Il
presente trappito faceva sicuramente parte di un sistema di ambienti,
destinati tutti allo stesso scopo, e collegati fra loro da un unico
corridoio. Si hanno infatti notizie e tracce di altri trappiti adiacenti a
quello censito come si hanno notizie di scarichi di pozzi neri incolmabili
per la loro vastità (sicuramente trappiti abbandonati), infatti nel
nostro, alle spalle del torchio alla genovese si notano sversamenti di
liquami tra le vene della roccia. Il collegamento all’anzidetto
corridoio attualmente è murato con conci di tufo posizionati “di
testa” ed è evidente che detto posizionamento sia stato fatto dalla
parte esterna al trappito, infatti, nella sua prima esplorazione, eseguita
con gli speleologi del gruppo neretino, il trappito nel suo interno
sembrava intatto e nello stesso sono state reperite parti di pipa in
terracotta ed altri piccoli frammenti di oggetti usati prima della sua
“chiusura”. Per quanto concerne la pavimentazione nei pressi della
mangiatoia sono state trovate tracce di acciottolato, mentre il resto del
trappito è in terra battuta. Calandoci
nell’inferno (profondo circa quattro metri abbiamo potuto
appurare che esso immetteva direttamente in falda in quanto il suo fondo
era scavato sino a raggiungere alcune vene fra le rocce. Nello
studio delle tracce interne si è notato che molto probabilmente
l’attuale torchio alla genovese deve aver sostituito nel passato un
torchio alla calabrese (presenza di due pietre dei fusi) e nella
sostituzione sia stato allontanato dalla posizione originale creando un
canaletto di scolo per il collegamento fra la base del torchio e la vasca
dell’angelo. Dei
torchi rinvenuti sono state trovate le sole tracce delle strutture in
muratura o in pietra. |