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Notizie dai conflitti nel mondo

 

I giovani ricercatori: Fabio Cavallo


 

Ricevo per e-mail questa interessante ricerca svolta da Fabio Cavallo e data la completezza della stessa la pubblico senza aggiungere altro oltre i complimenti per il valido lavoro.

Pino De Nuzzo

IL SIMULACRO DI SAN GIOVANNI ELEMOSINIERE

 ESEMPIO DI “LATINIZZAZIONE”


Il bellissimo simulacro ligneo di San Giovanni Elemosiniere, conservato nella chiesa Madre di Casarano, prezioso dal punto di vista artistico ma ancor più prezioso sotto il profilo sacro e devozionale (da esso sgorgò il sudore durante il miracolo del 31 maggio 1842) non rende giustizia all’iconografia ufficiale del Santo. L’immagine di Casarano presenta un’evidente “latinizzazione” delle vesti indossate dal Patriarca alessandrino. Eppure sappiamo benissimo che il patriarcato di Alessandria d’Egitto era, ai tempi di San Giovanni, (ed è tuttora) di rito greco ortodosso. La Chiesa ortodossa si differenzia da quella Romana, oltre che per le Liturgie, anche per le vesti e i paramenti ecclesiali. Il mezzobusto casaranese rappresenta san Giovanni con il piviale (1) di foggia romana (caratterizzato dal “razionale(2), il fermaglio con pietra preziosa puntato sul gancio e dallo “scudo”, non visibile, cucito sulle spalle, segno della progressiva sclerotizzazione di un antico cappuccio); negli indumenti posti sotto il mantello, si scorgono un lembo della stola (3)(di colore uguale al piviale) indossata ad uso romano (i vescovi, ed i sacerdoti fuori della Messa, la portavano semplicemente pendente sul petto) e il cingolo per sostenere il camice (4). Altro particolare è rappresentato dalle “chiroteche(5), con le quali sono ricoperte le mani del Patriarca; sono guanti di seta ricamata che indossavano i vescovi e i prelati nella celebrazione delle funzioni pontificali. Il pastorale con croce patriarcale (6), l’anello della mano destra (7) e la croce pettorale (8), tutti in argento, insieme alla mitra “cornua” con le “vittæ” (di tradizione romana) (9) sono posteriori alla realizzazione della statua.

 

1 - piviale

2 - razionale

3 - stola

4 - camice

5 - chiroteche

6 - pastorale

7 - anello

8 - croce pettorale

9 - mitra

Tutte le immagini del Santo, presenti in Casarano, fanno esplicito riferimento a questa iconografia; ecco alcuni esempi:

 

 

 

In questa tela, San Giovanni è raffigurato col piviale mentre distribuisce la comunione, secondo il rito romano. (si notano le particole nella pisside e l’ombrello usato per accompagnare il Ss.mo Sacramento all'interno della chiesa o all'esterno).

 

Tutte queste raffigurazioni si discostano notevolmente dall’immagine che è rappresentata su un antico “santino” stampato nei primi anni del Novecento (tipografie Rinaldini - S.Biagio dé Librai – Napoli). Anzitutto sono le vesti liturgiche ad apparire diverse: infatti il Santo veste il “sacco” e non il piviale. Il sacco, indumento della  chiesa ortodossa, non ha aperture e si infila direttamente dal capo. Si nota, anche, come sia lungo il lembo dell’ ”epitrakilion”, che si scorge sotto il sacco, corrispondente alla stola romana (che, invece, non supera il ginocchio). Le mani sono libere da guanti mentre sul sacco è appuntato l’ ”omoforio”, segno distintivo episcopale, corrispondente al pallio utilizzato dai metropoliti occidentali. Il segno più inconfutabile, però, è rappresentato dall’”epigonatio, un’insegna onorifica ortodossa. Essa è rappresentata dal rombo pendente alla destra del Santo ed è tuttora in vigore nella Chiesa greco ortodossa.

 

      

 

 

 Il primo santino riproducente l’originale del novecento, disegnato dal pittore Antonio Toma.

 

Segni liturgici episcopali ortodossi:

1. EPIGONATIO

2. SACCO

3. OMOFORIO

4. MITRA

5. PASTORALE

 

In passato, i rapporti fra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa non erano dei migliori e il tentativo di “latinizzazione” dei santi orientali era molto diffuso.
Ecco come, probabilmente, appariva la statua ai tempi della sua realizzazione:

 

Anche l’originaria mitra era di foggia romana, bicuspidale con le due infule pendenti. A riprova di ciò, tutte le immagini di San Giovanni presenti in chiesa Madre (statua dell’altare, statua sulla facciata esterna, tele del Tiso nel coro…) e riconducibili nella prima metà del 1700, rappresentano il Santo con la mitra “bicuspidale”.

Museo della Valletta – Malta       “San Giovanni Elemosiniere”      

       Chiesa di San Giovanni Elemosiniere – Venezia

               Tiziano: San Giovanni Elemosiniere

 

PROBABILI CONCLUSIONI

Fra il 1600 e il 1700, la statua lignea di San Giovanni, proveniente da Venezia, giunge a Casarano; rappresenta il Santo vestito con paramenti liturgici di stile romano (piviale, stola pendente sul petto, mitra bicuspidale, chiroteche…). Da quel momento, tutte le successive immagini del Patrono si uniformano a tale raffigurazione (vedi tele del Tiso nel coro, statua in pietra sulla facciata della chiesa, statua dell’altare…). Verso la seconda meta del 1700, il feudatario di Casarano, Duca Giacomo D’Aquino (1718-1788), fervente devoto, incarica alcuni tipografi della Germania di stampare diverse immagini del Santo. In quello stesso periodo, viene costruito, in chiesa Madre, l’altare “intra oratorium”, (nella sagrestia) per la conservazione del Ss. Sacramento, durante la settimana santa. La pala di questo altare (distrutto nei primi anni ’70) è un dipinto ad olio dove san Giovanni è rappresentato in maniera insolita rispetto all’iconografia classica: invece di distribuire elemosine, riceve alcuni pellegrini che gli offrono doni e mercanzie. Un particolare che si discosta dalle immagini precedenti, è la mitra “cornua”. Che sia una copia delle immaginette stampate in Germania? Sta di fatto che, in seguito, il presule è raffigurato con questo tipo di mitra (statua della colonna, quadro di via Astore, statua di San Giovanni “piccinnu”, conservata in chiesa Madre…) e dopo la stampa di nuovi “santini” nel primo Novecento, riaffiorano i paramenti ortodossi. Anche la statua lignea viene dotata, oltre che ai vari oggetti in argento, di alcuni preziosi copricapi a due punte.

San Giovanni Elemosiniere, come San Nicola, entrambi vissuti oltre 4 secoli prima del grande scisma del 1054, rappresentano ancor oggi, un traite d’union fra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli, interessate, ultimamente, in un progressivo riavvicinamento dopo secoli di divisioni ed incomprensioni.

Santino

-Ediz. F. Rinaldini e F. - Napoli

 

Mi sono posto più volte la voglia di studiare l'argomento che segue, ora che ho ricevuto per e-mail questa ricerca svolta da Fabio Cavallo, sempre preciso nei dettagli, la pubblico senza aggiungere altro che i complimenti per l'ottimo lavoro.

Pino De Nuzzo

 

 

 

 

La collegiata di Casarano

Due anni prima che si celebrasse il solenne rito di consacrazione e dedicazione, (domenica 4 aprile 1723) la parrocchia Matrice di Casarano fu elevata al grado di chiesa collegiata, il 23 aprile 1721 con bolla vescovile di mons. Antonio Sanfelice. L'istituzione della collegiata, sia pur "ad instar" (1), portò all'erezione nella chiesa stessa, del Capitolo clericale, un collegio di sacerdoti preposti al decoro e al culto delle varie liturgie che si celebravano nel tempio.

 

Le chiese collegiate.

Le collegiate erano del tutto simili alle cattedrali ma, mancando la figura del vescovo, non rappresentavano il senato episcopale né coadiuvavano al governo diocesano. Esse facevano da corona alla chiesa vescovile e i membri appartenenti, oltre a curare le cerimonie liturgiche, erano tenuti a far vita comune insieme. Potevano essere collegiate a pieno titolo o collegiate "ad instar". Ciò che differenziava le due tipologie di chiese era l'onorificenza di "canonico" del quale si fregiavano i componenti delle prime; le seconde erano formate da semplici sacerdoti (2). Luogo deputato per la recita dell'Ufficio, la partecipazione alla messa "conventuale" e le eventuali riunioni capitolari era il coro (o aula capitolare), posto dietro l'altare maggiore (3). Sulla parete che guardava frontalmente l'altare, vi erano gli scranni riservati alle "dignità" del Capitolo, mentre gli altri posti spettavano ai partecipanti. L'ordine superiore era esclusivamente riservato ai sacerdoti mentre i cosiddetti "beneficiari minori" (chierici, accoliti, mansionari…) occupavano posto nell'ordine inferiore. Il Capitolo poteva essere "curato" o "non curato". Il primo attendeva anche alla cura d'anime della parrocchia tramite un parroco curato che solitamente era membro tra le dignità. Il primo passo per la soppressione delle collegiate si compì con le leggi n. 3848 del 1867 e 1403 del 1873 che prevedevano la scomparsa dei capitoli collegiali non curati, esclusi quelli presenti a Roma e nelle diocesi suburbicarie (4). La revisione dei Patti Lateranensi fatta nel 1984, durante il governo Craxi, mise termine alla vita delle collegiate che durarono giuridicamente fino al 31 dicembre 1986. Le chiese collegiate furono riportate al grado di semplici parrocchie. (5)

 

La collegiata di Casarano: ebdomadari e dignità.

Il Capitolo curato collegiato di Casarano contava, intorno alla prima metà del Settecento, ben 17 sacerdoti partecipanti, chiamati "ebdomadari" (dal lat. ebdomada=settimana). (6) Essi, in base ad appositi sorteggi riportati su liste e registri conservati nella sagrestia, venivano settimanalmente destinati a celebrare le messe legatizie sugli altari della Matrice. Nelle messe solenni (Natale, Pasqua, San Giovanni…) dovevano assistere alla liturgia seduti nel coro con l'abito corale (abito talare nero, cotta bianca e mozzetta violacea), intenti a cantare o rispondere ai vari momenti della celebrazione. La prima dignità del Capitolo era l'arciprete (il primo prete) che nella stragrande maggioranza dei casi, fungeva da parroco. A lui spettavano le celebrazioni in "pompa magna" e aveva il privilegio di cantar messa con la presenza del diacono e del suddiacono (7). L'arciprete riscuoteva la maggior tariffa per pagamento di messe e presiedeva nel coro durante l'Ufficio e le riunioni periodiche. La seconda dignità presente nel Capitolo casaranese era l'Arcidiacono, (il primo dignitario). Era l' "alter ego" dell'arciprete e, in alcune occasioni, lo sostituiva nelle celebrazioni (8). Egli, che a dispetto del nome, era sacerdote, designava periodicamente gli ebdomadari per l'ufficio di diacono e di suddiacono, nelle messe solenni (9). Terza dignità a seguire era il cantore, il quale spettava di intonare in canto gregoriano, le lezioni dell'Ufficio e i canti propri e le antifone della Messa. Il primicerio, quarta dignità dopo l'arciprete era il preposto all'educazione dei beneficiati minori, i quali in rare occasioni officiavano come diaconi. Spesso, però taluni gradi di dignità erano semplicemente conferiti per pura onorificenza (10). Due altre figure cosiddette "tecniche" completavano la composizione del Capitolo: il vicario foraneo, rappresentante episcopale nella foranìa di zona (11) e il procuratore, che gestiva gli affari economici del sodalizio. Ovviamente la figura del vicario era scelta direttamente dal vescovo mentre il procuratore veniva eletto in forma segreta dai componenti del Capitolo, ogni anno a fine agosto. Per questioni della massima importanza, venivano tenuti in considerazione anche il primo anziano e il secondo anziano che sedevano rispettivamente alle estremità degli scranni frontali.

 

Le processioni.

Al Capitolo erano riservate le solenni processioni dell'anno, quella del "Corpus Domini" obbligatoria per norma del diritto canonico e quelle patronali di San Giovanni e della Madonna della Campana, chiamate, per l'appunto "capitolari". C'era l'obbligo della partecipazione di tutti i membri, se non impediti da cause gravi, e si disponevano in file per due secondo il seguente schema.

 

Nelle processioni ordinarie, l'arciprete (o colui che trasportava il reliquiario) era affiancato dall'arcidiacono e dal cantore che gli tenevano i lembi della cappa magna (il piviale liturgico). Per le processioni solenni, due ebdomadari o i mansionari vestiti coi paramenti del diacono e del suddiacono attendevano a tale servizio. La berretta nera era obbligatoria per tutti mentre la mozzetta con pelliccia di ermellino, che era cucita davanti, era usata nelle occasioni solenni. Il privilegio di portare questo raffinato paramento era esclusivamente concesso dal Pontefice, con biglietto chirografo (12).

 

Le esequie funerali.

Le esequie funerali competevano esclusivamente al Capitolo cittadino, indipendentemente dalla parrocchia di appartenenza del defunto. Le esequie erano classificate in due riti: il duplice e il semplice. Le esequie di rito duplice, a loro volta si distinguevano di I e II classe. Per il rito duplice di prima classe si pagava al Capitolo l'offerta "sana" (=intera) per cui il funerale era celebrato con solennità. Il clero salmodiante, partendo dalla chiesa Madre arrivava a casa del defunto per la levata del cadavere. L'arciprete, o un sostituto, vestiva con cappa magna nera sollevata dai diaconi, con dalmatica scura e veniva preceduto dai sacerdoti in mozzetta violacea. In chiesa, si recitava l'ufficio dei Morti  al quale seguiva la Messa cantata solenne. Il cadavere veniva poggiato di fronte all'altare maggiore, sul "catafalco", ingombrante costruzione di legno addobbata con paramenti scuri. La bara si circondava da ceri accesi. Al termine dell'officiatura, il Capitolo accompagnava il corteo "… fino all'ultima casa di via Matino…" come prescriveva l'ordinamento dei riti capitolari. Simile alla prima classe era il funerale di seconda il quale, però, essendo pagato a "mezza offerta" (menza 'nferta) era privo del carattere di solennità. Il clero vestito con l'abito corale (talare, cotta, mozzetta e stola nera) muoveva a casa del defunto per poi dirigersi in chiesa. Lì veniva, solitamente, recitato l'ufficio funebre e impartito il rito di assoluzione del cadavere, poi soltanto il parroco accompagnava il feretro per l'ultimo tragitto. I funerali semplici spettavano ai meno facoltosi e non competeva alcuna tariffa; in questo caso, un solo sacerdote prelevava l'estinto dalla casa e lo accompagnava in chiesa per i riti prescritti.

 

L'ufficio delle tenebre.

E' noto che le liturgie preconciliari (rimaste in vigore fino al 1965) erano dense di teatralità, di simbolismi e di gestualità. In seguito alla controversa riforma liturgica scaturita dal Concilio ecumenico Vaticano II, tutto il cerimoniale della Chiesa romana è stato fortemente semplificato in modo da far risaltare il messaggio intrinseco e non la spettacolarità della liturgia. Fra questi riti soppressi, spettanti al Capitolo, vi era l'ufficio delle tenebre, popolarmente conosciuto come "terremoto", tipico della settimana santa. Si trattava della recita del "mattutino" e delle "laudi" previste per il triduo pasquale (giovedì, venerdì e sabato santo) (13). Data, però, la lunghezza di questi brani, l'ufficio si anticipava alla sera del giorno precedente. Da qui scaturiva il nome di "officium tenebrarum" in quanto la recita terminava quando già erano calate le tenebre. Il titolo, simbolicamente, indicava anche le "tenebre" del peccato scaturite dalla morte di Cristo. I sacerdoti del Capitolo prendevano posto in coro nel modo consueto, mentre il cerimoniere disponeva di fronte all'altare maggiore, la saetta, un candelabro a forma di triangolo (forte allusione alla Ss. Trinità) dove ardevano quindici candele. S'iniziava la recita o il canto dei salmi e dei cantici e al termine di ogni brano, si spegneva una candela partendo dal basso. Verso la fine dell'ufficio, gradualmente venivano spente pure le luci della chiesa e i sei candelabri dell'altare maggiore. Rimaneva accesa la candela posta sulla sommità della saetta. Essa rappresentava Cristo, luce del mondo che da lì a poco sarebbe stato sacrificato per la salvezza degli uomini. Infatti dopo l'orazione conclusiva, il cerimoniere prendeva l'ultima candela e la nascondeva dietro l'altare, nella parte destra, facendo rimanere al buio, tutta la chiesa. Ed ecco che cominciava il "terremoto": tutti i presenti, compresi i sacerdoti, battevano con i piedi e con le mani sui banchi provocando un fragoroso rumore, quasi a simulare gli sconvolgimenti della natura a seguito della morte di Cristo (14). Appena la candela ricompariva sul candelabro, si riaccendevano le luci e il rito terminava. Il tutto si ripeteva nei giorni seguenti con una variante, il giovedì santo. Dopo l'ufficio delle tenebre, il predicatore quaresimalista, posto sul pulpito, dava prova della sua oratoria, in attesa che arrivasse la confraternita dell'Immacolata. Era tradizione, durante la sera del giovedì, che le confraternite maschili cittadine, vestite col sacco e col cappuccio abbassato, girassero in processione per le chiese cittadine portando una statua dell'Addolorata che, simbolicamente, andava a visitare il Figlio nei "sepolcri" allestiti. Non appena, la confraternita giungeva in chiesa madre, il suono lacerante di una tromba faceva piombare tutti nel silenzio più assoluto. Il predicatore, allora, pronunciava con tono grave: "Maria, ecco tuo Figlio!" e la statua entrava in chiesa attraversando la navata centrale. Giunta ai piedi del pulpito, il predicatore consegnava nella mani di Maria, un crocefisso, segno inconfutabile della Passione, mentre tutti si struggevano in lacrime.

 

Elenco degli arcipreti e delle dignità del Capitolo di Casarano

ARCIPRETI CURATI

A R C I P R E T I

Città di nascita

DAL

AL

Don Agostino Bove

Galatone

1999

Mons. Decio Merico

Parabita

1972

1999

Don Cosimo Conte

Melissano

1950

1971

Don Otello De Benedictis

Nardò

1931

1950

Mons. Gregorio Falconieri

Nardò

1927

1931

Don Luigi Bona

Nardò

?

1927

Don Giuseppe Ottaviano

Casarano

?

?

Don Raffaele Manuli

?

1892

 

Don Giorgio Romano

?

1842

1891

Don Isidoro Lezzi

?

1802

1842

Don Lazzaro Metafuni

?

1780 ?

1802

Don Domenico Angelo D'Elia

?

1770

1780

Don Lazzaro Spano

?

1768

1770

Don Donato Spano

?

1732

1768

Don Paolo De Donatis

?

1705

1728

Don Daniele Calo'

?

1679

1705

Don Pietrantonio De Pennis

?

1656

1679

Don Marcello D'Elia

Casarano

?

1656

 

DIGNITA' e PARTECIPANTI (dalla metà del 1600 al 1950)

Don Ferdinando Dongiovanni

Arcidiacono

Abate Don Matteo D'Aquino

Arcidiacono

Don Antonio D'Aquino

Arcidiacono

Don Giuseppe Casarano

Arcidiacono e vicario f.

Don Giuseppe Nicola Gaballone

Cantore

Don Leonardo Vernaleone

Cantore

Don Francesco Maria Vernaleone

Cantore

Don Quintino Borgia

Diacono

Don Domenicantonio Vernaleone

Ebdomadario

Don Giovanni Leonardo De Donatis

Ebdomadario

Don Andrea Calbano

Ebdomadario

Don Giuseppe Diaz Del Gado

Ebdomadario

Don Salvatore Vitali

Ebdomadario

Don Domenico Pellegrino

Ebdomadario

Don Paolo Casarano

Ebdomadario

Don Scipione Casto

Ebdomadario

Don Leonardo Cavalera

Ebdomadario

Don Epifanio Ferilli

Ebdomadario

Don Giuseppe Marrella

Ebdomadario

Don Giovanni Primiceri

Ebdomadario

Don Pietro Paolo Reho

Ebdomadario

Don Nicola Memmi

Ebdomadario

Don Giuseppe De Donatis

Primicerio e cantore

Don Onofrio Gaballone

Procuratore

Don Luca Paiano

Procuratore e vicario f.

Don Andrea Papa

Vicario foraneo

Don Alfonso Ottaviano

Vicario foraneo

Don Felice De Giorgi

Vicario foraneo

 

Note:

  1. Dal latino: ad instar = simile a.

  2. Nella diocesi di Nardò, dipendevano dalla cattedrale due chiese propriamente collegiate (Copertino e Galatone) e due "ad instar" collegiate (Casarano e Parabita).

  3. Il coro ligneo di Casarano è opera dell'intagliatore bavarese Giorgio Auer che lo realizzò similmente a quello della cattedrale di Gallipoli. Sua è anche la balaustra della cantoria dove è posto l'organo del 1770. Nel Medioevo, i cori erano disposti davanti all'altare maggiore, in seguito, durante il Rinascimento, furono collocati dietro, nell'abside.

  4. Le sedi suburbicarie sono le sette diocesi che confinano con quella di Roma (Ostia, Albano, Frascati, Palestrina, Porto S. Rufina, Sabina - Poggio Mirteto, Velletri) e sono guidate da Cardinali dell'ordine dei Vescovi.

  5. L'art. 14 della legge 20.05.1985 n. 222 "Sostentamento del Clero" dice: "Dal 1° gennaio 1987, su richiesta dell'autorità ecclesiastica competente può essere revocato il riconoscimento civile (personalità giuridica) ai capitoli cattedrali e collegiali non più rispondenti a particolari esigenze e tradizioni religiose e culturali della popolazione…".

  6. Nel calendario liturgico proprio del 1974, la curia di Nardò indicava la Chiesa di Casarano "chiesa ad instar collegiata" e i sacerdoti partecipanti erano in otto: Arciprete Don Decio Merico, Don Antonio Albano, Don Luigi Ferilli, Don Giovanni Battista Borgia, Don Angelo Pino, parroco Don Raffaele Martina, Don Giuseppe Pulieri, parroco Don Gaetano Filograna.

  7. L'ordine del suddiaconato fu soppresso nel 1971 a seguito del rifacimento del "Pontificalis Romano", il libro delle liturgie vescovili. Il ministero del suddiacono era quello di leggere o cantare l'epistola e il graduale (la prima lettura e il salmo responsoriale) durante la messa, di versare l'acqua nel calice all'offertorio e di compiere le purificazioni dei vasi e dei calici dopo la comunione. Era addetto, inoltre, allo spostamento del messale ai due corni dell'altare. Poteva essere consacrato diacono dopo tre mesi di suddiaconato. Le vesti proprie erano il manipolo (attaccato al polso sinistro) e la tunicella. Non indossava la stola.

  8. Può essere comparato all'odierno vicario parrocchiale (il vice parroco).

  9. E' bene specificare che, dopo la riforma del Concilio Vaticano II, un sacerdote non può officiare ad una funzione liturgica nelle vesti di diacono o compiendo altri uffici che non gli competono. Un tempo, però tale consuetudine era alquanto praticata.

  10. Altre dignità di un Capitolo sono: il priore (titolo puramente onorifico), il tesoriere (addetto al tesoro, alle reliquie e ai preziosi della chiesa), il teologo (interprete delle sacre scritture), il prevosto (curatore della disciplina del Capitolo), il decano (il più anziano dei sacerdoti).

  11. Attualmente la diocesi di Nardo' e Gallipoli è territorialmente organizzata in sei foranie: Nardò (intitolata a San Gregorio), Gallipoli (Sant'Agata), Copertino (San Giuseppe da Cop.), Galatone (Ss. Crocefisso), Casarano (B.V.M. Coltura), Alliste (B.V.M. Madre della Chiesa).

  12. Dal latino: chirographu(m), chiro 'mano' e graphum 'scrittura'. Documento autografo del Papa.

  13. Prima del Concilio, le ore liturgiche erano 8: mattutino (prima dell'alba, intorno alle ore 3 o 4), laudi (all'alba, ore 5 o 6), prima (ore 7), terza (ore 9), sesta (mezzodì), nona (ore 15), vespri (al crepuscolo), compieta (prima di coricarsi). Ora sono ridotte a 5: ufficio delle letture, lodi mattutine, ora media, vespri e compieta.

  14. Alcuni libri di preghiere identificano il frastuono finale dell'ufficio nelle frustate che Gesù ricevette legato alla colonna del Sinedrio, oppure gli schiamazzi del popolo che gridava a Pilato "crocifiggilo".

 

 

Ulteriore ed autorevole conferma sui natali di Papa Bonifacio IX

 

 

Caro Pino,

finalmente abbiamo un'autorevole conferma che Bonifacio IX è nato a Casaranello.

Essa viene niente meno che dal regnante Pontefice, Giovanni Paolo II, che citò Casarano "...patria di Bonifacio IX..." nel discorso di commiato pronunciato all'aeroporto di Galatina, al termine della visita pastorale ad Otranto (1980). Nonostante tale discorso si trovi sul sito web del Vaticano (precisamente negli atti ufficiali del Pontefice) ancora oggi è considerata Napoli, la città di nascita di Pietro  Tomacelli. Dunque, ti allego il file sperando che, ben presto, sia noto a tutti che anche Casarano ha dato i natali ad un successore di san Pietro. Ti saluto. Fabio

 


(N.d.R.: Come al solito, mentre noi si aspettava di ricevere la copia di “Avvenire” del 6 ottobre 1980, dove era trascritto il discorso di commiato del Papa, Fabio Cavallo, con la sua solita puntigliosità certosina è riuscito, per l’ennesima volta a sorprenderci piacevolmente. Bravo Fabio, alla prossima!)

 

VISITA PASTORALE AD OTRANTO

DISCORSO DI COMMIATO
DI GIOVANNI PAOLO II

Aeroporto di Galatina (Lecce), 5 ottobre 1980

 

Illustri Autorità del Governo, della Regione e della Provincia, Egregio Signor Sindaco,
Cari fratelli e figli!

 

1. Prima della mia partenza dalla Terra Pugliese mi è assai gradito intrattenermi, sia pur per brevi istanti, in questa vetusta città di Galatina, la quale - secondo un’antica tradizione - sarebbe stata evangelizzata da San Pietro, che, nel suo viaggio verso Roma, avrebbe qui fatto una sosta. Vi sono veramente riconoscente per avermi dato questa gioia: ringrazio prima di tutto il caro Arcivescovo di Otranto e il Sindaco per le loro affettuose parole; ringrazio con sincera deferenza il Prefetto della provincia di Lecce ed il consiglio comunale di tale città, al quale esprimo il mio vivo rammarico per non aver potuto accogliere in questa circostanza l’invito, per altro molto gradito, a visitare Lecce, ed a cui affido l’incarico di portare un affettuoso saluto all’intera cittadinanza.

Con pari intensità di sentimento esprimo la mia riconoscenza ai numerosi lavoratori di Casarano, patria di Bonifacio IX e importante centro industriale del Salento. Ringrazio poi i Comandanti Militari di questa Regione Aerea e dell’Aeroporto con i dipendenti e i familiari; ma soprattutto ed in special modo intendo porgere il mio sentito e cordiale ringraziamento a tutti voi, cittadini di Galatina e del Salento, che avete voluto stringervi attorno al Papa in questo incontro vespertino. Vi dirò con San Pietro: “Pace a voi tutti che siete in Cristo!” (1Pt 5,14).

Questa sosta che voi avete desiderato e preparato con tanta premura era per me un dovere, perché anche la vostra città fu unita ad Otranto nella dolorosa prova di fede e di amore, che oggi abbiamo commemorato.

 

2. Nell’assicurarvi del mio affetto e della mia preghiera, desidero testimoniarvi che nel mio cuore trovano eco i vostri problemi, le vostre sofferenze, la vostra tenacia, le vostre speranze e le vostre gioie. Vorrei che voi foste sempre sereni e felici! Vorrei che la vostra esistenza fosse sempre colma di letizia e di soddisfazione! So bene invece come talvolta precarie e avverse circostanze della vita e della storia rendano difficili certe situazioni; so quanto è dura l’esperienza dell’emigrazione, quanto è amara la disoccupazione, specialmente dei giovani e dei padri di famiglia. La Chiesa e il Papa sono vicini a tutti e specialmente a coloro che sono più di altri provati.

A tutti rivolgo l’augurio, che nasce da un cuore che tutti ama; augurio di serenità e di prosperità, augurio di elevazione sociale, augurio di un ordinato progresso civile.

Mentre mi compiaccio della vostra laboriosità e delle opere già compiute per il bene comune, desidero esortarvi a perseverare con coraggio e con costanza nel cammino del vostro sviluppo, venendo incontro, insieme ai Responsabili della Comunità, alle necessità e ai bisogni dei fratelli.

 

3. Ma vorrei anche lasciarvi un ricordo spirituale che vi serva come programma di vita e come ispirazione nei momenti importanti delle vostre decisioni. Che cosa vi posso dire se non ciò che San Pietro scriveva ai primi cristiani: “Resistete saldi nella fede!” (cf. 1Pt 5,9). Sì, miei cari figli, mantenete ferma la vostra fede in Gesù Cristo, come fecero i Martiri di Otranto!

Mantenete ferma la vostra fede nei momenti della prova e della sofferenza, ricordando ciò che lo stesso Pietro scriveva: “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare... Infatti, se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome!” (1Pt 4,13.16).

Mantenete ferma la vostra fede specialmente nel turbinio della storia, che tutti ci avvolge, e talvolta ci travolge, con i suoi contrasti e i suoi drammatici avvenimenti. Nella misteriosa dialettica tra libertà umana e grazia divina, tra peccato dell’uomo e Redenzione di Cristo, non siamo soli. Mi piace ripetere anche a voi ciò che dissi a Le Bourget durante il mio viaggio a Parigi: “Il problema dell’assenza di Cristo non esiste. Il problema del suo allontanamento dalla storia dell’uomo non esiste. Il silenzio di Dio nei confronti delle inquietudini del cuore e della sorte dell’uomo non esiste.

Non c’è che un solo problema che esiste sempre ed ovunque: il problema della nostra permanenza in Cristo. Della nostra intimità con la verità autentica delle sue parole e del suo amore”. (Giovanni Paolo II, “Homilia in aëronavium portu “Le Bourget” prope Lutetiam Parisiorum ad Christifideles ibidem congregatos abita”, die 1 iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1592.) Talvolta l’orizzonte della storia si oscura e gli animi tremano di fronte alla potenza terribile dell’odio e della violenza. Tenete ferma la fede in Gesù: Egli è la nostra pace e guida gli avvenimenti per il bene di coloro che amano Dio umilmente e lo servono nei loro fratelli. “Siate vigilanti - vi dico ancora con San Pietro - fissate ogni speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si rivelerà... Ad immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta” (1Pt 1,13.15).

 

4. Carissimi, eccoci giunti al momento dell’addio, mentre scendono le tenebre della notte e si sono accese le luci nelle case e nella città: bisogna partire!

La tradizione dice che i Cristiani di Otranto, camminando verso la collina del martirio, intrepidi ma anche umanamente angosciati e sgomenti, invocarono Maria Santissima, per avere soccorso e coraggio. Pregatela anche voi sempre, durante il viaggio della vostra vita, affinché tutti possiamo un giorno meritare la felicità del cielo per cui unicamente siamo stati creati!

 

La Vergine Santa protegga la vostra città!

I Martiri intercedano per voi!

E vi accompagni la mia Benedizione, che di cuore vi imparto, implorando l’assistenza divina per il prospero avvenire di questa illustre città e dell’intera popolazione del Salento e delle Puglie.

Ed a ricordo di questo incontro, sono lieto di benedire l’immagine della Madonna di Czestochowa, destinata alla nuova chiesa che si sta costruendo nel quartiere San Sebastiano di questa città.


tratta da:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/1980/october/documents/hf_jp-ii_spe_19801005_partenza-otranto_it.html

 
 
 

UNA BREVE INTRODUZIONE

La scomparsa della Messa papale solenne, caratterizzata da uno sfarzoso cerimoniale, misto fra liturgia ed etichetta cortigiana, è da attribuirsi principalmente all'avvento della Televisione che, a partire dagli anni Sessanta, sempre più frequentemente trasmetteva le celebrazioni pontificie. Nel secolo contrassegnato dalla disfatta delle grandi case reali europee, era anacronistico, per milioni di telespettatori sparsi nel mondo, vedere il vicario di Cristo e successore di Pietro entrare, nella Basilica vaticana, come un sovrano medievale tra squilli di trombe, con tanto di corona (1), portato sulla sedia gestatoria con i flabelli (2) e attorniato da cortigiani che indossavano abiti da cavalieri spagnoli. A tal proposito il cardinale Annibale Bugnini, principale artefice della riforma liturgica postconciliare affermava che “…certi usi medievali, portati fuori dell’ambiente romano a gente di altre religioni o non credente, danno luogo ad interpretazioni diverse e non sempre positive. Il Papa deve apparire a tutti come successore di Pietro, servo dei servi di Dio e non come un principe del medioevo.(3). In effetti, la psicologia dell'uomo moderno non accettava più quel miscuglio tra vita cortigiana e rito religioso. Bisognava, inoltre, sfatare il concetto di Chiesa-regno ed evitare che lo sfarzo delle cerimonie vaticane nascondesse, in sostanza, l’inadeguatezza della Chiesa romana ad affrontare le problematiche della moderna società. Il progetto di riforma della “Cappella papale” fu iniziato dall’Ufficio delle celebrazioni pontificie nel febbraio 1965, sotto il pontificato di Paolo VI e si concretizzò gradualmente fino agli inizi degli anni 70. Scomparvero definitivamente alcune tradizionali figure tra cui gli assistenti al soglio che affollavano l’altare e il trono del Papa, il patriziato romano, i corpi armati e i dignitari della corte pontificia che partecipavano alle liturgie senza alcun compito, furono rinnovate e semplificate le sacre vesti e le suppellettili, rivisti il canto e la musica; in sintesi fu ricondotto l'intero canovaccio della celebrazione ad uno stile semplice ed austero o più precisamente alla "nobile semplicità" sancita dal Concilio Vaticano II. La riforma di tutto il cerimoniale romano comportò inevitabilmente, oltre la Messa, la revisione di molti riti che, di norma, segnano la vita pontificale del Papa, dai novendiali al conclave, dall'incoronazione ai Pontificali. E proprio su alcuni di essi, rimasti in vigore fino al Concilio, sarà incentrata questa ricerca che avrà l'esclusivo compito di descriverne gesti e cerimonie, evitando di sfociare negli aspetti dottrinali e teologici che ogni rito porta con sé. Si tratterà di una semplice esposizione cronologica dei principali momenti di alcune solenni celebrazioni che, fino a pochi decenni addietro, riecheggiavano sotto la cupola michelangiolesca.

 


I RITI D'INTERREGNO

La morte del Pontefice e i novendiali

I riti d'interregno, indubbiamente, sono tra quelli che suscitano maggiore attenzione ed emozione in tutto il pianeta non solo per l’importanza che la persona del Pontefice riveste ovunque ma perché nel giro di poche settimane, suscitano nella Chiesa due sentimenti contrapposti: il lutto più profondo per la morte del Papa e la gioia più estrema a seguito dell'elezione del successore. Sostanzialmente la riforma liturgica non ha intaccato l'«Ordo exsequiarum Summis Pontificis», il complesso rituale funebre. Il decesso del Pontefice da inizio ai cosiddetti "novendiali", cioè a nove giorni di lutto solenne; inoltre, da quel momento, più di un terzo delle alte cariche vaticane vengono ad essere vacanti.

Pio XII in abiti non pontificali.S'inizia con una serie di cerimonie, la prima delle quali è la solenne ricognizione del corpo e la constatazione dell'avvenuta morte. Il cardinale che ha il titolo di Camerlengo di S. R. C., oppure il decano del Sacro collegio, se tale carica non è stata assegnata, si reca processionalmente nella stanza del defunto, insieme ad un notaio e al maestro delle cerimonie. Il cardinale, entrando, si inginocchia e prega accanto alla salma; quindi solleva il velo bianco posto sul viso e annuncia solennemente :"Vere Papa N. mortus est". Dopo la recita dell'ufficio dei defunti e la benedizione con l'acqua santa, il prelato firma il rogito di constatazione della morte. Da quel momento, egli prende possesso dei palazzi vaticani apponendovi i sigilli alle stanze private dell'estinto di cui, dopo aver spezzato l'anello piscatorio, provvede alla conservazione delle spoglie terrene. Espletati questi riti, viene dato l'annuncio ferale alla Corte Pontificia, alla Curia Romana e all'intera Cristianità.

Lo stemma del Camerlengo, durante la sede vacante.Alquanto vistosi sono i segni esteriori che seguono tale avvenimento; le bandiere del Vaticano sono poste a mezz'asta e la porta bronzea dell'Arco delle Campane, che da accesso al piccolo stato, è semichiusa. I cardinali abbandonano le loro sontuose vesti di porpora e indossano, fino all'elezione del nuovo papa, la veste talare violacea, il rocchetto semplice sguarnito di ricami e pizzi e la mozzetta nera o violacea. Il "campanone" della basilica inizia il suono del "mortorio" al quale si aggiungeranno, ben presto, tutte le campane di Roma e del mondo intero. Anche lo stemma papale subisce alcune modifiche e le chiavi, segno dell’autorità del Pontefice, passano nell'arme del cardinale camerlengo che le pone accollate sopra lo scudo. Infatti sino alla elezione del nuovo papa è colui che deve amministrare la Chiesa. Con l'assistenza dell'archiatra, il medico personale del Papa, viene eseguita l'imbalsamazione del corpo per permetterne la conservazione durante i sei giorni di esposizione, mentre non è assolutamente consentita l'autopsia. La salma, vestita degli abiti non pontificali (4) dal momento del decesso fino al mezzogiorno seguente è esposta nelle stanze del palazzo apostolico per essere visitata dai familiari (5) e dai più intimi collaboratori del Papa.

Pio XII fotografato da Galeazzi Lisi, pochi istanti dopo la morte.Dopo i fatti successi alla morte di Pio XII, una rigida regola vieta di fotografare il defunto pontefice se non vestito pontificalmente (6). La seconda esposizione si tiene nella Cappella sistina dove avvolto negli abiti pontificali di color rosso, (7) il corpo del Pontefice giace per tre giorni di fronte all'affresco del Giudizio. Nel “sacellum sixtini” si avvicendano, per le visite, i capi di stato e di governo di molti paesi, il collegio cardinalizio, il patriziato romano, consoli e ambasciatori accreditati presso la Santa Sede.

Ma il momento più emozionante è rappresentato dal pellegrinaggio di milioni di fedeli che, dal quarto giorno, si accalcano sul sagrato e nella navata della Basilica di San Pietro per vedere ancora una volta il Santo Padre. Pio XII in abiti pontificali sul catafalco in San Pietro.All’uopo, viene realizzato, di fronte all’altare della Confessione, un imponente catafalco con drappi di color rosso-violaceo, circondato da alti candelieri, (8) su cui è adagiato il corpo. Un manipolo di guardie svizzere e della guardia palatina (9) fa servizio d’onore intorno alla struttura.

Incessante è la preghiera per l’anima defunta che si eleva tra le volte della Basilica: i cardinali presenti in Roma, i canonici del capitolo di San Pietro e il coro si alternano nella recita dell’ufficio funebre e delle messe di requiem, sui vari altari del tempio. Il funerale solenne è celebrato il sesto giorno dal cardinale decano dell'ordine dei vescovi che presiede all'ufficio, alla Messa cantata (10) e ai riti di chiusura della salma nelle tre casse prescritte. Il catafalco circondato dai candelieri.Il feretro abbandona la Basilica, passando dalla porta della morte per essere tumulato nelle grotte vaticane, accanto alla tomba del principe degli Apostoli e degli altri pontefici. Per i restanti tre giorni, nella Basilica, continuano le messe in suffragio in attesa degli ultimi cardinali che, per varie ragioni, non hanno ancora raggiunto Roma.


 

Note:

  1. La tiara, o triregno, era il copricapo del Pontefice usato nelle funzioni extraliturgiche, in vigore fino al pontificato di Paolo VI. Le tre corone - forte allusione alla S. Trinità - significavano che il papa rappresentava le tre Chiese trionfante, militante e purgante, oppure il dominio sulle regioni del Cielo, della terra e degli Inferi, o ancora la triplice sovranità del capo della Chiesa, consistente nella sovranità spirituale sulle anime; regalità temporale sugli Stati romani; sovranità eminente su tutti i sovrani della terra.

  2. I flabelli papali erano due ampi ventagli di piume di pavone maschio, muniti di asta, con cui si accompagnava il pontefice durante gli spostamenti con la sedia gestatoria.

  3. A. Bugnini , "La riforma liturgica (1948-1975)" - Edizioni liturgiche, Roma.

  4. Gli abiti non pontificali consistono, solitamente, nella veste talare bianca, il rocchetto (simile alla cotta che usano i sacerdoti ma più lungo e con le maniche strette fino ai polsi) e la mozzetta rossa guarnita di pelliccia d'ermellino.

  5. Per familiari s'intendono coloro che sono insigniti da particolari onorificenze o che assistono alla vita privata del Papa. La famiglia pontificia si divide in ecclesiastica e laica. Fanno parte i Protonotari apostolici, i cappellani di S.S., i principi assistenti al soglio, i camerieri segreti di cappa e spada e molte altre figure. Alcuni sacerdoti di Casarano sono stati insigniti di tali cariche onorifiche: Mons. Salvatore Rizzello, per molti anni vicario generale della diocesi di Nardò, era protonotaro apostolico mentre i monsignori Raffaele Martina (+), Gaetano Filograna e Decio Merico sono cappellani di S.S. .

  6. Il dottor Galeazzi Lisi, archiatra di Pio XII, durante gli ultimi giorni di malattia con una piccola "Leyca", aveva ripreso il papa pallido ed emaciato, accasciato sul lettino, la testa tra due cuscini, con la cannula dell'ossigeno alle narici e le palpebre abbassate. La stessa cosa fece al momento della morte fotografando la salma adagiata sul lettino e rivendendo i negativi ad un periodico francese.

  7. Gli abiti pontificali che il Papa indossava, prima della riforma liturgica, erano 16: sulla veste talare, il rocchetto, l'amitto, il camice, il cingolo, il succintorio, il primo fanone, la stola, la falda, la tunicella, la dalmatica, la pianeta, il secondo fanone, i calzari e i sandali, le chiroteche e la mitra o la tiara. Il manipolo veniva indossato al "confiteor".

  8. La riforma liturgica ha previsto che accanto alla salma di un defunto deve ardere soltanto il cero pasquale.

  9. La guardia palatina, uno dei servizi di vigilanza vaticana insieme alla Guardia Svizzera e alla Gendarmeria pontificia, è stata soppressa nel 1970.

  10. Il messale preconciliare prevedeva una messa "pro defuncto summo pontifice".


Didascalie delle immagini

immagine n. 1:       Pio XII in abiti non pontificali.

immagine n. 2:       Lo stemma del Camerlengo, durante la sede vacante.

immagine n. 3:       Pio XII fotografato da Galeazzi Lisi, pochi istanti dopo la morte.

immagine n. 4:       Pio XII in abiti pontificali sul catafalco in San Pietro.

immagine n. 5:       Il catafalco circondato dai candelieri.