L’anomala sezione del menhir Cutura
Il menhir Cutura, ubicato sulla provinciale Palmariggi-Giuggianello
(vedi il mio intervento di segnalazioni “Il Menhir Cutura”), è
costituito da un blocco monolitico a sezione grossomodo quadrata.
Viene meno un elemento molto diffuso tra i menhir salentini a
pilastro squadrato, che è la sezione spiccatamente rettangolare. Le
dimensioni della sezione del menhir Cutura, 59cm per 61cm, con un
rapporto,
(lato
min./lato max)=0,97(=59/61) vicino all’unità,, ci ricordano quelle
di un menhir maltese, il menhir Il-Hagra tad-Dawwara sull’isola di
Gozo (vedi tra i miei interventi:
“Confronto tra menhir salentini e menhir maltesi” in “Antichi
legami tra il Salento e l’Arcipelago Maltese nell’età del bronzo”),
di forma parallelepipeda, con sezione di 61cm per 64 cm, per
un rapporto, (lato min./lato max)=di
0,95 (=61/64).
Altri menhir salentini squadrati aventi facce molto ampie, da 50 a
72 cm, non sono rari, ma non si osserva in nessuno di essi un
rapporto tra le dimensioni dei lati della sezione tanto vicino
all’unità, quanto per il menhir Cutura; si pensi ad esempio al
menhir Malcantone di Uggiano la Chiesa, di forma grossomodo
parallelepipeda a sezione rettangolare con lato maggiore di
lunghezza record 72cm, ma con il lato minore misurante circa 48 cm,
per un rapporto solo di 0,67 (=48/72).
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Figura 1: Menhir San Giovanni Malcantone in agro di Uggiano la
Chiesa. Altezza 4m, sezione 70cm per 48cm. Si osservi l’alto
basamento roccioso naturale o
rozzamente rifinito, su cui si eleva il menhir. Foto tratta da
www.stonepages.com .
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Il menhir Cutura, mostra come nel Salento tra i menhir a pilastro
squadrato, accanto a quelli a sezione rettangolare, ne esistevano
alcuni, come il Cutura appunto, a sezione quasi quadrata.
É questo un ulteriore elemento di similitudine tra menhir salentini
e maltesi! Anche i menhir a pilastro squadrato dell’arcipelago
maltese hanno infatti talvolta sezione rettangolare (come il menhir
Is-Salib, sull’isola di Malta), talaltra sezione quadrata (come il
Menhir Il-Hagra tad-Dawwara sull’isola di Gozo).
Analisi delle decorazioni a forellini
sulle facce del Menhir Cutura
Descrizione dei
decori a forellini sulle superfici del menhir Cutura.
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Figura 2: faccia a SE del menhir Cutura. Si notano piccoli fori
sulla superficie. Foto O. Caroppo.
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Sulle facce a SE e a SW si osservano numerosi forellini; le
superfici della pietra anche in corrispondenza di questi sono ben
levigate e protette da una patina di antichi licheni.
La densità di forellini è più alta sulla faccia a SW. Qui in maniera
più evidente, si osserva un fitto ricamo di buchetti casuali e
adiacenti l’un l’altro. I forellini hanno diametri medi da 1,5cm a
3cm e profondità fino a 2cm.
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Figura 3: faccia a SW del menhir Cutura. Si osservi il ricamo
di buchetti della superficie. Appare in alto una croce greca
incisa, e ancor più in alto a destra, un grosso foro sullo
spigolo a S. Per ulteriori dati sul menhir, vedi la
segnalazioni “Il Menhir Cutura”. Foto O. Caroppo. |
Discussione
sull’origine antropica delle bucherellature della pietra.
Se ipotizziamo che i numerosi forellini
siano riconducibili ad un semplice processo erosivo naturale
comportante carie della pietra, dobbiamo ammettere che questo si è
compiuto in età antica, dato che oggi, tale erosione(?) appare ormai
stabilizzata; quelle superfici son infatti ricoperte e protette da
una patina di antichi licheni.
Sulle altre due facce del menhir non si
osservano queste carie. Essendo la natura della pietra la stessa, il
menhir è un blocco monolitico, per spiegare tale azione
differenziata degli agenti esogeni, si dovrebbero introdurre ipotesi
meteorologiche sulla direzione e intensità dei venti, che alla luce
dell’orografia del territorio, e del clima del Salento si rivelano
subito poco plausibili!
Lungo i piani di taglio in sommità, in
testa, lungo gli spigoli smussati e arrotondati, così come lungo la
smussatura dello spigolo S tra le due facce cariate, non si
riscontrano forellini né alcuna rete di questi, come invece sulle
due più ampie superfici del blocco descritte.
Per questo motivo dovremmo ritenere le
smussature successive. Ciò nonostante ci meraviglia il fatto che il
medesimo processo erosivo(?) non abbia poi interessato anche le
smussature e le altre superfici in testa essendo la natura delle
pietra la medesima!
Per risolvere la questione analizziamo
quei processi erosivi che caratterizzano la pietra di cui è composto
il menhir Cutura, il calcare locale salentino detto volgarmente
‘pietra leccese’, e che conferisce alla pietra un aspetto cariato
paragonabile a quello del menhir Cutura.
La ‘pietra leccese’ è un calcare
argillo-magnesifero, cioè una roccia sedimentaria, composta
principalmente da calcite (carbonato di calcio, CaCO3).
Si è formata in seguito alla
cementificazione di micro-granuli rocciosi, sedimentati sul fondo di
mari o lagune, durante l’era geologica nota come miocene ( il
miocene si estende in un arco di tempo geologico compreso tra 26 a
5,2 milioni di anni fa).
La ‘pietra leccese’ è un materiale litico
di facile lavorazione appena estratto dalla cava.
Esposta però all'aria e agli agenti
esogeni per qualche anno, indurisce sensibilmente; su di essa si
impiantano alcune specie di licheni, che la ricoprono con una crosta
formata da calcare e materia organica, che dà alla roccia grande
resistenza agli agenti atmosferici e alla carie.
Se la pietra leccese viene però
sottoposta a grandi pressioni, si microfessura e si sfalda con
facilità.
Si osserva questo sulle superfici dei
blocchi di pietra leccese usati nei muri portanti e collocati nei
piani bassi delle abitazioni dove il carico è maggiore.
La pressione causa delle
micro-fessurazioni che favoriscono, l’azione disgregante operata da:
1)
microrganismi e agenti esogeni,
quali:
a)
vento,
b)
dilatazioni e contrazioni causate dall'escursione termica diurna e
stagionale,
c)
dilatazione dei film d'acqua
che infiltrati nelle fessure della pietra sotto forma di umidità,
congelano nei mesi invernali e
d)
carsismo, l’erosione provocata da acque meteoriche acide poiché
contenenti acido carbonico, prodottosi a seguito dell'assorbimento
nelle gocce d'acqua piovana di anidride carbonica (CO2),
presente nell'atmosfera; l’acido carbonico (H2CO3),
converte il carbonato di calcio (CaCO3), costituente
principale della roccia calcarea e composto poco solubile in acqua,
in bicarbonato Ca(HCO3)2 , che è invece molto
solubile in acqua, con conseguente erosione della pietra.
L’effetto finale sono superfici cariate
che si presentano rugose, friabili e ‘farinose’ al tatto. La pietra
gradualmente si trasforma in sabbia sciolta e il processo procede
inesorabilmente coinvolgendo strati della pietra sempre più interni,
mentre lo spessore della pietra si assottiglia.
Le carie si sviluppano sui blocchi
sottoposti alla medesima pressione in maniera differenziata, a
seguito del diverso grado di cementazione naturale della pietra,
della diversa composizione della stessa e della differente
percentuale di fossili o altre 'impurità' presenti nella roccia. Per
questo nei piani bassi degli edifici si osservano blocchi fortemente
aggrediti accanto ad altri meno cariati o quasi totalmente integri
(vedi foto).
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Figura 4: esempio di muro in pietra leccese eroso da carie e
posto al piano terra di un edificio. Si tratta nello specifico
di un palazzo del settecento nel centro storico di Maglie,
in provincia di Lecce. Qui la pietra usata per le costruzioni
è il calcare locale detto appunto ‘pietra leccese’. Si
consideri che ogni blocco di pietra leccese è alto circa 30
cm. Foto O. Caroppo.
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Si osservi come le carie prodotte da
questo tipo di erosione, l'unica della pietra leccese che potremmo
chiamare in causa per spiegare l’aspetto delle superfici del menhir
Cutura, sono in realtà ben differenti dalle forature ricamate
sul monolite.
La rete dei fori è nella tipologia di
‘carie da pressione’, molto irregolare, come si può osservare nel
caso in figura. Si evidenziano, sui blocchi meno aggrediti,
forellini di varie dimensioni e forme, distanziati tra loro; la
superficie è percorsa da venature di erosione. Sui blocchi
fortemente aggrediti, più che semplici fori, appaiono numerosi
‘avallamenti’ anche molto ampi e sempre di forme e dimensioni molto
variabili e irregolari.
Di contro il ricamo di fori sul menhir
evidenzia decisamente una maggiore regolarità.
Nell’erosione da pressione poi tutte le
superfici del blocco esposte all’esterno son interessate da carie,
che coinvolgono pertanto anche eventuali spigoli, mentre le erosioni
sulla faccia a SW del menhir si presentano quasi come incorniciate;
si sviluppano solo in un riquadro interno alla faccia con bordi alla
base e in sommità (dove è incisa la croce greca), praticamente
intatti. Sui lati della zona ricamata a forellini son assenti
i fori sia sulle superfici grossolanamente smussate, sia su residue
porzioni laterali non intaccate dalla smussatura.
Le creste tra i forellini nelle aree
rugose interessate dal ricamo di fori del monolite, sono alla stessa
altezza delle superfici non bucherellate, presenti sulle medesime
facce.
Queste osservazioni insieme all’aspetto
non friabile ma compatto delle superfici bucherellate del menhir,
portano inevitabilmente alle seguenti conclusioni.
Conclusioni
dell’analisi sull’origine della rete di forellini e sul significato
della croce greca, presenti sul monolite:
quella che oggi può apparire come mera
opera erosiva, è invece ciò che rimane di un’antica e originaria
decorazione megalitica delle superfici, fatta di numerosissimi,
adiacenti e casuali fori realizzati con un trapano arcaico o con uno
strumento a battente conico o martellando su un punteruolo.
Le forature appaiono prive di asperità,
levigate da secoli di esposizione agli agenti esogeni.
Forse anche le altre superfici avevano
simili decorazioni, ma certamente meno pronunciate della faccia a SW
tanto da essere asportate nei secoli, dall’opera erosiva degli
agenti esterni .
Possiamo ipotizzare questo con maggiore
probabilità per il lato a SE, dove nonostante la levigatura delle
superfici operata dalle intemperie, compaiono tracce di
numerosissimi forellini, soprattutto nella porzione media e
inferiore. Quello che però possiamo sostenere con più certezza, è
che, come ancor oggi è possibile notare, la decorazione a forellini
riguardava la faccia SW. Questa era forse già in origine la faccia
più significativa del bethilos, come il suo decoro rivelerebbe.
Proprio a causa di questo poi, fu su di essa e non sulle altre
facce, che venne inciso un segno cruciforme, probabilmente in epoca
cristiana per cristianizzare quel monumento e i suoi pagani
ornamenti.
Già sui menhir pugliesi, anche non
decorati, appaiono segni cruciformi, come anche su menhir maltesi e
francesi, attendibilmente croci di cristianizzazione; e croci si
ritrovano incise col medesimo intento cristianizzante, anche su
pareti rocciose e rocce in aree di arcaica valenza religiosa,
antichi luoghi di culto o sepoltura, soprattutto in corrispondenza
di graffiti di origine ‘pagana’; si osserva questo diffusamente in
Puglia come in altre località italiane, ad esempio su rocce
dell’Arco Alpino interessate da manifestazioni di arte rupestre.
Nel menhir Cutura, la croce sintetizza i
due intenti, quello di cristianizzare il menhir in quanto
monumento pagano e quello di cristianizzarne i decori, che nell’arte
antica sottendevano profondi intenti magico-religiosi.
Confronto con
decori tipici dei megaliti maltesi della ‘civiltà dei templi’
|
Figura 5: Accesso ad una camera interna, ‘sancta sanctorum’, nel
tempio di Mnajdra a Malta. la
costruzione del tempio risale al 3600-3300 a.C.
Si notino le particolari decorazioni a trapanature delle
superfici della grandi pietre. Foto tratta da..
www.myrine.at
.
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Il tipo di decorazione del menhir Cutura,
unico esempio per ora documentato su un menhir pugliese a pilastro
squadrato, non trova al momento alcuna significativa comparazione
con le altre rare forme di arte megalitica pugliese.
Un primo confronto è stato fatto con le
decorazioni, che si rinvengono sulle stele antropomorfe e sui cippi
pugliesi, italiani ed europei di epoca neolitica, calcolitica e
dell’età del bronzo e del ferro. Questi talvolta presentano ampie
superfici decorate con motivi semplici e ricorsivi, ma si tratta
quasi sempre di rombi o triangoli, o altri elementi geometrici
ripetuti con estrema regolarità, mai di fori adiacenti con posizioni
caotiche, come sul menhir Cutura.
Prendendo in considerazione le diverse
espressioni artistiche note dell’arte megalitica europea e
mediterranea, l’unico e interessantissimo confronto che possiamo
fare è con l’arte decorativa dei templi megalitici maltesi,
risalenti all'epoca neolitica e calcolitica, ed espressione della
cultura autoctona dell’arcipelago indicata come ‘civiltà dei templi’
( 3600-2200 a.C.).
Nel tempio di pietra di Mnajdra ad
esempio o nel poco distante tempio di Hagar Qim sull’isola di Malta,
molte delle superfici dei blocchi e delle lastre megalitiche
presentano una decorazione di piccole adiacenti trapanature, che
conferisce loro un aspetto paragonabile a quello riscontrato sul
megalite oggetto di questo studio.
E proprio con l’arcipelago maltese, la
cultura megalitica salentina presenta fortissimi legami.
Significativi elementi suggeriscono
l’esistenza di antiche relazioni tra l’arcipelago maltese e il
Salento, successive al 2400 a. C. ed evidenziate soprattutto dalle
somiglianze strutturali e costruttive tra alcuni dolmen
salentini e quelli delle isole maltesi e tra i menhir delle due
aree.
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Figura 6: altare decorato con numerosi
fori ciechi, con scolpito l’ albero della vita. Tempio di Hagar
Qim,
la cui costruzione risale al 3600-3300 a.C., (Malta). Foto
tratta da
www.wurzelwerk.at . |
Figura 7: Menhir Cutura. Particolare del lato Sud-Ovest,
porzione bassa. Si noti la somiglianza del decoro a fori sui due
manufatti mostrati nelle foto. Foto di O. Caroppo. |
L’archeologia ha dimostrato che prima del
definitivo e improvviso tramonto, datato intorno al 2400-2100 a. C.,
la civiltà maltese dei templi visse una fase di lento declino, forse
a causa di un aumento del clima secco, che comportò minore fertilità
dei suoli, scarsità di cibo ed acqua potabile ed aumento delle
malattie.
Segni evidenti di incendi e distruzioni
nei templi, permettono di ipotizzare però che il colpo di grazia fu
inflitto a quella millenaria cultura, da una grande invasione di
genti provenienti con tutta probabilità dalla penisola salentina.
Oltre agli evidenti cambiamenti
culturali, anche l’analisi approfondita degli scheletri
dissotterrati negli scavi archeologici, ha permesso di rivelare la
presenza nell’arcipelago in età del bronzo, di genti in
discontinuità etnica con i maltesi costruttori dei templi di pietra.
Si è potuto evincere questo in particolare dalle differenti
proporzioni craniche. Mentre i maltesi di epoca calcolitica erano
brachicefali, i costruttori dei dolmen maltesi di tipologia
salentina erano invece dolicocefali.
Nota:
-
Brachicefalia: conformazione del cranio con prevalenza del
diametro trasversale su quello longitudinale.
-
Dolicocefalia: conformazione del cranio con prevalenza del
diametro longitudinale su quello trasversale.
Sebbene non sappiamo con certezza assoluta se i salentini si
insediarono in un arcipelago ormai quasi del tutto desolato dopo
l’improvviso e misterioso tramonto della civiltà calcolitica maltese
o se furono proprio questi a far strage della popolazione autoctona,
dobbiamo comunque ritenere che tra i nuovi arrivati e le sparute
genti superstiti, si realizzò nel tempo una profonda integrazione e
fusione, con sviluppo di una comunità che potremmo definire
salentino-maltese, e che dominò l’arcipelago almeno fino al 1500 a.
C.
La cultura che si sviluppo nell’arcipelago sulle ceneri della
civiltà precedente e con il nuovo apporto etnico e culturale
salentino, è definita ‘Tarxien Cemetery Culture’ (circa
2400-1500 a. C.).
L’ipotesi di un’occupazione salentina delle isole maltesi successiva
alla scomparsa della civiltà neolitica ed eneolitica dei grandi
templi, fu avanzata per la prima volta sulla base delle analogie
dolmeniche, dall’archeologo Evans
J.D. nel 1956 (Evans
J.D. ‘The
Dolmens of Malta and Origins of the Tarxien Cemetery Culture’,
"Proceed.
Prehist. Soc.", vol.XXII :85-110, 1956).
Gli antichi templi di pietra o ipogei furono abbandonati, ma la loro
sacralità rimase alta agli occhi dei nuovi occupanti, tanto che nei
luoghi di culto templari, le nuove genti eressero talvolta i loro
dolmen, di tipologia salentina; come avvenne ad esempio sulle rovine
del tempio di Ta_Qadi sull’isola di Malta. (Vedi tra i miei
interventi: “Antichi legami tra il Salento e l’Arcipelago Maltese
nell’età del bronzo”).
È pertanto probabile che la meravigliata
osservazione dei decori delle grandi pietre del tempio di Mnajdra e
di Hagar Qim, con superfici bucherellate con miriadi di fori vicini,
realizzati con un arcaico trapano, abbia ispirato la decorazione a
piccoli forellini, che osserviamo sul menhir Cutura.
La fusione con le genti autoctone favorì
ulteriormente la predisposizione dei salentini dell’età del bronzo a
recepire elementi propri dell’antica cultura maltese.
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Figura 8: ingresso al ‘sancta sanctorum’ del tempio di Mnajdra.
Si osservino le superfici decorate da fori disposti casualmente
o secondo linee ondulate affiancate tra loro a riempire tutto lo
spazio della superficie litica. Foto
tratta da
www.wurzelwerk.at . |
Figura 9: Menhir Cutura. Particolare lato Sud-Ovest, porzione
intermedia. Si noti la somiglianza del decoro a fori con quello
presente nel tempio maltese. Foto di O. Caroppo.
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Conclusioni:
Influssi
maltesi sui menhir salentini
Influssi della cultura maltese si
osservano nel menhir Cutura, non solo nei decori, ma anche nella
forma e nelle dimensioni, che ci hanno portato a stabilire un più
stretto legame di questo megalite con il menhir maltese di Il-Hagra
tad-Dawwara, sull’isola di Gozo, anziché con i più classici menhir
del Salento.
Il contatto con la civiltà maltese
comportò per la cultura megalitica salentina, non solo
l’introduzione di forme particolari di decorazione, ma influenzò
anche e soprattutto come spiegherò meglio in un ulteriore
intervento, l’evoluzione stessa del menhir pugliese verso la sua
caratteristica e peculiare forma geometrica a pilastro squadrato, a
partire da forme arcaiche più grezze e poco rifinite.
I reciproci influssi che in età del
bronzo si ebbero tra le popolazioni che vivevano nell’arcipelago e
quelle pugliesi, dopo l’insediamento in Malta di genti salentine,
rivela come gli immigrati provenienti dal Salento, mantennero
continui contatti con la terra d’origine; solo relazioni forti e
prolungate di natura economica e culturale, possono infatti spiegare
le influenze maltesi sul megalitismo salentino e pugliese, che
stiamo sottolineando.
Importanza
del Menhir Cutura
Tutte le precedenti riflessioni ispirate
dalla scoperta e dallo studio del menhir Cutura, e numerose altre
che presto riporterò sulla particolare altezza della pietra e sulla
struttura di bacinelle e canalette, che si osserva in testa al
menhir, ci convincono della grande importanza di questo monolite,
per svelare i misteri che ancora circondano il culto betilico
salentino di età protostorica.
La vicinanza di una piccola specchia
accanto al menhir, ci ha indotto poi a sospettare che si tratti dei
resti di un tumulo sepolcrale, cui il menhir era associato. Lo scavo
archeologico del sito potrebbe così aiutarci a far luce su uno dei
molteplici aspetti della complessa religione dei menhir, quello del
legame con la ritualità legata alla morte e al rapporto con i
defunti.
L’importanza di proteggere il sito e
procedere ad uno scavo archeologico, è pertanto di primaria
necessità.
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