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La
secolarizzazione delle coscienze di questi ultimi decenni e il laicismo
praticato, anche se non ammesso, ha allontanato gli italiani, fisicamente e
culturalmente, dai luoghi e dalle testimonianze di culto tradizionali.
Questo è un fenomeno che occupa e preoccupa le
gerarchie ecclesiali in ordine alla coerenza tra fede ed esperienza di vita dei
cristiani. Tra le dichiarazioni di appartenenza confessionale e la pratica
religiosa vera e propria, spesso, vi è un’incongruenza che non sembra
provocare particolari traumi spirituali alla maggior parte dei nostri
connazionali e viene vissuta con una naturalezza, disarmante, agli occhi dei
quali si pongono il problema in termini di responsabilità della coscienza
singola.
Da qualche tempo, però, è andata crescendo
l’attenzione nei confronti dei beni culturali intesi come riscoperta delle
radici di appartenenza culturale e – in ambiti elitari – come puro gusto e
curiosità intellettuale se non investimento vero e proprio.
Sulla spinta di questa novità sta crescendo
l’interesse – indifferenziato per ora – per molte di quelle testimonianze
del passato ritenute di scarso valore culturale (ed economico) come, nel Salento
ad esempio, la cartapesta.
Santi sotto campane di vetro, residui giocattoli
dell’infanzia lontana, bassorilievi dei Protettori che dominavano le testate
dei letti dei nonni, scarabattole varie. Insomma tutta una serie di oggetti
abbandonati alla polvere dei depositi domestici e, talvolta, cancellati dal
ricordo, recuperati ed esposti nelle abitazioni come segno di una tendenza
intellettuale che oscilla tra il gusto e la moda e, soprattutto, di un ritrovato
equilibrio con la memoria.
L’ondata di questa tendenza si è manifestata anche
nelle chiese dove all’antica religiosità popolare, fatta di pratiche devote,
immutate da secoli e scandite, secondo un calendario liturgico articolato, ma
sempre identico, si è sostituita, almeno nei piccoli centri, una nuova forma di
approccio al sacro impostata sull’interesse per il recupero degli oggetti di
culto di valore artistico come fase propedeutica ad un rinnovato impegno
religioso.
Ma la valenza positiva di questa nuova propensione
viene sminuita dalla mancanza di cultura di molti committenti – laici ed
ecclesiastici – e dalla scarsa sensibilità di qualche operatore digiuno
persino delle più elementari nozioni tecniche del restauro. I risultati,
allora, invece di rappresentare nuove possibilità di conoscenze sulle opere
d’arte, finiscono per diventare occasioni perdute e, talvolta, compromettono
l’integrità stessa dei manufatti sottoposti ad intervento di recupero.
In definitiva l'operazione di restauro,
invece di aiutare l'opera a vivere più a lungo e
a trasmettere i valori culturali e religiosi dei quali è portatrice, finisce
per danneggiarla e il patrimonio di culto e di arte per l'attuale e le future
generazioni ne risulta impoverito. Per modificare questo stato di cose nelle sue
conseguenze più nocive occorre avere una conoscenza approfondita del fenomeno
della cartapesta, dei suoi artisti, delle sue vicende, dei problemi legati alla
sua conservazione. E per ottenere ciò dovremmo disporre di un centro di
documentazione finalizzato a tale destinazione.
Ma
continua a mancare un museo della cartapesta a Lecce.
Nel
Salento gli studi su questa produzione artistica, per quanto numerosi, trattano
solo aspetti particolari (salvo rarissime eccezioni) e sono carenti di ricerche
documentarie che permettano di disporre di elementi certi sui quali ordire una
trama di conoscenze scientifiche.
Se solo
avessimo la possibilità di conoscere la mappa della diffusione delle opere
uscite dai laboratori leccesi fuori dal Salento e fuori d'Italia
nel periodo compreso tra la fine dell'ottocento
e la prima metà del novecento (ammesso che sarà mai possibile redigerne una),
forse potremmo avere l'esatta percezione di ciò
che ha rappresentato questa forma d'arte per Lecce e la Terra d'Otranto, sia sul
piano culturale che su quello economico.
A
scorrere l'elenco di onorificenze e premi,
assegnati ai cartapestai salentini presenti in
tutte le esposizioni nazionali ed intemazionali, si ha netta la sensazione che
in quel periodo si fossero rinnovate le medesime condizioni che due secoli prima
avevano costituito i capisaldi della produzione barocca: disponibilità di mano
d'opera specializzata e altissima qualità dei manufatti con l'aggiunta di una
maggiore facilità di trasporto e costi infinitamente più bassi rispetto a
materiali più diffusi come legno, marmo o gesso.
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Occorre,
allora, avere un'esatta percezione del valore della cartapesta nell'ambito della
cultura salentina.
Si
tratta, anzitutto, di riscoprire i nessi esistenti fra questa forma d'arte ed il
carattere dei Salentini; non solo per l'innata propensione per l'effimero che,
per tanti versi li caratterizza ancora nonostante le mutate condizioni
storico-culturali, ma anche per quei tratti di fantasia, ironia, teatralità,
senso dell'equilibrio, cordialità, attaccamento ai valori autentici e, pure,
piacere della trasgressione, dello sberleffo, anticonformismo. Comprendere, in
fondo, che gli elementi peculiari della cartapesta sono simili a quelli
antropologici dei Salentini dei quali il più rilevante rimane pur sempre quello
di sapersi adattare, piegare, come il
materiale, a qualunque trasformazione e cambiamento.
Acclarato
questo dovrà essere compito delle istituzioni promuovere la conoscenza, la
conservazione e tutela delle opere d'arte in cartapesta evitando l'errore di
trascurarne gli sviluppi, anche di mercato, per il futuro.
E questo
obiettivo potrà essere raggiunto esclusivamente con una solida formazione per i
nuovi operatori. Troppi improvvisatori si fregiano del nome di cartapestai! I
maestri sono pochi, oggi come nel passato; l'unica differenza è che un tempo
molti collaboranti trovavano lavoro nelle grandi botteghe o negli stabilimenti
poiché vi era una forte domanda qualificata; oggi, che esiste quasi
esclusivamente la cultura del souvenir,
si tende a fornire negozi e supermercati senza curare più di tanto la qualità
dei prodotti, salvo rarissime eccezioni.
Nell'ambito
della riscoperta della cartapesta è necessario progettarne la rivalutazione
pianificando l'entusiasmo delle
iniziative dei singoli con le esigenze del mercato onde evitare separazione tra
conoscenza qualificata e produzione; all'interno di questo imprescindibile nesso
dovranno svolgere il loro ruolo le istituzioni pubbliche (Università,
Soprintendenza, Provincia) come garanti di un processo che è allo stesso tempo
culturale ed economico. E se la pianificazione sarà ben mirata, si potranno
aprire anche nuove possibilità operative per il settore con l'apporto di altre
discipline come, ad esempio, il design.
A
differenza della pietra leccese, che è materiale autoctono, la cartapesta è
arrivata a Lecce, non vi è nata.
Quando,
come e in che misura si sia radicata nella cultura salentina
- tanto da essere definita leccese, come la pietra
e le volte - può essere oggetto di dibattito.
Che
l'artefice principale della sua affermazione vada
riconosciuto in Mauro Manieri - il quale rappresenterebbe l'artista barocco nel
senso completo del termine - o che si voglia anticiparne la diffusione nell'ambito
degli apparati effimeri della festa e che, attraverso il cantiere barocco, sia
approdato alla statuaria vera e propria, saranno gli studi e i documenti a
confermarlo in futuro.
La
scoperta dell'Immacolata della matrice
di Casarano, eseguita tra il 1720 e il 1730, collocata all'interno di una
macchina d'altare in pietra leccese, per la qualità del modellato, la naturalezza
dell'inserimento in un contesto lapideo e la paternità stilisticamente ben
diversa da quella del Manieri, ci spinge ad ipotizzare che in Terra d'Otranto un
utilizzo di tal fatta non poteva essere di poco momento. L'incastonatura
scenografica dell'opera ci farebbe pensare ad
un'abitudine consolidata nell'assemblaggio di due materiali diversi come pietra
e cartapesta.
L'uso di
collocare ai capialtare i due angeli tedofori, mantenutosi fin quasi ai nostri
giorni, non può essere visto soltanto come il tentativo di realizzare, a buon
mercato, due figure complementari dell'altare che, se scolpite in materiali
differenti dalla cartapesta, avrebbero avuto costi più elevati; ma come una
consuetudine, tipica del cantiere tradizionale, dell'utilizzo contemporaneo, di
materiali diversi come stucco, cartapesta, legno oltre alla pietra. E questo è
fatto risaputo, almeno tra gli addetti ai lavori.
Del
resto la folta presenza di maestranze qualificate rappresenta solo un aspetto
del cantiere salentino dominato, spesso, dalla personalità di numerosi
capimastri-imprenditori i quali talvolta erano anche scultori; ma,
all'occorrenza, se il progetto lo richiedeva, si servivano dell'opera di altri
artisti i quali collaboravano in maniera quasi fissa con le ditte. Per tutti,
valga il sodalizio tra il D'Orlando e il Tarantino o tra il Penna e lo
Zimbalo.
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La
presenza di statue intere in cartapesta o di parti modellate a rilievo
all'interno di macchine d'altare o, comunque, di contesti lapidei, è tutt'ora
riscontrabile in moltissimi edifìci . Per tutti valgano poche citazioni di
agevole riscontro come, a Lecce, nell'ex-chiesa di S.Francesco d'Assisi, gli
altari di S.Luigi (sculture
della Beata Michelina, S.Ludovico, S.Elisabetta), dell'Annunziata (un cherubino
sulla volta a stucco), dell'Immacolata (perizoma
dei due angeli sulla cimasa); a Galatina, nella chiesa delle Anime, le sei
sculture poste su mensole nei muri d'ambito (S.
Gregorio, S.Nicola da Tolentino, S. Domenico di Guzman, S. Caterina da Siena, S.
Cristina, S.Domenica); a Maglie, nella chiesa di S. Nicola, le sculture
poste ai capialtari di quasi tutti gli altari delle navate laterali; a Tuglie,
nella chiesa matrice, decorazioni a rosette
e angeli lungo tutte le specchiature
dei muri rimosse nel dopoguerra. Senza contare, fuori dal Salento, gli
interventi decorativi di artisti leccesi nella cattedrale di Nola ricostruita
dopo l'incendio del 1861. E l'elenco potrebbe ancora continuare con altri esempi
già noti o meno conosciuti.
Quanto
allo sviluppo tecnico di questa forma d'arte non va sottaciuto che le nostre
conoscenze, anche a livello nazionale, non sono paragonabili a quelle di altre
espressioni artistiche come la pittura o la scultura. Soprattutto non sono
ancora del tutto chiare le sequenze evolutive, sul piano strettamente tecnico,
tra le diverse aree culturali e le loro reciproche, eventuali influenze.
In fondo
la stessa povertà del materiale ha impedito, in passato, una sua valorizzazione
sul piano critico in quanto
arte minore.
Per
favorire un'inversione di tendenza in futuro occorrerà che le istituzioni
innanzitutto mutino atteggiamento culturale nei confronti della cartapesta e la
considerino espressione peculiare (non più popolare) e fondamentale per la
comprensione della civiltà salentina, riconoscendole la stessa dignità con la
quale hanno sempre guardato all'architettura , alla pittura ed alla scultura.
Insomma che alla cartapesta leccese venga riconosciuto quel ruolo di arte guida
che per oltre un secolo - e ancora oggi- individua culturalmente nel mondo,
accanto al barocco, il capoluogo ed il territorio del Salento.
Giovanni Giangreco
(funzionario
della Sovrintendenza ai Beni Artistici ed Architettonici di Puglia, sez.di
Lecce)
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Pino De Nuzzo
LA CASA A CORTE
BIZANTINA
(Il sistema abitativo-tipologico
nel centro antico di Casarano)
ed.CRSEC Le 46-Reg.Puglia |
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La
presentazione del 22 novembre 2006 |
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