Per favore riflettete su alcune
statistiche fornite a novembre scorso dal Pew Center, il
quale ha interrogato il pubblico americano su ogni tipo di
questione. Quasi come fosse una riflessione, gli intervistatori
hanno chiesto “Qual’è il nome del presidente della Russia?” Il 63%
degli americani non ha saputo rispondere “Putin”.
Un’altra domanda di cultura generale è stata “Recentemente è stato
dato il controllo della Striscia di Gaza ai palestinesi. Quale
Paese ha dato loro tale controllo?” Il 48% degli americani non
sapeva che fosse stato Israele.
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Queste risposte servono a confermare la convinzione, che ho da
lungo tempo, che semplicemente, la maggior parte delle persone non
è affatto interessata alle faccende che si svolgono oltre i
confini della propria patria. Non sono soltanto gli americani ad
essere ridicolmente ignoranti sulla vita dei paesi esteri,
tuttavia essi, come la maggior parte delle persone in giro per il
mondo, si basano su punti di vista affrettati se non addirittura
sviati su come trattare gli stranieri. La questione della
nazionalità è molto importante, specialmente per coloro i quali
non riescono ad identificare altre nazioni se non la loro
sull’atlante. (Dai un’occhiata al video “Dove attaccare ora”, che
solleva dubbi sul punto di vista che l’umanità sia ‘l’ultima
parola’ della natura nell’evoluzione del Pianeta Terra).
E’ evidente che il valore della tua vita dipende dalla portata del
Paese di cui possiedi il passaporto. Se sei, per esempio, uno
yemenita, un filippino, un afgano o un sudanese, la tua vita avrà
un valore vicino allo zero per ciò che riguarda il mondo. Ma se
provieni da un paese che vuole proteggere i suoi cittadini, e quel
desiderio è appoggiato da uno straccio di economia o da ‘muscoli
militari’, allora hai buone probabilità di esser protetto dalla
tua terra d’origine.
Facciamo un esempio: dieci anni fa ci fu un misterioso lancio di
armi col paracadute nella parte nord-ovest dell’India, avvenuto da
un velivolo Antonov. I dettagli non ci preoccupano, fu sintomatico
invece ciò che accadde alle persone che portarono a termine
l’operazione, dal punto di vista delle loro nazionalità. C’erano
cinque lettoni e due inglesi sull’aereo che fu obbligato ad
atterrare in India. (Uno degli inglesi riuscì ad espatriare, con
una operazione di riguardo condotta da professionisti.) I sei
rimanenti ricevettero l’ergastolo, con possibilità di essere
giustiziati. Ma i loro destini cambiarono.
Dopo quattro anni in carcere, i lettoni diventarono
improvvisamente di nazionalità russa, ed il presidente Putin disse
agli indiani di volerli liberi, cosa che fu fatta – all’istante.
L’inglese, Peter Beach, non fu così fortunato. Fu lasciato marcire
in cella per sempre dall’Inghilterra. Il ministro degli esteri
inglese esaminò attentamente le mozioni per fare qualcosa, quindi
scrisse due lettere al suo correlato in India. Furono ignorate
entrambe. Non ci fu neanche lo spirito di cortesia ad interessarsi
dell’accaduto, che la dice lunga su come sia reputata
l’Inghilterra del primo ministro Blair da parte dell’ India e di
molte altre nazioni. Mr. Beach alla fine è stato liberato l’anno
scorso, come segno di benevolenza, soltanto perché l’India stava
negoziando per comprare dall’Inghilterra 66 aeroplani per la sua
aeronautica militare. Non ci furono interrogativi riguardo il
miserabile Blair irrigidito.
Ma la Russia dura lo è sempre stata e ha continuato ad esserlo,
preoccupandosi di proteggere i suoi cittadini all’estero.
Negli orribili anni di anarchia in cui tanta gente fu rapita in
Libano – giornalisti, universitari, uomini d’affari e fantasmi –
ci furono vittime provenienti da molte nazioni. Ma nessun russo.
La ragione per la quale non ci furono ostaggi russi, è
semplicemente che l’ambasciatore dell’Unione Sovietica a Beirut
mandò a cercare i capi delle organizzazioni terroristiche e disse
loro parole d’effetto del tipo: “Se osate prendere in ostaggio un
solo sovietico uccideremo voi e le vostre famiglie”.
E i Sovietici potevano ed avrebbero portato a compimento le loro
minacce. Essi non erano dilettanti. Avevano portavoce arabi
specializzati in quella zona da quando erano adolescenti. Alcuni
di loro avevano studiato in università americane. Furono spietati,
ma non sbagliarono ad esserlo nel momento in cui distolsero la
popolazione dall’uccidere civili.
Di certo i russi non erano contrari ad uccidere civili. Che Dio
vieti il pensiero, se perdonerete l’espressione nel contesto.
L’Unione Sovietica fu lì accanto ad Hitler, Mao e tutti i
dittatori africani, con indifferenza, spegnendo le vite di
innumerevoli milioni di uomini, donne e bambini. Ma ci fu e
continua ad esserci, nella leadership russa, un certo tipo di
riguardo per le vite umane. E’ ovviamente immorale e disgustoso
essere selettivi. Ma funziona.
E tutti siamo selettivi riguardo al valore delle vite. Ogni
nazione del mondo lo è.
Non c’è nessun paese nel quale i quotidiani non abbiano avuto, in
qualche periodo, titoli grottescamente nazionalisti sui disastri
globali. Il Times di Calathumpia (è un Paese appena a destra di
Xenophobia), per esempio, riporterebbe in prima pagina qualcosa
come: “SEI CALATHUMPIANI UCCISI IN UNO TSUNAMI. Altri 300.000
morti”.
Poi pubblicherebbe interviste fatte ai parenti, amici e animali
domestici delle famiglie delle vittime calathumpensi da pagina 2 a
pagina 15, con una distesa di fotografie, dai ‘book universitari’
ai barbecue in giardino degli ultimi dieci anni o giù di lì. Ai
300.000 morti stranieri verrà dato spazio solo una volta che i sei
eroi morti (perché tutti i tuoi connazionali che muoiono in
terremoti o quant’altro sono ‘eroi’) siano stati descritti, con
incessanti dettagli sdolcinati, dalla culla alla bara.
E questo è semplicemente un graffio in superficie sul carapace
dell’imbroglio immorale che ci circonda tutti. Sarebbe bello
pensare (per esempio) che i cristiani devoti credessero che i
buddisti meritassero comprensione e fossero anch’essi popolo di
Dio. Ma milioni di cristiani non hanno sentimenti poi così
cristiani. Danno meno importanza alle vite dei non-cristiani
rispetto a quelle dei ‘salvati’.
E, per esser sgradevolmente sinceri con noi stessi, siamo in pochi
a non considerare inferiori, individui a o addirittura intere
popolazioni, per le loro pratiche religiose, colore della pelle,
luogo di nascita, caratteriste nazionali, costumi etnici, pratiche
alimentari, o qualsiasi altra cosa, comunque, che li renda
differenti dalla persona ‘normale’ (leggi ‘perfetta’) che ci piace
credere di essere.
Quando Leslie Stahl della CBS chiese a Madeleine Albright, l’11
maggio 1996, se la morte di mezzo milione di bambini iracheni, a
causa delle sanzioni delle Nazioni Unite richieste dagli Stati
Uniti, servisse a qualcosa, Albright rispose: “Penso che sia una
scelta molto difficile, ma pensiamo che ne sia valsa la pena.”
Avrebbe detto una cosa del genere se i bambini fossero stati dei
bianchi? Di certo questa fu un’affermazione fredda e orribile, che
lascia perplessi, ma uno si chiede quante persone – e quante
nazioni? – accondiscesero col suo punto di vista. Perché saremmo
soltanto noi stupidi liberali sentimentali a far eccezione alla
sua approvazione di tali azioni, che avrebbero fatto valutare al
re Erode l’eventualità di nominarla come capo-consigliere per gli
infanticidi.
C’è un lato comico in tutto questo sciovinismo nazionalista.
Quando accade un qualche evento degno di nota, i media della
maggior parte degli stati guardano al lato provinciale. Il
provincialismo caricato di parrocchia anche del più prestigioso
quotidiano è terribilmente divertente. (La maggior parte dei
telegiornali di ogni nazione, fatta di solito eccezione per la
BBC, è interessata al ‘nonsense’ del posto.) Oggi, mentre scrivo
questo pezzo, il titolo in prima pagina del ‘New Zeland Herald’ è
‘ABITANTE DI AUKLAND PRESO IN OSTAGGIO’. E’ implicato un uno
sfortunato uomo catturato da quei pazzi omicidi in Iraq. (Sono gli
iracheni i pazzi omicidi; non quegli altri pazzi omicidi che fanno
blitz su intere città con armi chimiche che non sono armi chimiche
perché usate in nome della democrazia.) Si potrebbe immaginare dal
titolo a tutta pagina che sia stato coinvolto un neo zelandese.
Potrebbe essere una supposizione ragionevole.
Ma data l’immaturità e mancanza di savoir faire di quella stretta
cerchia di coinvolti nella produzione dei quotidiani dei nostri
giorni, quella non è una conclusione ragionevole da prendere. Come
rivelato nell’approfondimento di prima pagina: “Harmay Singh
Sooden (‘il cittadino di Aukland preso in ostaggio’), 32 anni, di
cittadinanza canadese, nato in Africa, da genitori indiani…” fu
rapito in Iraq con altre tre persone che non avevano, aimè, alcuna
connessione con Aukland o qualunque altro grande centro culturale
di grande importanza. Gli altri erano veri stranieri, sebbene il
Mr Sooden, che aveva studiato ad Aukland, non sia cittadino di
Aukland più di quanto lo sia l’orso Yogi. Son questo genere di
cose che rendono l’idea del provincialismo della maggior parte dei
quotidiani di ogni nazione – e dei loro lettori. Perché sono i
lettori (e soprattutto gli inserzionisti) che impongono ciò che
appare e ciò che non appare sui quotidiani: e ciò che vogliono è
banalità. (E, nel caso dell’Inghilterra, Miss Banalità con delle
Grandi Tette.) Ma se ci devono essere resoconti di noiosi fatti
internazionali, questi devono essere rigorosamente impostati sul
nazionalismo, perché la vita dei cittadini dei quotidiani di ogni
Paese, ha per definizione più valore delle vite degli stranieri.
Il valore relativo delle vite umane è evidenziato al massimo grado
nelle guerre che Bush Washington (forse intendeva G.W. Bush –
n.d.T.) sta conducendo oggi in Iraq e Afghanistan. I civili
iracheni sono uccisi in grandi quantità da auto-bombe dei ribelli
e, allo stesso modo le proporzioni del massacro degli stessi
civili iracheni da parte delle truppe degli statunitensi sono
mostruose. Il numero di morti causati dai ribelli (parola così
sgradita a quell’idiota di Rumsfeld) è riportato fedelmente dal
Pentagono. Il numero dei civili iracheni uccisi dai bombardamenti
statunitensi viene ignorato. Tutti gli iracheni uccisi – tutti,
senza alcuna eccezione – sono ‘terroristi’.
Quello zotico del Generale delle forze aeree statunitensi Walter
E. (Buck) Buchanan III, comandante del Comando Centrale delle
Forze Aeree, ha affermato che le voci sulle vittime civili
irachene erano esagerate che molte morti sono state ‘una messa in
scena’. (Il cretino ha anche detto che il fosforo bianco, non è
stato usato come arma, cosa che invece il Pentagono ha dovuto
ammettere di aver fatto, soltanto il giorno prima che lui avesse
gorgogliato da un altro spartito musicale. Ma da dove prendono
queste persone?)
Ma non dovremmo prendercela con teste grasse come Buck Buchanan
III per esser stato così grossolano da dichiarare che il numero
annunciato di vittime irachene è stato esagerato [da chi?] e che i
morti iracheni non erano veramente morti perché le loro morti
erano state messe in scena. Lui e la sua categoria di persone
credono veramente che tutto ciò che dicono gli Stati Uniti sia
giusto, e che tutto ciò che dicono gli stranieri sia sbagliato.
Forse lui non ha mai visto la fotografia della bambina irachena di
tre anni, in lacrime, coperta di sangue i cui genitori sono appena
stati uccisi da spietate grandinate di fuoco di soldati dal
grilletto facile. Il generale e i suoi festosi cavalieri di jet,
dopo tutto, bombardano da 10.000 metri e non vedono mai i
risultati dei loro massacri. E’ solo un videogioco, per i ragazzi
del piano di sopra. E, da come ci assicurano il generale ed i
propagandisti del Pentagono, le loro bombe non mancano mai il
bersaglio. Sono bombe intelligenti.
Il problema è, però, che la gente che le dirige non è intelligente
quanto le loro bombe. E le bombe uccidono centinaia di civili
perché molta gente che le indirizza sui loro obiettivi, sono
semi-robots, ed in ogni caso non gliene potrebbe fregar di meno
delle vite delle teste-straccio. La formula del valore relativo
delle vite umane, nelle forze armate statunitensi, è che gli
stranieri non contano. Uccidere qualche centinaio di civili? A chi
diavolo importa?
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“18 ottobre 2005. Kandahar, Afghanistan. Reuters –Un anziano
del posto ha affermato che le truppe USA hanno sparato uccidendo
quattro poliziotti e ferendone un altro, dopo averli scambiati per
militanti durante un operazione nel Sud dell’Afghanistan …
Precedentemente, lo stesso mese, le truppe statunitensi avevano
scambiato alcuni poliziotti per militanti durante una caccia nella
provincia adiacente di Helmand, anche in questo caso uccidendone
quattro e ferendone un altro.”
Immaginate cosa sarebbe accaduto se le truppe statunitensi
avessero sparato a qualche poliziotto inglese o tedesco in
ricognizione in Afghanistan. Sarebbero diffamati. Ma quelli erano
solo Afgani uccisi. A chi importa? Nessuno ha mai sentito di
questi incidenti, fatta eccezione per coloro che seguono da vicino
gli svolgimenti della carneficina che Bush ha creato in
Afghanistan. Ci sono state otto famiglie distrutte dalla perdita
dei loro capifamiglia, ma erano solo Afgani.
Il valore relativo delle vite umane è solo un’opinione. E l’unica
conclusione è che la vita di una persona che proviene da un paese
povero, o comunque un paese senza alcun impatto economico o
militare, vale meno della vita di un cittadino di un paese
potente.
Quando ciò viene mostrato in termini militari, come potrebbero
essere le barbare forze d’occupazione in Iraq o in Afghanistan,
allora le differenze diventano ancora più moralmente riprovevoli.
Dopotutto, la moralità è un concetto di cui pochi son forniti in
giro per il mondo. E’ meglio sotterrare semplicemente la testa
sotto la sabbia e tirarla fuori di tanto in tanto per frignare che
gli stranieri sono cattivi. Poche persone disapproveranno le tue
parole.
5 dicembre 2005
Brian Cloughley scrive e si occupa di affari politici e militari.
Può essere contattato sul suo sito www.briancloughley.com
Link:
http://www.counterpunch.org/cloughley12052005.html |