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PILLOLE DI SAGGEZZA POPOLARE SALENTINA.

Premessa

Proverbi

Stornelli

Indovinelli


Filastrocche, Nenie e Cantilene

 Rimedi poveri contro le malattie

 Antiche ricette di cucina popolare  

Feste, Riti e Usanze

i Cunti


 

Feste, Riti e Usanze

 


LA CAREMMA

La Caremma era rappresentata da un fantoccio di paglia che aveva le sembianze di una vecchietta tutta vestita di nero.

Dal francese "Careme" (Quaresima) la Caremma nella fantasia popolare rappresenta la moglie del Carnevale. Figura scaramantica ed esorcizzante, simboleggia la mortificazione del corpo.

La Caremma veniva fatta subito dopo il carnevale, cioè all'inizio della Quaresima e veniva appesa sulla facciata delle case.

Visto che durante il carnevale si ballava e ci si divertiva, la Caremma rappresentava l'astinenza da balli e da feste, e quindi un riposo da tutto quello che di era fatto a carnevale.

Quando vi era la Caremma non si comprava, né si mangiava carne e questo permetteva un risparmio di denaro.

Il tempo della penitenza e dell'astinenza veniva scandito dalla rimozione delle sette penne scelte dal cappone di Natale (una per settimana) quante sono quelle di Quaresima conficcate in un'arancia attaccata ai piedi. In mano, il fantoccio tiene l'aspo e il fuso, quali simboli della laboriosità del tempo e della vita che trascorre.

Giunta Pasqua, il fantoccio viene bruciato, infatti la presenza e l'utilizzo del fuoco, che purifica e rigenera, rappresenta il simbolo di distruzione per la costruzione di una nuova stagione di vita.

Sulla Caremma vi è una filastrocca che recita:

A Caremma pizzicotta, face u casu e la ricotta

e li face scusi, scusi cu nu lla vitine i carusi,

e li face chianu chianu, cu nu lla vite u guardianu.

La Caremma che dà i pizzicotti, fa il formaggio e la ricotta

e li fa di nascosto, per non essere vista dai ragazzi

e li fa in silenzio, per non essere vista dal guardiano.

LA CUDDHRURA

La "cuddhrura" viene fatta, tradizionalmente, nella settimana santa. E' un caratteristico pane che da secoli i salentini di ogni ceto sociale usano mangiare, a seconda delle tradizioni dei luoghi, la vigilia o il giorno di Pasqua. Conosciuta anche come "panareddhru", "pupa", "scarceddhra", è una sorta di ciambella di pasta guarnita con uova sode. E' una specialità di pane piuttosto modesta, fatta cioè con ingredienti semplici quali l'olio, il lievito di birra, l'acqua salata e le uova. Può avere svariate forme a pupazzo, a cestino, a cuore, a forma di gallo, e così via. Per la preparazione vedi "Pupe, taraddhri e cestini te Pasca"

LE FOCAREDDHRE (I FALO')

Le "focare" vengono di solito fatte il 19 di marzo, festa di S,Giuseppe, ma la tradizione cambia di paese in paese. Si dice che esse vengono fatte considerato che S. Giuseppe era povero, la gente accendeva per lui un falò in modo che stesse caldo tutto l'anno. Altri invece pensano che, ricorrendo la festa di San Giuseppe al calare dell'inverno esse non fossero altro che un salutarlo bruciando la legna rimasta per i camini facendo posto a quella nuova.

LE TARANTATE

 Se durante il periodo della festa di San Paolo una persona, ovunque si trovasse, veniva punta da una taranta (ragno), doveva recarsi a Galatina, dove il Santo è patrono. E questo si ripeteva ogni anno sempre nel periodo di San Paolo) e qui iniziava a ballare. Una nonna ci ha raccontato che ha visto una donna ballare su di una tazzina da caffè. Un altro signore andò a trovare sua nonna non sapendo che questa era tarantolata. Era appunto il periodo di San Paolo ed entrando in casa vide sua nonna che ballava ed iniziò a ballare pure lui coinvolto dai ritmi e dalla vecchia. Ad un certo punto, cercando di ritrarsi, cercò di nascondersi sotto il tavolo, ma lei, passando per i fusti delle sedie lo raggiungeva. Alla fine riuscì ad uscire dalla casa dicendo che vi sarebbe ritornato solo quando fosse passato il periodo di San Paolo e sua nonna avesse smesso di ballare.

Le tarantate non sopportano il colore rosso o colori molto vivaci. Si racconta di una volta quando una signora tutta vestita di rosso fu vista da una tarantata che nella foga le saltò addosso strappandole tutto il vestito.

Il tarantismo pugliese nacque nel medioevo e si mantenne con intensità di partecipazione popolare e varietà di forme mitico rituali sino alla fine del '700 iniziando la sua decadenza nel secolo successivo.

Una ricostruzione fantastica dell'esorcismo musicale all'aperto presso alberi e fonti, come si praticava nel '600, si ritrova nella Phonurgia del Kircher, dove appare anche la tarantella terapeutica nella forma agonistica, oggi scomparsa della danza della spada.

Dopo gli accenni di interpretazione simbolica in Leonardo e nel Pontano, medici e naturalisti del '600 e '700 si occuparono attivamente del tarantismo, riducendolo ad una malattia, e cioè o all'avvelenamento per morso della tarantola pugliese,o ad una forma di melanconia.

Per delimitare lo scenario del rito, ovvero il perimetro cerimoniale della danza, un ampio lenzuolo disteso su coperte copriva il pavimento del vano, e sul lenzuolo, in un angolo, un cestino per la raccolta per le offerte e immagini di San Pietro e San Paolo in colori vistosi.

Per quel che concerne il modo col quale fu effettuato il campionamento degli oggetti, fu deciso di utilizzare la festa dei Santi Pietro e Paolo (29 giugno), quando cioè i tarantati affluiscono dai vari paesi del Salento alla cappella di San Paolo nella città di Galatina, per ringraziare il santo della guarigione ottenuta durante la cura domiciliare, o per confermare ulteriormente tale guarigione, o per implorarla nel caso che la cura domiciliare non fosse stata eseguita o fosse rimasta inefficace.

La documentazione diacronica, dal '500 ad oggi, attesta concordemente che l'epoca del tarantismo e' la stagione estiva, dal principio di maggio alla fine di agosto.

Già il Ponzetti indica l'estate come il periodo in cui le tarantate mordono di più e in cui il loro veleno è più pericoloso

 

 

 

 

Ultimo aggiornamento

 11/06/2006

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