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INDICE:
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M O N O G R A F
I E
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Ricerca e
analisi di petroglifi incisi sulle superfici di alcuni menhir salentini
Ispirati dall’
osservazione dei numerosi forellini ciechi scavati sul menhir Cutura,
stiamo procedendo ad uno studio più attento delle superfici dei menhir
salentini, alla ricerca di antichi petroglifi, fori e decori.
Riportiamo
alcuni dei risultati sin ora ottenuti.
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Analisi delle
superfici del Menhir Franite in agro di Maglie
Su due menhir
in agro di Muro Leccese, il menhir Sant’ Antonio e il Menhir Miggiano,
tracce di antiche picchettature ormai moto erose, sembra si possano
distinguere ancora sulle loro superfici verticali.
Le
osservazioni più interessanti e significative in tal senso, son però
quelle fatte sul menhir Franite in agro di Maglie. Il menhir detto anche ‘Cruce-muzza’,
è un pilastro squadrato alto 4,30 m ,
con sezione rettangolare di dimensioni 44 cm
per 34 cm.
Le sue
superfici maggiori si son mostrate punteggiate quasi interamente da
numerose picchettature; forse un’ antica decorazione megalitica fatta non
con fori ciechi adiacenti, ma con picchettature casuali e distanziate, che
comunque coinvolgono tutta la superficie. Le picchettature hanno
mediamente forma sub-circolare o più frequentemente sub-ellittica con asse
maggiore orizzontale. Hanno grossomodo forma di coppelle profonde da 5 a
10 millimetri, con asse maggiore di circa 3 cm e asse minore di 2 cm
circa. Si osservano, anche numerosi, alcuni forellini di dimensioni molto
variabili.
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Ulteriori
dati sulle possibili interpretazione di queste picchettature sulla
superficie del menhir e sugli altri segni e croci incisi sulle sue
facce, saranno esposti in un mio studio monografico sul Menhir Franite,
e in una discussione approfondita sui petroglifi cruciformi presenti sui
menhir pugliesi.
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Analisi delle superfici del Menhir Croce Sant’Antonio in agro di Muro
Leccese
Il menhir ha grossomodo forma
di parallelepipedo con sezione rettangolare di 49 cm per 34 cm, e
considerevole altezza di 4, 20 m.
Oltre a ormai tenui e poco leggibili
picchettature erose dal tempo e osservabili ad occhio nudo solo con
opportuna inclinazione dei raggi del sole, in particolari ore del dì e
condizioni meteo, si osservano sulle sue superfici, segni di
trapanature ben più evidenti; alcuni fori di dimensioni maggiori e altri
più piccoli, nonché alcune quasi impercettibili file di forellini molto
erosi. Si segnalano due fori di pochi centimetri di diametro e profondi
alcuni centimetri, posti alla base della faccia minore a NNW. Fori più
piccoli, profondi un centimetro o poco meno e dello stesso diametro, si
osservano un po’ dovunque sparsi sulla pietra.
Un foro rettangolare cieco si osserva
sulla faccia maggiore a WSW a circa 1,1 m dalla sommità, una sorta di
“occhio del menhir” (un foro particolarmente evidente che osserviamo in
molti monoliti salentini e persino su alcuni menhir maltesi, circolare,
sub-circolare o quadrato, di solito su una delle facce maggiori). Il
menhir sul lato maggiore a WSW, presenta una frattura in sommità che
taglia in maniera netta la bacinella presente in testa al menhir.
Questa appare profonda oltre 20 cm.
Mostra pareti dritte e base concava, ampia circa 20 cm.
Ma osservando attentamente le superfici
appaiono tracce tenui di forellini allineati in file anche molto lunghe,
che si estendono verticalmente e con ondulazioni lungo il menhir.
Servirebbero però esami più attenti con tecniche di analisi ottica, delle
superfici ormai molto erose e coperte da uno spesso strato di licheni.
distingue nettamente un singolare allineamento di forellini disposti su due file parallele verticali leggermente incurvate (vedi foto).
Sono profondi un centimetro o poco meno e hanno diametro all’ incirca di un centimetro.
Si osservano nitidamente sei forellini sulla fila di destra e quattro su quella di sinistra, disposti alla stessa altezza
dei corrispettivi quattro fori più in alto della fila di sinistra. Forse il tratto in duplice fila punteggiata,
faceva parte di una sequenza più lunga di forellini altrove, sul menhir ormai molto erosa.
I forellini del gruppo osservato sono
tutti dello stesso diametro anche se i bordi sono variamente arrotondati
da erosione delle superficie e parzialmente e in maniera differenziata
coperti da spessi strati di licheni.
I fori non son adiacenti ma leggermente
distanziati tra loro.
Abbiamo eseguito un attento confronto con i fori realizzati nel calcare da vari animali locali (microrganismi,
insetti, uccelli ecc.) che ci ha ulteriormente confermato l’origine antropica dei dieci forellini di questo petroglifo.
Si trattava di un elemento decorativo o
di un particolare petroglifo con qualche valore simbolico legato al culto
betilico.
Sul menhir non si osservano croci incise evidenti, eccezion fatta per una
incisione tenue e recentissima, che riproduce una piccola croce nella
parte bassa della faccia minore a NNW.
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Analisi delle
superfici del menhir Bagnolo in agro di Bagnolo del Salento
Il
Menhir ‘Bagnolo’, ubicato alla periferia di Bagnolo del Salento,
ha grossomodo forma di parallelepipedo con sezione rettangolare di 46 cm
per 31 cm, e considerevole altezza di 4,10 m.
Anche questo
monolite ha svelato interessanti sorprese una volto sottoposto a questa
analisi.
Sulle sue
superfici si osservano vari piccoli fori poco profondi ed erosi.
Il particolare
più interessante è stato individuato sulla faccia minore a NNE; si tratta
di una fila verticale leggermente sinuosa di piccoli fori strettamente
adiacenti gli uni agli altri. Forse un antico petroglifo. I fori profondi
pochi millimetri hanno diametro non superiore al centimetro (vedi foto).
Sulle
superfici del menhir si osservano alcuni petroglifi a croce molto
interessanti, fatti con soli piccoli forellini più profondi di quelli del
petroglifo qui più attentamente descritto, e leggermente distanziati tra
loro. Tratteremo di questi in un intervento specifico sui petroglifi
cruciformi incisi sui menhir pugliesi.
Sulla faccia
maggiore a WNW, si osserva molto in basso, quasi centralmente, un ampio
foro cieco quadrangolare, forse legato alla stessa tipologia del grosso
foro, che ritroviamo su numerosi menhir e che stiamo classificando come l’
‘occhio del menhir’.
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Considerazioni
finali
La stessa
ricerca sarà estesa ad altri menhir salentini.
Erosi nei
secoli dagli agenti esterni, fori, coppelle e picchettature sui menhir,
erano certo più numerosi e diffusi di quanto oggi appare.
La maggiore
conservazione dei fori sulle pietre dei templi maltesi è imputabile alla
maggiore consistenza del calcare dell’ arcipelago (calcare a globigerina e
l’ ancor più consistente calcare corallino), rispetto alla ‘pietra
leccese’, nonché alla minore piovosità ed escursione termica che si
registra in quelle isole, dal clima ancor più secco di quello salentino e
ancor più mite, per la forte azione stabilizzatrice sul clima che il mare
comporta e per la maggiore vicinanza all’ area tropicale, implicata dalla
minore latitudine.
Non escludo,
che oltre alle croci di cristianizzazione e a segni cruciformi forse di
più antica origine, che si osservano ancor oggi sui menhir pugliesi, un
tempo vi fossero effigiati su questi anche altri petroglifi di valenza
decorativo-simbolica, come sulle stele figurate degli japigi dell’ età del
ferro (messapiche e daune in particolare, quest’ ultime solitamente
antropomorfe), o sulle stele-statue antropomorfe di epoca eneolitica e
dell’ età del bronzo (come ad esempio sulle
stele calcolitiche del foggiano ritrovate in località
Sterparo Nuovo
a pochi chilometri da Castelluccio dei Sauri e Bovino, del III millennio
a. C.).
É probabile che nell’ intervento di cristianizzazione, oltre a incidere
graffiti cruciformi e/o ad apporvi croci in sommità, sui menhir che
vennero risparmiati dalla mera distruzione, si procedette anche alla
cancellatura di antichi petroglifi e di epigrafi di epoca messapica o
romana, che forse così come facevano sulle loro stele votive e sepolcrali,
le popolazioni japige e poi japigio-romane incisero anche sui vetusti e
venerati menhir.
La lingua simbolica di quei petroglifi dalle valenze magico-religiose e le
epigrafi in messapico, greco, o latino, che invocavano spesso divinità dei
pantheon pagani, non potevano essere tollerate nella riconversione
cristiana dei menhir. Iscrizioni e graffiti furono perciò abrasi o divelti
grossolanamente. Alcune antiche deturpazioni, che si osservano oggi sulle
facce dei menhir salentini, potrebbero essere il segno di quegli
interventi di ‘evangelizzazione’.
Le nuove
tecnologie di analisi ottica ed elaborazione informatica, messe a
disposizione dell’ archeologia, potrebbero svelare i misteri ancora celati
sulle superfici dei numerosissimi menhir salentini, risparmiate dal tempo
e dai cristiani, prima che l’erosione, il vandalismo e l’incuria
consegnino all’ oblio tutto questo importantissimo patrimonio culturale!
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Oreste Caroppo (agapi_mu@libero.it) |
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