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G.Manzo - San Tommaso D'AquinoINTRODUZIONE ALLA CARTAPESTA

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La secolarizzazione delle coscienze di questi ultimi decenni e il laicismo praticato, anche se non ammesso, ha allontanato gli italiani, fisicamente e culturalmente, dai luoghi e dalle testimonianze di culto tradizionali.

Questo è un fenomeno che occupa e preoccupa le gerarchie ecclesiali in ordine alla coerenza tra fede ed esperienza di vita dei cristiani. Tra le dichiarazioni di appartenenza confessionale e la pratica religiosa vera e propria, spesso, vi è un’incongruenza che non sembra provocare particolari traumi spirituali alla maggior parte dei nostri connazionali e viene vissuta con una naturalezza, disarmante, agli occhi dei quali si pongono il problema in termini di responsabilità della coscienza singola.

Da qualche tempo, però, è andata crescendo l’attenzione nei confronti dei beni culturali intesi come riscoperta delle radici di appartenenza culturale e – in ambiti elitari – come puro gusto e curiosità intellettuale se non investimento vero e proprio.

Sulla spinta di questa novità sta crescendo l’interesse – indifferenziato per ora – per molte di quelle testimonianze del passato ritenute di scarso valore culturale (ed economico) come, nel Salento ad esempio, la cartapesta.

Santi sotto campane di vetro, residui giocattoli dell’infanzia lontana, bassorilievi dei Protettori che dominavano le testate dei letti dei nonni, scarabattole varie. Insomma tutta una serie di oggetti abbandonati alla polvere dei depositi domestici e, talvolta, cancellati dal ricordo, recuperati ed esposti nelle abitazioni come segno di una tendenza intellettuale che oscilla tra il gusto e la moda e, soprattutto, di un ritrovato equilibrio con la memoria.

L’ondata di questa tendenza si è manifestata anche nelle chiese dove all’antica religiosità popolare, fatta di pratiche devote, immutate da secoli e scandite, secondo un calendario liturgico articolato, ma sempre identico, si è sostituita, almeno nei piccoli centri, una nuova forma di approccio al sacro impostata sull’interesse per il recupero degli oggetti di culto di valore artistico come fase propedeutica ad un rinnovato impegno religioso. G.Bellè - S.Anna e Maria bambina

Ma la valenza positiva di questa nuova propensione viene sminuita dalla mancanza di cultura di molti committenti – laici ed ecclesiastici – e dalla scarsa sensibilità di qualche operatore digiuno persino delle più elementari nozioni tecniche del restauro. I risultati, allora, invece di rappresentare nuove possibilità di conoscenze sulle opere d’arte, finiscono per diventare occasioni perdute e, talvolta, compromettono l’integrità stessa dei manufatti sottoposti ad intervento di recupero.

In definitiva l'operazione di restauro, invece di aiutare l'opera a vivere più a lungo e a trasmettere i valori culturali e religiosi dei quali è portatrice, finisce per danneggiarla e il patrimonio di culto e di arte per l'attuale e le future generazioni ne risulta impoverito. Per modificare questo stato di cose nelle sue conseguenze più nocive occorre avere una conoscenza approfondita del fenomeno della cartapesta, dei suoi artisti, delle sue vicende, dei problemi legati alla sua conservazione. E per ottenere ciò dovremmo disporre di un centro di documentazione finalizzato a tale destinazione.

Ma continua a mancare un museo della cartapesta a Lecce.

Nel Salento gli studi su questa produzione artistica, per quanto numerosi, trattano solo aspetti particolari (salvo rarissime eccezioni) e sono carenti di ricerche documentarie che permettano di disporre di elementi certi sui quali ordire una trama di conoscenze scientifiche.

Se solo avessimo la possibilità di conoscere la mappa della diffusione delle opere uscite dai laboratori leccesi fuori dal Salento e fuori d'Italia nel periodo compreso tra la fine dell'ottocento e la prima metà del novecento (ammesso che sarà mai possibile redigerne una), forse potremmo avere l'esatta percezione di ciò che ha rappresentato questa forma d'arte per Lecce e la Terra d'Otranto, sia sul piano culturale che su quello economico.

A scorrere l'elenco di onorificenze e premi, assegnati ai cartapestai salentini presenti in tutte le esposizioni nazionali ed intemazionali, si ha netta la sensazione che in quel periodo si fossero rinnovate le medesime condizioni che due secoli prima avevano costituito i capisaldi della produzione barocca: disponibilità di mano d'opera specializzata e altissima qualità dei manufatti con l'aggiunta di una maggiore facilità di trasporto e costi infinitamente più bassi rispetto a materiali più diffusi come legno, marmo o gesso.

Occorre, allora, avere un'esatta percezione del valore della cartapesta nell'ambito della cultura salentina.

Si tratta, anzitutto, di riscoprire i nessi esistenti fra questa forma d'arte ed il carattere dei Salentini; non solo per l'innata propensione per l'effimero che, per tanti versi li caratterizza ancora nonostante le mutate condizioni storico-culturali, ma anche per quei tratti di fantasia, ironia, teatralità, senso dell'equilibrio, cordialità, attaccamento ai valori autentici e, pure, piacere della trasgressione, dello sberleffo, anticonformismo. Comprendere, in fondo, che gli elementi peculiari della cartapesta sono simili a quelli antropologici dei Salentini dei quali il più rilevante rimane pur sempre quello di sapersi adattare, piegare, come il materiale, a qualunque trasformazione e cambiamento.

Acclarato questo dovrà essere compito delle istituzioni promuovere la conoscenza, la conservazione e tutela delle opere d'arte in cartapesta evitando l'errore di trascurarne gli sviluppi, anche di mercato, per il futuro.

E questo obiettivo potrà essere raggiunto esclusivamente con una solida formazione per i nuovi operatori. Troppi improvvisatori si fregiano del nome di cartapestai! I maestri sono pochi, oggi come nel passato; l'unica differenza è che un tempo molti collaboranti trovavano lavoro nelle grandi botteghe o negli stabilimenti poiché vi era una forte domanda qualificata; oggi, che esiste quasi esclusivamente la cultura del souvenir, si tende a fornire negozi e supermercati senza curare più di tanto la qualità dei prodotti, salvo rarissime eccezioni.

Nell'ambito della riscoperta della cartapesta è necessario progettarne la rivalutazione pianificando l'entusiasmo delle iniziative dei singoli con le esigenze del mercato onde evitare separazione tra conoscenza qualificata e produzione; all'interno di questo imprescindibile nesso dovranno svolgere il loro ruolo le istituzioni pubbliche (Università, Soprintendenza, Provincia) come garanti di un processo che è allo stesso tempo culturale ed economico. E se la pianificazione sarà ben mirata, si potranno aprire anche nuove possibilità operative per il settore con l'apporto di altre discipline come, ad esempio, il design.

A differenza della pietra leccese, che è materiale autoctono, la cartapesta è arrivata a Lecce, non vi è nata.

Quando, come e in che misura si sia radicata nella cultura salentina - tanto da essere definita leccese, come la pietra e le volte - può essere oggetto di dibattito.

Che l'artefice principale della sua affermazione vada riconosciuto in Mauro Manieri - il quale rappresenterebbe l'artista barocco nel senso completo del termine - o che si voglia anticiparne la diffusione nell'ambito degli apparati effimeri della festa e che, attraverso il cantiere barocco, sia approdato alla statuaria vera e propria, saranno gli studi e i documenti a confermarlo in futuro.

La scoperta dell'Immacolata della matrice di Casarano, eseguita tra il 1720 e il 1730, collocata all'interno di una macchina d'altare in pietra leccese, per la qualità del modellato, la naturalezza dell'inserimento in un contesto lapideo e la paternità stilisticamente ben diversa da quella del Manieri, ci spinge ad ipotizzare che in Terra d'Otranto un utilizzo di tal fatta non poteva essere di poco momento. L'incastonatura scenografica dell'opera ci farebbe pensare ad un'abitudine consolidata nell'assemblaggio di due materiali diversi come pietra e cartapesta.

L'uso di collocare ai capialtare i due angeli tedofori, mantenutosi fin quasi ai nostri giorni, non può essere visto soltanto come il tentativo di realizzare, a buon mercato, due figure complementari dell'altare che, se scolpite in materiali differenti dalla cartapesta, avrebbero avuto costi più elevati; ma come una consuetudine, tipica del cantiere tradizionale, dell'utilizzo contemporaneo, di materiali diversi come stucco, cartapesta, legno oltre alla pietra. E questo è fatto risaputo, almeno tra gli addetti ai lavori.

Del resto la folta presenza di maestranze qualificate rappresenta solo un aspetto del cantiere salentino dominato, spesso, dalla personalità di numerosi capimastri-imprenditori i quali talvolta erano anche scultori; ma, all'occorrenza, se il progetto lo richiedeva, si servivano dell'opera di altri artisti i quali collaboravano in maniera quasi fissa con le ditte. Per tutti, valga il sodalizio tra il D'Orlando e il Tarantino o tra il Penna e lo Zimbalo.

ignoto cartapestaio salentino - S.AgneseLa presenza di statue intere in cartapesta o di parti modellate a rilievo all'interno di macchine d'altare o, comunque, di contesti lapidei, è tutt'ora riscontrabile in moltissimi edifìci . Per tutti valgano poche citazioni di agevole riscontro come, a Lecce, nell'ex-chiesa di S.Francesco d'Assisi, gli altari di S.Luigi  (sculture  della  Beata Michelina, S.Ludovico, S.Elisabetta), dell'Annunziata (un cherubino sulla volta a stucco), dell'Immacolata (perizoma dei due angeli sulla cimasa); a Galatina, nella chiesa delle Anime, le sei sculture poste su mensole nei muri d'ambito (S. Gregorio, S.Nicola da Tolentino, S. Domenico di Guzman, S. Caterina da Siena, S. Cristina, S.Domenica); a Maglie, nella chiesa di S. Nicola, le sculture poste ai capialtari di quasi tutti gli altari delle navate laterali; a Tuglie, nella chiesa matrice, decorazioni a rosette e angeli lungo tutte le specchiature dei muri rimosse nel dopoguerra. Senza contare, fuori dal Salento, gli interventi decorativi di artisti leccesi nella cattedrale di Nola ricostruita dopo l'incendio del 1861. E l'elenco potrebbe ancora continuare con altri esempi già noti o meno conosciuti.

Quanto allo sviluppo tecnico di questa forma d'arte non va sottaciuto che le nostre conoscenze, anche a livello nazionale, non sono paragonabili a quelle di altre espressioni artistiche come la pittura o la scultura. Soprattutto non sono ancora del tutto chiare le sequenze evolutive, sul piano strettamente tecnico, tra le diverse aree culturali e le loro reciproche, eventuali influenze.

In fondo la stessa povertà del materiale ha impedito, in passato, una sua valorizzazione sul piano critico in quanto arte minore.

Per favorire un'inversione di tendenza in futuro occorrerà che le istituzioni innanzitutto mutino atteggiamento culturale nei confronti della cartapesta e la considerino espressione peculiare (non più popolare) e fondamentale per la comprensione della civiltà salentina, riconoscendole la stessa dignità con la quale hanno sempre guardato all'architettura , alla pittura ed alla scultura. Insomma che alla cartapesta leccese venga riconosciuto quel ruolo di arte guida che per oltre un secolo - e ancora oggi- individua culturalmente nel mondo, accanto al barocco, il capoluogo ed il territorio del Salento.

Giovanni Giangreco

 (funzionario della Sovrintendenza ai Beni Artistici ed Architettonici di Puglia, sez.di Lecce)

 

 

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Ultimo aggiornamento:

 29 gennaio 2007