Il bellissimo simulacro ligneo di San
Giovanni Elemosiniere, conservato nella chiesa Madre di Casarano,
prezioso dal punto di vista artistico ma ancor più prezioso sotto il
profilo sacro e devozionale (da
esso sgorgò il sudore durante il miracolo del 31 maggio 1842)
non rende giustizia all’iconografia ufficiale del Santo. L’immagine di
Casarano presenta un’evidente “latinizzazione” delle vesti
indossate dal Patriarca alessandrino. Eppure sappiamo benissimo che il
patriarcato di Alessandria d’Egitto era, ai tempi di San Giovanni, (ed è tuttora)
di rito greco ortodosso. La Chiesa ortodossa si differenzia da quella
Romana, oltre che per le Liturgie, anche per le vesti e i paramenti
ecclesiali. Il mezzobusto casaranese rappresenta san Giovanni con il
piviale (1) di foggia romana (caratterizzato dal
“razionale”(2),
il fermaglio con pietra preziosa puntato sul gancio e dallo “scudo”, non
visibile, cucito sulle spalle, segno della progressiva sclerotizzazione di
un antico cappuccio);
negli indumenti posti sotto il mantello, si scorgono un lembo della
stola (3)(di
colore uguale al piviale)
indossata ad uso romano (i
vescovi,
ed i sacerdoti fuori della Messa, la portavano semplicemente pendente sul
petto) e il
cingolo per sostenere il camice (4). Altro
particolare è rappresentato dalle “chiroteche” (5),
con le quali sono ricoperte le mani del Patriarca; sono
guanti di seta ricamata che indossavano i vescovi e i prelati nella
celebrazione delle funzioni pontificali. Il pastorale con
croce patriarcale (6), l’anello della mano destra
(7) e la croce pettorale (8), tutti in argento,
insieme alla mitra “cornua” con le “vittæ” (di
tradizione romana) (9) sono
posteriori alla realizzazione della statua.
|
1 - piviale |
2 - razionale |
3 - stola |
4
-
camice |
5
-
chiroteche |
6 - pastorale |
7
- anello |
8 - croce pettorale |
9
- mitra |
| Tutte
le immagini del Santo, presenti in Casarano, fanno esplicito riferimento a
questa iconografia; ecco alcuni esempi: |
| | | In questa tela,
San Giovanni è raffigurato col piviale mentre distribuisce la comunione,
secondo il rito romano. (si notano le particole nella pisside e l’ombrello
usato per accompagnare il Ss.mo Sacramento all'interno della chiesa
o all'esterno). |
Tutte queste raffigurazioni
si discostano notevolmente dall’immagine che è rappresentata su un antico
“santino” stampato nei primi anni del Novecento (tipografie
Rinaldini - S.Biagio dé Librai – Napoli).
Anzitutto sono le vesti liturgiche ad apparire diverse: infatti il Santo
veste il “sacco” e non il piviale. Il sacco, indumento della
chiesa ortodossa, non ha aperture e si infila direttamente dal capo. Si
nota, anche, come sia lungo il lembo dell’ ”epitrakilion”,
che si scorge sotto il sacco, corrispondente alla stola romana (che,
invece, non supera il ginocchio). Le mani sono libere da guanti mentre sul
sacco è appuntato l’ ”omoforio”, segno
distintivo episcopale, corrispondente al pallio utilizzato dai metropoliti
occidentali. Il segno più inconfutabile, però, è rappresentato dall’”epigonatio”,
un’insegna onorifica ortodossa. Essa è rappresentata dal rombo pendente
alla destra del Santo ed è tuttora in vigore nella Chiesa greco ortodossa.
|
Il
primo santino riproducente l’originale del novecento, disegnato dal
pittore Antonio Toma. Segni liturgici
episcopali ortodossi:
1. EPIGONATIO |
2. SACCO |
3. OMOFORIO |
4. MITRA |
5. PASTORALE |
In passato, i rapporti fra
Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa non erano dei migliori e il tentativo
di “latinizzazione” dei santi orientali era molto diffuso. Ecco come,
probabilmente, appariva la statua ai tempi della sua realizzazione:
Anche l’originaria mitra era di foggia romana,
bicuspidale con le due infule pendenti. A riprova di ciò, tutte le
immagini di San Giovanni presenti in chiesa Madre (statua dell’altare,
statua sulla facciata esterna, tele del Tiso nel coro…) e riconducibili
nella prima metà del 1700, rappresentano il Santo con la mitra “bicuspidale”. |
|
| Museo della
Valletta – Malta “San Giovanni Elemosiniere” | Chiesa
di San Giovanni Elemosiniere – Venezia
Tiziano: San Giovanni Elemosiniere |
|
|
PROBABILI CONCLUSIONI |
Fra il 1600 e il 1700, la statua lignea di
San Giovanni, proveniente da Venezia, giunge a Casarano; rappresenta il
Santo vestito con paramenti liturgici di stile romano (piviale, stola
pendente sul petto, mitra bicuspidale, chiroteche…). Da quel momento,
tutte le successive immagini del Patrono si uniformano a tale
raffigurazione (vedi tele del Tiso nel coro, statua in pietra sulla
facciata della chiesa, statua dell’altare…). Verso la seconda meta del
1700, il feudatario di Casarano, Duca Giacomo D’Aquino (1718-1788),
fervente devoto, incarica alcuni tipografi della Germania di stampare
diverse immagini del Santo. In quello stesso periodo, viene costruito, in
chiesa Madre, l’altare “intra oratorium”, (nella sagrestia) per la
conservazione del Ss. Sacramento, durante la settimana santa. La pala di
questo altare (distrutto nei primi anni ’70) è un dipinto ad olio dove san
Giovanni è rappresentato in maniera insolita rispetto all’iconografia
classica: invece di distribuire elemosine, riceve alcuni pellegrini che
gli offrono doni e mercanzie. Un particolare che si discosta dalle
immagini precedenti, è la mitra “cornua”. Che sia una copia delle
immaginette stampate in Germania? Sta di fatto che, in seguito, il presule
è raffigurato con questo tipo di mitra (statua della colonna, quadro di
via Astore, statua di San Giovanni “piccinnu”, conservata in chiesa
Madre…) e dopo la stampa di nuovi “santini” nel primo Novecento,
riaffiorano i paramenti ortodossi. Anche la statua lignea viene dotata,
oltre che ai vari oggetti in argento, di alcuni preziosi copricapi a due
punte.
San Giovanni Elemosiniere, come San
Nicola, entrambi vissuti oltre 4 secoli prima del grande scisma del 1054,
rappresentano ancor oggi, un traite d’union fra la Chiesa di Roma e
la Chiesa di Costantinopoli, interessate, ultimamente, in un progressivo
riavvicinamento dopo secoli di divisioni ed incomprensioni.
|
Santino -Ediz. F. Rinaldini e F.
- Napoli
|
|
|
Mi sono posto più volte la
voglia di studiare l'argomento che segue, ora che ho
ricevuto per e-mail questa ricerca svolta da Fabio
Cavallo, sempre preciso nei dettagli, la pubblico senza
aggiungere altro che i complimenti per l'ottimo lavoro.
Pino De Nuzzo
|
|
|
La collegiata di
Casarano
|
Due anni prima che si celebrasse il solenne rito
di consacrazione e dedicazione, (domenica 4 aprile 1723)
la parrocchia Matrice di Casarano fu elevata al grado di chiesa
collegiata, il 23 aprile 1721 con bolla vescovile di
mons. Antonio Sanfelice. L'istituzione della collegiata,
sia pur "ad instar" (1),
portò all'erezione nella chiesa stessa, del Capitolo
clericale, un collegio di sacerdoti preposti al decoro e
al culto delle varie liturgie che si celebravano nel
tempio.
|
Le chiese collegiate. |
Le collegiate
erano del tutto simili alle cattedrali ma, mancando la
figura del vescovo, non rappresentavano il senato
episcopale né coadiuvavano al governo diocesano. Esse
facevano da corona alla chiesa vescovile e i membri
appartenenti, oltre a curare le cerimonie liturgiche,
erano tenuti a far vita comune insieme. Potevano essere
collegiate a pieno titolo o collegiate "ad
instar". Ciò che differenziava le due tipologie di
chiese era l'onorificenza di "canonico" del
quale si fregiavano i componenti delle prime; le seconde
erano formate da semplici sacerdoti (2). Luogo
deputato per la recita dell'Ufficio, la partecipazione
alla messa "conventuale" e le eventuali riunioni
capitolari era il coro (o aula capitolare), posto dietro
l'altare maggiore (3). Sulla
parete che guardava frontalmente l'altare, vi erano gli
scranni riservati alle "dignità" del Capitolo,
mentre gli altri posti spettavano ai partecipanti.
L'ordine superiore era esclusivamente riservato ai
sacerdoti mentre i cosiddetti "beneficiari
minori" (chierici, accoliti, mansionari…)
occupavano posto nell'ordine inferiore. Il Capitolo poteva
essere "curato" o "non curato". Il
primo attendeva anche alla cura d'anime della parrocchia
tramite un parroco curato che solitamente era membro tra
le dignità. Il primo passo per la soppressione delle
collegiate si compì con le leggi n. 3848 del 1867 e 1403
del 1873 che prevedevano la scomparsa dei capitoli
collegiali non curati, esclusi quelli presenti a Roma e
nelle diocesi suburbicarie (4). La
revisione dei Patti Lateranensi fatta nel 1984, durante il
governo Craxi, mise termine alla vita delle collegiate che
durarono giuridicamente fino al 31 dicembre 1986. Le
chiese collegiate furono riportate al grado di semplici
parrocchie. (5)
|
La collegiata
di Casarano: ebdomadari e dignità. |
Il Capitolo
curato collegiato di Casarano contava, intorno alla prima
metà del Settecento, ben 17 sacerdoti partecipanti,
chiamati "ebdomadari" (dal lat. ebdomada=settimana).
(6)
Essi, in base ad appositi sorteggi riportati su liste e
registri conservati nella sagrestia, venivano
settimanalmente destinati a celebrare le messe legatizie
sugli altari della Matrice. Nelle messe solenni (Natale,
Pasqua, San Giovanni…) dovevano assistere alla liturgia
seduti nel coro con l'abito corale (abito talare nero,
cotta bianca e mozzetta violacea), intenti a cantare o
rispondere ai vari momenti della celebrazione. La prima
dignità del Capitolo era l'arciprete (il primo
prete) che nella stragrande maggioranza dei casi, fungeva
da parroco. A lui spettavano le celebrazioni in
"pompa magna" e aveva il privilegio di cantar
messa con la presenza del diacono e del suddiacono (7).
L'arciprete riscuoteva la maggior tariffa per pagamento di
messe e presiedeva nel coro durante l'Ufficio e le
riunioni periodiche. La seconda dignità presente nel
Capitolo casaranese era l'Arcidiacono, (il primo
dignitario). Era l' "alter ego" dell'arciprete
e, in alcune occasioni, lo sostituiva nelle celebrazioni (8).
Egli, che a dispetto del nome, era sacerdote, designava
periodicamente gli ebdomadari per l'ufficio di diacono e
di suddiacono, nelle messe solenni (9). Terza
dignità a seguire era il cantore, il quale
spettava di intonare in canto gregoriano, le lezioni
dell'Ufficio e i canti propri e le antifone della Messa.
Il primicerio, quarta dignità dopo l'arciprete era
il preposto all'educazione dei beneficiati minori, i quali
in rare occasioni officiavano come diaconi. Spesso, però
taluni gradi di dignità erano semplicemente conferiti per
pura onorificenza (10). Due altre
figure cosiddette "tecniche" completavano la
composizione del Capitolo: il vicario foraneo,
rappresentante episcopale nella foranìa di zona (11)
e il procuratore, che gestiva gli affari economici
del sodalizio. Ovviamente la figura del vicario era scelta
direttamente dal vescovo mentre il procuratore veniva
eletto in forma segreta dai componenti del Capitolo, ogni
anno a fine agosto. Per questioni della massima
importanza, venivano tenuti in considerazione anche il primo
anziano e il secondo anziano che sedevano
rispettivamente alle estremità degli scranni frontali. |
|
Le processioni. |
Al Capitolo
erano riservate le solenni processioni dell'anno, quella
del "Corpus Domini" obbligatoria per norma del
diritto canonico e quelle patronali di San Giovanni e
della Madonna della Campana, chiamate, per l'appunto
"capitolari". C'era l'obbligo della
partecipazione di tutti i membri, se non impediti da cause
gravi, e si disponevano in file per due secondo il
seguente schema.
|
Nelle processioni ordinarie, l'arciprete
(o colui che trasportava il reliquiario) era affiancato
dall'arcidiacono e dal cantore che gli tenevano i lembi
della cappa magna (il piviale liturgico). Per le processioni
solenni, due ebdomadari o i mansionari vestiti coi
paramenti del diacono e del suddiacono attendevano a tale
servizio. La berretta nera era obbligatoria per tutti
mentre la mozzetta con pelliccia di ermellino, che era
cucita davanti, era usata nelle occasioni solenni. Il
privilegio di portare questo raffinato paramento era
esclusivamente concesso dal Pontefice, con biglietto
chirografo (12). |
Le esequie
funerali. |
Le esequie
funerali competevano esclusivamente al Capitolo cittadino,
indipendentemente dalla parrocchia di appartenenza del
defunto. Le esequie erano classificate in due riti: il
duplice e il semplice. Le esequie di rito duplice, a loro
volta si distinguevano di I e II classe. Per il rito
duplice di prima classe si pagava al Capitolo l'offerta
"sana" (=intera) per cui il funerale era
celebrato con solennità. Il clero salmodiante, partendo
dalla chiesa Madre arrivava a casa del defunto per la
levata del cadavere. L'arciprete, o un sostituto, vestiva
con cappa magna nera sollevata dai diaconi, con dalmatica
scura e veniva preceduto dai sacerdoti in mozzetta
violacea. In chiesa, si recitava l'ufficio dei Morti
al quale seguiva la Messa cantata solenne. Il cadavere
veniva poggiato di fronte all'altare maggiore, sul
"catafalco", ingombrante costruzione di legno
addobbata con paramenti scuri. La bara si circondava da
ceri accesi. Al termine dell'officiatura, il Capitolo
accompagnava il corteo "… fino all'ultima casa di
via Matino…" come prescriveva l'ordinamento dei
riti capitolari. Simile alla prima classe era il funerale
di seconda il quale, però, essendo pagato a "mezza
offerta" (menza 'nferta) era privo del carattere
di solennità. Il clero vestito con l'abito corale
(talare, cotta, mozzetta e stola nera) muoveva a casa del
defunto per poi dirigersi in chiesa. Lì veniva,
solitamente, recitato l'ufficio funebre e impartito il
rito di assoluzione del cadavere, poi soltanto il parroco
accompagnava il feretro per l'ultimo tragitto. I funerali
semplici spettavano ai meno facoltosi e non competeva
alcuna tariffa; in questo caso, un solo sacerdote
prelevava l'estinto dalla casa e lo accompagnava in chiesa
per i riti prescritti.
|
L'ufficio delle tenebre. |
E' noto che le
liturgie preconciliari (rimaste in vigore fino al 1965)
erano dense di teatralità, di simbolismi e di gestualità.
In seguito alla controversa riforma liturgica scaturita
dal Concilio ecumenico Vaticano II, tutto il cerimoniale
della Chiesa romana è stato fortemente semplificato in
modo da far risaltare il messaggio intrinseco e non la
spettacolarità della liturgia. Fra questi riti soppressi,
spettanti al Capitolo, vi era l'ufficio delle tenebre,
popolarmente conosciuto come "terremoto", tipico
della settimana santa. Si trattava della recita del
"mattutino" e delle "laudi" previste
per il triduo pasquale (giovedì, venerdì e sabato santo)
(13).
Data, però, la lunghezza di questi brani, l'ufficio si
anticipava alla sera del giorno precedente. Da qui
scaturiva il nome di "officium tenebrarum" in
quanto la recita terminava quando già erano calate le
tenebre. Il titolo, simbolicamente, indicava anche le
"tenebre" del peccato scaturite dalla morte di
Cristo. I sacerdoti del Capitolo prendevano posto in coro
nel modo consueto, mentre il cerimoniere disponeva di
fronte all'altare maggiore, la saetta, un candelabro a
forma di triangolo (forte allusione alla Ss. Trinità)
dove ardevano quindici candele. S'iniziava la recita o il
canto dei salmi e dei cantici e al termine di ogni brano,
si spegneva una candela partendo dal basso. Verso la fine
dell'ufficio, gradualmente venivano spente pure le luci
della chiesa e i sei candelabri dell'altare maggiore.
Rimaneva accesa la candela posta sulla sommità della
saetta. Essa rappresentava Cristo, luce del mondo che da lì
a poco sarebbe stato sacrificato per la salvezza degli
uomini. Infatti dopo l'orazione conclusiva, il cerimoniere
prendeva l'ultima candela e la nascondeva dietro l'altare,
nella parte destra, facendo rimanere al buio, tutta la
chiesa. Ed ecco che cominciava il "terremoto":
tutti i presenti, compresi i sacerdoti, battevano con i
piedi e con le mani sui banchi provocando un fragoroso
rumore, quasi a simulare gli sconvolgimenti della natura a
seguito della morte di Cristo (14).
Appena la candela ricompariva sul candelabro, si
riaccendevano le luci e il rito terminava. Il tutto si
ripeteva nei giorni seguenti con una variante, il giovedì
santo. Dopo l'ufficio delle tenebre, il predicatore
quaresimalista, posto sul pulpito, dava prova della sua
oratoria, in attesa che arrivasse la confraternita
dell'Immacolata. Era tradizione, durante la sera del
giovedì, che le confraternite maschili cittadine, vestite
col sacco e col cappuccio abbassato, girassero in
processione per le chiese cittadine portando una statua
dell'Addolorata che, simbolicamente, andava a visitare il
Figlio nei "sepolcri" allestiti. Non appena, la
confraternita giungeva in chiesa madre, il suono lacerante
di una tromba faceva piombare tutti nel silenzio più
assoluto. Il predicatore, allora, pronunciava con tono
grave: "Maria, ecco tuo Figlio!" e la statua
entrava in chiesa attraversando la navata centrale. Giunta
ai piedi del pulpito, il predicatore consegnava nella mani
di Maria, un crocefisso, segno inconfutabile della
Passione, mentre tutti si struggevano in lacrime.
|
|
Elenco degli arcipreti e
delle dignità del Capitolo di Casarano
ARCIPRETI CURATI
|
A R C I P R E T I |
Città di nascita |
DAL |
AL |
Don Agostino Bove |
Galatone |
1999 |
… |
Mons. Decio Merico |
Parabita |
1972 |
1999 |
Don Cosimo Conte |
Melissano |
1950 |
1971 |
Don Otello De
Benedictis |
Nardò |
1931 |
1950 |
Mons. Gregorio
Falconieri |
Nardò |
1927 |
1931 |
Don Luigi Bona |
Nardò |
? |
1927 |
Don Giuseppe Ottaviano |
Casarano |
? |
? |
Don Raffaele Manuli |
? |
1892 |
|
Don Giorgio Romano |
? |
1842 |
1891 |
Don Isidoro Lezzi |
? |
1802 |
1842 |
Don Lazzaro Metafuni |
? |
1780 ? |
1802 |
Don Domenico Angelo
D'Elia |
? |
1770 |
1780 |
Don Lazzaro Spano |
? |
1768 |
1770 |
Don Donato Spano |
? |
1732 |
1768 |
Don Paolo De Donatis |
? |
1705 |
1728 |
Don Daniele Calo' |
? |
1679 |
1705 |
Don Pietrantonio De
Pennis |
? |
1656 |
1679 |
Don Marcello D'Elia |
Casarano |
? |
1656 |
|
DIGNITA' e PARTECIPANTI
(dalla metà del 1600 al 1950)
|
Don Ferdinando
Dongiovanni |
Arcidiacono |
Abate Don Matteo D'Aquino |
Arcidiacono |
Don Antonio D'Aquino |
Arcidiacono |
Don Giuseppe Casarano |
Arcidiacono e vicario
f. |
Don Giuseppe Nicola
Gaballone |
Cantore |
Don Leonardo
Vernaleone |
Cantore |
Don Francesco Maria
Vernaleone |
Cantore |
Don Quintino Borgia |
Diacono |
Don Domenicantonio
Vernaleone |
Ebdomadario |
Don Giovanni Leonardo
De Donatis |
Ebdomadario |
Don Andrea Calbano |
Ebdomadario |
Don Giuseppe Diaz Del
Gado |
Ebdomadario |
Don Salvatore Vitali |
Ebdomadario |
Don Domenico
Pellegrino |
Ebdomadario |
Don Paolo Casarano |
Ebdomadario |
Don Scipione Casto |
Ebdomadario |
Don Leonardo Cavalera |
Ebdomadario |
Don Epifanio Ferilli |
Ebdomadario |
Don Giuseppe Marrella |
Ebdomadario |
Don Giovanni
Primiceri |
Ebdomadario |
Don Pietro Paolo Reho |
Ebdomadario |
Don Nicola Memmi |
Ebdomadario |
Don Giuseppe De
Donatis |
Primicerio e cantore |
Don Onofrio Gaballone |
Procuratore |
Don Luca Paiano |
Procuratore e vicario
f. |
Don Andrea Papa |
Vicario foraneo |
Don Alfonso Ottaviano |
Vicario foraneo |
Don Felice De Giorgi |
Vicario foraneo |
|
|
|
Note:
-
Dal
latino: ad instar = simile a.
-
Nella
diocesi di Nardò, dipendevano dalla cattedrale due
chiese propriamente collegiate (Copertino e Galatone)
e due "ad instar" collegiate (Casarano e
Parabita).
-
Il coro
ligneo di Casarano è opera dell'intagliatore bavarese
Giorgio Auer che lo realizzò similmente a quello
della cattedrale di Gallipoli. Sua è anche la
balaustra della cantoria dove è posto l'organo del
1770. Nel Medioevo, i cori erano disposti davanti
all'altare maggiore, in seguito, durante il
Rinascimento, furono collocati dietro, nell'abside.
-
Le sedi
suburbicarie sono le sette diocesi che confinano con
quella di Roma (Ostia, Albano, Frascati, Palestrina,
Porto S. Rufina, Sabina - Poggio Mirteto, Velletri) e
sono guidate da Cardinali dell'ordine dei Vescovi.
-
L'art.
14 della legge 20.05.1985 n. 222 "Sostentamento
del Clero" dice: "Dal 1° gennaio 1987,
su richiesta dell'autorità ecclesiastica competente
può essere revocato il riconoscimento civile (personalità
giuridica) ai capitoli cattedrali e collegiali non
più rispondenti a particolari esigenze e tradizioni
religiose e culturali della popolazione…".
-
Nel
calendario liturgico proprio del 1974, la curia di
Nardò indicava la Chiesa di Casarano "chiesa ad
instar collegiata" e i sacerdoti partecipanti
erano in otto: Arciprete Don Decio Merico, Don Antonio
Albano, Don Luigi Ferilli, Don Giovanni Battista
Borgia, Don Angelo Pino, parroco Don Raffaele Martina,
Don Giuseppe Pulieri, parroco Don Gaetano Filograna.
-
L'ordine
del suddiaconato fu soppresso nel 1971 a seguito del
rifacimento del "Pontificalis Romano", il
libro delle liturgie vescovili. Il ministero del
suddiacono era quello di leggere o cantare l'epistola
e il graduale (la prima lettura e il salmo
responsoriale) durante la messa, di versare l'acqua
nel calice all'offertorio e di compiere le
purificazioni dei vasi e dei calici dopo la comunione.
Era addetto, inoltre, allo spostamento del messale ai
due corni dell'altare. Poteva essere consacrato
diacono dopo tre mesi di suddiaconato. Le vesti
proprie erano il manipolo (attaccato al polso
sinistro) e la tunicella. Non indossava la stola.
-
Può
essere comparato all'odierno vicario parrocchiale (il
vice parroco).
-
E' bene
specificare che, dopo la riforma del Concilio Vaticano
II, un sacerdote non può officiare ad una funzione
liturgica nelle vesti di diacono o compiendo altri
uffici che non gli competono. Un tempo, però tale
consuetudine era alquanto praticata.
-
Altre
dignità di un Capitolo sono: il priore (titolo
puramente onorifico), il tesoriere (addetto al tesoro,
alle reliquie e ai preziosi della chiesa), il teologo
(interprete delle sacre scritture), il prevosto
(curatore della disciplina del Capitolo), il decano
(il più anziano dei sacerdoti).
-
Attualmente
la diocesi di Nardo' e Gallipoli è territorialmente
organizzata in sei foranie: Nardò (intitolata a San
Gregorio), Gallipoli (Sant'Agata), Copertino (San
Giuseppe da Cop.), Galatone (Ss. Crocefisso), Casarano
(B.V.M. Coltura), Alliste (B.V.M. Madre della Chiesa).
-
Dal
latino: chirographu(m), chiro 'mano' e graphum 'scrittura'.
Documento autografo del Papa.
-
Prima
del Concilio, le ore liturgiche erano 8: mattutino
(prima dell'alba, intorno alle ore 3 o 4), laudi
(all'alba, ore 5 o 6), prima (ore 7), terza (ore 9),
sesta (mezzodì), nona (ore 15), vespri (al
crepuscolo), compieta (prima di coricarsi). Ora sono
ridotte a 5: ufficio delle letture, lodi mattutine,
ora media, vespri e compieta.
-
Alcuni
libri di preghiere identificano il frastuono finale
dell'ufficio nelle frustate che Gesù ricevette legato
alla colonna del Sinedrio, oppure gli schiamazzi del
popolo che gridava a Pilato "crocifiggilo".
|
|
Ulteriore ed autorevole conferma sui natali di Papa Bonifacio IX |
|
Caro
Pino,
finalmente abbiamo un'autorevole conferma che Bonifacio IX è
nato a Casaranello.
Essa
viene niente meno che dal regnante Pontefice, Giovanni Paolo II,
che citò Casarano "...patria di Bonifacio IX..." nel discorso di
commiato pronunciato all'aeroporto di Galatina, al termine della
visita pastorale ad Otranto (1980). Nonostante tale discorso si
trovi sul sito web del Vaticano (precisamente negli atti
ufficiali del Pontefice) ancora oggi è considerata Napoli, la
città di nascita di Pietro Tomacelli. Dunque, ti allego il file
sperando che, ben presto, sia noto a tutti che anche Casarano ha
dato i natali ad un successore di san Pietro. Ti saluto. Fabio
(N.d.R.:
Come al solito, mentre noi si aspettava di ricevere la copia di
“Avvenire” del 6 ottobre 1980, dove era trascritto il discorso
di commiato del Papa, Fabio Cavallo, con la sua solita
puntigliosità certosina è riuscito, per l’ennesima volta a
sorprenderci piacevolmente. Bravo Fabio, alla prossima!)
|
VISITA
PASTORALE AD OTRANTO
DISCORSO DI COMMIATO
DI GIOVANNI PAOLO II
Aeroporto di Galatina (Lecce), 5 ottobre 1980
Illustri Autorità del Governo, della Regione e della
Provincia, Egregio Signor Sindaco,
Cari fratelli e figli!
1.
Prima della mia partenza dalla Terra Pugliese mi è assai
gradito intrattenermi, sia pur per brevi istanti, in
questa vetusta città di Galatina, la quale - secondo
un’antica tradizione - sarebbe stata evangelizzata da San
Pietro, che, nel suo viaggio verso Roma, avrebbe qui fatto
una sosta. Vi sono veramente riconoscente per avermi dato
questa gioia: ringrazio prima di tutto il caro Arcivescovo
di Otranto e il Sindaco per le loro affettuose parole;
ringrazio con sincera deferenza il Prefetto della
provincia di Lecce ed il consiglio comunale di tale città,
al quale esprimo il mio vivo rammarico per non aver potuto
accogliere in questa circostanza l’invito, per altro molto
gradito, a visitare Lecce, ed a cui affido l’incarico di
portare un affettuoso saluto all’intera cittadinanza.
Con
pari intensità di sentimento esprimo la mia riconoscenza
ai numerosi lavoratori di Casarano, patria di Bonifacio
IX e importante centro industriale del Salento.
Ringrazio poi i Comandanti Militari di questa Regione
Aerea e dell’Aeroporto con i dipendenti e i familiari; ma
soprattutto ed in special modo intendo porgere il mio
sentito e cordiale ringraziamento a tutti voi, cittadini
di Galatina e del Salento, che avete voluto stringervi
attorno al Papa in questo incontro vespertino. Vi dirò con
San Pietro: “Pace a voi tutti che siete in Cristo!” (1Pt
5,14).
Questa
sosta che voi avete desiderato e preparato con tanta
premura era per me un dovere, perché anche la vostra città
fu unita ad Otranto nella dolorosa prova di fede e di
amore, che oggi abbiamo commemorato.
2.
Nell’assicurarvi del mio affetto e della mia preghiera,
desidero testimoniarvi che nel mio cuore trovano eco i
vostri problemi, le vostre sofferenze, la vostra tenacia,
le vostre speranze e le vostre gioie. Vorrei che voi foste
sempre sereni e felici! Vorrei che la vostra esistenza
fosse sempre colma di letizia e di soddisfazione! So bene
invece come talvolta precarie e avverse circostanze della
vita e della storia rendano difficili certe situazioni; so
quanto è dura l’esperienza dell’emigrazione, quanto è
amara la disoccupazione, specialmente dei giovani e dei
padri di famiglia. La Chiesa e il Papa sono vicini a tutti
e specialmente a coloro che sono più di altri provati.
A
tutti rivolgo l’augurio, che nasce da un cuore che tutti
ama; augurio di serenità e di prosperità, augurio di
elevazione sociale, augurio di un ordinato progresso
civile.
Mentre
mi compiaccio della vostra laboriosità e delle opere già
compiute per il bene comune, desidero esortarvi a
perseverare con coraggio e con costanza nel cammino del
vostro sviluppo, venendo incontro, insieme ai Responsabili
della Comunità, alle necessità e ai bisogni dei fratelli.
3. Ma
vorrei anche lasciarvi un ricordo spirituale che vi serva
come programma di vita e come ispirazione nei momenti
importanti delle vostre decisioni. Che cosa vi posso dire
se non ciò che San Pietro scriveva ai primi cristiani:
“Resistete saldi nella fede!” (cf. 1Pt 5,9). Sì, miei cari
figli, mantenete ferma la vostra fede in Gesù Cristo, come
fecero i Martiri di Otranto!
Mantenete ferma la vostra fede nei momenti della prova e
della sofferenza, ricordando ciò che lo stesso Pietro
scriveva: “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze
di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione
della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare...
Infatti, se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca;
glorifichi anzi Dio per questo nome!” (1Pt 4,13.16).
Mantenete ferma la vostra fede specialmente nel turbinio
della storia, che tutti ci avvolge, e talvolta ci
travolge, con i suoi contrasti e i suoi drammatici
avvenimenti. Nella misteriosa dialettica tra libertà umana
e grazia divina, tra peccato dell’uomo e Redenzione di
Cristo, non siamo soli. Mi piace ripetere anche a voi ciò
che dissi a Le Bourget durante il mio viaggio a Parigi:
“Il problema dell’assenza di Cristo non esiste. Il
problema del suo allontanamento dalla storia dell’uomo non
esiste. Il silenzio di Dio nei confronti delle
inquietudini del cuore e della sorte dell’uomo non esiste.
Non
c’è che un solo problema che esiste sempre ed ovunque: il
problema della nostra permanenza in Cristo. Della nostra
intimità con la verità autentica delle sue parole e del
suo amore”. (Giovanni Paolo II, “Homilia in aëronavium
portu “Le Bourget” prope Lutetiam Parisiorum ad
Christifideles ibidem congregatos abita”, die 1 iun.
1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1
[1980] 1592.) Talvolta l’orizzonte della storia si oscura
e gli animi tremano di fronte alla potenza terribile
dell’odio e della violenza. Tenete ferma la fede in Gesù:
Egli è la nostra pace e guida gli avvenimenti per il bene
di coloro che amano Dio umilmente e lo servono nei loro
fratelli. “Siate vigilanti - vi dico ancora con San Pietro
- fissate ogni speranza in quella grazia che vi sarà data
quando Gesù Cristo si rivelerà... Ad immagine del Santo
che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la
vostra condotta” (1Pt 1,13.15).
4.
Carissimi, eccoci giunti al momento dell’addio, mentre
scendono le tenebre della notte e si sono accese le luci
nelle case e nella città: bisogna partire!
La
tradizione dice che i Cristiani di Otranto, camminando
verso la collina del martirio, intrepidi ma anche
umanamente angosciati e sgomenti, invocarono Maria
Santissima, per avere soccorso e coraggio. Pregatela anche
voi sempre, durante il viaggio della vostra vita, affinché
tutti possiamo un giorno meritare la felicità del cielo
per cui unicamente siamo stati creati!
La
Vergine Santa protegga la vostra città!
I
Martiri intercedano per voi!
E vi
accompagni la mia Benedizione, che di cuore vi imparto,
implorando l’assistenza divina per il prospero avvenire di
questa illustre città e dell’intera popolazione del
Salento e delle Puglie.
Ed a
ricordo di questo incontro, sono lieto di benedire
l’immagine della Madonna di Czestochowa, destinata alla
nuova chiesa che si sta costruendo nel quartiere San
Sebastiano di questa città.
tratta da:
http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/1980/october/documents/hf_jp-ii_spe_19801005_partenza-otranto_it.html |
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UNA
BREVE INTRODUZIONE
La scomparsa della
Messa papale solenne, caratterizzata da uno sfarzoso
cerimoniale, misto fra liturgia ed etichetta
cortigiana, è da attribuirsi principalmente
all'avvento della Televisione che, a partire dagli
anni Sessanta, sempre più frequentemente trasmetteva
le celebrazioni pontificie. Nel secolo contrassegnato
dalla disfatta delle grandi case reali europee, era
anacronistico, per milioni di telespettatori sparsi
nel mondo, vedere il vicario di Cristo e successore di
Pietro entrare, nella Basilica vaticana, come un
sovrano medievale tra squilli di trombe, con tanto di
corona (1),
portato sulla sedia gestatoria con i flabelli
(2)
e attorniato da cortigiani che indossavano abiti da
cavalieri spagnoli. A tal proposito il cardinale
Annibale Bugnini, principale artefice della riforma
liturgica postconciliare affermava che “…certi usi
medievali, portati fuori dell’ambiente romano a gente
di altre religioni o non credente, danno luogo ad
interpretazioni diverse e non sempre positive. Il Papa
deve apparire a tutti come successore di Pietro, servo
dei servi di Dio e non come un principe del medioevo.”
(3).
In effetti, la psicologia dell'uomo moderno non
accettava più quel miscuglio tra vita cortigiana e
rito religioso. Bisognava, inoltre, sfatare il
concetto di Chiesa-regno ed evitare che lo sfarzo
delle cerimonie vaticane nascondesse, in sostanza,
l’inadeguatezza della Chiesa romana ad affrontare le
problematiche della moderna società. Il
progetto di riforma della “Cappella papale” fu
iniziato dall’Ufficio delle celebrazioni pontificie
nel febbraio 1965, sotto il pontificato di Paolo VI e
si concretizzò gradualmente fino agli inizi degli anni
70. Scomparvero definitivamente alcune tradizionali
figure tra cui gli assistenti al soglio che
affollavano l’altare e il trono del Papa, il
patriziato romano, i corpi armati e i dignitari della
corte pontificia che partecipavano alle liturgie senza
alcun compito, furono rinnovate e semplificate le
sacre vesti e le suppellettili, rivisti il canto e la
musica; in sintesi fu ricondotto l'intero canovaccio
della celebrazione ad uno stile semplice ed austero o
più precisamente alla "nobile semplicità" sancita dal
Concilio Vaticano II. La riforma di tutto il
cerimoniale romano comportò inevitabilmente, oltre la
Messa, la revisione di molti riti che, di norma,
segnano la vita pontificale del Papa, dai novendiali
al conclave, dall'incoronazione ai Pontificali. E
proprio su alcuni di essi, rimasti in vigore fino al
Concilio, sarà incentrata questa ricerca che avrà
l'esclusivo compito di descriverne gesti e cerimonie,
evitando di sfociare negli aspetti dottrinali e
teologici che ogni rito porta con sé. Si tratterà di
una semplice esposizione cronologica dei principali
momenti di alcune solenni celebrazioni che, fino a
pochi decenni addietro, riecheggiavano sotto la cupola
michelangiolesca.
I RITI D'INTERREGNO
La morte del Pontefice e
i novendiali
I riti d'interregno,
indubbiamente, sono tra quelli che suscitano maggiore
attenzione ed emozione in tutto il pianeta non solo
per l’importanza che la persona del Pontefice riveste
ovunque ma perché nel giro di poche settimane,
suscitano nella Chiesa due sentimenti contrapposti: il
lutto più profondo per la morte del Papa e la gioia
più estrema a seguito dell'elezione del successore.
Sostanzialmente la riforma liturgica non ha intaccato
l'«Ordo exsequiarum Summis Pontificis», il
complesso rituale funebre. Il decesso del Pontefice da
inizio ai cosiddetti "novendiali", cioè a nove giorni
di lutto solenne; inoltre, da quel momento, più di un
terzo delle alte cariche vaticane vengono ad essere
vacanti.
S'inizia
con una serie di cerimonie, la prima delle quali è la
solenne ricognizione del corpo e la constatazione
dell'avvenuta morte. Il cardinale che ha il titolo di
Camerlengo di S. R. C., oppure il decano del Sacro
collegio, se tale carica non è stata assegnata, si
reca processionalmente nella stanza del defunto,
insieme ad un notaio e al maestro delle cerimonie. Il
cardinale, entrando, si inginocchia e prega accanto
alla salma; quindi solleva il velo bianco posto sul
viso e annuncia solennemente :"Vere Papa N. mortus
est". Dopo la recita dell'ufficio dei defunti e la
benedizione con l'acqua santa, il prelato firma il
rogito di constatazione della morte. Da quel momento,
egli prende possesso dei palazzi vaticani apponendovi
i sigilli alle stanze private dell'estinto di cui,
dopo aver spezzato l'anello piscatorio, provvede alla
conservazione delle spoglie terrene. Espletati questi
riti, viene dato l'annuncio ferale alla Corte
Pontificia, alla Curia Romana e all'intera
Cristianità.
Alquanto
vistosi sono i segni esteriori che seguono tale
avvenimento; le bandiere del Vaticano sono poste a
mezz'asta e la porta bronzea dell'Arco delle Campane,
che da accesso al piccolo stato, è semichiusa. I
cardinali abbandonano le loro sontuose vesti di
porpora e indossano, fino all'elezione del nuovo papa,
la veste talare violacea, il rocchetto semplice
sguarnito di ricami e pizzi e la mozzetta nera o
violacea. Il "campanone" della basilica inizia il
suono del "mortorio" al quale si aggiungeranno, ben
presto, tutte le campane di Roma e del mondo intero.
Anche lo stemma papale subisce alcune modifiche e le
chiavi, segno dell’autorità del Pontefice, passano
nell'arme del cardinale camerlengo che le pone
accollate sopra lo scudo. Infatti sino alla elezione
del nuovo papa è colui che deve amministrare la
Chiesa. Con l'assistenza dell'archiatra, il medico
personale del Papa, viene eseguita l'imbalsamazione
del corpo per permetterne la conservazione durante i
sei giorni di esposizione, mentre non è assolutamente
consentita l'autopsia. La salma, vestita degli abiti
non pontificali
(4) dal momento
del decesso fino al mezzogiorno seguente è esposta
nelle stanze del palazzo apostolico per essere
visitata dai familiari
(5)
e dai più intimi collaboratori del Papa.
Dopo
i fatti successi alla morte di Pio XII, una rigida
regola vieta di fotografare il defunto pontefice se
non vestito pontificalmente
(6).
La seconda esposizione si tiene nella Cappella sistina
dove avvolto negli abiti pontificali di color rosso,
(7)
il corpo del Pontefice giace per tre giorni di fronte
all'affresco del Giudizio. Nel “sacellum sixtini” si
avvicendano, per le visite, i capi di stato e di
governo di molti paesi, il collegio cardinalizio, il
patriziato romano, consoli e ambasciatori accreditati
presso la Santa Sede.
Ma il momento più
emozionante è rappresentato dal pellegrinaggio di
milioni di fedeli che, dal quarto giorno, si accalcano
sul sagrato e nella navata della Basilica di San
Pietro per vedere ancora una volta il Santo Padre.
All’uopo,
viene realizzato, di fronte all’altare della
Confessione, un imponente catafalco con drappi di
color rosso-violaceo, circondato da alti candelieri,
(8)
su cui è adagiato il corpo. Un manipolo di guardie
svizzere e della guardia palatina
(9)
fa servizio d’onore intorno alla struttura.
Incessante è la
preghiera per l’anima defunta che si eleva tra le
volte della Basilica: i cardinali presenti in Roma, i
canonici del capitolo di San Pietro e il coro si
alternano nella recita dell’ufficio funebre e delle
messe di requiem, sui vari altari del tempio. Il
funerale solenne è celebrato il sesto giorno dal
cardinale decano dell'ordine dei vescovi che presiede
all'ufficio, alla Messa cantata
(10)
e ai riti di chiusura della salma nelle tre casse
prescritte.
Il
feretro abbandona la Basilica, passando dalla porta
della morte per essere tumulato nelle grotte vaticane,
accanto alla tomba del principe degli Apostoli e degli
altri pontefici. Per i restanti tre giorni, nella
Basilica, continuano le messe in suffragio in attesa
degli ultimi cardinali che, per varie ragioni, non
hanno ancora raggiunto Roma.
Note:
-
La tiara, o triregno,
era il copricapo del Pontefice usato nelle funzioni
extraliturgiche, in vigore fino al pontificato di
Paolo VI. Le tre corone - forte allusione alla S.
Trinità - significavano che il papa rappresentava le
tre Chiese trionfante, militante e purgante, oppure
il dominio sulle regioni del Cielo, della terra e
degli Inferi, o ancora la triplice sovranità del
capo della Chiesa, consistente nella sovranità
spirituale sulle anime; regalità temporale sugli
Stati romani; sovranità eminente su tutti i sovrani
della terra.
-
I flabelli papali erano
due ampi ventagli di piume di pavone maschio, muniti
di asta, con cui si accompagnava il pontefice
durante gli spostamenti con la sedia gestatoria.
-
A. Bugnini , "La riforma
liturgica (1948-1975)" - Edizioni liturgiche, Roma.
-
Gli abiti non
pontificali consistono, solitamente, nella veste
talare bianca, il rocchetto (simile alla cotta che
usano i sacerdoti ma più lungo e con le maniche
strette fino ai polsi) e la mozzetta rossa guarnita
di pelliccia d'ermellino.
-
Per familiari
s'intendono coloro che sono insigniti da particolari
onorificenze o che assistono alla vita privata del
Papa. La famiglia pontificia si divide in
ecclesiastica e laica. Fanno parte i Protonotari
apostolici, i cappellani di S.S., i principi
assistenti al soglio, i camerieri segreti di cappa e
spada e molte altre figure. Alcuni sacerdoti di
Casarano sono stati insigniti di tali cariche
onorifiche: Mons. Salvatore Rizzello, per molti anni
vicario generale della diocesi di Nardò, era
protonotaro apostolico mentre i monsignori Raffaele
Martina (+), Gaetano Filograna e Decio Merico sono
cappellani di S.S. .
-
Il dottor Galeazzi Lisi,
archiatra di Pio XII, durante gli ultimi giorni di
malattia con una piccola "Leyca", aveva ripreso il
papa pallido ed emaciato, accasciato sul lettino, la
testa tra due cuscini, con la cannula dell'ossigeno
alle narici e le palpebre abbassate. La stessa cosa
fece al momento della morte fotografando la salma
adagiata sul lettino e rivendendo i negativi ad un
periodico francese.
-
Gli abiti pontificali
che il Papa indossava, prima della riforma
liturgica, erano 16: sulla veste talare, il
rocchetto, l'amitto, il camice, il cingolo, il
succintorio, il primo fanone, la stola, la falda, la
tunicella, la dalmatica, la pianeta, il secondo
fanone, i calzari e i sandali, le chiroteche e la
mitra o la tiara. Il manipolo veniva indossato al "confiteor".
-
La riforma liturgica ha
previsto che accanto alla salma di un defunto deve
ardere soltanto il cero pasquale.
-
La guardia palatina, uno
dei servizi di vigilanza vaticana insieme alla
Guardia Svizzera e alla Gendarmeria pontificia, è
stata soppressa nel 1970.
-
Il messale preconciliare
prevedeva una messa "pro defuncto summo pontifice".
Didascalie delle immagini
immagine n. 1: Pio XII in abiti non pontificali.
immagine n. 2: Lo stemma del Camerlengo, durante
la sede vacante.
immagine n. 3: Pio XII fotografato da Galeazzi
Lisi, pochi istanti dopo la morte.
immagine n. 4: Pio XII in abiti pontificali sul
catafalco in San Pietro.
immagine n. 5: Il catafalco circondato dai
candelieri.
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