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Notizie dai conflitti nel mondo

 

-

 CAMPAGNA DI ARRUOLAMENTO PER LA PACE

Vogliamo un mondo basato sulla giustizia e sulla solidarietà.

Ripudiamo la violenza, il terrorismo e la guerra come strumenti per risolvere le contese tra gli uomini, i popoli e gli stati.


Chiediamo che l'Italia, di fronte alla minaccia di un attacco militare contro l'Iraq, non partecipi ad alcun atto di guerra, nel rispetto della Costituzione.


Non vogliamo essere corresponsabili di nuovi lutti, né vogliamo alimentare la spirale del terrore.

Basta guerre, basta morti, basta vittime.

        

Guerra all'Iraq, news e approfondimenti dall'informazione indipendente: Carta, Indymedia, War News, Peacelink, Vita, Clarence WWWar, Global Radio, Znet, Blogger di guerra, Nuovi Mondi Media, Al Jazira, Misna, Arab Monitor, Il Manifesto, Radio Popolare, MediaWatch, The War in Context, Internazionale, Counterpunch, Alternet, Antiwar, Media Workers Against War, MediaLens, Propaganda Matrix, Unimondo, comedonchisciotte 

Nuovimondimedia.it e' indicato come uno dei migliori siti italiani di controinformazione sulla guerra dal portale Indymedia. Complimenti a questi amici che sono tra i pochi a tradurre testi e articoli da tutto il mondo.

Il turista della democrazia di Marco c.

L’imbarazzante presenza dell’artista delle televendite Silvio Berlusconi si è materializzata a Strasburgo e subito tutti coloro che ancora non avevano avuto il piacere di apprezzare l’istrionesco genio del Cavaliere senza macchia e senza paura si sono resi immediatamente conto della calamità.
Il plenipotenziario in doppiopetto, autoproclamatosi Presidente dell’Unione Europea ha subito messo in chiaro di non sopportare alcuna forma di contestazione, che in quanto tale non può che risultare antidemocratica.
Proprio per rendere edotti gli astanti sui fondamenti della democrazia, a lui tanto familiari ha ritenuto giusto profondersi in un’invettiva “fallace” degna della sua fama.
La prima vittima del Don Rodrigo dagli italici natali è stato il parlamentare tedesco Martin Schultz che ne aveva osato contestare il curriculum giudiziario, venendo di conseguenza apostrofato quale Kapò nazista da inserire in un fantomatico film sull’olocausto che si starebbe producendo in Italia.
Rotto il ghiaccio con questa piccola esternazione carica d’ironia, il Berlusconi dall’eloquio forbito non è più riuscito a controllarsi e ha dato pieno sfoggio della sua passione per la boutade.
“Smettete di leggere quei giornalacci di estrema sinistra che formano il vostro pensiero” ha detto ai parlamentari che lo contestavano, trattandoli di conseguenza come bambini scemi condizionati dalle “cattive letture”.
E poi avanti a ruota libera, “voi di sinistra siete turisti della democrazia” ed altre esternazioni riguardanti l’Italia, i suoi musei e i suoi siti archeologici, gli italiani che credono in lui e lo hanno votato, le riforme fatte dal suo governo.

L’imbarazzo si è subito reso palpabile fra tutti gli italiani presenti, compreso chi, come Gianfranco Fini cercava di mascherare con scarsi risultati il proprio disappunto.
Finita la sfuriata e resosi probabilmente conto dell’incredibile coacervo di sciocchezze che aveva proferito, il Presidente si è profuso nel maldestro tentativo di rimediare ed ha così finito per peggiorare ulteriormente la situazione.
Ha asserito di aver scherzato, perché in Italia a suo dire le gente è dotata di molto senso dell’umorismo (se sopportiamo una vignetta parlante come lui mi sa che deve essere vero) ed è in grado di scherzare anche sull’olocausto.

Missione compiuta, in un colpo solo Silvio Berlusconi è riuscito ad offendere i tedeschi tutti, la sinistra europea, gli ebrei, ogni persona presente dotata di un’intelligenza e tutti gli italiani in Italia che si sono per forza di cose trovati accomunati nel delirio da stadio del genio di Arcore.
tratto da: www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=818 

 

IL VERO VOLTO DI BUSH: http://www.gradis.net/Xray/xray.swf 

 

Furbi. Ma furbi furbi

Furbi. Ma furbi furbi. Di una incomprensibile furbizia questi poponi dell'Ulivo, che hanno appoggiato l'invio di militari in Iraq, D'Alema (bischeraccio) in testa, per fare sponda a Berlusconi. Il quale, giustamente, li ha anche snobbati, aggiungendo al danno la beffa. E si e' permesso anche di criticare ad Atene il primo documento comune della UE sulla guerra, ben sapendo di essere riuscito, grazie ai suoi fedelissimi poponi, a dividere il fronte delle opposizioni, più permissive a questo punto nei confronti della presenza militare italiana della stessa Unione. Guardate e' grossa: l'Europa, fra cui la Gran Bretagna, chiede di mettere tutto in mano all'Onu, in Iraq fioccano i problemi legati alla intolleranza araba degli eserciti occidentali (sarebbe come se qua ci fosse un esercito, diciamo, cinese), e noi facciamo le corse per mandarci tremila dei nostri, a far cosa non si sa, dato che gli aiuti umanitari gli sono già arrivati, anche durante il conflitto, tramite il volontariato. GRANDE. FASSINO E RUTELLI SIETE GRANDI. Ma la strategia politica l'avete studiata sul BIGNAMI? Vi siete esercitati a MONOPOLI? Ora che abbiamo anche il Papa dalla nostra, che, talebano com'é su vari punti, si becca le critiche dei propri talebani per la massima apertura a tutte le religioni (vi sareste mai immaginati un Papa che prega al muro del pianto come un ebreo?), noi abbiamo i nostri grandissimi coglioni che fanno da sponda alla accozzaglia politica più vile, meschina e delinquente apparsa da decenni sotto il cielo del Bel Paese. Ora io capisco che D'Alema, pubblicando le proprie immani cazzate su Mondadori, debba gestire un proprio conflitto di interessi nei confronti del proprio editore Berlusconi. Ma in un colpo solo avete deluso la sinistra, i movimenti, ridato fiato al correntone ed alle ali più radicali della sinistra, assicurata la possibilità di una sconfitta elettorale alle prossime amministrative, ed incassato un benservito da Berlusconi. Non siete buoni nemmeno per fare la soppressata (per i non toscani: ovvero il salume cotto derivato dal maiale, ove si mette tutto, veramente tutto, tranne la merda).   Paolo Rossetti


Il Virus della SARS è stato creato in laboratorio.

Sergei Kolesnikov, Accademico dell’Accademia Russa delle Scienze Mediche, pensa che il virus della polmonite atipica (SARS) sia stato creato artificialmente, probabilmente come arma batteriologica.
Ha espresso questa opinione durante una conferenza a Irkutsk (Siberia) lo scorso Martedì. Secondo Kolesnikov, il virus della polmonite atipica è una sintesi di 2 virus (del morbillo e della parotite epidemica). Questo virus composto non può formarsi spontaneamente in natura. “Può essere creato solo in laboratorio” è convinto l’Accademico, che ha anche affermato che, quando si creano armi batteriologiche, allo stesso tempo si lavora sul vaccino e in genere le due procedure sono contemporanee. Inoltre lo scienziato pensa che presto sarà disponibile la terapia per la polmonite atipica e non ha escluso che la diffusione del virus possa essere stata accidentale, come conseguenza di una dispersione da un laboratorio.  Irkutsk, 10 Aprile 2003.

Source: Russian Information Agency: Novosti

http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=379


 


 

 

 

 

 

 

 

 

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PER FERMARE INSIEME LA GUERRA ALL’IRAQ , DA SUBITO!

No alla guerra senza se e senza ma.

Non accettiamo questa guerra e non crediamo che sia inevitabile. Siamo contro questa guerra in ogni caso, a prescindere dalle decisioni delle Nazioni Unite. C’è un’opposizione massiccia in ogni paese d’Europa, e in molti Paesi sta cominciando la mobilitazione per la pace.

Dobbiamo influenzare i governi  europei, alcuni dei quali si oppongono a questa guerra. Dobbiamo impedire che il nostro paese sia coinvolto in alcun modo in questa guerra, né direttamente né per vie traverse.

La decisione dell’amministrazione Bush di scatenare un’avventurosa guerra preventiva contro l’Iraq si presenta come una fase ulteriore e successiva di una guerra senza fine, di un conflitto globale permanente, e porterà esiti catastrofici ai civili e alle popolazioni irachene e a quelle di tutto il Medio Oriente, aggravando il conflitto israelo-palestinese.

Siamo tutti chiamati alla mobilitazione tempestiva contro gli scenari di una guerra che non ci appartiene, che non è motivata se non da evidenti logiche imperiali, le cui conseguenze non sono del tutto prevedibili nella loro gravità. Questa guerra va fermata e non è comunque nel nostro nome.

L’Italia e l’Europa devono diventare un solo fattore di pace nel Mediterraneo e nella scena globale, proporre un modello policulturale di convivenza, una cultura internazionale dei diritti, un rapporto non devastante con le risorse del pianeta, una cultura della pace.

Invitiamo le cittadine, i cittadini, le associazioni, i partiti, i sindacati, i movimenti, le personalità della cultura e dell’impegno sociale, a sviluppare il massimo di resistenza alla guerra e a dare vita a una grande mobiliazione, da subito.

l 5 ottobre anche a Lecce ci sarà una iniziativa nel segno di “mille piazze per la pace”, con “mille modi per dire no alla guerra”, come in tutta Italia e in altri paesi europei. Iniziamo assieme un percorso di mobilitazione e partecipazione.

Lecce Social Forum;

Centro Salento Social Forum; Lecce

ARCI ;

ARCI Novoli;

Coord. Prov. Lega Ambiente;

CGIL;

FIOM;

SNUR-CGIL;

COBAS;

Unione Degli Universitari;

Unione Degli Studenti;

Sinistra giovanile Lecce;

Sinistra giovanile Brindisi;

CIDI;

AWMR – Italia,

Associazione delle Donne della Regione Mediterranea;

Amm. Comunale Trepuzzi;

Amm. Comunale Melpignano;

Amm. Comunale Martignano;

Amm. Comunale Sannicola;

Collettivo Universitario;

Collettivo “Iqbal Masiq”;

“Comitato per la difesa dei diritti degli immigrati”; 

CIR-Puglia;

“Movimento per la società di giustizia e per la speranza”;

Rete Lilliput;

ass. “Leccecittaplurale”;

ass. “Sinistra per la città” Lecce;

Fondo Verri; 

CTM;

Cooperativa per il Commercio Equo e Solidale;

Gruppo Ecumenico “Confronti” Lecce;

 ass. “Centro Oscar Romero” S.Cesario;

 “Pax Cristi”

Centro di cultura Globale Eco-solidale di Gallipoli;

“Arcipelago” Cavallino;

Primavera Radio Popolare Network;

 rivista “L’immaginazione”;

rivista “L’alambicco” S.Cesario;

AEDE Lecce;

Centro Europeo Culturale “A. Moro” Lecce;

ass. “Terrafrontiera” Leverano;

ass. “Biblioteca di Sarajevo” Maglie;

ass. “L’Arco” Salice Salentino;

ass. “Insieme a Sinistra” Copertino;

ass. cult. “I Sotterranei” Copertino;

ass. “La Putea delle Arti” Arnesano;

Canzoniere Grecanico Salentino;

Astragali teatro;

Specimen;

Democratici di Sinistra Lecce;

Rifondazione Comunista;

Comunisti Italiani;

Feder. prov. Verdi

 

Uno Straccio di PACE

Cari amici,

"Fuori l'Italia dalla guerra", firmato ormai da oltre duecentomila persone, non é più soltanto un appello, ma diventa una iniziativa per sensibilizzare i cittadini, le famiglie italiane.

Siamo convinti - e ne abbiamo ogni giorno nuove conferme - che la grande maggioranza dei nostri concittadini sia contraria alla guerra, in particolare alla nuova guerra contro l'Iraq che è ormai all'orizzonte.

Per rendere visibile questa "opinione pubblica" che crediamo trascurata e oscurata da molti giornali e televisioni, chiediamo un gesto, una testimonianza: appendere stracci bianchi, bandiere di pace, alle finestre e ai balconi delle nostre case e dei luoghi di lavoro ma anche annodare un piccolo straccetto bianco al polso, alla borsetta, allo zaino, alla bicicletta, al guinzaglio del cane: ovunque sia visibile.

Uno straccio di pace è un modo semplice per far sapere che vogliamo trovare nuove forme di stare insieme, nuovi modi per risolvere i problemi che non siano la violenza, il terrorismo, la guerra.

Dobbiamo vincere una sorta di pudore, di timidezza, e dobbiamo credere che sia possibile: se i duecentomila che hanno firmato l'appello di Emergency - e ogni giorno diecimila persone si aggiungono all'elenco - esponessero uno straccio di pace - la cosa non potrebbe più essere ignorata o censurata.

Duecentomila stracci di pace potrebbero addirittura rappresentare una massa critica capace di innescare una reazione a catena.

E' una scommessa difficile, ma non dobbiamo perderla. O riusciamo a tenere "Fuori l'Italia dalla guerra" o non sarà possibile neppure tenere la guerra fuori dall'Italia.

E' un impegno che vi chiediamo, è la prima di tante iniziative che, insieme con altre organizzazioni, vi proporremo per i prossimi mesi.

Tenere l'Italia fuori dalla guerra è davvero nelle nostre mani.

Buon lavoro a tutti noi

Gino Strada

firma l'appello

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L'appello di Emergency:

Fuori l’Italia dalla guerra

Vogliamo un mondo basato sulla giustizia e sulla solidarietà.

Ripudiamo la violenza, il terrorismo e la guerra come strumenti per risolvere le contese tra  gli uomini, i popoli e gli stati.

Chiediamo che l’Italia, di fronte alla minaccia di un attacco militare contro l’Iraq, non partecipi ad alcun atto di guerra, nel rispetto della Costituzione.

Non vogliamo essere corresponsabili di nuovi lutti, né vogliamo alimentare la spirale del terrore.

Basta guerre, basta morti, basta vittime.

 per aderire: www.emergency.it

hanno sottoscritto l'appello:

Aldo, Giovanni e Giacomo, Diego Abbatantuono, Daniele Adani, Giuliana Berlinguer, Enrico Bertolino, Enzo Biagi, Irene Bignardi, Claudio Bisio, Giorgio Bocca, Clarissa Burt, Fabio Cannavaro, Candido Cannavr, Maurizio Chierici, Giulietto Chiesa, Luigi Ciotti, Sergio Cofferati, Virginio Colmegna, Nico Colonna, Paolo Conte, Lella Costa, Maurizio Costanzo, Roberto Denti, Teresa De Sio, ElleKappa, Fabio Fazio, Carlo e Inge Feltrinelli, Eugenio Finardi, Carla Fracci, Carlo Garbagnati, Dori Ghezzi, Ricky Gianco, Daniela Grazioli, Beppe Grillo, Monica Guerritore, Francesco Guccini, Riccardo Iacona, Enzo Iacchetti, Lorenzo Jovanotti, Luciano Ligabue, Gianfranco Manfredi, Maurizio Maggiani, Alessia Marcuzzi, Marco Materazzi, Marco Melandri, Beppe Menegatti, Rita Levi Montalcini, Milly e Massimo Moratti, Michele Mozzati, Paola e Gianni Mura, Maso Notarianni, Carlo Ossola, Moni Ovadia, Mauro Pagani, Gino Paoli, Marco Paolini, Piero Pelù, Fernanda Pivano, Alessandro Portelli, Ennio Remondino, Guido Rossi, Paolo Rossi, Sandro Ruotolo, Claudio Sabattini, Gabriele Salvatores, Michele Santoro, Teresa Sarti, Piero Scaramucci, Vauro Senesi, Michele Serra, Bebo Storti, Gino Strada, Tiziano Terzani, Francesco Toldo, Massimo Toschi, Lucia Vasini, Christian Vieri, Gino Vignali, Gianna Vitali, Roberto Zaccaria, Javier Zanetti, Alex Zanotelli.

firma l'appello

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testo della mozione presentata da Rifondazione comunista in Parlamento e i nomi di deputati e senatori che l'hanno votata:

Premesso che:

l'operazione militare denominata "Enduring freedom", che, secondo le dichiarazioni dell'amministrazione Bush e in base agli accordi intercorsi a livello internazionale tra i Paesi che l'hanno sostenuto, tra cui l'Italia, avrebbe dovuto essere finalizzata alla lotta al terrorismo e allo smantellamento della rete Al Qaeda, si è invece risolta prevalentemente in una vera e propria guerra condotta contro Afghanistan, con un prezzo incalcolabile di vittime civili, guasti di ogni genere arrecati alla popolazione, grandi devastazioni ambientali; il regime dei taleban è stato abbattuto ma nessun reale processo di pacificazione democratica del paese è stato avviato, al punto che il nuovo governo, presieduto da Hamid Karzai, è prigioniero a Kabul e sopravvive solo grazie alla protezione della forza multinazionale Isaf, mentre il resto del paese continua ad essere devastato dagli scontri armati tra opposte fazioni, con l'aggravante che le forze militari britanniche e statunitensi orientano i conflitti interni al fine di eliminare le sacche di resistenza dei taleban e i gruppi di opposizione al nuovo regime; i diritti umani, invocati dagli Stati Uniti come uno dei motivi per abbattere il regime dei taleban, hanno subito gravi violazioni proprio ad opera delle forze politiche afghane sostenute dai paesi occidentali, con aspetti di responsabilità e complicità da parte delle forze britanniche e statunitensi che aspettano di essere chiariti per la loro gravità, come sta a dimostrare la tragica vicenda di Mazar-el-Sharif; nessuna informazione circostanziata sulle dinamiche militari in Afghanistan, sull'impatto dei bombardamenti sulla popolazione civile, sui compiti specifici svolti dalle forze militari italiane impegnate in Enduring freedom è interamente sotto il comando Usa, con la conseguenza che ogni possibilità di controllo reale è, di fatto, interdetta al nostro paese; la richiesta all'Italia di inviare in Afghanistan un contingente di mille alpini avviene contemporaneamente alla messa in atto da parte dell'amministrazione Bush della campagna militare contro l'Iraq sembra dettata dalla necessità di sostituire il contingente britannico destinato ad essere inviato a sostegno dell'attacco contro Baghdad; una scelta di questo genere significherebbe non solo un più diretto coinvolgimento delle forze armate italiane in una fase dell'operazione Enduring freedom quantomai negativa dal punto di vista dei vincoli costituzionale e del diritto internazionale ma anche una legittimità politica e un appoggio militare alla guerra contro l'Iraq: Impegna il governo: ad astenersi dall'inviare il contingente di alpini in Afghanistan.

 

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I DEPUTATI

Fausto Bertinotti (Prc)

Elettra Deiana (Prc)

Titti De Simone (Prc)

Alfonso Gianni (Prc)

Francesco Giordano (Prc)

Ramon Mantovani (Prc)

Graziella Mascia (Prc)

Giovanni Russo Spena (Prc)

Tiziana Valpiana (Prc)

Nichi Vendola (Prc)

Fulvia Bandoli (Ds)

Giovanni Bellini (Ds)

Valter Bielli (Ds)

Gloria Buffo (Ds)

Valerio Calzolaio (Ds)

Massimo Cialente (Ds)

Eugenio Duca (Ds)

Pietro Folena (Ds)

Marco Fumagalli (Ds)

Alfiero Grandi (Ds)

Giovanna Grignaffini (Ds)

Raffaella Mariani (Ds)

Fabio Mussi (Ds)

Giorgio Panattoni (Ds)

Laura Maria Pennacchi (Ds)

Roberta Pinotti (Ds)

Silvana Pisa (Ds)

Alba Sasso (Ds)

Roberto Sciacca (Ds)

Antonio Soda (Ds)

Lalla Trupia (Ds)

Katia Zanotti (Ds)

Katia Bellillo (Pdci)

Armando Cossutta (Pdci)

Maura Cossutta (Pdci)

Oliviero Diliberto (Pdci)

Nerio Nesi (Pdci)

Gabriella Pistone (Pdci)

Marco Rizzo (Pdci)

Cosimo Giuseppe Sgobio (Pdci)

Saverio Vertone (Pdci)

Mauro Bulgarelli (Verdi)

Pier Paolo Cento (Verdi)

Laura Cima (Verdi)

Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi)

Luana Zanella (Verdi)

I SENATORI

Luigi Malabarba (Prc)

Giorgio Malentacchi (Prc)

Tommaso Sodano (Prc)

Livio Togni (Prc)

Maria Chiara Acciarini (Ds)

Fabio Baratella (Ds)

Giovanni Battaglia (Ds)

Stefano Boco (Verdi)

Massimo Bonavita (Ds)

Massimo Brutti (Ds)

Francesco Carella (Verdi)

Loredana De Petris (Verdi)

Cayetana De Zulueta (Ds)

Piero Di Siena (Ds)

Anna Donati (Verdi)

Antonio Falomi (Ds)

Angelo Flammia (Ds)

Aleandro Longhi (Ds)

Luigi Marino (Pdci)

Francesco Martone (Verdi)

Angelo Muzio (Verdi)

Gianfranco Pagliarulo (Pdci)

Antonio Pizzinato (Ds)

Natale Ripamonti (Verdi)

Sauro Turroni (Verdi)

Massimo Villone (Ds)

Walter Vitali (Ds)

Giampaolo Zancan (Verdi)

 


"Movimento Pasta Cunegonda"

Newsletter straordinaria.

 

Guerra e informazione


Semmai questa sarà la prossima guerra, sarà una guerra costruita e legittimata dalla disinformazione, dall’assenza sistematica di una informazione, soprattutto televisiva, che non sembra essere interessata a evidenziare le contraddizioni e i reali obiettivi del piano accusatorio di Bush nei confronti del regime iracheno di Hussein. Il nostro modesto impegno vorrebbe essere proprio quello di mettere in evidenza alcune notizie che la televisione, nella migliore delle ipotesi, ha trattato con malcelato disinteresse

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Re Carlo tornava dalla guerra, lo accoglie la sua terra?

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Molte delle informazioni che seguono non sono state rese note al grande pubblico della televisione, come era facile prevedere dal momento che chi attualmente detiene l’effettivo controllo di tutto il sistema televisivo è anche uno dei pochi premier europei ad essersi dichiarato apertamente favorevole all’ennesima iniziativa militare a stelle e strisce, traducendo questo entusiasmo – che storicamente può ricordare un certa euforia ceca da tempo delle crociate - non solo in un coinvolgimento delle nostre istituzioni, del nostro esercito, ma anche in un sostanziale stravolgimento del nostro dettato costituzionale. Il Presidente del Consiglio, novello Goffredo di Buglione, usa al meglio il mezzo mediatico che a lui è più familiare allo scopo di imporre all’opinione pubblica una singolare trasformazione semantica, cioè quella che dovrebbe rendere sinonimi termini come guerra e pace, aggressione e difesa, principi mora li e interessi economici L’undici settembre ha reso possibile una svolta nella politica estera degli U.S.A e ci ha abituato all’idea di una sorta di concatenazione di guerre più o meno preventive alle quali tutto il mondo cosiddetto civile dovrebbe aderire. Ma la storia è maestra, e ancora molti e significativi possono essere i parallelismi con le crociate millenaristiche di Urbano II. A quel tempo il vero obiettivo era l’espansione della cattolicità che coincideva con gli interessi materiali di un ceto egemonico allora in formazione: la nobiltà e la cavalleria. Oggi la cattolicità come disegno mondiale è tramontata, sostituita dalla cosiddetta globalizzazione economica che rischia di tradursi in una monocultura planetaria al cui centro l’idea di un Dio è stata sostituita dai concetti di profitto, organizzazione, mercificazione. Le crociate ebbero come risultato la formazione del concetto di nobiltà come élite dominante ereditaria che fu alla ba se di tutto l’Ancien r& eacute;gime, e, come allora, il rischio attuale è che si stia preparando un "nouveau régime" per i prossimi secoli fatto di potentati transnazionali che, attraverso l’ideale di una "guerra giusta", decretino la legittimità del loro status di difensori e rappresentanti dell’umanità. Ma quanto in realtà la gente è concorde sulla necessità e sul concetto stesso di una guerra preventiva? È questo dato che non emerge dai telegiornali, dai sondaggi - tanto di moda quando il loro esito può essere convenientemente utilizzato a fini politici -, da gran parte dell’informazione catodica che sembra non accorgersi del distacco netto tra le posizioni del nostro capo del Governo e quelle dell’opinione pubblica, addirittura tra Bush e ampi strati della società americana. E alle soglie di una guerra, Bruno Vespa continua a ospitare miss Italia, modelle, stilisti e dosi massicce di cronaca nera, riempiendo le nos tre case di noiose vacuità di pessimo gusto..

Attentato alla Costituzione. - Berlusconi denunciato

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Riportiamo i passi più salienti dell'esposto del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo, presentato il 28 settembre in riferimento alle dichiarazioni sulla guerra del presidente del Consiglio dei Ministri nel discorso al Parlamento del 25 settembre.
Alla Procura Generale della Repubblica, Roma E per opportuna conoscenza:
al Presidente della Repubblica Italiana, Roma
ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, Roma
Esposto nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri per le dichiarazioni rese in Parlamento il 25 settembre 2002
1. In data 25 settembre 2002 il Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Silvio Berlusconi, ha reso in Parlamento dichiarazioni di eccezionale gravità.
Dal testo ufficiale (disponibile sul sito del governo - www.governo.it - e dal quale citiamo) risulta chiaramente che in riferimento alla minaccia di una guerra degli Stati Uniti d'America contro l'Iraq il capo dell'esecutivo:
a) non solo non ha inteso esprimere una netta opposizione all'intenzione della Casa Bianca di scatenare una guerra di aggressione palesemente illegale e criminale sia secondo il diritto internazionale, sia secondo il comune sentire delle genti;
b) non solo non si è dichiarato vincolato al rispetto intransigente di quanto previsto dalla Costituzione della Repubblica Italiana che proibisce in modo assoluto che l'Italia appoggi una simile guerra o peggio ad essa prenda parte;
c) non solo, ma addirittura ha espresso un evidente appoggio alle sciagurate e capziose argomentazioni del governo statunitense finalizzate allo scatenamento della guerra;
d) non solo, ma addirittura ha sferrato un duro obliquo attacco alla Costituzione italiana in uno dei suoi principi fondamentali (l'art. 11);
e) non solo, ma addirittura ha esposto un punto di vista palesemente irresponsabile e agghiacciante (sebbene espresso nella forma sfumata della citazione) che lascia dedurre una effettiva disponibilità a sostenere ed a prendere parte alla guerra che si va preparando.*
2. Vediamo alcuni punti cruciali del discorso svolto alla Camera dei Deputati.
I. Il Presidente del Consiglio ricorda en passant quanto stabilito dall'articolo 11 della Costituzione, ma per revocarne implicitamente in dubbio l'adeguatezza a fronte della situazione presente […]
II. Afferma il Presidente del Consiglio che "L'Italia ha un preciso interesse nazionale nel seguire, in questa nuova crisi, linee d'intervento responsabili e indipendenti, ma lealmente collocate nel quadro della storica alleanza con gli Stati Uniti" […]
III. Infine il Presidente del Consiglio conclude citando una massima secondo cui "l'unica cosa di cui avere paura è la stessa paura" […]*
4. Le tesi sostenute dal Presidente del Consiglio dei Ministri in Parlamento confliggono flagrantemente con il giuramento di fedeltà alla Costituzione. Poiché la fedeltà alla Costituzione avrebbe voluto che il capo dell'esecutivo esponesse l'unica posizione legittima per lo stato italiano: l'opposizione assoluta alla guerra che si va preparando. […]
È quindi impossibile non prendere atto della assoluta gravità delle dichiarazioni rese dal capo del governo, e prima che lo stesso abbia la possibilità di porre in atto le intenzioni manifestate (di avallare la guerra, di violare trattati internazionali e legalità costituzionale, di rendere il nostro paese corresponsabile di nuove stragi) occorre impedire che possa commettere un atto incostituzionale e trascinare l'Italia in una nuova guerra di aggressione illegale e criminale.*
5. Siamo pertanto a chiedere con il presente esposto:
- che la competente magistratura accerti se nel discorso del Presidente del Consiglio dei Ministri vi siano elementi passibili di procedimento giudiziario; e qualora ve ne ravvisi proceda agli atti conseguenti;
- che il Presidente della Repubblica Italiana e i Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati prendano pubblicamente posizione in difesa della Costituzione e contro l'appoggio e la partecipazione italiana alla guerra;
- che il governo esprima una posizione ufficiale che si dissoci dagli orientamenti espressi dal Presidente del Consiglio dei Ministri e riaffermi la fedeltà dell'esecutivo alla Costituzione della Repubblica Italiana;
- che il Parlamento approvi un ordine del giorno di biasimo per le esternazioni dell'on. Berlusconi e riaffermi la fedeltà dell'organo legislativo alla Costituzione della Repubblica Italiana.

Londra contro Blair. In 400.000 per la pace

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 Riportiamo una testimonianza diretta della manifestazione di Londra del 28 settembre 2002 che ha registrato una partecipazione mai vista prima nel Regno Unito. Ci sembra un chiaro segno delle posizioni di gran parte dell’opinione pubblica europea che tuttavia non ha ricevuto il giusto risalto nel panorama della nostra informazione televisiva. Si è svolta oggi pomeriggio a Londra la manifestazione nazionale contro la guerra all'Iraq e in solidarietà con il popolo palestinese. Organizzata da Stop the War Coalition e dalla Muslim Association of Britain, ha raccolto l'adesione di partiti, associazioni pacifiste ed ecologiste, comunità di immigrati, sindacati e decine di parlamentari. Secondo gli organizzatori più di 400.000 persone hanno partecipato a quella che rappresenta, con questi numeri, la più grande manifestazione nella storia del Regno Unito. Un fiume di gente si è riversato per le strade del centro di Londra, passando davanti al Parlamento e a Downing Street fino a raccogliersi a Hyde Park, e ha praticamente bloccato il centro della capitale per un pomeriggio intero; quando la testa del corteo stava prendendo posto a Hyde Park e gli oratori cominciavano a parlare, la coda del corteo doveva ancora partire da Embankment, punto iniziale di ritrovo. La marcia era stata indetta da par ecchio tempo per manifestare, in concomitanza con l'anniversario della seconda intifada, solidarietà al popolo palestinese. Visti i recenti eventi e le intenzioni bellicose di Bush e Blair, la giornata ha assunto poi un particolare significato per esprimere la contrarietà del popolo britannico a un'ennesima guerra sanguinaria nel nome degli interessi militari/economici/energetici statunitensi e britannici. D'altronde i due temi (la guerra in Iraq e il conflitto arabo/israeliano) sono intimamente legati nel complesso scenario medio-orientale e storicamente la Gran Bretagna ha parecchie responsabilità nell'area: la colonizzazione, lo sfruttamento delle risorse energetiche, la dichiarazione di Balfour, l'appoggio militare ed economico al regime iniziale di Saddam, la vendita di armi ad Israele, la partecipazione alle guerre nel golfo, gli attuali quotidiani bombardamenti in Iraq. Inoltre, proprio pochi giorni fa, Blair ha presentato in parlamento il dossier sull'Ira q, atteso come prova det erminante e dimostratosi in realtà ben poco consistente; in quell'occasione 56 membri del partito laburista hanno espresso la loro contrarietà alla guerra. Oggi era attesa la risposta della gente, ed è stata ben chiara negli slogan e nei cartelli dei 400.000 manifestanti, accompagnati anche da una sorprendente giornata di sole (per Londra in questo periodo dell'anno è abbastanza raro). Straordinaria anche la composizione multietnica dei partecipanti: oltre a tutte le principali comunità di immigrati (iracheni, palestinesi, libanesi, iraniani, algerini, arabi, afgani, pakistani, indiani, ecc.) è stata particolarmente significativa la presenza dei cittadini britannici, che evidentemente non si sentono rappresentati dal governo attuale e sentono il dovere di prendere posizione contro la guerra. Altrettanto importante la caratteristica pacifica e non violenta della manifestazione (non è stato segnalato alcun incidente) e la varietà generazionale: famiglie intere, anziani e bambini (anche se ciò ha creato qualche imprevisto problema per gli organizzatori e per la polizia, che hanno avuto parecchio da fare per rimettere insieme i bambini e i genitori che si erano persi a vicenda). Gli oratori hanno parlato per più di due ore sul palco in Hyde Park; molto attesi (ed applauditi) gli interventi del sindaco di Londra Ken Linvingstone, dell'ex-parlamentare Tony Benn, dell'ex-ispettore dell'ONU Scott Ritter e dei rappresentanti della comunità palestinese. I prossimi appuntamenti sono le manifestazioni di fronte alle basi militari statunitensi coinvolte nell'eventuale guerra, Lakenheath (6 ottobre) e Menwith Hill (12 ottobre), e un'altra manifestazione nazionale il 31 ottobre. [Francesco, PeaceLink].

Tiziano Terzani. Leggere per la pace

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"Eppure, dinanzi alla complessità di meccanismi disumani - gestiti chi sa dove, chi sa da chi - l'individuo è sempre più disorientato, si sente al perso, e finisce così per fare semplicemente il suo piccolo dovere nel lavoro, nel compito che ha dinanzi, disinteressandosi del resto e aumentando così il suo isolamento, il suo senso di inutilità."
Lettere scritte da chi conosce davvero la realtà di cui parla, che ha vissuto e vive all'interno di quel mondo contro cui il mondo occidentale si è armato, contro cui si è aperta una campagna troppo spesso ideologica a partire da quel tragico 11 settembre in cui un terrorismo brutale ha segnato la storia del mondo. "Il mondo non è più quello che conoscevamo, le nostre vite sono definitivamente cambiate", scrive l'autore da Orsigna il 14 settembre 2001. Questa constatazione porta però ad una riflessione diversa da quella che la politica internazionale ha imposto: quanto è accaduto può essere anche l'occasione "per reinventarci il futuro e non rifare il cammino che ci ha portato all'oggi e potrebbe domani portarci al nulla".
Lettere da Kabul, da Peshawar, ma anche da Firenze e dal "rifugio" sull'Himalaya in cui Terzani ha deciso di vivere gran parte dell'anno, lettere contro corrente (particolarmente intensa quella rivolta alla Fallaci) in cui vengono fatte affermazioni apparentemente ovvie ("per proteggersi non c'è bisogno d'ammazzare", "per punire con giustizia occorre il rispetto di certe regole"), oggi taciute.
Il lettore a cui il libro è rivolto è quello che cerca, sentendosi troppo spesso disorientato e solo, di capire non solo il mondo in cui gli è capitato di vivere, ma anche quello popolato da milioni di persone che per cultura, per storia e soprattutto per condizioni economiche rappresenta la diversità, "l'altro", ma che non deve e non può essere identificato con "il nemico". Tiziano Terzani, fiorentino, è stato per trent'anni il corrispondente del settimanale tedesco Der Spiegel dall'Asia e collaboratore della Repubblica prima e del Corriere della Sera poi. Ora vive in India, per lo più nell'Himalaya. Tiziano Terzani, Lettere contro la guerra, Milano, Longanesi Editore, 2002. [Di Grazia Casagrande e Giulia Mozzato]
Scott Ritter: "Questa guerra è un errore"

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"Per fare un albero ci vuole il seme", recitava il testo di una celebre canzone. E per fare una guerra? Ci vuole una ragione. E visto che la guerra che Bush vuole ad ogni costo contro l’Iraq non può avere le motivazioni di una guerra "umanitaria", allora il governo statunitense sta lavorando alla costruzione di una legittimazione, e i suoi contorni si sono ormai delineati.
Bush e Blair hanno presentato una serie di dossier che inchioderebbero Hussein alle sue responsabilità. Il dittatore iracheno possederebbe armi chimiche e batteriologiche, armi di distruzione di massa, e si appresterebbe a entrare in possesso dell’atomica entro pochi mesi. Come se non bastasse lo si accusa di aver venduto armi chimiche ad Al-Qaeda. E a nulla sembra valere la disponibilità del regime ad accogliere gli ispettori delle nazioni Unite su tutto il territorio dell’Iraq, senza riserve. Stati Uniti e Inghilterra stanno infatti premendo affinché la risoluzione Onu contenga condizioni e clausole inaccettabili per il regime, inaccettabili forse per qualsiasi Stato di diritto. E Kofi Annan vede così svanire nel nulla i suoi sforzi di mediazione. E dove i dossier non convincono, ci pensa il sistema televisivo a riempire le lacune, con documentari su Hussein, speciali sull’Iraq, che da settimane si accavallano nelle programmazioni televisive, in Italia i n particolar modo sulle reti Mediaset.
Una voce autorevole che afferma con decisione l’inesistenza di una minaccia "Hussein" proviene invece da dove meno te lo aspetti. Dagli Stati Uniti. Guerra all’Iraq è un libro-intervista a Scott Ritter, ufficiale statunitense eroe dei marines, che ha partecipato per sette anni alla missione di disarmo in qualità di ispettore Onu e per di più è un fervente repubblicano. Il libro è edito in Italia da Fazi Editore. Scott Ritter dimostra chiaramente che se proprio si vuole quantificare la minaccia rappresentata dall'Iraq in termini di armi di distruzione di massa, essa equivale a zero. E Ritter ne è talmente convinto da aver invitato e accompagnato i giornalisti della stampa estera proprio a Baghdad nelle ultime settimane, per visitare i tanto famigerati "siti di armi di distruzione di massa".
Questa guerra, in definitiva, sembra nascere da una serie di falsità, di accuse ingiustificate, di ribaltamenti della realtà. Si vuole dimenticare e far dimenticare che fu il governo Reagan ad armare il dittatore in funzione antisovietica e antiiraniana, fornendogli quelle armi chimiche e batteriologiche che ora Bush rivuole indietro. Armi che hanno provocato milioni di morti durante la guerra contro l’Iran. Dov’erano allora gli appelli degli Stati Uniti alla sicurezza mondiale?
Ma oggi l’Iraq, dopo le azioni ispettive degli anni precedenti, è inoffensivo. "Ritengo a questo punto fondamentale un problema di cifre – risponde Scott Ritter nel libro -. L'Iraq ha distrutto il 90-95% delle sue armi di distruzione di massa. Dobbiamo ricordare che il restante 5-10% non costituisce necessariamente una minaccia né un programma di armamento, se non siamo in grado di dire quella percentuale minima che fine ha fatto, non significa che l'Iraq ne sia ancora in possesso", dopo il massiccio embargo e il passaggio degli ispettori.
E i legami con Al Qaeda? Scott Ritter non ha dubbi e definisce la "connessione" con Al Qaeda "una faccenda palesemente assurda". "Saddam Hussein - ricorda - è un dittatore laico, ha passato gli ultimi trenta anni a dichiarare guerra al fondamentalismo islamico, facendolo a pezzi. A parte la guerra all'Iran degli ayatollah, in Iraq sono in vigore leggi che sentenziano la pena di morte per il proselitismo in nome del wahabismo, la religione di Osama bin Laden.
Resta un solo interrogativo: "Lei è un veterano dei marine, un ufficiale e un funzionario di intelligence. Eppure alcuni suoi concittadini la chiamano traditore perché parla così apertamente di tali argomenti. Come risponde?". "La gente può dire quello che vuole – risponde secco ma sereno Scott Ritter - ma chi parla in questo modo non fa che dimostrare la propria ignoranza. Esiste una cosuccia che si chiama Costituzione degli Stati Uniti d'America. Quando ho indossato l'uniforme dei marines e mi fu affidato l'incarico di ufficiale ho giurato di essere fedele e di difendere la Costituzione contro tutti i nemici, esterni e interni. Questo significa che sono disposto a morire per quel pezzo di carta e per quello che rappresenta. Quel documento parla di noi come popolo, e di un governo del popolo, fatto dal popolo, per il popolo, Parla di libertà di parola e di libertà civili individuali... Il massimo servizio che posso rendere al mio paese - con clude Scott Ritter - &eg rave; di facilitare la discussione e il dialogo sul comportamento da tenere verso l'Iraq... Se quelli che esercitano pressioni a favore della guerra non sono in grado di provare le proprie ragioni, l'opinione pubblica americana dovrà esserne consapevole". "Voglio che l'America non commetta l'errore di questa guerra", ha ripetuto sui giornali americani in questi giorni. Forse, alla maniera di Scott Ritter, vale la pena sentirsi un pò "tutti americani".

Gianni Minà: Le guerre nascoste dall’informazione

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L'esercizio della verità, nel momento che stiamo vivendo, è certamente il più disagevole per molti giornalisti, intellettuali, politici, carenti di memoria. La spregiudicata deposizione, sabato scorso, di Cesare Previti al tribunale di Milano (deposizione nella quale l'ex avvocato delle cause scabrose di Berlusconi teorizzava sostanzialmente il suo diritto a commettere reati trattandosi di "fatti suoi") ha costretto, in questi giorni, molti opinionisti fino a ieri propensi alla tesi della persecuzione dei giudici di Milano verso Berlusconi e i suoi fidi, a prendere le distanze e a chiedere addirittura, come Angelo Panebianco sul "Corriere della Sera", che Forza Italia dimetta Previti dal mandato di senatore. Una richiesta tardiva, ma evidentemente suggerita da un contesto inquietante, nel quale proprio Previti, qualche settimana fa, aveva mandato un avvertimento esplicito al presidente del Consiglio: "Berlusconi sa come sono andati i fatti".
Costa sempre più fatica, evidentemente, raccontare o analizzare con onestà una realtà che ormai smentisce ogni sicurezza sulla bontà del sistema che prevale nel mondo. E questa fatica è ancora più palese nelle risicate due paginette che i grandi quotidiani in Italia riservano agli accadimenti del resto del mondo.
La preoccupante piega che ha preso, per esempio, la politica interna ed estera degli Stati Uniti, ha trovato, recentemente, una spiegazione seria ed esplicita solo in un fondo di Luigi Pintor uscito sul "Manifesto". Un fondo che qualche ipocrita stava sicuramente per definire "antiamericano" se, proprio il giorno dopo, George W. Bush non avesse reso noto le 33 inquietanti pagine del "National security strategy of the United States", cioè la insensata logica della guerra preventiva.
La scusa di chi sminuisce o fa finta di dimenticare fatti inoppugnabili, è che bisogna essere "politicamente corretti". Come se mentire sulla realtà, o eludere, ignorare, nascondere accadimenti fosse un esercizio morale, giusto e accettabile. E la guerra preventiva, decisa senza l'autorizzazione di nessuno, oltre "a stabilire un precedente imbarazzante", come ha segnalato l'ex presidente degli Stati uniti Bill Clinton, è una realtà che può essere spiegata con le sordide esigenze della grande industria delle armi, dell'energia e del petrolio, non con motivazioni strategiche come, con poca dignità, sostengono opinionisti provenienti perfino dall'intellighenzia di sinistra.
Recentemente Galli della Loggia si dispiaceva del senso di rimorso molto cattolico che buona parte dell'opinione pubblica sente verso le popolazioni povere, mentre secondo lui dei guasti e dei disastri di questi paesi sarebbero responsabili solo i loro governanti, megalomani e corrotti. Corrotti da chi, professore? Avrebbe qualche indicazione da darci? Perchè Galli della Loggia, nella sua requisitoria, si è dimenticato di chiarirci perchè, ad esempio, le ricchezze minerarie del Congo non sono in mano dei cittadini, ma proprietà della Compagnia generale delle miniere belga che, per quasi 40 anni, dopo l'assassinio di Lumumba (voluto dalle nazioni coloniali), ha imposto a Kinshasa, un dittatore come Mobutu Sese Seku. E il professore si è dimenticato di spiegarci anche perchè in Sierra Leone è in corso da tempo una guerra dimenticata per il possesso dei diamanti. Un conflitto feroce combattuto da fazioni che utilizzano anche i bambini com e soldati, al soldo di a lcune delle democratiche nazioni d'Europa. Questi stati, ufficialmente alleati tra loro, non possono farsi la guerra in prima persona perchè "sarebbe sconveniente". E allora in vece loro combattono adolescenti che imbracciano, spesso maldestramente, le armi più moderne in circolazione. La fazione che vincerà questo conflitto porterà in dote alla nazione "democratica" che l'ha sovvenzionata i diamanti della Sierra Leone.
Galli della Loggia per rafforzare la sua teoria sulle colpe dei poveri, comunque responsabili dei propri disastri (anche di quelli imposti dagli speculatori della finanza) faceva l'esempio di Saddam Hussein che, per smania di potere, ha fatto guerra per dieci anni all'Iran, dilapidando la ricchezza che il petrolio regala all'Iraq. Per una disdicevole dimenticanza però l'opinionista non ha segnalato che quella guerra fra fratelli la vollero e la sostennero, per motivi strategici legati al mercato dei gas e del greggio, proprio gli Stati Uniti (Bush senior era il capo della Cia) che crearono e armarono Saddam insieme ad alcune civili nazioni europee. Fra cui l'Italia che costruì per il rais, alla Oto Melara di La Spezia, il super cannone e per oliare l'affare utilizzò la sede di Atlanta della Banca Nazionale del Lavoro.
Qual è l'idea di verità che hanno questi intellettuali? In questi giorni i maggiori giornali italiani hanno scandalosamente ignorato il tiro a segno contro la casa, a La Plata (Argentina) di Estella Carlotto, presidentessa delle nonne di Piazza di maggio. Un avvertimento macabro, con pallottole dello stesso calibro di quelle usate per uccidere, 25 anni fa, la figlia Laura, allora incinta, i cui resti sono stati ritrovati dopo anni di "desaparecion". La colpa di Estella Carlotto? Aver denunciato, proprio alla vigilia dell'attentato, la violenza della polizia argentina che il fotografo Diego Levy ha documentato in un saggio pubblicato nel n. 78 della rivista "Latinoamerica". Il messaggio, specie in questo momento di disgregazione dell'Argentina è chiaro, mafioso e rivelatore, come ha spiegato Estella Carlotto, che il clima di impunità e di incubo già vissuto nella recente storia argentina sta per tornare, favorito proprio dalle presunte misure "antite rrorismo" volute dagli S tati Uniti in America Latina. Purtroppo questa deriva in una nazione come l'Argentina, che era l'allieva più ubbidiente delle ricette neoliberali del Fondo monetario e della Banca mondiale, è sfuggita all'attenzione dei più importanti mezzi d'informazione italiani.
Paolo Mieli, nella prestigiosa rubrica delle lettere del "Corriere della Sera", rispondendo ad un lettore che lo invitava a parlare dei gulag dei paesi comunisti alcuni dei quali sarebbero ancora in funzione, ha dimenticato questa realtà consueta anche nella "macelleria" Colombia del presidente Uribe, sodale di George W. Bush, oltre che dei narcotrafficanti e degli squadroni della morte, e normale anche nel Messico del presidente Fox, dove più di 200 persone sono scomparse negli ultimi anni nei commissariati di polizia. Mieli non ha accennato nemmeno alla Birmania o all'Indonesia dei feroci militari, alleati del governo di Washington, che, in un recente passato, hanno fatto fuori 500 mila "comunisti", e messa a ferro e fuoco, fino a ieri, Timor est. In compenso ha indicato il Vietnam e perfino Cuba, incurante del fatto che qualunque rapporto annuale di Amnesty International lo smentirebbe. L'unico gulag in funzione a Cuba è infatti quello creato a Guantanamo dal governo degli Stati Unit i per rinchiudere, in condizioni penose, i prigionieri talebani.
Se ne dimenticano anche molte belle anime riformiste del contraddittorio mondo della sinistra italiana, giustamente attente ai dissidenti cubani, ma colpevolmente disinteressati invece a conoscere la reale situazione dei diritti della gente in molte presunte democrazie latinoamericane, africane o asiatiche dove, al contrario di Cuba, non c'è nessun rispetto per la dignità dell'uomo. A molte di queste nazioni convenienti per i nostri commerci viene quasi sempre perdonato tutto, come all'Argentina dell'epoca dei desaparecidos. Ed è triste notare come anche questi famosi riformisti, siano incapaci di proporre qualunque iniziativa che vincoli la possibilità di stabilire rapporti economici con questi governanti all'impegno di instaurare nei loro paesi una credibile realtà sociale, civile e democratica.
Il problema di fondo è che tutte le efferatezze commesse nel nome del capitalismo sono considerate deprecabili "effetti collaterali", come le bombe che in Iraq o in Afghanistan colpivano i civili innocenti, e comunque accadimenti ineluttabili. Così il fatto che l'amministrazione di George W. Bush stia ricattando il governo del Costarica per istituire in quel paese una super scuola di polizia che controlli il disagio crescente delle masse povere del continente, magari con i metodi crudeli usati dai militari latinoamericani formati a Fort Benning o nella "Escuela de las americas", non interessa più nè all'informazione di quella che fu la borghesia illuminata, nè alla politica rinunciataria di parte di quella che fu la sinistra italiana.
Anzi crea fastidio come l'appello del grande poeta argentino Juan Gelman che, dopo aver ritrovato la nipote partorita dalla nuora desaparecida e data in adozione dagli aguzzini della dittatura alla famiglia di una poliziotto di Montevideo, ora insiste con un appello via internet perchè l'opinione pubblica internazionale costringa il presidente uruguaiano Battle a impegnarsi a ritrovare i resti della nuora in una delle tante fosse comuni sorte in America latina negli anni '70. Le fosse comuni come gli squadroni della morte o il terrorismo di stato, erano gli "effetti collaterali" dell'Operazione Condor, una delle più spietate campagne di repressione contro qualunque opposizione, messa in atto dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, e voluta in America Latina, negli anni '70, dal presidente nordamericano Richard Nixon.
All'Operazione Condor si deve fra l'altro il genocidio negli anni '80 delle popolazione maya in Guatemala, l'ultimo sfregio del secolo dopo quello nazista. I dati che il rapporto Onu "Memoria del silenzio" ha documentato, solo tre anni fa, sono agghiaccianti: duecentomila morti, trentamila desaparecidos, seicentoventisette massacri accertati, quattrocento villaggi scomparsi dalla carta geografica, quasi tremila fosse comuni. Il rapporto documentò anche la complicità del governo di Washington nel genocidio tanto che Bill Clinton volò a Città del Guatemala per chiedere scusa agli eredi dei maya. È per storie indecenti come questa che Bush junior osteggia e rifiuta il Tribunale penale internazionale.
Ho ricordato questi accadimenti tante volte e anche in una lettera a Mieli che mi aveva chiamato in causa nella sua rubrica. Purtroppo di questo terrorismo di stato tanto recente e ancora incombente nella società che viviamo, quella della "guerra continua", pochi si vogliono ricordare forse perchè più inquietanti di molte efferatezze del comunismo.
L'esercizio della verità, il rispetto della memoria, la forza inconfutabile di certe realtà non sono convenienti e quindi vanno elusi. Con buona pace dell'etica dell'informazione. [L'articolo è apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 2 ottobre 2002]

Appello di Amnesty International all’Unione Europea

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Amnesty International ha consegnato ai governi europei, in coincidenza con il Consiglio dell’Unione del 30 settembre 2002, un appello corredato dalle prime 40 mila adesioni per salvaguardare la neonata Corte Penale Internazionale dagli attacchi illegali messi in atto dal governo degli Stati Uniti che, in opposizione ai principi difesi da tale corte, stanno cercando di garantire che i propri cittadini non siano sottoposti alla giurisdizione della Corte per genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra. La Corte penale internazionale avrà il compito di indagare e di promuovere azioni giudiziarie su persone accusate di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra, ma gli Stati Uniti stanno attaccando questo nuovo sistema di giustizia internazionale facendo pressioni sui paesi di tutto il mondo perché sottoscrivano accordi tali da garantire l'impunità dei cittadini statunitensi davanti alla Corte penale internazionale. In molti casi il governo di Washington, minacciando il ritiro dell'assistenza economica e militare agli Stati che rifiuteranno di aderire, ha già ottenuto i suoi frutti con ben 13 Paesi (Afghanistan, Honduras, Israele, Isole Marshall, Mauritania, Micronesia, Palau, Repubblica Dominicana, Romania, Tagikistan, Timor Est e Uzbekistan) mentre con altri, tra cui Colombia e Argentina, le cose sarebbero già a buon punto. L'appello con le firme (oltre 3.200 raccolte nel nostro paese) è stato recapitato anche al nostro presidente del Consiglio dal quale ci si aspetta una formale dichiarazione relativa all’illegalità di questi accordi rispetto al diritto internazionale dal momento che potrebbero minare gli sforzi internazionali per impedire ai criminali di continuare ad agire e a commettere i più gravi reati che l'umanità abbia conosciuto. Difendere la Corte internazionale, proprio quando si prospetta all’orizzonte una nuova offensiva militare american a, significa ribadire la necessità e la legittimità di un sistema di diritto internazionale di fronte al quale nessuno sia privilegiato. Chi volesse firmare l’appello lo può fare visitando il seguente url:

 http://web.amnesty.org/web/icc_petition.nsf/act_ita


dal Manifesto del 16 ottobre 2002

D'Alema e Ciampi - di PIETRO INGRAO

Già il manifesto ieri - sia pure con la zampata mordace della «jena» - l'aveva sottolineato: Massimo D'Alema, parlando lunedì nella riunione della direzione diessina, ha messo apertamente in discussione la validità dell'articolo 11 della Costituzione: quello che consente all'Italia solo la guerra di difesa. Per parte mia apprezzo la schiettezza con cui il leader diessino - finalmente! - ha affrontato questo tema duro e gravido di responsabilità.


Non è chiaro dai resoconti giornalistici quali siano tutti gli argomenti con cui il leader diessino motivi e sorregga la cancellazione di quell'articolo 11 della Costituzione: perché - a leggere  bene - tale è lo sbocco, l'esito concreto a cui sembrano approdare le parole dalemiane. E velare questo sbocco per me sarebbe davvero una sgradevole ipocrisia: come dire che il presidente dei Ds parla a casaccio anche sulle «cose sacre».

Io invece apprezzo questa dalemiana chiarezza, sia pure abbastanza tardiva.

Spero però che chi ha avuto finalmente il coraggio di affermare pubblicamente - e con nome e cognome - la fine o lo scavalcamento dell'articolo 11 della Costituzione si spieghi meglio, e ne motivi le ragioni con la nettezza semplice che è doverosa nell'affrontare un tema così delicato: poiché quella norma costituzionale di certo non fu presa né a caso né a cuore leggero.


Quell'articolo della Costituzione, che sembra oggi guardare alle nuvole, nasceva da un vissuto terribile: sgorgava dall'orrore e dai massacri che avevano recato con sé due guerre mondiali, in forme mai nemmeno lontanamente conosciute dalla storia degli esseri umani.


Non mi convince - lo dico con franchezza - la tesi che (stando ai resoconti dei giornali) sembra sorreggere l'argomentazione dalemiana: perché lo scavalcamento dei singoli stati, che egli considera la fonte della svolta, c'era anche in quel fatale 1914, e poi tornò - ancora più vasto – nello scontro quinquennale col nazifascismo. E i padri costituenti lo sapevano bene per amara e dolente esperienza diretta. Hitler voleva mettere le mani sul mondo, e gli antifascisti non difendevano solo la patria, ma lottavano sulle sorti del mondo.


E tuttavia i nostri antifascisti vollero quella specifica Costituzione italiana; e in quella Costituzione vollero quel preciso vincolo italiano che riconosceva solo la guerra di difesa. Stiamo attenti: se gli eventi del terzo millennio cancellano l'articolo 11 allora - io temo - è tutta quella Costituzione che va in frantumi e bisogna dire e sapere quali sono le leggi
che regolano questo paese e su quali carte e poteri poggiano.


Perciò l'affondamento clandestino dell'articolo 11 non è possibile. Il discorso stesso di D'Alema ne è la prova. Quando quella che io chiamo la «normalizzazione» della guerra (addirittura della «guerra preventiva») giunge agli esiti di oggi il discorso sull'articolo 11 fatalmente si accende perché è in discussione chi comanda chi in Italia: intendo chi comanda sull'uccidere di massa.

Vedo bene che c'è una stranezza in questo dibattito sulla guerra e sull'articolo 11. Finora tacciono i «cònsoli», i grandi custodi addetti alla tutela della legge. Non so, non riesco a sapere (o - se volete - immaginare) che cosa pensano della sorte dell'articolo 11 il capo dello stato, e i presidenti del senato e della camera. Dico di più: non capisco come sia possibile questo silenzio. Voglio dire: questo silenzio sull'articolo 11 oggi quando il mondo discute sulla guerra e anche sul terrorismo e la più grande potenza del pianeta esalta pubblicamente, e con ardore, la guerra di prevenzione. E io mi chiedo dentro di me: che cosa è, a che serve la Costituzione italiana. Chi vincola?

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"Eppure il vento soffia ancora...."

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Da ATLANTE foglio di politica e cultura anno 1 n.10 31 ottobre 2002 A cura del "Gruppo Atlante" di Gioia del Colle (BARI)

La guerra al terrorismo e lotta per il petrolio…

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per l’egemonia nelle zone dove i costi di estrazione sono più bassi

"…L’Irak, insieme all’Iran, costituisce l’ostacolo più coriaceo all’influenza americana nella regione e nel mondo mussulmano. …in quest’area – dalla Turchia all’Arabia Saudita, a Israele – si prepara una nuova "guerra al terrorismo", fatta di pressioni militari e diplomatiche dal forte aroma di oro nero. Il teatro delle operazioni rimane il Medio oriente "allargato" che inizia alle porte di Trieste e attraverso i Balcani, il Mar Nero, la Turchia e il Caucaso arriva fino al Caspio per penetrare poi in Asia centrale fino ai confini con la Cina. …Così come il Golfo del petrolio rimane ancora la preda più ambita della superpotenza americana. …Estrarre un barile in Azerbaijan costa dai 10 ai 12 dollari, in Kazakhstan da 12 a 14 più o meno quanto nel Mare del Nord ma molto di più che in irak (un dollaro), Kuwait e Arabia Saudita (3 dollari) o in Iran (8 dollari). Per questo la prossima guerra al terrore seguirà ancora un vecchio detto di Lord Curzon: "In MedioOriente ogni goccia di petrolio equivale a una goccia di sangue" (Il sole 24 ore del 18-1-02)

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arricchire le aziende del pentagono

"…Ecco per esempio la Raytheon, impresa militare che vede oggi le sue azioni alle stelle: ha raddoppiato la produzione dei Little Buddy, specie di macchinette volanti che affiancano i caccia e i bombardieri, sviando i missili nemici e attirandoli su di sé. E sta anche sfornando a gran velocità nuovi sensori per arei-spia, e apparecchi per ubriacare i radar nemici, e sistemi di guida per missili amici. Gli ingegneri dell’azienda si sono visti sospendere tutte le richieste di ferie fra ottobre e gennaio. Ecco la Trw Inc. che spedirà subito alle truppe USA nel Golfo, su richiesta di Washington, un software quasi magico: grazie al quale, qualunque unità militare – anche la più piccola – può conoscere in tempo reale la situazione sul campo di battaglia, le posizioni di alleati e nemici. Le Boeing di Anheim, a due passi di Disneyland, deve invece accelerare al massimo la produzione dei cosiddetti sistemi di puntamento, sorveglianza e riconoscimento di nuova generazione. Ma ha anche un altro incarico: raddoppiare la produzione (da 700 a 1.500 pezzi al mese) di un gingillo elettronico che, appiccicato a una bomba guidata soltanto dalla forza di gravità, la rende intelligente; cioè la orienta sull’obiettivo, seguendo le indicazioni di un satellite in cielo (erano intelligenti 9mila delle 23mila bombe lanciate sull’Afghanistan). Sei satelliti sarebbero già puntati 24 ore su 24 solo sull’Iraq, e tre di questi avrebbero sensori infraottici quasi perfetti, progettati per scoprire il minimo indizio di armamenti nucleari, chimici o biologici anche nella notte più fonda, o attraverso una cortina di bufere. A El Segundo, un altro angolo di California, c’è la Northrop che monta i suoi sistemi integrati sui bombardieri invisibili B-2. Poco distante, si progettano apparecchi segretissimi per gli invisibili F-117 e per gli U-2, gli aerei spia senza pilota. In fabbrica dell’Ariziona, invece, si lavora notte e giorno al Paveway (letteralmente spiana la strada), missile guidato dal laser che può penetrare qualunque bunker e annientarne gli occupati. Su qualche calotta, è già stato scritto Urgente, per Mr. Saddam…" (corriere della sera 28-9-02)

 

Ma penalizza i paesi più deboli

"… Anche se l’economia Usa potrebbe avere qualche vantaggio dall’aumento della spesa militare, il resto del mondo non ne beneficerebbe. La maggior parte dei paesi sentirebbe solo gli effetti negativi: il rallentamento del commercio, l’aumento dei prezzi del petrolio, i tagli sugli investimenti di capitale. La macroeconomia Usa è preoccupante. Le politiche fiscali dell’Amministrazione Bush, insieme allo scoppio della bolla finanziaria alla fine degli anni ’90, hanno portato l’America su un cammino instabile dal punto di vista finanziario. Al posto di surplus di bilancio apparentemente senza fine, gli Usa hanno ora deficit di bilancio che dureranno per molti anni. La guerra all’Irak potrebbe peggiorare tali disavanzi. …Certamente i policy-makers americani, hanno un asso nella manica nascosta. Credono che la guerra sarà veloce, senza impegni e autofinanziata, poiché gli Usa guadagnerebbero il controllo del petrolio iracheno, cosa che non solo farebbe diminuire i prezzi del petrolio ma finanzierebbero anche la ricostruzione postbellica dell’Irak. Un’allettante propsettiva, ma molto improbabile. La guerra potrebbe non essere per nulla veloce. La ricostruzione potrebbe essere difficile anche se il conflitto fosse breve. Uno scenario alternativo è un’enorme incertezza e agitazioni in tutto il Medio Oriente con il blocco dei flussi di petrolio, per ragioni politiche se non militari. …Inoltre, se l’America agirà da sola, non ci sono dubbi che i costi postbellici saranno maggiori. Aperte da divisioni tra Usa e altri Paesi provocherebbe una perdita di fiducia negli investitori compromettendo la stabilità economica mondiale. …" (Il sole 24 ore del 2-10-02)

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…PER DOMINARE IL MONDO

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Le bugie di Bush

"…Levran è tutto tranne che un pacifista sceso in campo contro gli Stati Uniti. Brigadiere generale in pensione, è invece noto per essere un falco tra gli esperti israeliani di cose militari. Autore di un volume sulla strategia militare israeliana dopo la Guerra del golfo nel 1991. Levran spiega al Corriere come mai a suo parere gli argomenti per un Saddam super armato sono esageratiIl mio punto di vista è che oggi l’Iraq è molto più debole rispetto agli anni precedenti la guerra del 1991. Il suo esercito non ha nulla a che vedere con le grida di allarme che arrivano da Washington e Londra. Saddam è un dittatore pericoloso, sanguinario, il mondo starebbe molto meglio senza di lui. Ma ha perso le ambizioni espansioniste. …Alla fine del 1998 si stimava avesse 2 o 3 missili Al-Hussein, il cui raggio è minore di 800 chilometri. Al massimo ora ne avrà una decina, ma con solo un paio di rampe di lancio. Nel 1991 stava costruendo il modello di missile Al-abbas, con un raggio di 900 chilometri. Ma non ci sono prove che sia operativo. Non si costruiscono missili senza provarli e i satelliti Usa confermano che negli ultimi 11 anni dall’Iraq non ne è mai stato tirato neppure uno. Il suo programma nucleare è inoltre paralizzato dall’embargo …Vi si parla di 20 missili Al-Hussein. Ma senza portare alcuna prova. Secondo gli accordi dell’estate 1991 Saddam può costruire missili tattici con una gittata di 150 chilometri…" (Corsera 29-9-02)

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La guerra preventiva

"…Durante la Guerra fredda – risponde Arthur Schlesinger Jr., ex consigliere del presidente John F. Kennedy e uno degli storici più apprezzati d’America -, i sostenitori di una guerra di prevenzione erano fortamente in minoranza e, fortunatamente, non sono mai saliti al potere in nessun Paese importante. L’America allora scelse di seguire una politica di contenimento e deterrenza. ..Ritiene che l’America sbaglierebbe a usare l’11 settembre per giustificare questo tipo di azione preventiva? Sarebbe certamente un forte cambiamento di rotta per gli Stati Uniti. Quando i giapponesi colpirono Pearl Harbor come atto preventivo, noi la considerammo una data macchiata dall’infamia. Durante la crisi dei missili cubani Robert Kennedy guidò l’opposizione contro un attacco preventivo su Cuba sostenendo che avrebbe rappresentato un Pearl harbor alla rovescia. In 175 anni di storia americana non ci siamo comportati in quel modo…" (Corsera 13-9-2002)

 

La lettera di Bagdad

Sono lieto di informarvi della decisione del Governo dell’Irak di consentire il ritorno incondizionato degli ispettori delle Nazioni Unite in irak. Questa decisione si fonda anche sulla vostra dichiarazione riguardo il fatto che è il primo passo indispensabile per garantire che l’Irak non possiede più armi di sterminio e verso una soluzione che includa l’abolizione delle sanzioni imposte all’Irak. A questo fina, l’Irak è pronto a discutere gli accordi pratici necessari per un’immediata ripresa delle ipsezioni. A riguardo ricorda l’importanza di un impegno di tutti gli Stati membri del Consiglio di sicurezza di rispettare la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza politica delI’Irak"

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"Siamo in una guerra che nessuno condivide"

"… Nella canzone i membri dell’equipaggio e i passeggeri della nave dicono al capitano che la nave è poco sicura e che c’è il rischio di annegare e cercano conforto in lui. Ma, alla fine, scoprono che è proprio il capitano a imbarcare volontariamente acqua; credo che questa metafora rappresenti la situazione americana degli ultimi tempi. Che cosa significa tutto questo? Significa che siamo in una guerra che nessuno condivide fino in fondo, ma che appoggiamo perché ci fanno credere di essere dalla parte della ragione. Bush ha colto al volo l’opportunità dell’11 settembre per ingannarci: non siamo in guerra per combattere il terrorismo, ma per motivi che hanno a che fare con il petrolio, il commercio. A me sembra di marciare verso l’inferno… Dall’intervista a Eddie Vadder capo dei Pearl Jam la famosa band Usa" (Corsera 29-10-02)


Il prezzo di cinque conflitti del Novecento

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I GUERRA MONDIALE (1914-18) è costata 1.270.000 mld di lire (656 mld di euro). I morti sono stati 15 milioni.

II GUERRA MONDIALE (1939-45) è costato 9.340.000 mld di lire (4.824 mld di euro). Vittime: 55 milioni di morti

GUERRA DI COREA Costo: 880 mila mld di lire (454 mld di euro). Morti: 1,5 milioni di nordcoreani e cinesi, 500 mila sudcoreani, 33 mila americani, 3000 alleati. Durata: 1950-53

GUERRA DEL GOLFO Durata: dal 17 gennaio 1991 al 3 marzo 1991. Costo 80 miliardi di dollari, pari a 176 mila mld di lire (91 mld di euro). Costi umani: 300 mila morti iracheni, meno di 200Alleati (11 donne)

 

Appello contro la guerra

A tutti i cittadini e le cittadine di Europa

Insieme possiamo fermare questa guerra!

Noi, movimenti sociali europei stiamo lottando per i diritti sociali e la giustizia sociale, per la democrazia e contro tutte le forme di oppressione.

Vogliamo un mondo di differenze, di libertà e di rispetto reciproco.

Crediamo che questa guerra, che sia legittimata o meno dall'Onu, sarà una catastrofe per i popoli dell'Iraq che già patiscono le conseguenze dell'embargo e del regime di Saddam Hussein, e per i popoli del Medio Oriente. Chiunque creda nella soluzione politica e democratica dei conflitti internazionali deve opporsi a questa guerra, perché sarà una guerra che può portare a un disastro globale.

C'è già una opposizione massiccia alla guerra in ogni paese di Europa.

Centinaia di migliaia di persone si sono già mobilitate per la pace.

Facciamo appello ai movimenti, ai cittadini e alle cittadine di Europa per una resistenza continentale coordinata alla guerra :

  1. organizzando da subito una opposizione di massa all'attacco all'Iraq in caso avvenga l'attacco, organizzando immediatamente

  2. mobilitazioni, azioni e manifestazioni nazionali il sabato immediatamente successivo

  3. iniziando da ora ad organizzare manifestazioni in tutte le capitali europee il 15 di febbraio.

Possiamo fermare questa guerra.

Assemblea dei movimenti sociali europei

Firenze 10 Novembre 2002

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¡ NO A LA GUERRA!

¡ NO AL GENOCIDIO!

¡ NO AL IMPERIALISMO YANQUI !

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la presidenta de la Asociación Madres de Plaza de Mayo, Hebe de Bonafini, http://www.madres.org/audio/030116_hebe_embajada.mp3

su: http://www.madres.org/

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Ante el genocidio que significa la guerra que quiere desatar EE.UU. contra Iraq, les decimos a los representantes del presidente Bush, que los pueblos del mundo entero estamos hartos de soportar los asesinatos permanentes del imperialismo yanqui.

 

Los aliados también serán condenados por la masacre que representa la invasión y la guerra.

Todos sabemos que no es Saddam, sino el petróleo que necesitan para mantener su poderío.

Repudiamos la guerra, condenamos a quienes la promueven, y sobre todo al fanático asesino Bush, presidente del imperialismo.

Buenos Aires, 16 de Enero de 2003

Firman:

ASOCIACIÓN MADRES DE PLAZA DE MAYO / UNIVERSIDAD POPULAR MADRES DE PLAZA DE

MAYO / MOVIMIENTO TERESA RODRÍGUEZ (M.T.R.) / C.T.D. ANÍBAL VERÓN / RESUMEN

LATINOAMERICANO / COMISIÓN POR LA LIBERTAD DE DIEGO QUINTERO, CARLOS BÉRTOLA

Y TODOS LOS PRESOS POLÍTICOS / ASAMBLEA POPULAR DE AVELLANEDA Y SARANDÍ /

PROYECTO EMANCIPACIÓN / CONGRESO ANFICTIÓNICO BOLIVARIANO / RED DE

SOLIDARIDAD CON VENEZUELA BOLIVARIANA / BIBLIOTECA POPULAR JULIO HUASI /

LIBRERÍA Y CAFÉ LITERARIO DE LAS MADRES DE PLAZA DE MAYO / MOPASSOL / P.R.L.

/ JUVENTUD GUEVARISTA / CEPRODH / DEMOCRACIA OBRERA / M.P.R. QUEBRACHO /

PARTIDO DE LA LIBERACIÓN / JUVENTUD REBELDE "20 DE DICIEMBRE / TENDENCIA

CLASISTA 29 DE MAYO / AUTOCONVOCADOS CONTRA EL SIDA (ADDES)

(El presente documento fué leído frente a la embajada de EE.UU. en Argentina, durante la marcha de repudio a la guerra imperialista realizado el 16/1/2003)

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