolitico di pietra leccese , di sezione
rettangolare (circa 43cmX23cm ), alto circa 1,5m, profondamente conficcato
nel cumulo litico e forse anche nel terreno sottostante. Un antico strato
di licheni ne riveste le superfici. Nella parte superiore del blocco è
presente una scanalatura ampia che corre parallelamente ai lati minori,
larga 13cm e profonda 5cm. Un ulteriore elemento di singolarità è la
presenza di un foro cieco profondo circa 12cm, di forma quadrata ( 13cm di
lato circa ) posto sulla faccia maggiore rivolta a Sud-Est a 56 cm dalla
base della scanalatura superire. Le facce maggiori sono orientate (Nord-
Ovest)-(Sud-Est). A Nord del menhir in prossimità della specchia si
osserva nel terreno l’apertura di una cisterna, o forse antica grotta
naturale poi riutilizzata dall’uomo. Rispettando una consolidata
tradizione il menhir dovrà assumere il nome che la toponomastica locale
assegnala luogo di ubicazione. Per il momento in mancanza di una ricerca
più accurata chiamo il menhir : “Croce di Marrugo” o “Pietrafitta Marrugo”
in virtù del nome della più vicina masseria e di alcuni dei nomi
utilizzati nel Salento per i menhir: pietrefitte o croci.
La struttura presenta in definitiva tutte le
caratteristiche proprie dei menhir salentini: sezione rettangolare,
discrete dimensioni, orientazione delle facce maggiori secondo il percorso
del Sole nel cielo, uno spesso strato di licheni sulle superfici, e
superfici di taglio irregolari. Si riscontra anche la correlazione con una
vicina cavità (che merita una molto più attenta indagine e che potrebbe
rivelare delle sorprese data la presenza di cripte e laure basiliane
spesso realizzate dai monaci medioevali in prossimità di antichi menhir,
luoghi di culto pagani per le nostre genti molto probabilmente ancora nel
basso medioevo), caratteristica questa comune ad altri menhir e che
ritengo di fondamentale importanza per la comprensione del significato di
questi vetusti monoliti. Le caratteristiche nuove sono la presenza del
foro cieco citato, e la collocazione della struttura al centro di un
cumulo litico. Non escludo possa trattarsi dei resti di una più recente
costruzione realizzata a ridosso del menhir al fine di utilizzarne lo
stesso a mo' di pilastro, si osserva infatti la presenza accennata di
antichi muri crollati nelle immediate vicinanze, ma l' irregolarità del
pietrame non ci permette di escludere una contemporaneità del sottostante
cumulo col menhir. Se si trattasse di una arcaica correlazione
menhir-specchia-grotta, quella di Marrugo sarebbe una struttura di estremo
interesse.
Tutta la zona circostante comunque andrebbe più
accuratamente indagata, e non escluderei ulteriori piacevoli sorprese.
Quando avrai il tempo per visionare questa
struttura sarò felicissimo di accompagnarti anche al fine di una più
accurata indagine della cavità che è piuttosto profonda ma la cui apertura
troppo piccola non mi ha permesso di osservarla con attenzione.
a presto. Oreste Caroppo |
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circa il
menhir San Rocco di Maglie |
(Articolo sospeso per
revisione avendo acquisito nuovi dati)
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Un nuovo dolmen che battezzo
Santa Barbara |
“...Puo' apparire strano che alle soglie del nuovo millennio in un
territorio fortemente antropizzato quale quello salentino sia possibile
imbattersi in un dolmen non ancora identificato come tale, ma la nostra
terra sa' ancora regalare forti emozioni a chi come me coltiva l'interesse
per l'archeologia. Si pensi ad esempio ai numerosi dolmen scoperti negli
ultimi decenni nelle campagne di Maglie o ai dolmen in agro di Corigliano
d'Otranto che personalmente ebbi il piacere di scoprire.
A
prova della vastità del fenomeno megalitico nella nostra regione e della
incompleta conoscenza di queste strutture, voglio utilizzare questo spazio
per segnalare una mia nuova recente scoperta.
Si
tratta di una struttura dalle caratteristiche dolmeniche sita in agro di
Giurdignano, in un uliveto ubicato alla sinistra di una via vicinale che
porta dalla Statale Otranto-Maglie a Giurdignano.
La
struttura ha le seguenti dimensioni:
§
altezza massima di 1,10 m,
§
la pianta rettangolare ha dimension:i 1,75m(WSW-ENE) X 1,50m(NNW-SSE).
L'ingresso alla cella è a WSW. E' probabile che l' ingresso sia stato
rimaneggiato o fosse in origine del tutto inesistente come fanno pensare
alcuni ortostati posti a mo' di sportello e uno riverso all'interno della
"camera ". Singolare è la struttura di sostegno della lastra di copertura.
Si sovrappone infatti ad una perimetrazione basale ottenuta con dieci
ortostati di irregolare forma parallelepipeda e differente altezza, un
secondo ordine di massi irregolari che fungono da zeppatura per la
copertura piattabbandata ...”
Note
ulteriori:
§
Data della scoperta:
21/05/1999
§
Materiale di costruzione:
Il materiale litico con cui è realizzata la struttura dolmenica , è la
roccia locale, un calcare conchiglifero, con la quale in zona sono anche
costruiti caratteristici trulli.
§
Lastra di copertura, dimensioni:
-
spessore variabile da 11 a 20 cm,
-
lunghezza in direzione ENE-WSW 1,50 m,
-
lunghezza in direzione NNW-SSE 1,10 m.
§
Area circostante:
la struttura è in asse con un bassissimo muretto di separazione tra due
fondi coltivati a ulivo.
Analizzando
i muretti a secco locali, in alcuni tratti, si osservano alcune strutture
particolari: si tratta di piccoli ambienti coperti da volta a tholos e a
volte da ampie lastre monolitiche che si aprono a mò di camere ricavate in
punti in cui si inspessisce lo spessore dei muretti. Si osservano
soprattutto là dove l' altezza delle perimetrazioni si fa relativamente
molto alta. Forse solo pollai o canili o depositi per gli attrezzi di
lavoro nei campi, ma comunque in questo contesto, tipologie costruttive
molto interessanti.
§
Coordinate geografiche del sito rilevate con sistema GPS:
latitudine N 40-08,564,
longitudine E 18-27,890,
altitudine 45 m s.l.m.
§
Ubicazione:
la struttura dolmenica sorge in prossimità di un area del feudo di
Giurdignano denominata Santa Barbara, da un omonima masseria. Procedendo
verso ovest si raggiunge la non distante Abbazia di Centoporte, sempre in
agro di Giurdignano.
§
Nome della struttura:
battezzo la struttura a tipologia dolmenica:
"Dolmen di
Santa Barbara"
§
Considerazioni:
rispetto agli altri dolmen dell'agro di Giurdignano, a ad un primo
sguardo, questa struttura si presenta alquanto differente.
Ma
a ben vedere la tipologia costruttiva è pur sempre quella architravata, e
la originalità si riduce solo alla presenza sopra gli ortostati basali, di
una zeppatura con pietre informi, che potrebbere essere anche frutto di un
intervento successivo, di recupero della costruzione ad uso agricolo,
attraverso l' elevazione della lastra che faceva da tetto al dolmen. Il
dolmen poteva così più agevolmente riparare un uomo in caso di pioggia e
fungere da deposito per gli attrezzi contadini. L'uso di una lastra tanto
sottile lo accomuna ad un altro antico dolmen di Giurdignano, il Gravasce
(vedi foto).
L'aspetto complessivo, differente rispetto agli altri dolmen di
Giurdignano, è riconducibile anche alla diversa roccia di costruzione. Il
Dolmen Santa Barbara è realizzato nella locale roccia calcarea
conchiglifera, presente negli strati superficiali dell' area di Santa
Barbara. Gli altri dolmen di Giurdignano, tra i più famosi e noti del
Salento, son ubicati a sud e ad ovest del paese, in un area molto distante
da questa e in cui cambia anche la geologia del primo strato di roccia
affiorante; un calcare compatto, in cui quei dolmen son stai costruiti;
una roccia che tende a levigarsi sotto l' azione degli agenti atmosferici
e ad ospitare uno spesso strato di licheni, elementi che conferiscono quel
senso di antichità che si potrebbe essere portati a non attribuire al
Santa Barbara, la cui pietra conchiglifera tende invece a sfaldarsi sotto
l' opera degli agenti esogeni e non a levigarsi, mantenendo sempre un
aspetto rugoso, come di pietra cavata relativamente di recente, anche se
con mezzi rudi. Tutte questa osservazioni le ritengo necessarie perchè l'
occhio inesperto dei locali (lo stesso che ha portato ad ignorare sin oggi
questa interessante struttura a pochi metri da una frequentata via
vicinale) potrebbe portate ad un rapida ed erronea considerazione: "il
Santa Barbara, un dolmen di serie B, forse una semplice costruzione
contadina dei secoli scorsi!", con il serio rischio di una bassa
considerazione di quello che potrebbe invece essere un antico dolmen della
protostoria di Terra d' Otranto.
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tre nuovi menhir in agro di
Palmariggi, in località Montevergine |
Oggetto:
tre nuovi menhir in agro di Palmariggi, in località Montevergine, un
altura delle Serre Salentine su cui è ubicato un omonimo Santuario
mariano.
Note iniziali:
partendo dal Santuario di Montevergine descriverò il percorso da compiere
per raggiungere i nuovi menhir e volta per volta fornirò i dati della
scoperta e descriverò le caratteristiche rilevate delle strutture
mono-megalitiche.
Nei
pressi del Santuario sorge un noto Menhir, noto come 'Menhir di
Montevergine'. Riporto alcune sue caratteristiche prelevate da un articolo
dello studioso salentino Cosimo De Giorgi, pubblicato sulla "Rivista
Storica Salentina", nel numero di nov.-dic. del
1916 e
intitolato "I Menhir della Provincia di Lecce", in cui lo studioso
descrive quel menhir, da lui classificato tra le pietrefitte ricadenti
nell' agro di Palmariggi.
·
il menhir è alto 2,45 m;
·
ha forma parallelepipeda ed è ben squadrata;
·
è confitto nel calcare compatto ed è smussato in cima;
·
la sezione rettangolare misura 0,36cm X 0,21cm;
·
le facce maggiori sono esposte in direzione Est-Ovest e su di esse sono
incise alcune croci.
Chiamiamo questo:
"Menhir Montevergine I".
L'
adiacente santuario fu costruito su una grotta in parte di origine
naturale, utilizzata come chiesetta rupestre nel medioevo, da monaci
greco-bizantini dell'ordine di San Basilio. In quell'antico luogo di
culto ipogeo, si rinvenne in epoca moderna, un affresco bizantino della
Madonna. La scoperta della grotta e dell' icona ancor oggi conservata e
venerata, si racconta fu fatta da un pastorello. Successivamente al di
sopra fu edificata l' attuale chiesa barocca a protezione della sacra
cavità, oggi cripta del Santuario. L'associazione del menhir con una
grotta, è un particolare diffuso in numerosi menhir salentini.
Il
primo dei tre nuovi menhir
Ora
dall'area del Santuario, si percorra la via vicinale che conduce fino
all'abitato di Palmariggi; si tratta di una stradina asfaltata usualmente
utilizzata dai cittadini di Palmariggi per raggiungere il luogo di culto
mariano cui sono devotamente legati.
Mentre la si percorre si tenga lo sguardo sulla sinistra osservando i
muretti a secco che delimitano la strada dagli uliveti.
Ad un certo punto
la continuità dei muretti è interrotta dalla presenza di una
caratteristica 'icunneddha', una cappelletta votiva, dedicata in
questo caso al culto mariano. Come per molte cappellette rurali salentine,
all' interno di un grosso blocco parallelepipedo calcareo disposto
verticalmente, è scavato un ambiente con copertura arcuata che accoglie
sul piano di fondo, un affresco, un' icona appunto, da cui deriva il nome
dialettale di origine greca, diffuso soprattutto nella città di Maglie di
'icunneddha', cioè 'piccola icona', con cui si indicano nel
vernacolo locale, tali immagini e per estensione le cappellette votive che
le contengono. Nella cappelletta in questione, si osserva ancora in parte
conservato, l' affresco di una 'Madonna con Bambino'. Proseguendo poco
oltre, ma volgendo questa volta lo sguardo a destra, si scopre che la
continuità dei muretti a secco di cinta, viene anche qui interrotta da una
struttura monolitica questa volta di più antica origine, è infatti un
menhir non ancora segnalato, o ciò che resta di una pietrafitta più alta
dopo che crolli dovuti ad eventi naturali o antropici, ne hanno ridotto l'
altezza.
Scoperta:
notai per la prima volta, il monolite nel 2001, percorrendo di notte la
stradina, quando fui colpito dalla possente struttura che comparve sotto
la luce dei fari dell' auto.
Dimensioni e caratteristiche:
·
il monolite è in pietra leccese;
·
è disposto verticamente e par profondamente infisso nel terreno;
·
ha i lati maggiori disposti parallelamente alla stradina;
·
ha forma di parallelepipedo di altezza 1,30m e sezione rettangolare di
circa 75cm X 20cm;
·
ha uno spesso strato di licheni che ne ricopre le superfici;
·
sulla sommità ha un incisione centrale che corre parallela ai lati minori;
·
la parte sommitale appare smussata; è forse questa una traccia di un'
antica rottura della struttura un tempo più elevata;
·
sulla faccia rivolta alla strada, è profondamente incisa nella parte
centrale e alta una croce latina; segni di altre croci appaiono debolmente
sulla superficie.
Nome:
chiamo questo menhir, 'Menhir di Montevergine II', per distinguerlo
dal più noto menhir di Montevergine, che abbiamo indicato,
preventivamente, come 'Menhir di Montevergine I'.
Nota:
si osservi la continuità di culto nella zona, testimoniata dalla vicinanza
di un menhir cristianizzato con l' apposizione di una croce e di una
cappella votiva dedicata a Cristo bambino e alla Madonna. Colpisce il
carattere megalitico che anche le espressioni della religiosità rurale
cristiana assumono spesso nel Salento; un perpetuarsi della religiosità
megalitica nella cultura, nell' arte e nella religiosità salentina anche
in epoca paleocristiana, medioevale e più recente.
Come
per il Montevergine I, così anche per il Montevergine II, è stato
stabilito nell' opera di cristianizzazione un collegamento con il culto
mariano; la Madonna con bambino probabilmente sostituì una divinità pagana
femminile venerata sul colle da tempi antichissimi.
Gli altri due nuovi Menhir
Continuiamo a percorrere la strada procedendo verso Palmariggi.
Scoperta:
la mattina del 31/05/2003 in occasione di un eclisse parziale di sole
visibile nei primi minuti dell' alba, mi ero recato a Montevergine con
alcuni amici, per osservare il fenomeno astronomico, nei pressi del Menhir
Montevergine I, che sorge in una splendida posizione panoramica da cui è
possibile vedere in lontananza le acque del Canale d' Otranto, e nelle
giornate in cui il cielo è particolarmente terso persino i monti dell'
Epiro, e l' isola di Corfù.
Dopo
l' eclisse, fotografai il menhir Montevergine II, e prosegui la mia
esplorazione della zona, facendo quella che sin ora posso definire la più
singolare scoperta di pietrefitte che mi sia capitato di fare. Percorrendo
la stradina che dal Montevergine II, conduce a Palmariggi, si tenga lo
sguardo verso sinistra, poco prima che la strada degradi con maggiore
pendenza, verso la vallata sottostante e si giunga ad un bivio, si
osserverà un piccolo fondo delimitato da bassi muretti a secco di pietrame
informe. Al centro vi è una cisterna e poco discosta una casa rurale non
recente, ma comunque di epoca moderna, realizzata con conci squadrati e
malta. Sulla sua facciata a sinistra dell' ingresso e in alto è ricavata
nel muro una nicchia con copertura arcuata, uno spazio simile a quello
scavato nel blocco monolitico della cappelletta votiva osservata poco
prima, e che serviva in questo caso per accogliere la statuetta di un
santo o della Madonna o anche qui un affresco votivo. Probabilmente anche
questa manifestazione di religiosità era dedicata al culto mariano,
imperante su tutto il colle di Montevergine.
Ma
quello che più colpirà l' attenzione è quanto si osserva innanzi alla
facciata dell' abitazione.
Equidistanti, a circa 2 metri, dalla facciata, si elevano due menhir, uno
a destra e l' altro a sinistra dell' ingresso dell' abitazione,
distanziati circa metri 2 l' uno dall' altro. Rispetto all' abitazione,
ormai da anni abbandonata, i monoliti sono posti ad Est. E quello ad est è
appunto il lato della casa in cui si apre l' ingresso.
Caratteristiche comuni dei due monoliti:
·
sono entrambi dei parallelepipedi monolitici a sezione rettangolare, in
pietra leccese;
·
sono collocati verticalmente e infissi nel terreno; alcune rocce alla loro
base paion esser state poste per assicurare maggiormente la verticalità
dei monoliti;
·
sono orientati in maniera identica. Hanno le facce maggiori in direzione
solare, cioè guardanti nella direzione Est-Ovest;
·
sono fortemente inclinati nella direzione Ovest;
·
le facce minori presentano solchi più evidenti, lasciati dall' azione di
cava o di rifinitura, mentre le facce più larghe si rivelano più lisce;
·
le superfici sono colonizzate da licheni.
Chiamiamo
-
il monolite più a Sud
(A),
- mentre quello più a Nord
(B).
Dimensioni monolite (A):
·altezza
1,80 m;
·dimensioni
della sezione rettangolare 34cm X 20cm circa;
Dimensioni monolite (B):
·altezza
1,70 m circa;
·dimensioni
della sezione rettangolare 37cm X 22cm circa;
Relazione dei due menhir con altre strutture antropiche: i monoliti furono utilizzati per
sostenere degli assi di legno, che partivano dall' abitazione e giungevano
sui menhir. Fanno pensare ciò, due fori ciechi a sezione rettangolare che
si osservano in corrispondenza dei menhir, sulla faccia dell' abitazione,
da cui probabilmente partivano gli assi lignei che giungevano sui
monoliti. I due fori sono posti alla stessa altezza e più in alto rispetto
all' altezza dei menhir. I monoliti furono dunque utilizzati per sostenere
una tettoia, forse di canne o legno che degradava dal muro dell'
abitazione verso le pietrefitte e che riparava dal sole e dalla pioggia
chi dall' abitazione usciva all' esterno. Un terzo ulteriore asse di legno
correva pertanto anche tra le sommità dei due pilastri monolitici.
Osservazioni:
difficile commentare questa scoperta.
Paiono effettivamente due menhir di considerevoli dimensioni. L'
autenticità è sostenuta dalle caratteristiche che abbiamo descritto, in
particolare le due seguenti:
· il
loro orientamento solare;
·
le
dimensioni della sezione che richiamano quelle del Montevergine I, che
misura 36cm X 21 cm.
In
particolare quest'ultimo dato è particolarmente significativo; le quasi
identiche dimensioni delle sezioni, nonché le somiglianze dell'aspetto e
l' uso della stessa pietra, stabiliscono una relazione forte tra questi
due menhir e il Montevergine I, e ci convincono della contemporaneità dei
tre monoliti, che paiono quasi cavati dalla stessa cava e dalle stesse
maestranze.
Varie
ipotesi possono essere avanzate sulla originaria posizione dei due menhir
adiacenti.
1.
Si tratta di un singolare monumento costituito da due menhir adiacenti di
arcaica origine. Solo in seguito fu edificata accanto, l' abitazione e i
monoliti furono utilizzati come pilastri per una tettoia.
2.
I due menhir sono due frammenti di un identico menhir originario, che si
ergeva nei pressi del campo dove poi furono riutilizzati dai contadini,
che gli rieressero e gli utilizzarono come pilastri. In tal caso la
corretta orientazione solare sarebbe solo una coincidenza. Oppure uno dei
due frammenti, probabilmente il (b) che ha sezione leggermente maggiore,
occupa la posizione originaria, e rappresenta la parte basale dell' antico
menhir alto oltre 3,50 metri, che ha dunque conservato l' originaria e
corretta orientazione. Il frammento che si originò da una rottura, fu
ricollocato dai contadini accanto (oggi menhir (a)), rispettando la stessa
orientazione. Questa versione spiega l' attuale corretta orientazione di
entrambi in direzione solare. Il frammento fu eretto in linea col menhir
e la casa fu realizzata con la facciata parallela ai due monoliti per un
esigenza estetica e prevedendo un uso dei due frammenti come pilastri
esterni per la tettoia.
3.
L' ipotesi meno plausibile, ma anche la più suggestiva, è che questi due
monoliti costituiscano insieme al Montevergine I, tre frammenti di un solo
altissimo Menhir, che si ergeva là dove oggi è il Montevergine I, il
Santuario e la grotta, in un luogo elevato di forte carica mistica. Là
rottura avvenne già forse in epoca antica perché quel menhir sarebbe stato
una sottile pesantissima lingua di pietra, alta ben oltre 6 metri,
altamente a rischio sotto l' azione dei venti, dei terremoti, o di
disassestamenti della base, sempre se escludiamo che la struttura non si
ruppe già durante la criticissima fase della collocazione ed erezione del
megalite. Ma la rottura può essere stata anche opera dei monaci che
abitarono la grotticella rupestre oggi sotto il santuario, e che erano
forse preoccupati per la venerazione che i locali pagani tributavano
ancora alla pietra sacra. Il De Giorgi, da cui ho prelevato la descrizione
e i dati del menhir Montevergine I, lo descrive come smussato in cima. E'
questa forse una traccia di quell' antica rottura? Se questa ipotesi è
corretta il Montevergine I costituirebbe la base o uno degli almeno tre
grossi frammenti in cui si ruppe l' antico menhir, poi rieretto in loco,
gli altri due frammenti rimasero per anni o secoli al suolo, nei pressi
del Montevergine I. Quando in epoca più recente fu rinvenuta la grotta
sacra, quello torno ad essere un luogo di particolare sacralità, sacralià
che assunserò anche quelle grandi pietre riverse a terra nei pressi del
menhir, e lo stesso menhir su cui per altro si osservavano anche incise
delle croci. Tanta era quella sacralità percepita dai locali, che un
contadino ebbe l' idea di trasportar nel suo fondo i due lunghi frammenti
al suolo e utilizzarli, una volta innalzati al cielo a mò del sacro
Montevergine I, come pilastri esterni. La loro corretta orientazione
solare sarebbe in tal caso una coincidenza. Il Menhir di Montevergine era
forse un gigante megalitico dell' antico Salento, che svettava sulla Serra
di Montevergine risultando teoricamente visibile in un raggio di parecchi
chilometri persino forse dalle isole greche e dai monti dell' Epiro più
vicini, ma certamente la sua sagoma appariva stagliarsi nel cielo a quanti
attraversavano di giorno il canale idruntino. Propio sul colle di
Montevergine quell' antica colonna megalitica, magica connessione tra il
cielo e la terra, e di cui oggi resta soltanto un discreto frammento, il
Montevergine I, è stata sostituita in epoca più recente da una possente
colonna rococò con in vetta una statua della Madonna. Una continuità di
culto impressionante!
Nome:
propongo di chiamare i due singolari menhir, che suscitano tante domande e
hanno dato luogo a tante suggestive ipotesi, i 'menhir gemelli di
Montevergine'.
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Complesso monolite-megalitico
e singolare menhir sulla Palmariggi-Giuggianelo |
Oggetto:
complesso costituito da un monolite-megalitico, forse un arcaico e
singolare menhir, e da un vicinisimo cumulo di pietrame informe, forse i
resti di una piccola 'specchia'; potrebbe il tutto costituire ciò che
rimane di un' arcaica sepoltura in tumulo accompagnata da un adiacente
menhir.
Ubicazione:
si percorra la strada provinciale Palmariggi-Giuggianelo. Alcune centinaia
di metri dopo il paese di Palmariggi, si intersecherà una stradina
asfaltata ma di uso rurale. Si consideri il tratto di questa, che si
inoltra negli uliveti a destra della provinciale che percorriamo. Si
osserverà subito al di là del margine delle due strade che si intersecano,
un bianco e possente monolite calcareo, l'oggetto principale di questa
segnalazione.
Data della scoperta:
11/07/1994.
Dati e descrizione del monolite:
· blocco parallelepipedo di
calcare compatto, disposto verticalmente e confitto nel suolo;
· è a 1,7m dal ciglio della via
Palmariggi-Giuggianello, e a 25cm dal ciglio della stradina;
·
sezione grossomodo quadrata, di
dimensioni massime 59cm X 61cm;
·
le diagonali della sezione son
grossomodo orientate secondo i punti cardinali;
·
altezza dal suolo 132cm;
· si osservano
pietre informi alla base del monolite;
·
gli spigoli appaiono smussati
tanto sul corpo verticale quando sulla sommita del blocco, dove si
riconoscono sul margine dei piani di frattura;
·
licheni rivestono le superfici;
·
sulla sommità si osserva un
foro cieco e irregolare in corrispondenza dello spigolo a Sud, che si
inoltra orizzontalmente per circa 5,5cm, nel corpo della pietra e che all'
esterno ha altezza di 7,5cm e larghezza di 13cm;
· sulla
base
superiore leggermente inclinata da NW a SE, si osservano due bacinelle
collegate da una canaletta. Hanno contorno circolare e son concave, delle
calotte sferiche all' incirca.
·
La
più grande centrale ha diametro di 24 cm e profondità massima, al centro,
di 8,5cm, la più piccola a W ha diametro di 8,5 cm e profondità di 2,5cm;
·
le facce a SE e a SW,
presentano una particolare aspetto. Si osserva infatti una fitta rete di
forellini, il tutto ben levigato e protetto da una patina di antichi
licheni.
Osservazioni:
· la presenza di una bacinella in
sommità è caratteristica presente in numerosi menhir salentini;
·
l'aspetto delle facce a SE e a
SW, se riconducibile a semplice processo erosivo, deve essersi compiuto in
età antica, dato che oggi, tale erosione appare ormai stabilizzatasi;
quelle superfici sono infatti ricoperte e protette da una patina di
antichi licheni. Lungo i piani di frattura in sommità e lungo gli spigoli
smussati non si riscontra la rete di forellini vista sulle due più ampie
superfici del blocco descritte. Non possiamo escludere dunque, che quella
che oggi appare come opera erosiva sia invece ciò che rimane di un antica
e originaria decorazione megalitica delle superfici, fatta di
numerosissime e adiacenti trapanature casuali. Questo tipo di decorazione,
sebbene costituirebbe nel Salento l' unico esempio di decorazione
megalitica, ha comunque dei precedenti significativi nell' arte decorativa
dei templi megalitici maltesi, risalenti all' epoca neolitica e
calcolitica. Là infatti, molte delle superfici dei blocchi e delle lastre
megalitiche presentano una decorazione di piccole adiacenti trapanature,
che conferisce loro un aspetto paragonabile a quello riscontrato sul
megalite oggetto di questo studio.Tra la civiltà megalitica salentina e
quella dell' Isola di Malta, si son già ipotizzati degli antichi legami,
evidenti soprattutto nelle somiglianze strutturali e costruttive tra
alcuni dolmen salentini e quelli dell' isola mediterranea.
·
Il blocco di struttura e volumi
più possenti rispetto ai classici menhir salentini, che si ritrovano anche
numerosi nelle campagne circostanti, ricorda quasi gli antichi basamenti
su cui si collocavano le statue di divinità
Dati e descrizione dell' adiacente tumulo:
Si
tratta di un cumulo di pietrame informe a NW del monolite, nelle sue
immediate vicinanze. Ha pianta ellettica con asse maggiore da NW a SE, di
6m circa e asse minore di 5m circa. Al centro raggiunge un altezza di
50cm. Lungo il perimetro si nota una ordinata disposizione di blocchi
litici di media dimensione, a SE poi si evidenzia una seconda fila di
blocchi leggermente aggettanti verso l' interno. La parte centrale
presenta una notevole quantità di pietrame informe di varie dimensioni e
terriccio. Nel tumulo è stato possibile repertare alcuni frammenti di
ceramica scura ad impasto grossolano, tipica per il Salento dell' età del
bronzo.
Nome:
chiamo per il momento, in attesa di fare più precisi studi sulla
toponomastica del luogo, il complesso costituito dal monolite e dall'
adiacente tumulo, menhir e piccola specchia di San Giovanni, dal
nome della collina (Monte di San Giovanni), su cui è presente una
chiesetta medioevale in grotta dedicata al Santo, e a cui si giunge
proseguendo quella strada verso Giuggianello, per alcune centinaia di
metri e poi svoltando sulla sinistra seguendo la segnaletica.
|
|
Segnalazione
di due nuovi menhir in agro di Melpignano: |
Il "Menhir
Chipuru" |
Data
della scoperta:
il 12/09/1993, nella mattinata, mio fratello minore, Stefano Caroppo,
accompagnando alcuni suoi amici in una battuta di caccia, osservò
casualmente quel monolite infisso nel terreno e me ne fece gradita
segnalazione, sapendomi appassionato studioso del megalitismo salentino.
Recatomi sul luogo nel pomeriggio per fotografare la pietra e rilevarne le
caratteristiche, ne constatai con sorpresa l’importanza.
-
Caratteristiche e dimensioni:
-
si
tratta di un blocco monolitico in pietra leccese, disposto verticalmente
e conficcato nel terreno, probabilmente nella roccia, data la natura del
suolo circostante, povero di terra e interessato da affioramento
superficiale del sottostante strato roccioso;
-
si
innalza dal piano del suolo per circa 184 cm;
-
ha
forma all' incirca parallelepipeda, di sezione grossomodo quadrata, di
dimensioni massime 29,5cm X 28,5cm. Si presenta comunque molto
irregolare e le larghezze dei lati diminuiscono salendo verso l' alto.
Spigoli e angoli si presentano irregolari e in parte grossolanamente
smussati;
-
l'orientazione: quelli che alla base paion esser stati in origine i lati
maggiori sono rivolti in direzione (E-ENE)-(W-WSW);
-
il
monolite è inclinato in direzione SW (Sud-Ovest), tanto che la
proiezione della testa del monolite si discosta di circa 25 cm rispetto
alla base; circa 7-8° di inclinazione;
-
sul lato a W si osservano una serie di solchi prodotti da un intervento
di rimodellamento della superficie; un intervento più recente rispetto
all' epoca di elevazione del menhir, dato che manca sulla superficie
ovest, quello spesso strato di licheni che conferisce agli altri lati,
un aspetto di maggiore arcaicità; questi ultimi poi si presentano
maggiormente levigati dall' azione degli agenti atmosferici, che qui
hanno potuto agire per un tempo più prolungato; su questi lati più
antichi si rinvengono deboli incisioni (sarebbe opportuno un esame più
approfondito di quei graffi, che potrebbero nascondere antiche croci o
altri petroglifi, indagine questa auspicabile per tutti i megaliti
salentini);
-
in
testa, il menhir presenta due solchi di probabilmente più recente
fattura, disposti a croce, larghi circa 6 cm, che corrono paralleli ai
lati;
-
nel 1993 il monolite oscillava leggermente nella sua buca. Oggi la
struttura appare più stabile in conseguenza di alcuni intereventi di
consolidamento e apporti di terra alla sua base.
Relazione del
Menhir con altre strutture antropiche:
il Menhir
sorge nei pressi di una grande costruzione ad uso agricolo, un trullo, a
soli 1,50 m circa da questa e ubicato a NW rispetto all’edificio rurale.
Descrizione
del trullo:
si tratta di una grande costruzione a secco di epoca moderna, un trullo
ascrivibile ad una delle numerose tipologie di trulli comuni nel Salento.
È formato da un corpo centrale a pianta esterna quadrata e a sezione
rastremata verso l’alto, con ampio terrazzo leggermente convesso. L’interno presenta volta a tholos. Un secondo vano più basso e a singolo
spiovente con travatura in legno e copertura a tegole fittili, si appoggia
al lato NE. I due ambienti non comunicanti tra loro, hanno entrambi l’ingresso rivolto a NW. Gli accessi son architravati e quello al corpo
centrale presenta un basso arco di scarico delle tensioni al di sopra
dell’architrave. Qui si osserva anche una iscrizione su una lastra a
destra dell' ingresso, immediatamente sotto l' architrave della porta e
lungo il lato rivolto nel transetto d’accesso. Sul lato SW, il trullo
presenta una scalinata ricavata nel fianco della struttura e nell’ultima
rampa aperta nel corpo del trullo. Permette l’accesso alla parte alta
della costruzione (in vernacolo magliese chiamata ‘lammìa’). Uno
spesso muro di rinforzo borda in basso il lato SW e parte del lato NW.
Il Menhir era
lì collocato prima della costruzione del trullo o vi fu trasportato in
seguito, prelevandolo da una qualche località vicina. L'orientazione del
monolite par però avvalorare l'ipotesi di preesistenza della struttura
data l'orientazione delle facce secondo i punti cartesiani, comune a
quella di numerosi menhir salentini. In ogni caso il menhir fu
riutilizzato dai contadini che vissero nel trullo. Essi scalpellarono
probabilmente il lato W del monolite e realizzarono le scanalature in
sommità. Queste servivano per allocarvi degli assi di legno che
sostenevano probabilmente una tettoia di canne o un pergolato, che copriva
l'ingresso o si sviluppava a destra dello stesso (guardando il trullo
dall'esterno, da NW ). Nel 1993 si osservava ancora all' altezza di 2 m,
sul muro di rinforzo del trullo in corrispondenza del Menhir, una pietra
sagomata con una scanalatura centrale al fine di accogliere uno dei due
assi lignei che poggiavano a croce sull' antistante monolite. Era la
pietra d' angolo sulla sommità dello spigolo del muro di rinforzo a destra
dell' ingresso del trullo. L' altezza del menhir è solo di pochi
centimetri inferiore rispetto alla collocazione della pietra scanalata,
ergo la tettoia era inclinata leggermente verso il basso, a partire dal
muro del trullo. La scanalatura in testa al menhir da est a ovest
accoglieva invece un secondo asse che correva parallelo alla facciata
dell’edificio contadino. Vi doveva essere certamente, un secondo pilastro
in conci o in legno, che reggeva tale asse ligneo funzionale alla tettoia
o al pergolato da tempo scomparsi.
Ubicazione:
il menhir sorge nell' area industriale di Melpignano, lungo una traversa
che di recente è stata realizzata (nel dicembre del 2005 ancora i lavori
dovevano essere ultimati e mancava la copertura d' asfalto) sulla destra
della strada a quattro corsie e siepe divisoria ad uso industriale, che
conduce dal sansificio Copersalento di Maglie al supermercato Ipergum di
Melpignano. Imboccata tale traversa si incontrerà dopo un centinaio di
metri, sulla sinistra, una fabbrica di recentissima costruzione e si
riconoscerà antistante alla struttura industriale, la sommità di un trullo
spuntante da un' oscena trincea in cemento. Un accorgimento seguito per
non contravvenire alle leggi che tutelano le costruzioni a secco salentine
e permettere al contempo l' edificazione della fabbrica.
Fortunatamente
benché sin ora non conosciuto e dunque tutelato, anche l' antistante menhir è stato conservato, a prova del fascino e del rispetto che i menhir
suscitano anche in chi vi si accosta ad essi senza cultura.
Nota sullo
stato attuale del menhir e dei luoghi.
Il 21/12/2005 recatomi nella zona per verificare lo stato di conservazione
del trullo e del menhir, che ricordavo immersi in un ambiente bucolico e
piacevole, fui dispiaciuto nell' osservare l' alterazione profonda dello
spazio circostante, da un altro
lato però, non potevo che rallegrarmi per il fatto che quella vetusta
testimonianza in se, e il trullo anche se in parte danneggiati entrambi,
erano stati conservati.
Mi accingo
solo ora, con imperdonabile ritardo, a fare questa segnalazione, donando
agli studiosi e cultori del megalitismo salentino e a tutti coloro che
amano come me la Terra d’Otranto, questa preziosa segnalazione.
Nome del
Menhir:
chiamo questo monolite 'Menhir del chipuru' o più semplicemente, 'Menhir
Chipuru', dal singolare nome di origine greca, con cui nel vernacolo
dei contadini magliesi, son definite spesso le piccole case rurali a
secco, 'chipuri' appunto, o se di piccole dimensioni 'chipurreddhi',
cioè 'piccole costruzioni rurali'.
|
Menhir di
Santa Loja |
Data
del rinvenimento:
notai l’interessante monolite nel 1998, durante una escursione nelle
campagne comprese tra i centri abitati di Maglie e Melpignano, condotta
alla ricerca di antiche testimonianze megalitiche. Pochi giorni dopo la
scoperta ebbi cura di farne i rilievi metrici e la foto che qui riporto.
Ubicazione:
il
monolite sorgeva in feudo di Melpignano, nelle campagne ricadenti nella
zona industriale del paese. Era ubicato a pochissimi metri (circa 6 m),
dall’ampia strada a quattro corsie e siepe centrale della zona
industriale di Maglie e Melpignano, che conduce dal sansificio
Copersalento (ex OLSA) in agro di Maglie, al Supermercato Ipergum in agro
di Melpignano, sul lato destro della stessa procedendo verso il
supermercato e circa a metà strada tra i due stabilimenti. Il “Menhir
Chipuru”, un altro monolite che avevo individuato alcuni anni prima
(1993), si erge nelle immediate vicinanze del luogo di ubicazione del
monolite, che qui descrivo, sempre a destra della medesima strada e all’incirca alla stessa altezza, ma leggermente più inoltrato, nella campagna.
Caratteristiche
e dimensioni:
Nota: l’alternanza dei tempi verbali, passato e presente, nella seguente
descrizione, è legata al fatto che sebbene il monolite esista ancora, è
stato, come spiegheremo più avanti, recentemente sradicato.
·
si
tratta di un blocco monolitico in pietra leccese, disposto verticalmente e
conficcato nel terreno;
·
l’altezza rilevata dal livello del suolo in cui la pietra era parzialmente
infossata: 1,47 m circa;
·
ha
forma all'incirca parallelepipeda;
·
la
sezione,rettangolare, ha dimensioni massime: 0,30m per 0,27m.;
·
le
facce maggiori erano esposte, cioè guardanti, circa in direzione Nord-Sud,
((N-NNW)-(S-SSE));
·
nella parte alta del blocco litico, si può osservare una rastrematura,
forse un vecchio piano di frattura della pietra, che interessa soprattutto
la faccia che era rivolta a Sud, cioè verso l’interno del rudere (vedi
foto). Per il resto la sommità del blocco è piuttosto piatta;
·
gli
angoli sono leggermente smussati, e si osservano sugli spigoli alcuni
incavi di cui due, posti sullo stesso spigolo orientato a Nord-Est, si
evidenziano poiché più profondi ed estesi degli altri (vedi foto);
·
il
monolite era di pochissimo, inclinato ad Est;
·
uno
strato superficiale di licheni, che ha protetto la roccia dall' azione
degli agenti atmosferici per secoli, riveste le superfici;
·
si
osservano alcune leggere incisioni e deboli scalfitture sulle superfici,
forse alcune riconducibili a croci.
Relazione
del Menhir con altre strutture antropiche.
La
singolare pietra era sfuggita alla vista di studiosi e curiosi fino al
1998, perchè inglobata in un fatiscente muro di pietrame informe e terra
rossa. Era quello uno dei muri perimetrali del rudere di una dimora
contadina, delimitante uno dei due vani della stessa. Si trattava del muro
nel lato a Nord della costruzione.
Il
monolite coperto all’interno dell’edificio dal muro, si affacciava
invece all’esterno. Era a filo con la muratura in basso, ma poiché il
muro si rastremava procedendo verso l’alto, il monolite grossomodo
verticale, vi sporgeva sempre più. Negli anni scorsi, ormai, quel
ricovero rurale era quasi totalmente diroccato.
Osservazione:
L’approssimazione con cui il monolite è stato inserito nella rozza
struttura, mette in luce la probabile preesistenza dello stesso. Il
monolite infatti non assolveva nessun vero significato architettonico; non
è stato adoperato come architrave, ne come stipite per porta. Era
conficcato nel terreno, ma non sembrava aver avuto un’utilizzazione come
significativo pilastro portante, al più aveva fornito un punto di appoggio
per la travatura lignea del tetto, che poggiava per il resto sui muri di
contorno e che non necessitava mai in queste semplici e piccole
costruzioni di campagna, di solidi pilastri monolitici inglobati nella
muratura perimetrale. È pertanto molto probabile che il monolite fosse già
conficcato nel suolo in quel luogo, quando un contadino in tempi più
recenti, vi ha costruito accanto il muro, ed ha ritenuto opportuno
inglobarlo al fine anche di consolidare la struttura, anziché sradicarlo
con inutile dispendio di energie. Ma traspare in tutto questo anche un
gesto di rispetto per quella pietra dovuto, al più volte sottolineato,
fascino e al ‘timore reverenziale’ che gli antichi monoliti suscitano
anche in chi vi si accosta ad essi senza cultura, e che nel caso
specifico, ha forse anche un ulteriore spiegazione, come capiremo meglio
in seguito.
Storia
recente del monolite:
nel
2004, la stessa singolare pietra parallelepipeda, catalizzò finalmente l'attenzione di un altro appassionato, che transitava per quei luoghi, uno
studente di archeologia, Alessio Villani, un ragazzo di Cannole. Tornato
sul luogo per ulteriori accertamenti e rilievi, nel giugno del 2005, il
Villani non ha più ritrovato né il rudere né il monolite che conteneva.
Durante alcuni lavori di allaccio alla rete fognaria, necessari per l'installazione di un nuovo stabilimento industriale, insieme al rudere è
stata asportata anche l' antica pietra. La colpa: prima mia, poi del
giovane studente di archeologia, poiché non ci siamo mossi subito dopo la
scoperta per la doverosa segnalazione alla Sovrintendenza Archeologica di
Taranto, frenati forse dalla bassa considerazione con cui il megalitismo
salentino viene percepito, proprio ahinoi, dalle autorità più competenti
in materia di tutela del patrimonio culturale, sovrintendenze e
amministrazioni comunali. Un atteggiamento che ci auguriamo possa
finalmente cambiare!
Della vicenda
si è occupato un articolo del giornale locale "Bel Paese" ( Anno IV -
giovedì 7 luglio 2005 n.114), a firma della giornalista Arianna Genovese.
Restano di
quel monolite nella sua antica ubicazione, la foto pubblicata su "Bel
Paese", realizzata fortunatamente da Alessio Villani nel 2004 e una foto
fatta da me nel 1998 entrambe qui allegate (figure precedenti).
Dall' articolo
di "Bel Paese" traiamo la notizia più importante della vicenda e che rida
speranze a chi, come noi, crede nell' importanza di tutelare il nostro
passato e gli antichi megaliti, sia per il loro valore culturale sia per
il loro valore estetico nel paesaggio di Terra d' Otranto.
Segnalato l'
accaduto all' ufficio tecnico del Comune di Melpignano, questo si è
subito attivato per ricostruire la vicenda. Interpellata la ditta
esecutrice dei lavori, si è riusciti a ritrovare il manufatto.
Fortunatamente un operaio, attratto dalla singolarità della pietra, l'
aveva estratta e trasportata in una sua proprietà probabilmente a scopo
ornamentale. Vicenda sempre riconducibile al fascino e al rispetto, che i
menhir suscitano anche in chi vi si accosta ad essi senza cultura e
conoscenze storico-archeologiche.
Osservazioni e interpretazione del manufatto.
1)La struttura
par essere un antico menhir o ciò che di esso rimane.
Supportano
tale tesi le seguenti considerazioni:
·
la
forma parallelepipeda a sezione rettangolare, le dimensioni del blocco e
l’aspetto delle superfici con licheni e angoli smussati, comuni a molti
riconosciuti menhir dell’entroterra otrantino;
·
gli
incavi sugli spigoli, anch’essi un particolare molto diffuso e che
servivano forse per assicurarvi delle funi durante l' opera di erezione o
per legarvi attorno corde legate ai riti che coinvolgevano i menhir, o più
probabilmente a mo’ di gradini per facilitare l’arrampicata sui monoliti
stessi sempre con valenze rituali.
·
Nelle incisioni presenti sul monolite, il Villani vi ha riconosciuto
alcune croci. Anche questo particolare risulta comune a numerosissimi
menhir salentini, che attraverso l’incisione di croci o l’apposizione di
croci lignee, lapidee o in legno, in sommità, vennero spesso
cristianizzati. Comportamento analogo ebbero i cristiani anche in altri
territori europei, ad esempio in Bretagna, dove croci di pietra furono
poste su alcuni menhir, e dove si ritrovano anche croci incise sui lati
proprio come nel Salento.
Osservazione.
Questo particolare può fornire un ulteriore elemento per spiegare il
rispetto, che il contadino manifestò per la pietra, durante l’edificazione della piccola dimora rurale. Egli si limitò a inglobarla solo
parzialmente nella struttura muraria dell’abitazione, e non la sradicò
dalla sua originaria posizione come abbiamo poc’anzi dedotto. La vista
delle croci e il rispetto dei contadini salentini per i menhir, che spesso
chiamavano in vernacolo ‘cruci ‘ (croci’ appunto, tanto forte era
stata l’assimilazione nel culto cristiano di quelle pietre pagane), lo
portarono ad attribuire un valore sacrale al manufatto. La preesistenza di
quel monolite nel fondo e il suo inserimento nel misero ricovero rurale,
erano ritenuti pertanto elementi di buon auspicio, fonte di benedizione,
benessere e fertilità (tutti valori sacri, che il simbolo della croce ha
nella religiosità cristiana).
Nota.
Se i alcuni menhir furono cristianizzati è pur vero che molti di essi e
altri megaliti venerati in Europa prima dell’avvento della religione
della croce, furono demoliti dai cristiani spesso nel rispetto di
disposizioni papali e conciliari, volte a impedire culti che potevano
ostacolare l’evangelizzazione delle genti.
Nota:
il rapporto ambivalente del cristianesimo con la religione pagana.
Il rapporto del cristianesimo con la religione pagana, sebbene dal punto
di vista storico tendenzialmente conflittuale, vide dall’altro lato l’introduzione e l’assimilazione sotto nuova veste, di culti e rituali
pagani. Non solo, persino a livello teologico si è cercato spesso nella
cultura pre-cristiana, segni dell’annuncio divino della venuta di Cristo.
2)La presenza
di un possibile piano di frattura nella parte alta della faccia a Sud,
testimonia forse una antica frattura che portò alla riduzione dell’altezza del menhir.
3) Quasi tutti
i menhir salentini, che non hanno subito spostamenti nel tempo, hanno le
facce maggiori rivolte grossomodo ad Est e ad Ovest, rispettivamente, un’esposizione che rivela i legami tra queste opere e il cielo, dove la Luna,
gli astri e il Sole sorgono ad Est e tramontano ad Ovest, e che ci
permette di correlare i menhir anche agli antichi culti di fertilità
legati inscindibilmente al Cielo e alla Terra.
Il non
rispetto di tale orientazione da parte del monolite in analisi, può essere
spiegato con le seguenti osservazioni. Numerosi menhir salentini,
danneggiati o crollati nel corso dei secoli, quando possibile, vennero
restaurati dai locali, e ri-eretti (laddove il menhir si era frammentato
si provvedeva all’erezione dei frammenti più significativi, e in epoca
più recente al ripristino dell’intero monolite attraverso il
ricongiungimento dei frammenti, ad esempio il menhir Polisano alcuni anni
or sono e il Franite alcuni decenni addietro). Questo comportamento trova
la sua ragione nel valore sacrale (e oggi culturale) dei menhir, che è
rimasto nei secoli indiscusso, persino come già sottolineato, in epoca
cristiana, dove furono assimilati a simboli della croce e della passione
di Cristo.
La ri-erezione
e il restauro del menhir, avveniva però in un’epoca e cultura in cui
erano ormai andate perdute e dimenticate quelle antiche prescrizioni
rituali pagane delle genti presso le quali i menhir erano stati concepiti
e realizzati e che prevedevano l’orientazione solare del monumento.
Questo è
probabilmente accaduto per il menhir in questione che fu riassestato dopo
un parziale cedimento dovuto ad alterazione della base o ri-eretto in quel
luogo dopo un crollo o il trasporto da una località vicina, senza badare
ad alcuna orientazione e questo probabilmente già anni o secoli prima
della costruzione dell’adiacente edificio.
Nome
del Menhir e toponimo del sito:
il fondo in cui insisteva il monolite era denominato, come venni a sapere
da un gentile contadino, "funnu nicchiàricu".
['Nicchiàricu'
è un termine dialettale salentino, indicante un terreno incolto e pietroso
e frequente nei toponimi rurali del Salento. Deriva dal latino 'annicularius'
che vuol dire 'non domestico']
Oggi ricadente
nella zona industriale di Maglie e Melpignano, quel terreno apparteneva un
tempo alla ‘Tenuta Santa Loja’ di proprietà Tamborino, e nome della locale
masseria (Masseria Santa Loja). Sulla base di queste indicazioni
toponomastiche, classifico il monolite sotto il nome di “Menhir di
Santa Loja”.
Prospettive
future:
prima di provvedere però al ripristino e alla tutela del manufatto, il
Comune di Melpignano si è detto impegnato nell'accertamento dell'
autenticità del monumento.
Spero con
questo studio di aver contribuito a far comprendere quale importanza ha
quella semplice pietra, reliquia silenziosa del megalitismo salentino, e
spero di contribuire con le foto e i rilievi qui raccolti alla corretta
ricollocazione del blocco nella sua originaria posizione, perlomeno quella
precedente al suo sradicamento del
2005.
Menhir
attualmente noti in agro di Melpignano:
Nel
feudo di Melpignano ricadono i noti menhir
Minonna,
Candelora, Lama, Scinèo e Masseria Piccinna. I Menhir Chipuru e
Menhir Santa Loja , si aggiungono ai precedenti, portando a sette il
numero dei menhir attualmente noti in territorio di Melpignano.
Altri
menhir e strutture megalitiche vicine ai Menhir Chipuru e il
Menhir Santa Loja:
Tutta l’area
circostante la zona in cui sorgono, a breve distanza tra loro, il
Menhir Chipuru e il Menhir Santa Loja, presenta un alto
interesse archeologico dal punto di vista megalitico, come si può
osservare nella cartina topografica allegata.
A poche
centinaia di metri sorge il menhir Calamauri (altezza 3,70m) ricadente
nell' agro di Maglie, e sempre poco distanti sorgevano altri due menhir
magliesi oggi scomparsi, il menhir San Rocco e il quinto menhir descritto
dal De Giorgi a Nord di Maglie nei pressi della voragine chiamata ‘Aviso’,
e rimosso come riferisce il Palumbo, durante i lavori per la realizzazione
dello stadio di calcio della città.
L’area
compresa tra i centri abitati di Maglie e Melpignano, presenta anche altre
interessanti strutture megalitiche, vi si ritrovano infatti i due dolmen
chiamati Calamari I e II, e i tre dolmen di Morigino di recentissima
scoperta, tutti in agro di Maglie, altri dolmen osservati da Luigi Corsini
in quei luoghi, sono stati distrutti prima che lo studioso magliese
riuscisse a segnalarli.
Ma il numero
delle strutture di interesse megalitico e archeologico dell’area doveva
essere molto più alto, come fanno ritenere vari elementi:
-
le numerose
lastre e grosse pietre, che si ritrovano sparse in quei campi ricchi di
roccia affiorante, e ammucchiate in cumuli di spietramento o accatastate
o giustapposte nei muretti a secco di delimitazione delle ‘chiusure’ e
nei numerosi e a volte imponenti trulli e costruzioni a secco con
coperture a tegole, che si osservano nell’area;
-
si tratta di
un area dove era facilmente reperibile la materia prima per la
costruzione dei menhir e altri megaliti. Vi giunge infatti in superficie
lo strato di pietra leccese che caratterizza la geologia del
sottosuolo. Si osservano in quei campi numerose, antiche piccole cave
dismesse di pietra leccese;
-
l’alta
frequenza abitativa nell’area di maglie e nel suo interland in età protostoria, testimoniata da numerose evidenze archeologiche.
Nuove
scoperte in quei luoghi incantati, dal fascino bucolico e tempio della
civiltà contadina e pastorale attendono che l’occhio esperto le
distingua dall’indifferenza in cui si sono celate per secoli.
Ma tutta l’area e con essa quelle antiche e importanti
testimonianze vivono i loro ultimi giorni! I lavori di
allargamento dell’area industriale stanno portando proprio in questi mesi
all’apertura di nuove strade ad uso industriale e nuovi stabilimenti
stanno sorgendo senza che nessun, obbligatorio per legge, scavo
archeologico preventivo sia adeguatamente condotto!
A conferma
della vastità delle testimonianze megalitiche dell’area in esame, il
21/12/2005
ho osservato in quei luoghi, in località Montalto una piccola struttura
megalitica con cella a tholos, probabilmente un antico sepolcro, che sarà
mia cura descrivervi nei particolari.
|
il
Menhir ‘Croce Spinosa’ |
Data
della scoperta:
intorno alla metà del mese di agosto del 1999.
Ubicazione:
Si
arriva al menhir percorrendo un‘ antica stradina, oggi asfaltata, che
parte dal paese di Cannole e inoltrandosi tra campi pietrosi e uliveti
permette di raggiungere i paesi di Cursi o di Bagnolo. Seguendo tale
percorso si arriverà ad un bivio. Il tratto a sinistra conduce a Bagnolo
del Salento, proseguendo sulla destra invece, la strada mena verso Cursi.
Alcune decine di metri prima di giungere al suddetto bivio, si scorgerà
sulla sinistra in un campo (in cui sono stati piantati, intorno al 1999,
giovani ulivi), il possente corpo monolitico del menhir, posto un metro al
di là del ciglio della strada e pochi centimetri dopo un basso muretto di
fattura recente, costituito da una sola fila di conci squadrati.
Il piano del
campo in cui il menhir sorge è ribassato di pochi centimetri rispetto al
piano della strada.
Il menhir si
trova esattamente nel punto di passaggio del confine tra i feudi dei
comuni di Cannole e Bagnolo.
Descrizione del monolite:
-
si
tratta di un blocco monolitico in calcare compatto, la locale pietra
leccese, disposto verticalmente e conficcato nel terreno e forse
nella roccia sottostante;
-
la
parte di menhir che affiora dal suolo, ha altezza massima di 103 cm;
-
è
inclinato sul lato a N-NE di circa gradi 12°;
-
ha
forma di parallelepipedo a sezione rettangolare, di dimensioni massime
39 cm X 23 cm;
-
si
presenta molto regolare nella forma, eccetto che in sommità. Qui si
osserva una piccola bacinella non più profonda di 3 cm e allungata
parallelamente al lato maggiore. In testa gli spigoli e gli angoli son
fortemente smussati. Lo spigolo superiore della faccia a ESE accoglie
una profonda e rozza scanalatura che lo percorre totalmente;
-
l'orientazione:
i lati maggiori, all’incirca paralleli alla strada, son rivolti in
direzione (W-NW)-(E-SE), cioè guardano grossomodo ad Est e ad Ovest;
-
sui lati minori si osservano una serie di solchi prodotti dagli
utensili di taglio o scalpellatura adoperati
durante l’opera di cavatura o rimodellamento del blocco. Sul lato a
Nord, si notano alcune puntinature.
-
le superfici maggiori presentano alta rugosità e una serie di piccoli
fori ciechi e piccole fessure probabile carie da erosione e segni di
rozza cavatura e rimodellamento.
-
Sulla
faccia a ESE è presente una scanalatura artificiale orizzontale a metà
altezza, che corre da Nord a Sud per i 2/3 della lunghezza della faccia.
Si osservano in sequenza i segni rettangolari lasciati dalla picca con
la quale si è tracciato questo solco;
-
gli spigoli laterali son smussati e presentano anche ampie incavature;
-
sarebbe
opportuno un esame più approfondito delle superfici per valutare la
presenza di croci o altri e petroglifi incisi, esame auspicabile per
tutti i megaliti salentini.
Interpretazioni del monolite-menhir:
si tratta di
un ritrovamento che non lascia adito ad alcun dubbio. Si riscontrano
caratteristiche evidentissime che lo accomunano agli altri menhir
salentini:
-
la forma
parallelepipeda a sezione rettangolare;
-
l’orientazione perfettamente solare dei lati maggiori;
-
le
dimensioni;
-
la
verticalità e l’ essere saldamente conficcato nel suolo;
-
l’aspetto
delle superfici erose dal tempo e al contempo protette da strati di
licheni adesi alla roccia e molto spessi (segno di una esposizione
secolare alla luce e alle intemperie di quelle superfici);
-
la
smussatura di spigoli e angoli;
-
la bacinella
in sommità, sebbene qui poco profonda;
-
la vicinanza
ad una strada, un particolare comune anch’esso a molti importanti menhir salentini;
-
il menhir è
anche vicinissimo al punto di incontro di più strade, una che giunge da
Cursi , una da Bagnolo e un‘altra da Cannole. E anche la correlazione
con importanti incroci o trivi, è una proprietà di numerosissimi menhir
salentini.
Considerazioni
sull’altezza del menhir e sulla bacinella:
Forse il menhir era più alto in origine. Fa pensare questo l’aspetto più
irregolare della testa del menhir rispetto al corpo. In sommità si
osservano stacchi, forse ascrivibili ad un’abbattimento o crollo,
comunque non recente poiché anche in testa lo strato di licheni è evidente
e l’aspetto della roccia non è dissimile dal corpo del monolite.
Per i menhir
non molto alti valgono le considerazioni già fatte altrove ovvero che
possano essere ciò che rimane di antichi menhir in conseguenza di crolli
naturali (provocati da fulmini, terremoti o disassestamenti della base) o
di abbattimenti volontari legati ad atti vandalici o alla lotto del
cristianesimo contro i culti pagani e i suoi simboli!
Non possiamo
però anche escludere che esistessero in antichità, menhir di più piccola
altezza. Considerazioni del genere nascono di fronte a menhir quali questo
o il monolite di San Giovanni, o il menhir Fontanelle
(recante croci incise sulle sue facce) [vedi sopra per entrambi], sulla
cui sommità si osserva una bacinella, che non possiamo escludere a priori,
coeva al menhir e legata ai riti pagani che lo coinvolgevano!
Su questa
interessante ipotesi vertono alcuni miei studi che presto vi comunicherò.
Nome
del menhir:
recatomi sul posto il 6/02/2006, ho constatato che il menhir esiste ancora
e dal proprietario del terreno in cui il monolite è ubicato, ho saputo che
il nome di quel fondo è ‘Spinosa’.
Il termine
‘spinosa’ deve probabilmente essere un attributo dato in tempi passati a
quelle campagne per evidenziarne la presenza, prima del disboscamento e
dissodamento dei terreni convertiti in uliveto, di una macchia
mediterranea cespugliosa, ricca di rovi, querce spinose, e altre essenze
tipiche della flora salentina, e provviste di spine o foglie spinose.
Ma
dobbiamo anche considerare che in quell’area, i menhir erano chiamati ‘croci’,
pensiamo al vicino Croce di Bagnolo. È plausibile allora che i
locali chiamassero ‘Croce’ anche il piccolo menhir qui analizzato.
‘Spinosa’ è un aggettivo al femminile, e si accorda in genere con ‘Croce’.
Inoltre
‘spinosa’ è nella Passione del Cristo, l’attributo della corona di spine
postagli sul capo. Nella simbologia cristiana la corona di spine viene
posta sulla croce, e associata alla croce insieme anche ad altri simboli
(chiodi, scala, martello, ecc.), per simboleggiare il martirio di Cristo.
Allora non
stupisce che forse nei secoli passati ‘Croce Spinosa’, sia stato proprio
il nome del menhir, e che da questo ne sia derivato il toponimo del sito,
‘Croce Spinosa’ e poi oggi semplicemente ‘Spinosa’. E non sarebbe la prima
volta, che dal nome del menhir deriva il nome, l’area d’ubicazione. Lo si
osserva ad esempio in numerosi casi a Maglie e lo si vede a Giuggianello
nei pressi della Masseria Quattro Macine, dove un campo era detto dai
contadini ‘Croce-caduta’, e poi si scopri che vi era lì, un antico menhir
(‘croce’), poi crollato (‘caduta’) e ritrovato in tempi recenti (primi
anni ottanta del secolo scorso), disteso al suolo e leggermente coperto di
terra (oggi quel menhir, che presto verrà ri-eretto in loco, è stato
battezzato ‘Croce caduta’ o ‘Menhir Quattro Macine’).
Avremmo
chiamato il menhir col nome del fondo, ‘Menhir Spinosa’, ma le ipotesi
fatte sono talmente suggestive e plausibili, che non sbagliamo se
chiamiamo quella pietra-menhir col nome popolare di ‘croce’, e in
particolare Menhir ’Croce Spinosa’.
Storia del Menhir ‘Croce Spinosa’:
il proprietario del fondo in cui insiste il menhir, mi ha detto che gli è
stato vietato di sradicare o cercare di spostare quella pietra poiché,
pietra catastale indicante il punto di passaggio del confine tra i feudi
di Cannole e Bagnolo del Salento. Un destino toccato a molti importanti
menhir pugliesi. Data la loro rilevanza quali strutture facilmente
riconoscibili nei campi della regione, furono spesso assunti come
riferimenti per stabilire il confine di proprietà e feudi nobiliari prima
e comunali poi; come ad esempio il menhir San Rocco al confine dei feudi
di Maglie e Melpignano, o il ‘menhir Franite’ detto anche ‘Cruce-muzza’ o
anche ‘Culonna spartifeudu’ (cioè colonna segnante il punto di passaggio
del confine tra il feudo di Maglie e quello di Muro Leccese).
Consuetudini
tramandatesi nei secoli fino ad essere archiviate nei registri catastali
in epoca recente. Osservò già tale correlazione tra importanti menhir e
pietre catastali, lo studioso Cosimo De Giorgi, che tra ‘800 e ‘900,
descrisse e studio le pietre-fitte salentine.
Relazione
con altri menhir della zona:
siamo in un contesto ricco di menhir. Il Menhir ‘Croce di Bagnolo’
(alto 3,30 m), e il Menhir ‘Bagnolo’ (alto 4,10 m), sorgono a non
molta distanza dal Menhir ‘Croce Spinosa’ , così come il menhir ‘Croce
di Marrugo’ che individuai nel 1993 e che si innalza in mezzo ad una
piccola ‘specchia’, una micro-collinetta artificiale, realizzate
con materiale litico locale di spietramento.
Non escludo
che esistessero nelle vicinanze altri menhir, poi crollati o abbattuti o
che esistano in loco, altri menhir ancora da scoprire. Opportuna sarebbe
l’analisi dei monoliti e delle grandi pietre, che in quell’area i
contadini hanno usato per le colonne e gli stipiti degli ingressi ai fondi
(ne si osservano di monolitici molto grandi) o per altri impieghi.
Potrebbero nascondersi tra queste rocce e nei muretti e costruzioni a
secco, resti di antichi megaliti (considerazioni queste estendibili a
tutto il Salento).
Tutta la zona
è ricca di roccia affiorante e puntellata da numerosissimi e incantevoli
trulli e lembi residui di macchia mediterranea. Si rinvengono grosse
pietre, lastroni e materiale più minuto, forse segno della presenza di
antichi dolmen.
Si osservano
anche numerosi piccoli cumuli di pietre, che potrebbero essere ‘piccole
specchie’ (resti di antichi tumuli funerari); in particolare in prossimità
del Menhir Croce Spinosa, si osserva un interessantissimo micro-tholos,
probabile antico sepolcro di epoca protostorica, che sarà mia cura
descrivervi nei particolari.
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M O N O G R A F
I E
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Antichi legami tra il Salento e l’Arcipelago
Maltese nell’età del bronzo.
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Nel
Salento la soluzione di uno dei più grandi misteri della storia del
Mediterraneo arcaico: l’estinzione della ‘civiltà dei templi’ di Malta!
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Dietro la semplicità dei megaliti salentini si celano genti evolute e
ben organizzate, protagoniste nell’età del bronzo dei traffici
commerciali nel cuore del Mediterraneo!
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Antichi legami
tra il Salento e l’Arcipelago Maltese nell’età del bronzo.
Confrontando le espressioni del megalitismo salentino in
particolare dolmen e menhir, ascrivibili all’età del bronzo, con
analoghi monumenti presenti nel resto del mondo, molto
interessante si rivela la forte somiglianza tipologica con i
dolmen e i menhir dell’Arcipelago Maltese. Una somiglianza che
coinvolge anche alcuni di quegli aspetti, che nel megalitismo
salentino si possono considerare più peculiari e che sono frutto
della evoluzione subita localmente dalla ‘cultura delle grandi
pietre’. Si tratta di aspetti autoctoni del Salento, poiché
sin ora non riscontrati nelle altre realtà megalitiche, note e
studiate.
Nell’Arcipelago Maltese, le cui due isole principali sono Malta e
Gozo, si contano oggi alcune decine di dolmen. Questi sono molto
simili ai salentini per dimensioni, aspetto e soluzioni
costruttive; non solo, i lastroni di copertura presentano a volte
una scanalatura sul bordo, o fori passanti, particolari che si
ritrovano nei dolmen salentini i cui lastroni mostrano talvolta
scanalature, che vi corrono intorno a mo’ di canalette (ad esempio
nel dolmen Stabile-Quattro Macine e nello Sferracavalli), fori
passanti (ad esempio nel dolmen Scusi e nel Peschio), ma anche
coppelle (come nel dolmen Noa), vere e proprie bacinelle (come sul
lastrone del dolmen Specchia) e fenditure tagliate sul margine (ad
esempio nel dolmen Specchia stesso).
Nell’arcipelago si son ritrovati anche alcuni menhir, del tipo a
pilastro squadrato in forma parallelepipeda simile alla tipologia
di menhir più diffusa nel Salento.
Confronto
tra menhir salentini e menhir maltesi:
Menhir Il-Hagra tad-Dawwara, sull’isola di Gozo,
nell’arcipelago di Malta.
É un blocco parallelepipedo di calcare, alto 4,50
m, e con sezione di 61cm per 64 cm. Un menhir in tutto simile ai
menhir del Salento.
Il Menhir Il-Hagra tad-Dawwara, è stato trovato nel
1935 sotto 2,7 m di terra e sopra un pavimento in ciottolo di
circa 300 metri quadri, che fa ipotizzare un’area sacra al cui
centro si innalzava il monolite.
Su una delle sue facce si possono notare nella foto
alcuni fori ciechi.
Il particolare dei fori si ritrova anche su altri
menhir dell’arcipelago. Ad esempio, un foro cieco a sezione
circolare si osserva su una delle facce maggiori del menhir
Is-Salib sull’isola Malta, un monolite squadrato a sezione
grossomodo rettangolare, e rastremato rozzamente nella parte
superiore.
Si tratta di un particolare che stiamo ritroviamo
anche su numerosi menhir salentini, dove talvolta si osservano
sulle facce, fori ciechi di sezione grossomodo quadrata o
circolare e persino veri e propri fori passanti.
Son solito chiamare questi fori ciechi o passanti, ’l’occhio
del menhir’ , ma è questo un interessantissimo particolare del
megalitismo salentino cui dedicherò un intervento ulteriore!
Menhir Grassi a Carpignano Salentino. É un blocco
parallelepipedo di calcare compatto alto 4 m, e con sezione 50 cm
per 21 cm. Si noti la perfetta somiglianza di questo tipico menhir
salentino con il menhir maltese mostrato.
Confronto tra dolmen salentini e dolmen maltesi:
Dolmen, nelle campagne di Corigliano d’Otranto, che
ebbi personalmente il piacere di scoprire durante le campagne di
ricerca del 1993. Si tratta di un grande dolmen composito formato
da quattro celle adiacenti, sormontate da altrettanti lastroni.
L’interessantissimo sito
in cui sorge questa struttura, una necropoli dell’età del bronzo, ricca un tempo di dolmen e piccoli tumuli
sepolcrali, è stato recentemente danneggiato, e il dolmen stesso,
rischia di essere oggi criminosamente abbattuto, se le autorità
comunali non interverranno al più presto!
Dolmen Ta_Qadi sull’isola di Malta. Si noti la
strettissima somiglianza tipologica tra questa struttura dolmenica
maltese e quella del dolmen salentino di Corigliano, tanto forte
da rendere superflui i commenti.
Osserviamo
addirittura il medesimo uso di piccole zeppe di pietra tra i conci
soprapposti a formare i pilastri di sostegno, posizionate
opportunamente al fine di conferire ai massi poco rifiniti, la
corretta inclinazione o per colmare gli interstizi.
Il Dolmen nella foto è una struttura ubicata tra le
rovine del tempio di Ta-Qadi. Si tratta probabilmente di uno dei
tanti templi di pietra della civiltà neolitica e calcolitica dell’arcipelago maltese. Il dolmen fu lì costruito dai nuovi
conquistatori dell’età del bronzo per sfruttare la disponibilità
in loco di materiale lapideo ottenibile dal tempio e forse anche
perchè quei luoghi sacri, benché abbandonati, conservarono la loro
aurea di sacralità anche nei secoli successivi.
Interpretazione dei dati archeologici.
Nel Salento, forse, la soluzione di uno dei più grandi misteri
della storia del Mediterraneo arcaico: l’estinzione della ‘civiltà
dei templi’ di Malta!
I megaliti maltesi risalenti all’età del bronzo, presentano
analogie troppo forti di forme e quindi di pensiero, con i coevi
megaliti salentini, perchè si possa escludere, che nell’età del
bronzo e forse ancor prima, si svilupparono tra quelle isole nel
cuore del Mediterraneo e l’antico Salento, intensi rapporti,
pacifici o violenti che furono.
Rapporti che potrebbe contenere la chiave di risoluzione di uno
dei più grandi misteri della storia del Mediterraneo arcaico.
Prima
della costruzione dei dolmen e menhir maltesi (come già ricordato
coevi ai Salentini e risalenti all’età del Bronzo), prosperava
nell’arcipelago una fiorente ed evoluta civiltà, che aveva
costruito numerosi, imponenti ed elaborati templi di pietra con
annesse strutture ipogee, dedicati al culto della Dea Madre.
Misteriosamente e senza grosse avvisaglie di declino, nel 2200 a.
C., dopo circa 1500 anni di tranquilla prosperità, la civiltà dei
templi entrò in crisi e i luoghi sacri vennero repentinamente
abbandonati. Nello studio archeologico dei sedimenti sembra quasi
come se la popolazione fosse scomparsa dall’isola all’improvviso!
Quali tragici eventi provocarono l’estinzione di quella cultura?
Forse una bellicosa popolazione impugnante armi di rame e bronzo,
sbarcò su quelle isole, e sterminò, disperse o sottomise quelle
genti, non avvezze alla guerra, e che erano vissute pacificamente
nell’arcipelago, isolate e protette dal mare.
Tracce di incendi nei templi raccontano forse quella tragica
invasione!
I
maltesi non conoscevano ancora il bronzo, che permetteva la
realizzazione di resistenti e micidiali armi atte alla offesa.
Altri popoli invece, nelle aree continentali, si stavano sempre
più specializzando nell’uso sanguinario della nuova tecnologia
metallurgica, e dunque nell’arte della guerra attraverso cui
impossessarsi facilmente di terre, bestiame e ricchezze di altre
comunità!
Poco dopo il 2200 a.C. compaiono a Malta i primi megaliti di
influsso salentino, segno inequivocabile dello stanziamento
nell’arcipelago di genti provenienti dalla Penisola Salentina.
Nuovi conquistatori di una terra quasi ormai deserta, gli arcaici
salentini, vi introdussero la loro cultura e costruirono dolmen e
innalzarono menhir come facevano in Puglia le popolazioni da cui
provenirono.
Ma si trattò davvero di un invasione cruenta? Furono gli stessi
salentini gli autori di quell’efferato attacco alla civiltà
neolitica maltese o questi si insediarono in isole già deserte, a
seguito delle violente scorrerie di altri predoni del
Mediterraneo, oppure la popolazione era stata decimata da una
virulenta epidemia o da un violento cataclisma, come alcuni dati
geologici sembrano suggerire?
Domande cui solo l’archeologia e forse lo studio più profondo
della mitologia e della linguistica, potrà rispondere!
CONCLUSIONI
Dietro la semplicità dei megaliti salentini si
celano genti evolute e ben organizzate, protagoniste nell’età del
bronzo dei traffici commerciali nel cuore del Mediterraneo!
Indipendentemente dalle domande ancora senza risposta, resta una
certezza: i costruttori dei megaliti salentini non erano solo
pastori e agricoltori, ma avevano una padronanza non indifferente
nell’arte della navigazione, erano dediti ai commerci e armati con
spade di bronzo e alabarde di rame, non disdegnavano certo la
guerra di rapina e di conquista!
I numerosissimi insediamenti che punteggiavano nell’età del bronzo
la costa della Puglia e in particolare del suo lembo meridionale,
attestano una forte propensione verso il mare e i traffici
marittimi, di quei popoli.
Le mire espansionistiche dei salentini verso l’arcipelago maltese
non sono una scelta casuale, ma frutto di un calcolo preciso. Non
è certo la prospettiva di impadronirsi di pascoli e terre fertili,
o di importanti giacimenti minerari, che può spiegare
l’occupazione di quelle piccole isole, peraltro sensibilmente
lontane dalla costa. L’esiguità del suolo coltivabile e il clima,
almeno oggi, molto secco, sono infatti fattori poco favorevoli
all’agricoltura, come all’ allevamento, e il suolo dell’arcipelago è inoltre privo di risorse minerarie economicamente
interessanti!
Occupare l’arcipelago maltese al centro del Mediterraneo, voleva
dire prendere possesso di un punto strategico, fondamentale per
controllare i traffici tra Mediterraneo Occidentale e Orientale.
Dal Salento passava l’importante ‘via dell’ambra’, una rotta
commerciale che risaliva l’Adriatico e che portava nei paesi
mediterranei, la sacra ambra dai vitrei, caldi riflessi solari e
dalle ‘magiche’ proprietà elettriche, proveniente dai Paesi
Baltici e il raro stagno estratto sui monti metalliferi della
Boemia, indispensabile perchè legato al rame, metallo di più
facile reperimento, permetteva la produzione del bronzo, lega
appunto di rame e stagno.
Sin da epoche più antiche lungo l’Adriatico si svolgeva il
traffico della selce estratta sul Gargano.
Figura 6: si noti la centralità delle due aree, Salento e Malta,
nel Bacino del Mediterraneo. Centralità da cui si comprende l’interesse economico di natura commerciale che derivava dal dominio
di entrambi i territori; quello stesso interesse che mosse i salentini dell’età del Bronzo, ad insediarsi nelle isole maltesi,
e forse a decimare la popolazione isolana eneolitica.
L’interesse dei popoli salentini verso le rotte occidentali era
molto antico e derivava dalla necessità di rifornirsi della
ossidiana estratta nelle isole Eolie.
Sviluppatasi in questo contesto, la ‘civiltà dei megaliti
salentina’, ebbe modo di entrare in contatto con numerose culture,
e prosperare anche attraverso l’attività del commercio.
La volontà di estendere il dominio proprio al cuore del
Mediterraneo, e le capacità belliche e comunque strategiche e
logistiche che l’insediamento a Malta rivela, ci presentano un
popolo salentino meno arretrato e disorganizzato di quanto si era
fin ora soliti credere; un popolo che certamente esercitava già
un controllo diretto sui traffici della ’via dell'ambra’, che
passavano necessariamente attraverso il Canale d’Otranto.
Malta poteva diventare una importante base per estendere i
commerci e la ricerca di rame e delle stagno verso il Mediterraneo
Occidentale, in un epoca, quella del bronzo, in cui la domanda di
questi metalli stava crescendo esponenzialmente.
Le tribù iberiche commerciavano lo stagno, estratto nelle isole
Cassiteridi nel Mar del Nord, cosicché i salentini impossessandosi
di Malta e conservando il controllo del Canale d’Otranto,
potevano controllare le due principali vie di approvvigionamento
di stagno per il Mediterraneo Orientale e l’Egeo: la ‘via
dell’ambra’ e le rotte verso la Penisola Iberica.
Oreste Caroppo. |
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Considerazioni finali sulla numerosità dei menhir pugliesi |
Più estendo le mie ricerche più mi
accorgo con meraviglia della impressionante densità di menhir, che un
tempo doveva rivestire il territorio e di cui le cospicue testimonianze di
oggi, costituiscono solo la punta di un iceberg se paragonate a quella
antica moltitudine. Una densità che rivaleggia perfettamente con quella di
altre realtà megalitiche più famose nel mondo. Una densità tanto alta che
deve indirizzare la ricerca verso uno studio topografico attento al fine
di svelare quali significati e relazioni si nascondono dietro questa
vastità ed estensione del complesso fenomeno megalitico pugliese! |
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Antichi sacrifici all’ombra dei menhir
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<<Da
lato al menhir, si dissotterrarono dei sepolcri con scheletri
giganteschi>>
Una
segnalazione molto singolare, risalente alla seconda metà del ‘800, ci
permetterà di far luce sugli antichi riti, che si svolgevano all’ombra dei
menhir di Puglia, e fornirà indirettamente un primo dato relativo alla
datazione minima, almeno di uno di essi.
Accenneremo inoltre, al rapporto che nell’età del ferro le popolazioni
japige, avevano con gli antichi menhir della loro terra e con il culto
betilico, che aveva portato le più antiche popolazioni della regione a
erigere quei possenti megaliti.
Nota: principali toponimi e nomi etnici della Puglia
in età del ferro. |
Japigia
è il nome antico della Puglia e deriva da quello delle popolazioni
che la abitarono nell’età del ferro, gli japigi, che si
possono dividere in messapi e apuli. I messapi
(detti anche salentini o sallentini o anche calabri),
abitavano il Salento, il lembo meridionale della regione,
identificabile grossomodo, con le attuali province di Lecce,
Brindisi e Taranto e chiamato in antichità anche Messapia o
Calabria.. Gli apuli si dividevano in peuceti o
peucezi, che abitavano la Peucezia, la parte centrale
della regione tra la Penisola Salentina e il Tavoliere delle Puglie
e i dauni che abitavano la Daunia più a Nord,
comprendente grossomodo il Tavoliere, il promontorio del Gargano e
l’Appennino Dauno. Gli japigi comprendono popolazioni
culturalmente e anche etnicamente con forti legami tra loro, nate
dall’unione delle genti che popolavano la regione in età del
bronzo, gli ausoni con gruppi di illiri, greci
e cretesi giunti nei secoli tra la fine dell’età del bronzo
e gli inizi dell’età del ferro. In età del ferro la vicina regione
Basilicata era abitata dai lucani, chiamati anche enotri
. Questi vivevano in quelle terre già in età del bronzo ed erano
etnicamente e culturalmente vicini al sostrato più antico delle
genti di Puglia, gli ausoni. |
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Cratere apulo a figure rosse del IV sec. a. C., Museo d’Arte di
Filadelfia. Scena di sacrificio. É rappresentato un tipico sacrificio
della Puglia del IV sec. a. C., che vede nel caso specifico una
pecora offerta in olocausto.
Foto tratta da
www.museum.upenn.edu |
Lo
studioso che ci fornisce il prezioso dato è Luigi Maggiulli, un noto
avvocato di Muro Leccese, appartenente ad una delle più facoltose famiglie
di quella città e grande appassionato di antichità e storia patria.
Vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900, può essere ritenuto il primo vero
iniziatore degli studi sul megalitismo nell’entroterra otrantino.
Nella
sua “Monografia su Muro Leccese” edita in Lecce dalla Tipografia Editrice
Salentina nel 1871, nel paragrafo sugli ‘Antichi Monumenti’ della sua
città, il Maggiulli descrive un menhir che ancor oggi possiamo osservare
nel territorio di Muro, il Menhir Croce Sant’Antonio. Questa suggestiva
pietrafitta si colloca con i suoi 4,20 m di altezza, tra i più alti menhir
di Terra d’Otranto.
Sorge
in contrada Zicche, al centro di un crocevia, in un largo detto ‘Largo
Sant’Antonio’.
Relativamente a questo monumento lo studioso aggiunge l’importantissima
notizia:
<<da
lato -cioè di fianco al monolite- si dissotterrarono dei sepolcri con
scheletri giganteschi>>.
Il
Maggiulli aveva poco prima raccontato dei numerosi sepolcri, che si
rinvenivano nel territorio della città; molti di essi dice, erano ‘cavati
nel monte’, cioè scavati nel banco di roccia affiorante, e
probabilmente, anche scavati nel banco roccioso, erano quelli nel Largo
Sant’Antonio.
Muro
è un antica città messapica, il cui nome originario o almeno la
contrazione di questo, era ‘MIOS’, come possiamo dedurre dalla lettura
della ‘mappa di Soleto’, un frammento di vaso fittile dipinto di nero,
usato come base per scrittura (un ‘ostrakon’), con incisa una antica mappa
del Salento, risalente al V sec. a. C., e ritrovato recentemente
perfettamente in stato, in uno scavo archeologico condotto nella non
lontana città messapica di Soleto.
Possenti mura del IV secolo a. C. ancora circondano l’antico abitato di
Muro. I numerosi sepolcri descritti dal Maggiulli, erano tombe messapiche,
che ancor oggi lì si rinvengono numerose.
Quelli però trovati in Largo Sant’Antonio avevano qualcosa di anomalo,
contenevano <<scheletri giganteschi>>.
Si
trattava di ossa molto grandi, che dovettero impressionare la gente del
villaggio, che favoleggiò fossero le reliquie dei giganti, che avevano
innalzato i menhir e i grandi macigni squadrati, che costituivano i resti
delle ciclopiche mura messapiche.
Il
Maggiuli però non accenna a nessuna suppellettile o corredo funebre
ritrovato nei ‘sepolcri’ intorno al menhir Croce Sant’Antonio, mentre
sappiamo che nei normali sepolcri messapici qualche suppellettile si
rinviene quasi sempre, poiché i messapi erano soliti accompagnare i
defunti nel loro viaggio nell’aldilà, con un corredo funebre
proporzionale alle capacità economiche del trapassato e della sua
famiglia, e differenziato a seconda del sesso, dell’età, della posizione
sociale e dell’attività svolta dall’uomo accolto nella tomba.
Rivalutando con maggiore rigore scientifico i dati a disposizione e alla
luce della maggiore conoscenza, che oggi abbiamo sulle caratteristiche
anatomiche ed etniche dei messapi e delle antiche genti del Salento,
possiamo certamente escludere che si trattasse di resti umani.
Al
più in verità, potremmo pensare che si trattasse dei resti di un raro
individuo malato, affetto da gigantismo, ma i sepolcri con <<scheletri
giganteschi>> in largo Sant’Antonio erano più di uno, poiché lo studioso
parla al plurale (<<sepolcri>>, <<scheletri>>), e il gigantismo è una
patologia così rara da permetterci di escludere, che tutte quelle buche
fossero tombe di ammalati di gigantismo!
Le
ossa scambiate per scheletri di giganti, erano molto più presumibilmente,
ossa di animale, forse cavallo o bue, e gli scavi nella roccia in
prossimità del menhir Sant’Antonio, interpretati per analogia con le
tombe ‘scavate nel monte’, come sepolcri, altri non erano invece, che
fosse legate ai sacrifici che si officiavano all’ombra del menhir.
Lì si
offrivano in olocausto alle divinità e forse anche agli spiriti dei
defunti animali di grosse dimensioni; il sangue, il grasso e le ossa erano
riversate nella fossa, le parti più prelibate erano fatte oggetto di pasto
rituale. Presso i greci sappiamo ad esempio, che era consuetudine offrire
agli dei solo il grasso e le ossa degli animali sacrificati, in
particolare dei tori veniva offerto l’osso della coscia.
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Menhir Croce Sant'Antonio, nel largo omonimo a Muro
Leccese.
Si noti la presenza di un edicola votiva nei pressi
del menhir, oggi scomparsa, certamente ospitava un affresco di Sant’Antonio, il santo cui era dedicato quel largo, crocicchio di strade.
Si tratta di un edicola del tipo molto diffuso nell’entroterra otrantino: edicola monolitica ospitante di solito un affresco a
motivo religioso, chiamata in vernacolo, ‘cunneddha’, diminutivo di
‘icona’, termine greco che significa "immagine sacra".
Porre un
edicola vicino ad un menhir è uno dei molteplici modi in cui i
menhir salentini furono cristianizzati.
Qui inoltre
la cristianizzazione si evidenzia nel nome stesso del menhir,
chiamato dai locali "croce".
Foto
biblioteca di Luigi Maggiulli
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Sacrificio
di un toro rappresentato su un mosaico romano del II-III sec. d. C.
Ostia antica.
Foto tratta
da
www.ostiantica.it |
L’usanza di versare il sangue delle vittime sacrificali per terra affinché
fosse assorbito da questa, e in particolare il grasso e le ossa in fosse
scavate nelle aree sacre, è una pratica diffusissima nel mondo antico e
anche in Terra d’Otranto, come rivelano ad esempio gli scavi archeologici
condotti presso insediamenti e luoghi di culto dei messapi. In questo
modo le parti liquide e solide erano affidate alla terra e offerte al
mondo ctono, degli inferi, ai defunti che alla dimensione sotterranea son
legati, e dunque almeno ‘archetipicamente’, alla Dea Mater, la Terra,
Signora della vita e per contro anche della morte; il fumo degli arrosti
sacri saliva invece al cielo ed era offerto agli dei celesti e al Padre
Supremo, il Dio del Cielo e del Sole. Si bruciavano, in quei riti pagani,
anche foglie e rametti di piante aromatiche, affinché il profumo di queste
salisse al cielo (e il termine ‘profumo’, derivato dal latino, ricorda
etimologicamente queste antiche pratiche, e vuol dire infatti
letteralmente: odore emesso ‘attraverso il fumo’).
Il
menhir ponte eretto tra il cielo verso cui si protende e la terra in cui è
confitto, era il monumento perfetto all’ombra del quale celebrare questi
riti di ricongiunzione degli uomini col mondo divino.
Compiere riti di sacrificio all’ombra del menhir è una pratica ovvia e
scontata.
Approfondendo il culto betilico e i suoi aspetti più profondi,
psico-antropologici, si giunge a questa previsione; non solo, la studio
approfondito di quei culti molto lontani dal nostro modo di pensare, la
conoscenza delle religioni antiche e della mitologia, mi permettono di non
escludere persino riti ben più cruenti, che prevedevano il sacrificio di
esseri umani! Punti che affronteremo solo dopo aver introdotto i concetti
basilari del ‘culto betilico’.
Il
ritrovamento degli <<scheletri giganteschi>> e delle fosse sacrificali
dunque non meraviglia, ma mostra solo come in effetti il menhir, dalle
molteplici valenze simboliche e pratiche, era percepito in antichità come
‘colonna betilica’.
I
significati archetipi del menhir ovvero della colonna, quale legame tra
cielo e terra, l’uomo e il divino e l’uomo e il territorio, la
correlazione spaziale con quelle che ci appaiono quali fosse sacrificali,
e l’unicità di queste nel territorio di Muro Leccese, ci convincono, in
mancanza ahinoi, di alcuno scavo archeologico serio ai piedi dei menhir
salentini, della correlazione temporale: fosse sacrificali-menhir, che non
esclude essere il menhir ancora più antico.
Non
possiamo certamente stabilire, in assenza di ulteriori dati, l’età a cui
risalivano quei sacrifici di Largo Sant’Antonio. Si tratterebbe di un dato
cronologico, che fornirebbe un'importante indicazione sulla "età minima"
del monolite.
Possiamo però con certezza escludere, che quei riti cruenti, siano
successivi alla affermazione del cristianesimo nel Salento, che iniziò a
diffondersi per altro molto presto, se come raccontano le leggende, fu
davvero l’apostolo Pietro a predicare il Verbo di Cristo in terra
salentina.
Con
il raggiungimento della piena evangelizzazione del Salento, cessarono
tutti quei riti pagani che prevedevano il sacrificio di animali agli Dei.
Approssimativamente possiamo dunque dire che i riti sacrificali
testimoniati in Largo Sant’Antonio, non sono successivi al IV-V secolo d.
C., e di conseguenze lo stesso dobbiamo ipotizzare per quel grande menhir
lì ubicato.
Dunque se non già all’età del bronzo, quei sacrifici di grossi animali
risalgono almeno alla prima età del ferro, o all’epoca messapica o a
quella romana!
Nel
culto messapico e apulo della colonna, l’eco
della religione dei menhir
Tutta
la cultura japigia è intrisa del "culto della colonna e della
stele", certamente
derivato, come credo, dall’incontro del gusto estetico ellenico con il
‘culto del menhir’, trasmesso agli japigi (messapi e apuli) dal sostrato
autoctono dell’età del bronzo di cultura megalitica, che si integrò e fuse
con le genti illiriche, cretesi e greche, che si stabilirono nel Salento
agli albori della civiltà messapo-apula (fine età del bronzo-inizi età del
ferro).
In
tutta la Puglia, presso gli japigi, ritroviamo un culto particolare per la
pietra, quale oggetto privilegiato di contatto dell’uomo col divino;
pietra appunto come il menhir, disposta verticalmente e a volte persino
conficcata nel terreno, ora come stele monolitica, ora come semplice
colonna con capitello senza alcuna architrave o funzione architettonica,
ora come pietra informe, ora squadrata o rifinita in altro modo,
semplice o arricchita da decorazioni, petroglifi graffiti o a rilievo,
pigmenti e iscrizioni incise, ora figurata, ora scolpita in statua-stele
antropomorfa.
Un culto per
la pietra, così radicato che si diffuse come mostreremo persino nelle
colonie magno-greche, che più di altre gravitavano nel mondo Japigio, la
dorica Taranto, e l’achea Metaponto, e che con differenziazioni locali
ritroviamo in tutta la Puglia dalla Daunia fin nelle ultimi propaggini del
Salento e con continuità dal IX-VIII sec. fin nell’epoca romana.
Tipica colonna votiva messapica. Ricostruzione sulla
base del ritrovamento di un capitello a Cavallino. Estratto da un
lavoro del Dipartimento di Archeologia dell’Università degli Studi
di Lecce |
Cratere
apulo a figure rosse
(recipiente
per mescere il vino con acqua),
alto 80 cm.
Puglia 320-330 a. C.
Si noti al
centro è rappresentata una colonna
semplice
decorata con nastri, e bende,
posta su un
alto basamento.
Foto
tratta da
www.museum.upenn.edu |
|
Un argomento
di estremo interesse, che approfondirò in un prossimo intervento, e che è
necessario trattare per comprendere i legami col più antico megalitismo
pugliese, di tutti quei culti dell’età del ferro a ‘matrice litolatra’
(cioè includenti una sorta di venerazione per la pietra), che deve essere
sempre considerata alla luce delle molteplici valenze magico-religiose,
che la pietra assume. Non solo, procedendo a ritroso, lo studio del ‘culto
del cippo’ e ‘della colonna’ in età del ferro, meglio
documentato dalle fonti e dall’archeologia, dà in parte la possibilità di
far luce anche sui riti e sulla religione più antica, oscura e complessa,
praticata in Puglia in età del bronzo e ancor prima, e che quei culti
stessi originò.
La vicinanza del menhir Sant’Antonio, con l’area messapica di Muro,
le pratiche rituali che si svolgevano ai suoi piedi e la sua
correlazione con vetuste strade di una certa importanza già in epoca
in antica, mi spinge ad accennar qui, al ‘culto messapico della
colonna’ (presente anche presso gli apuli come la produzione
vascolare apula rivela), rimandando per ora il non meno rilevante e
della medesima natura e genesi, ’culto della stele’.
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In spazi aperti messapi e apuli, innalzavano colonne agli dei,
semplici pilastri con capitello. Al di sopra vi si posizionavano una
statua di divinità o un grosso vaso o un braciere o un elemento
litico decorativo in forma di triangolo isoscele o qualche altro
oggetto. Talvolta la colonna era semplice e non accoglieva nulla in
sommità, a conferma dell’importanza a se dell’elemento ‘colonna’.
Due capitelli di queste colonne sono stati repertati a Cavallino e a
Ugento, due importanti città messapiche.
Hanno
entrambi abaco ornato con rosette a rilievo. Il capitello di
Cavallino ha echino particolarmente schiacciato e collarino con
foglie schematizzate.
La colonna
a cui apparteneva il capitello ugentino, accoglieva sopra una
pregevole statua bronzea di Zeus, ritrovata quasi integra e fatta
risalire al 530 a. C. La statua rientra nella produzione dell’arte
tarantina, e probabilmente come fanno supporre alcuni particolari
stilistici, fu fusa a Ugento da maestranze tarantine o fu realizzata
su precisa commissione e con le accortezze e le caratteristiche
richieste dagli ugentini, nelle botteghe della colonia dorica. |
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Hydria apula a figure rosse (vaso per acqua). Puglia.
Si noti al centro la colonna su basamento, ornata con bende.
Foto tratta da
www.arsantiqua-online.com |
La colonna era ornata con nastri e ghirlande, come possiamo dedurre
dall’arte figurativo-vascolare ritrovata in Puglia, e soprattutto in
quella di fattura ‘apula’, e si elevava in spazi sacri generalmente
recintati e privi di copertura, proprio in modo da sottolineare il
valore della colonna quale ponte tra cielo e terra, secondo i
medesimi valori archetipi, che avevano ispirato già molti secoli
prima l’erezione dei menhir. |
Come si
può dedurre dai ritrovamenti archeologici di materiale vascolare,
altari e altri reperti associabili ai medesimi contesti cultuali,
intorno al pilastro, si svolgevano, riti e cerimonie, che
prevedevano libagioni, offerte di primizie ed ex-voto di vario tipo,
statuine, vasellame, piramidette (vasi da telaio fittili) con in
greco incise formule di dedica, vasi miniaturistici, fibule, ecc.
Ai piedi della colonna, i messapi sacrificali animali ai loro dei.
Nelle aree sacre si son ritrovati anche altari costituiti da blocchi
di calcare a pareti lisciate e spigoli arrotondati, con tracce di
combustione, effetto dei fuochi accesi per bruciare foglie e rametti
aromatici o vari prodotti della terra offerti al mondo divino o
anche per arrostire le sacre carni dei sacrifici. Altri altari
avevano semplici decori e a volte riportavano incise in greco o
messapico, formule dedicatorie col nome della divinità invocata e a
cui era consacrato l’altare o dell’offerente. Vi erano altari per
i sacrifici e lo sgozzamento degli animali offerti in olocausto, di
dimensioni variabili a seconda delle bestie, che vi si immolavano e
a volte anche vasche monolitiche scavate in blocchi di calcare con
foro nel fondo. Vi si versavano dentro le offerte e i liquidi sacri,
come il sangue e il vino delle libagioni, che percolavano poi nella
terra con cui la vasca monolitica era forse a contatto.
Si usavano a tal fine anche vasi appositamente preparati, con un
foro nel fondo, e che venivano posati o seminterrati nel terreno. |
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Riproduzione
grafica di una vasca con ampio foro sul fondo, di età arcaica,
usata a mo’ di altare, recuperata a Cavallino nel corso degli
scavi degli anni ’60 e ’70.
É scavata in un blocco parallelepipedo di
calcare locale di altezza 10 cm, e base 18,5 cm X 29,5 cm. É
decorata da una scanalatura sottile che corre lungo il bordo.
Vi si versava il sangue dei sacrifici e le libagioni, e i
liquidi, attraverso il foro, percolavano nel terreno con cui
era forse posta in contatto. |
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Nota:
animali e altri prodotti della terra sacrificati agli dei e ai
defunti presso i messapi.
I messapi
presso i quali ritroviamo una notevole complessità e varietà di
culti, sacrificavano ai loro dei, quasi ogni animali selvatico e
domestico, persino il cane. Tra gli animali di stazza maggiore, non
solo il cervo, il maiale, il cinghiale e il comune bue, ma anche il
cavallo di cui erano grandi allevatori. Come racconta uno scrittore
latino nel II sec. d. C. (Festo in “Sul significato delle parole”),
i ‘sallentini’, consacrato un cavallo a ‘Giove Menzana’ (‘menzana’,
vuol dire ‘cavallo’ in messapico), lo gettavano vivo nel fuoco!
Inoltre,
come sempre nella ritualità del mondo antico, anche presso i messapi
non erano offerti solo animali a dei e spiriti dei morti, ma ogni
altro frutto della terra, sia liquido, come acqua, latte, miele,
olio, e il vino delle libagioni, sia solido, come semi di cereali,
legumi, frutta, ortaggi ecc., poteva essere oggetto di offerta
rituale. Non solo, sempre al fine di rivolgere l’offerta sia alle
divinità celesti sia a quelle terrestri, una parte anche di queste
offerte, era gettata nel fuoco, perchè bruciasse ed evaporasse, per
salire in alto come fumo, l’altra era deposta su un supporto o
direttamente a terra o gettata in fosse. |
Gli antichi
menhir per i messapi erano sacre
colonne erette dagli antenati
I riti che si svolgevano ai piedi delle colonne messapiche, non
erano dissimili da quelli che si celebravano ai piedi del menhir
Sant’Antonio, e certamente di altri menhir salentini.
Ora però è impossibile dire se fossero dei messapi o di genti più
antiche, le fosse sacrificali scambiate dal Maggiulli per sepolcri.
E quand’anche fossero stati i messapi ad officiare sotto il menhir,
quei riti sacrificali, analoghi a quelli celebrati sotto le loro
‘colonne votive’, questo non ci stupirebbe.
Consideriamo infatti che alcuni menhir sorgevano addirittura
all’interno della cinta muraria di città messapiche o in prossimità
di queste, spesso lungo importanti assi viari e incroci
(caratteristiche di ubicazione proprie ad esempio dei menhir di Muro
Leccese e analoghe a quelle che ritroveremo per le stele messapiche,
cippi (=stele) che la stessa Muro ha restituito numerose).
Se non furono proprio gli stessi salentini dell’età del ferro ad
erigere qualcuno di questi menhir, non possiamo non sottolineare
come quei monoliti non furono distrutti e abbattuti sotto tutta la
civiltà messapica.
Questo ci permette di capire quanto la sacralità di quelle antiche
pietre fosse percepita ancora in Puglia presso gli japigi.
Un altro
dato sempre fornito dal Maggiulli, conferma ancor più questa
continuità di culto o mera percezione di sacralità nei confronti del
menhir in età del ferro. |
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necropoli e
resti delle mura dell’antica città messapica di Manduria. Foto
tratta dal sito www.salentopoint.com |
Menhir Trice,
Muro Leccese.
Foto tratta
da
www.stonepages.com |
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Nel medesimo paragrafo sopra citato, il Maggiulli ricorda, che in
Largo Trice, sorgevano agli inizi del secolo scorso, tre menhir
vicini tra loro, di cui almeno uno collocato sopra un basamento di
roccia naturale <<scheggiato grossolanamente col piccone>>; oggi ne
rimane solo uno, il più grande dei tre, alto 4 m. Tutta l’area
intorno a questi fu adibita a necropoli in epoca messapica, e lo
studioso ottocentesco infatti ricorda che <<alla base - dei menhir
- si ritrovarono nei passati tempi molti sepolcri scavati nel
monte>>.
Questa associazione antico menhir-necropoli messapica, suffragata
nel largo Trice a Muro dall’archeologia moderna, ci fa capire quale
alto significato i vetusti menhir avessero presso i salentini della
prima età del ferro, di epoca classica, e poi ellenistica, tanto da
collocare attorno agli antichi pilastri eretti dagli avi salentini,
le loro dimore ultraterrene!
Una sacralità che i salentini non smisero mai di percepire anche in
epoca romana e nella successiva epoca cristiana, quando introdotti
come ‘croci’ e colonne votive nella nuova fede, i menhir
continuarono ad essere oggetto di culto in forme, rituali e
terminologie nuove, ma sempre riconducibili e fondate sulle stesse
universali basi psico-antropologiche e magico-religiose. |
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Oreste Caroppo (agapi_mu@libero.it) |
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